Miguel De Cervantes. Il più grande scrittore spagnolo.

«Umana cosa è aver compassione degli afflitti; e come che a ciascuna persona stea bene, a coloro è massimamente richiesto, li quali già hanno di conforto avuto mestiere, et hannol trovato in alcuni: fra’ quali, se alcuno mai n’ebbe bisogno, o gli fu caro, o già ne ricevette piacere, io son uno di quegli.»
(Giovanni Boccaccio, Decameron, Proemio)

GRANDI PERSONAGGI STORICI Ritengo che ripercorrere le vite dei maggiori personaggi della storia del pianeta, analizzando le loro virtù e i loro difetti, le loro vittorie e le loro sconfitte, i loro obiettivi, il rapporto con i più stretti collaboratori, la loro autorevolezza o empatia, possa essere un buon viatico per un imprenditore come per una qualsiasi persona. In questa sottosezione figurano i grandi poeti e letterati che ci hanno donato momenti di grande felicità.

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Miguel de Cervantes Saavedra

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Miguel de Cervantes Saavedra, alla nascita Miguel de Cervantes Cortinas (Alcalá de Henares, 29 settembre 1547 – Madrid, 22 aprile 1616), è stato scrittore, poeta, drammaturgo e militare spagnolo. È universalmente noto per essere l'autore del romanzo Don Chisciotte della Mancia, uno dei capolavori della letteratura mondiale di ogni tempo. In quest'opera, pubblicata in due volumi nel 1605 e nel 1616, l'autore prende di mira con l'arma della satira e dell'ironia i romanzi cavallereschi e la società del suo tempo. Nel romanzo, Cervantes contrappone all'allampanato cavaliere, maniaco di avventure e di gloria, la figura del suo pingue e umanissimo scudiero, incapace d'innalzarsi al di sopra della piatta realtà. La sua influenza sulla letteratura spagnola è stata tale che lo spagnolo è stato definito la lingua di Cervantes e a lui è stato dedicato l'Istituto di lingua e cultura spagnola, un po' come l'italiano per Dante.
Cervantes nacque ad Alcalá de Henares, una cittadina sita a 31 km a nord-est di Madrid, nel 1547 in una famiglia modesta, quarto dei sette figli di Rodrigo Cervantes e di Leonor de Cortinas. La sua famiglia è costretta a viaggiare, a causa degli scarsi guadagni del padre, da un paese all'altro, finché nel 1568 egli si trova a Madrid, dove frequenta il collegio "El Estudio" diretto da Juan López de Hoyos. Nel 1570 Cervantes fugge in Italia per evitare la condanna al taglio della mano destra e a dieci anni d'esilio perché accusato di aver ferito un certo Antonio de Segura. In Italia, sul principio s'impiega come cortigiano, anche presso la corte degli Acquaviva, nel Ducato di Atri, in Abruzzo. Sempre nel 1570 si arruola nella compagnia comandata da Diego de Urbina, capitano del reggimento di fanteria di Miguel de Moncada, che allora serviva sotto Marc'Antonio Colonna: al figlio di quest'ultimo, Ascanio (divenuto poi cardinale), dedicherà La Galatea.
Nel mese di settembre del 1571 s'imbarca come soldato sulla galea Marquesa, che fa parte della flotta della Lega Santa, che sconfiggerà quella turca nella battaglia di Lepanto il 7 ottobre dello stesso anno. Nella battaglia rimane ferito da un'archibugiata e, per la rottura d'un nervo, perde per sempre l'uso della mano sinistra. Viene ricoverato per alcuni mesi all'ospedale di Messina. Difatti, lo stesso appellativo Saavedra, che successivamente scalzò il cognome materno, deriverebbe dal termine arabo shaibedraa, che nello spagnolo dell'epoca starebbe gergalmente per "monco" (un riferimento alquanto ironico dello stesso Cervantes dunque al fatto che, proprio per sfuggire a un'amputazione dell'arto, aveva finito comunque per trovarsene privato).
Nel 1572 e 1573 è attivo militarmente tra la Tunisia e la Grecia. Nel 1575 parte da Napoli per la Spagna con alcune lettere di raccomandazione che dovrebbero procurargli il comando di una compagnia. Ma la galea Sol sulla quale viaggia viene assalita dal rinnegato Arnaut Mami ed egli è catturato dai pirati e tenuto in cattività per cinque anni fino al pagamento di un riscatto, a opera delle missioni dei trinitari, fondate da San Giovanni de Matha. È il 24 ottobre 1580.
Negli anni di prigionia conosce Antonio Veneziano e ne diviene amico, tanto che nel 1579 gli dedicherà un'epistola in dodici ottave, opera che Cervantes reputerà di un certo valore, tanto che quasi settanta versi saranno reinseriti nella commedia El trato de Argel, che narra della prigionia in Algeri. Che l'amicizia sia stata venata di ammirazione da parte di Cervantes, lo si deduce dalla novella "El amante liberal", in cui l'autore narra di un prigioniero siciliano che sapeva magnificare, nel ricordo, la bellezza della sua donna esprimendosi con versi sublimi; probabilmente si trattava della "Celia", l'opera più famosa di Veneziano.
Finalmente liberato con l'aiuto della famiglia, Cervantes ritorna in Spagna, dove l'attende un duro periodo di umiliazioni e ristrettezze economiche. Nel 1584 sposa Catalina de Salazar y Palacios e vive a Esquivias, nell'attuale provincia di Toledo; qui pubblica La Galatea e nel 1586 si separa dalla moglie: il suo matrimonio, senza figli, si suppone infelice. Si trasferisce poi in Andalusia nel 1587 e qui si occupa delle provvigioni per la Armada invencible e successivamente lavora come percettore di imposte. La requisizione di un carico di cereali e di beni della curia in Andalusia gli valgono quello stesso anno ben due scomuniche. Nel 1597 viene coinvolto in una bancarotta fraudolenta e incarcerato. Successivamente, nel 1602, verrà arrestato una seconda volta a Siviglia per illeciti amministrativi, ma in questo caso riacquisterà poco dopo la libertà. Negli anni immediatamente successivi va a Valladolid insieme alle due sorelle e alla figlia Isabella, nata da una relazione con una certa Anna de Rojas.
Nel 1605 Cervantes subisce una nuova vertenza giudiziaria: viene infatti trovato nelle vicinanze della sua casa il cadavere del cavaliere Gaspar de Ezpeleta e i sospetti cadono sullo scrittore, che viene imprigionato, ma subito prosciolto. Il dubbio che la morte del cavaliere sia in qualche modo riconducibile alla moralità delle due sorelle e della figlia vena di tristezza i suoi ultimi anni. Nel 1606, per seguire la corte di Filippo III di Spagna, si trasferisce a Madrid e, malgrado gli stenti che non l'abbandonano mai, si dedica a un'intensa attività e scrive in pochi anni gran parte e forse il meglio della sua produzione.
Secondo la tradizione, Cervantes morì esattamente lo stesso giorno di William Shakespeare e del peruviano Garcilaso Inca de la Vega, il 23 aprile 1616, a 68 anni. In realtà, muore il 22, e il giorno dopo riceve sepoltura nel convento dei Trinitari Scalzi a Madrid; inoltre Shakespeare muore il 23 aprile secondo il calendario giuliano, non quello gregoriano come Cervantes, per cui in realtà il Bardo inglese si spegne il 3 maggio, undici giorni dopo lo spagnolo e dieci dopo il peruviano. L'ubicazione della tomba di Cervantes verrà perduta negli anni successivi, tanto da far ipotizzare lo spostamento dei suoi resti in una fossa comune. Soltanto nel 2015, dopo anni di ricerche e finanziamenti sostenuti dallo storico Fernando de Prado, è stato possibile rinvenire i resti di Cervantes, giacenti nel convento medesimo dietro un muro. La tomba è stata spostata nella chiesa di San Ildefonso, edificio adiacente al Convento dei Trinitari Scalzi.
Produzione letteraria
Cervantes non fu un umanista e nemmeno un letterato di successo. Egli scrisse nelle condizioni più sfavorevoli, rubando tempo per i suoi studi ai quali si dedicava con gioia e dai quali sperava di ricavare denaro e gloria. Il suo atteggiamento di fronte alle maggiori polemiche letterarie dell'epoca, come quella sul teatro e sul culteranismo, fu di indifferenza, e la sua preferenza per i generi popolari, come il teatro o la novellistica, denota che egli cercava soprattutto vantaggi economici, vantaggi che comunque non raggiunse nemmeno con la pubblicazione della prima parte del "Don Chisciotte", che ebbe un certo successo.
L'inserimento dello scrittore nell'ambiente letterario del suo tempo si può ricollegare alla sua prima produzione poetica, non copiosa ma interessante, come El viaje del Parnaso, un poemetto giovanile che Cervantes pubblicò nel 1614 con una Adjunta al Parnaso in prosa. Altro e forse maggiore valore documentario hanno le composizioni poetiche brevi, nate per lo più da motivi occasionali che, nonostante il severo giudizio che espresse lo stesso autore e la critica, sono tuttavia soffuse di umorismo e di vivacità interpretativa. Queste liriche non sarebbero indicative della letterarietà dell'ispirazione cervantina, se non si ritrovassero anche e in maniera più vistosa nella novella pastorale "Galatea" gli stessi elementi. Alla prima attività letteraria è da ricollegare anche una parte della sua copiosa produzione teatrale, dal momento che due delle sue tragedie, El cerco de Numancia ed El trato de Argel, si possono datare al 1583 circa.
La Galatea
La vera carriera letteraria di Cervantes inizia con La Galatea, che fu pubblicata nel 1585 ma venne scritta in gran parte nel 1582, ed è considerata la sua opera giovanile più impegnativa. In essa si riconoscono alcuni tratti distintivi della scrittura di Cervantes, soprattutto nella fusione operata tra i temi tipici della poesia pastorale con altri elementi, come alcune avventure e le peregrinazioni compiute dai personaggi, caratteristici invece del romanzo ellenistico.
Il romanzo El ingenioso hidalgo don Quijote de la Mancha, il capolavoro di Cervantes, venne pubblicato in due tempi, la prima parte nel 1605 e la seconda nel 1615, dopo l'apparizione di una prosecuzione apocrifa ad opera di Alonso Fernández de Avellaneda. Del 1615 è anche la sua più lunga composizione poetica, Ocho comedias y ocho entremeses, che comprende Pedro de Urdemalas, considerata da alcuni la migliore opera teatrale del Cervantes, e l'intermezzo El retablo de las maravillas, uno dei suoi più riusciti quadri popolareschi. Tutte le commedie vantano traduzioni italiane, ma solo una di esse, La entretenida, è stata tradotta in versi, nel 2007, col titolo La spassosa, da David Baiocchi e Marco Ottaiano.
Los trabajos de Persiles y Sigismunda
Postuma risulta l'opera Los trabajos de Persiles y Sigismunda, la cui dedica è datata 19 aprile 1616 e che venne pubblicata nel 1617.
La formazione culturale di Cervantes si svolse nella fase di passaggio dal XVI secolo al XVII secolo in pieno clima rinascimentale e il passaggio dal rinascimento al barocco trovò in lui un interprete profondamente radicato nei problemi dell'uomo di quel tempo. Nell'opera di Cervantes si coglie la necessità di scoprire il sogno, la fantasia, l'ignoto, la follia, l'istinto per portare alla luce la coscienza umana. Nelle opere di Cervantes si coglie il desiderio di condizioni esistenziali diverse in cui l'uomo, libero dai rapporti sociali prestabiliti possa essere libero e realizzare la propria individualità. Don Chisciotte, il folle e idealista cavaliere mancego e Sancho il suo realista scudiero sono espressioni diverse ma non contrastanti di questa esigenza che diviene il tema centrale di tutto il romanzo.
Cervantes conosceva gli scrittori contemporanei spagnoli e inoltre Aristotele, Platone e Orazio . Egli cercò di adattare il suo stile alle esigenze estetiche dell'epoca rinascimentale anche se spesso si nota nelle sue opere una ricerca personale e libera di concetti, di mondi e di sentimenti dove la letteratura si fonde con la spregiudicatezza d'invenzione e d'intuizioni. La prosa di Cervantes cambia spesso per passare da periodi simmetrici e complessi ad altri più immediati dove il discorso si fa più semplice, diretto e familiare. Nella lettura del Don Chisciotte si può cogliere il disagio di vivere che vagheggia un mondo mai esplorato, ma sempre sognato. Per concludere si può affermare che Cervantes sta alla Spagna, come Dante all'Italia e Shakespeare alla Gran Bretagna, anche se, da vivo, non ebbe i riconoscimenti che ebbero gli altri due.
Allo scrittore è stato intitolato il cratere Cervantes, sulla superficie di Mercurio. Il giorno della sua morte, che condivide con William Shakespeare e Inca Garcilaso de la Vega, è stato designato dall'UNESCO come Giornata mondiale del libro e del diritto d'autore. Compare nelle monete da 50, 20 e 10 centesimi di euro spagnoli.

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Chiesa dove Cervantes fu battezzato; nella città di Alcala de Henares

Opere in prosa
- La Galatea (1585), romanzo pastorale.
- El ingenioso hidalgo don Quijote de la Mancha (Don Chisciotte della Mancia, 1605)
- Novelas ejemplares (1613), collezione di 12 storie brevi.
- Viaje del Parnaso (1614), rivista critica dei poeti del suo tempo.
- Segunda parte del ingenioso caballero don Quijote de la Mancha (1615)
- Los trabajos de Persiles y Segismunda (1617), il romanzo che Cervantes considerava la sua opera migliore.

Opere poetiche
- Exequias de la reina Isabel de Valois.
- A Pedro Padilla
- A la muerte de Fernando de Herrera
- A la Austriada de Juan Rufo
- Al túmulo del rey Felipe II

La Galatea

La Galatea è un romanzo pastorale che può essere considerato, tra le opere giovanili, la più impegnativa di Miguel de Cervantes. La Galatea, che era già stata scritta in parte nel 1582, vide la luce nel 1585 e, pur essendo un'opera giovanile, dimostra l'incipiente maturità del suo autore. Nel "Prologo" Cervantes dichiara la sua posizione spirituale e culturale nell'intraprendere la sua prima grande impresa nel campo delle lettere. Egli dice che scrivere egloghe, in un periodo in cui questo genere letterario è ormai in disuso, è forse azzardato, ma che in lui prevale l'interesse letterario e ha pertanto pensato che possa essere utile una ricerca espressiva che riesca a migliorare le poetiche e gli orientamenti spirituali che stanno declinando. Sempre nel "Prologo" l'autore si pone la preoccupazione per le questioni di contenuto e di retorica, come quella del verosimile e quella più propriamente strutturale.
Cervantes propone quindi la necessità di una corretta libertà personale e, se da un lato concede "finti pastori" che possano giustificare alcuni brani elevati, dall'altro ribadisce il suo intento di diletto. Dopo queste premesse teoriche dove si ricorda il fascino della letteratura italiana rinascimentale e le due opere pastorali di maggior successo in Spagna (la Diana del Montemayor e La Diana enamorada di Gil Polo), "La Galatea" si annuncia come un piacevole, anche se impegnativo, esercizio letterario. La Galatea, che è divisa in sei capitoli, si presenta subito contraddistinta da un forte platonismo che si rifà a Leone Ebreo e che risolve in chiave rinascimentale i problemi connessi al contesto dispersivo dei romanzi pastorali. L'asse centrale dell'opera è la forza serena e capricciosa dell'amore: Elicio ed Erastro sono innamorati della pastorella Galatea, il cui padre ha però deciso di darla in sposa ad un pastore forestiero. Elicio convoca allora tutti i suoi amici per cercare di convincerla a cambiare idea. Qui si conclude la prima parte del romanzo, ma benché Cervantes si proponesse di dare alla luce una seconda parte, l'opera rimane invece incompiuta. Accanto alla vicenda principale, si inseriscono diversi racconti di altri personaggi, che vengono a costituire un unico quadro dove le numerose figure si dispongono secondo linee funzionali ben precise creando una grande armonia di insieme. Alla bellezza di una natura che non ha solamente funzione decorativa ma che rappresenta il contatto con la vita, corrisponde quella dei personaggi che su quello sfondo bucolico si muovono con pacata lentezza ed esprimono dolcemente i loro lunghi ragionamenti e le loro complicate vicende d'amore, cioè di quel sentimento che domina l'universo intero e che quindi non può che essere purissimo. Questa concezione così pura dell'amore sconfina verso il misticismo quasi più che al platonismo e rende oggettiva una posizione spirituale oltre che intellettuale. L'opera del Cervantes è magicamente equilibrata e lo si può notare, soprattutto nel processo a cui vengono sottoposti i personaggi, che, pur essendo messi a fuoco nelle loro vicende amorose, non giungono mai a turbare con il loro soggettivismo il sereno mondo pastorale. L'opera è citata nella Biblioteca di Don Chisciotte.

Don Chisciotte della Mancia

Don Chisciotte della Mancia (in spagnolo El Ingenioso Hidalgo Don Quijote de la Mancha) fu pubblicato in due volumi, nel 1605 e 1615. È considerato non solo come la più influente opera del Siglo de Oro e dell'intero canone letterario spagnolo, ma un capolavoro della letteratura mondiale nella quale si può considerare il primo romanzo moderno. Vi si incontrano, bizzarramente mescolati, sia elementi del genere picaresco sia del romanzo epico-cavalleresco, nello stile del Tirant lo Blanch e del Amadís de Gaula. I due protagonisti, Alonso Chisciano (o don Chisciotte) e Sancho Panza, sono tra i più celebrati personaggi della letteratura di tutti i tempi. Il pretesto narrativo ideato dall'autore è la figura dello storico Cide Hamete Benengeli, di cui Cervantes dichiara di aver ritrovato e fatto tradurre il manoscritto in arabo aljamiado, nel quale sono raccontate le vicende di don Chisciotte. Oltre l'artificio letterario dal forte valore parodico, l'invenzione di questo narratore inaffidabile e di altri filtri narrativi destinati a creare ambiguità nel racconto è una delle più fortunate innovazioni introdotte da Cervantes. L'opera di Cervantes fu pubblicata nel 1605 quando l'autore aveva 57 anni. Il successo fu tale che Alonso Fernández de Avellaneda, pseudonimo di un autore fino a oggi sconosciuto, pubblicò la continuazione nel 1614. Cervantes, disgustato da questo sequel, decise di scrivere un'altra avventura del don Quijote - la seconda parte - pubblicata nel 1615. Con oltre 500 milioni di copie, è il romanzo più venduto della storia letteraria.
Trama
Il protagonista della vicenda - un uomo sulla cinquantina, forte di corporatura, asciutto di corpo e di viso - è un hidalgo spagnolo di nome Alonso Quijano, morbosamente appassionato di romanzi cavallereschi. Per scoprire le altre caratteristiche del nostro eroe sarà utile leggere La vita di don Chisciotte e Sancho Panza (1905) di Miguel de Unamuno, il quale però dà una lettura e un'interpretazione molto personale e parziale del grande romanzo. Le letture condizionano a tal punto Alonso Quijano da trascinarlo in un mondo fantastico, nel quale si convince di essere chiamato a diventare un cavaliere errante. Si mette quindi in viaggio, come gli eroi dei romanzi, per difendere i deboli e riparare i torti. Alonso diventa così il cavaliere don Chisciotte della Mancia e inizia a girare per la Spagna. Nella sua follia, don Chisciotte trascina con sé un contadino del posto, Sancho Panza, cui promette il governo di un'isola a patto che gli faccia da scudiero. Come tutti i cavalieri erranti, don Chisciotte sente la necessità di dedicare a una dama le sue imprese. Lo farà scegliendo Aldonza Lorenzo, una contadina sua vicina, da lui trasfigurata in una nobile dama e ribattezzata Dulcinea del Toboso. Purtroppo per don Chisciotte, la Spagna del suo tempo non è quella della cavalleria e nemmeno quella dei romanzi picareschi, e per l'unico eroe rimasto le avventure sono scarsissime. La sua visionaria ostinazione lo spinge però a leggere la realtà con altri occhi. Inizierà quindi a scambiare i mulini a vento con giganti dalle braccia rotanti, i burattini con demoni, le greggi di pecore con eserciti arabi, i quali sottomisero la Spagna al loro dominio dal 711 al 1492. Combatterà questi avversari immaginari risultando sempre sonoramente sconfitto, e suscitando l'ilarità delle persone che assistono alle sue folli gesta. Sancho Panza, dal canto suo, sarà in alcuni casi la controparte razionale del visionario don Chisciotte, mentre in altri frangenti si farà coinvolgere dalle ragioni del padrone.
Prima parte
La prima parte del romanzo è preceduta da un prologo tra l'arguto e il serio, nel quale l'autore si scusa per lo stile semplice e per la narrazione esile e "priva di citazioni". Segue il primo capitolo che tratta delle condizioni, dell'indole e delle abitudini del nobiluomo don Alonso Quijano, di un borgo della Mancia, di cui non vale la pena ricordare l'esatta denominazione:

«Viveva, or non è molto, in una terra della Mancia, che non voglio ricordare come si chiami, un hidalgo di quelli che hanno lance nella rastrelliera, scudi antichi, magro ronzino e cane da caccia.»
«Toccava i cinquant'anni; forte di corporatura, asciutto di corpo, e di viso; si alzava di buon mattino, ed era amico della caccia [...] Negli intervalli di tempo nei quali era in ozio (ch'eran la maggior parte dell'anno), si applicava alla lettura dei libri di cavalleria con predilezione così spiegata e così grande compiacenza, che obliò quasi interamente l'esercizio della caccia ed anche l'amministrazione delle cose domestiche.»


Con lui vivono una governante sulla quarantina, una nipote di vent'anni e un domestico. Inaspettatamente, la passione per la letteratura cavalleresca si trasforma a un tratto in una forma di delirio; Alonso decide quindi di farsi cavaliere errante e di andarsene armato a cavallo in giro per il mondo, facendo piazza pulita di tutte le ingiustizie, le prepotenze e i soprusi. Immagina come proprio futuro premio la corona di Imperatore di Trebisonda e così inizia a mettere in atto il suo progetto. Come prima cosa ripulisce e rimette in sesto alcune armi che erano appartenute ai suoi avi; poi si reca dal suo ronzino che gli sembra, anche se malconcio, persino superiore al leggendario Bucefalo di Alessandro Magno. Poiché al ronzino manca un nome, don Alonso decide di chiamarlo Ronzinante, ovvero "primo fra tutti i ronzini del mondo"; solo in seguito pensa di nobilitare in qualche modo anche il proprio nome, e decide per "don Chisciotte della Mancia", un nome che pone in evidenza il suo lignaggio e onora la sua terra natale. Ma si rende conto che manca ancora qualcosa:

«Lucidate le armi, fatta del morione una celata, dato il nome al ronzino e confermato il proprio, si persuase che non gli mancava altro se non una dama di cui dichiararsi innamorato. Un cavaliere errante senza amore è come un albero spoglio di fronde e privo di frutti, è come un corpo senz'anima, andava dicendo a sé stesso»

La donna dei sogni viene così identificata in una certa Aldonza Lorenzo, giovane contadina di un piccolo paese vicino che viene subito ribattezzata Dulcinea del Toboso, anche se rimarrà sempre all'oscuro di essere diventata la dama di tale cavaliere. Fatti tutti questi preparativi e preoccupato per i danni che può procurare al mondo tardando a partire, don Chisciotte si mette presto in viaggio. Cammin facendo si chiede come fare a battersi per nobili cause se nessuno lo aveva armato cavaliere. Il problema è risolto a fine giornata quando egli, giunto in un "nobile castello" (in realtà un'umile osteria) sottopone la questione al "castellano" (l'oste). Questi, resosi conto della pazzia del suo cliente, finge di essere un grande signore e con l'aiuto di due donzelle (che sono in realtà due prostitute) lo arma cavaliere. All'alba, don Chisciotte lascia l'osteria felice e contento. Nel bosco libera un ragazzo che era stato legato e picchiato da un contadino e riprende la strada alla ventura, quando incontra un gruppo di Toledo che si reca a comprare seta a Murcia; don Chisciotte, certo che siano cavalieri erranti, grida loro di fermarsi e di dire che in tutto il mondo nessuna era più bella dell'Imperatrice della Castiglia-La Mancia, Dulcinea del Toboso. I mercanti si fanno gioco di lui e ne nasce una rissa in cui don Chisciotte, caduto malamente da cavallo, viene bastonato di santa ragione da uno stalliere. Un contadino del suo paese, di ritorno dal mulino col carro, lo trova e lo riporta a casa dove la nipote e la governante erano in pensiero per la sua assenza. Il curato del paese e il barbiere, fattagli una visita, si rendono conto del suo stato e decidono di bruciargli tutti i libri di cavalleria nella speranza che guarisca. Ma don Chisciotte non guarisce e dopo quindici giorni convince un contadino del paese, di buon carattere ma non troppo "sveglio", ad andare con lui in veste di scudiero, promettendogli di farlo governatore se avessero conquistato un'isola. Il contadino, che si chiama Sancho Panza, accetta; salito sul suo asinello, parte con don Chisciotte in sella al suo ronzino per le vie del mondo.

«Viaggiava Sancho Panza sopra il suo asino come un patriarca, colle bisacce in groppa e la borraccia all'arcione, e con un gran desiderio di diventare governatore dell'isola che il padrone gli aveva promesso.»

Sono da poco in cammino quando si vedono all'orizzonte trenta o quaranta mulini a vento, che don Chisciotte scambia per smisurati giganti coi quali vuole subito battagliare. Malgrado gli ammonimenti di Sancho egli si slancia a galoppo contro il primo mulino a vento, cadendo a terra e rimanendo piuttosto malconcio. I due riprendono la strada e incontrano una comitiva costituita da due frati dell'ordine di San Benedetto, un cocchio con dentro una dama biscaglina diretta a Siviglia, quattro persone a cavallo di scorta e due mulattieri a piedi. Don Chisciotte scambia i due frati per degli incantatori e la dama per una principessa rapita e ordina loro di liberarla. Seguono altre zuffe. Ripreso il cammino i due arrivano a un'osteria di campagna, che don Chisciotte nuovamente scambia per un castello, prendendo altresì le sguattere per principesse. In seguito don Chisciotte incontra un gregge di pecore, prendendolo per un vasto esercito; vedendolo menare colpi agli animali con la lancia in resta, i pastori gli gridano di fermarsi; poiché questo non serve, per poco non lo ammazzano:

«cominciarono a salutargli l'udito con pietre grosse come il pugno»

Da questo scontro don Chisciotte perde due denti e da questo momento si chiamerà "Il Cavaliere dalla Trista Figura". Un'altra volta capita a don Chisciotte e a Sancho di assistere a un funerale notturno; il cavaliere, credendo che il catafalco sia la barella di un cavaliere ferito o morto, decide di far giustizia assalendo uno dei vestiti a lutto. Gli altri, disarmati, si spaventano e scappano. Questa volta Sancho ammira veramente il valore del suo padrone e, quando il caduto si rialza, dice:

«Se mai quei signori volessero sapere chi è stato il valoroso che li ha ridotti a quel modo, vossignoria dirà che è il famoso Don Chisciotte della Mancia, il quale con altro nome si chiama il Cavaliere dalla Trista Figura»

Le avventure di don Chisciotte proseguono con l'assalto a un barbiere che si recava a prestare i suoi servizi e al quale don Chisciotte toglie la catinella di rame che scambia per l'elmo di Mambrino; poi libera alcuni galeotti attaccando le guardie che li scortano. Infine, assalito dalle nostalgie d'amore, decide di ritirarsi a vita di penitenza tra i boschi della Sierra Morena in omaggio alla sua Dulcinea, e rimanda Sancho al paese affinché riferisca alla donzella le sue sofferenze d'amore. Quando il curato e il barbiere vengono a sapere da Sancho le ultime novità, riescono con un espediente a ricondurre a casa il penitente. La prima parte del romanzo termina con quattro sonetti in memoria del valoroso don Chisciotte, di Dulcinea, di Ronzinante e di Sancho, seguiti da due epitaffi conclusivi, a dimostrazione che Cervantes non pensava allora di pubblicare la seconda parte del Don Chisciotte.
Seconda parte
La seconda parte inizia con un "Prologo" al lettore, nel quale Cervantes allude al secondo Don Chisciotte, un apocrifo scritto da un autore con lo pseudonimo di Alonso Fernández de Avellaneda e pubblicato nel 1614, e alle discussioni che ne erano seguite, e promette di esaurire, con questa seconda parte, tutte le avventure dell'hidalgo fino alla morte e alla sepoltura. Don Chisciotte è curato dalla sua vecchia governante e dalla nipote ma non guarisce e un giorno, all'insaputa di tutti, insieme al suo fido Sancho, riprende le vie per il mondo. Prendono subito la via per il Toboso perché don Chisciotte desidera, prima di partire per altre avventure, avere la benedizione della sua Dulcinea. Ma è molto difficile scovare questa luminosa bellezza, simbolo di tutte le perfezioni, perché il paese è tutto vicoli e casette e non si vede nemmeno un castello o una torre. Sancho, che ha ormai capito quali sono i capovolgimenti operati dalla fantasia nel cervello di don Chisciotte, consiglia il padrone di ritirarsi nel bosco per evitare guai con gli abitanti, si offre per trovare la bellissima e si reca in paese. Al ritorno dice al padrone che tra non molto vedrà avanzare la principessa vestita in gran pompa seguita da due damigelle.

«...Già intanto erano uscite dalla selva ed ecco scorsero lì vicine tre campagnole. Don Chisciotte sospinse lo sguardo per tutta la strada, ma non vedendo che tre contadine, si rannuvolò tutto e domandò a Sancho se mai le avesse lasciate fuori della città.»

Sancho Panza risponde con grande stupore:

«Stia zitto, signore, non dica così, ma si stropicci cotesti occhi e venga a riverire la signora dei suoi pensieri, che è già qui presso. E così dicendo si avanzò a ricevere le tre contadine; quindi smontando dal somaro, prese per la cavezza la bestia d'una delle tre; poi, piegando a terra tutte e due le ginocchia, disse: Regina e principessa e duchessa della bellezza, la vostra altierezza e grandezza si compiaccia di ricevere in sua grazia e buon talento il cavaliere vostro schiavo...»

Don Chisciotte, con gli occhi stralunati, si mette accanto a Panza e rimane senza parlare mentre nel suo animo si era già dato una spiegazione per quello che credeva un incantesimo. Quando le tre contadine se ne vanno egli esprime il suo pensiero a Sancho:

«Che ne dici Sancho? Vedi quanto male mi vogliono gli incantatori? Vedi fin dove arriva la loro cattiveria e l'astio che mi portano, poiché hanno voluto privarmi della gioia che avrebbe potuto darmi il veder nella sua vera forma la mia signora...»

Il povero don Chisciotte si trova in questo stato d'animo quando si imbatte in una compagnia di comici coi quali non riesce a mettersi d'accordo e viene messo in fuga da un fitto lancio di sassi. Più avanti egli incontra il Cavaliere degli Specchi che lo sfida a duello con la condizione che, chi avesse perso il duello, sarebbe stato alle condizioni del vincitore; per un imprevisto don Chisciotte vince il duello. Questo cavaliere non è altro che uno studente di Salamanca, un certo Sansone Carrasco amico di don Chisciotte, che ricorre a quel trucco nella speranza di vincere il duello per ricondurlo al villaggio, ma non ci riesce. Don Chisciotte e Panza proseguono il cammino e incontrano un carro dentro al quale vi sono due leoni in gabbia. Don Chisciotte vuole misurarsi con uno dei leoni e apre la gabbia creando grande spavento tra i guardiani. Ma i leoni annoiati non escono dalle gabbie e gli voltano le spalle. A don Chisciotte rimarrà il nome di Cavaliere dei Leoni secondo l'usanza dei cavalieri erranti che potevano cambiare il nome quando volevano. Testimone di questa ultima impresa è don Diego de Miranda, Cavaliere dal Verde Gabbano, che è felice di ospitare il suo scudiero. Mentre sono ospiti di don Diego, si celebra il matrimonio della bella Chilteria e del povero Basilio e, dopo le nozze, don Chisciotte si fa calare, legato a una fune, nella grotta di Montesinos che si trova nel mezzo della Mancia, e quando ne esce racconta le cose più strane e fantastiche.
I due continuano la strada e le avventure. Un giorno incontrano il duca e la duchessa di Aragona che, avendo letto la prima parte delle avventure del Fantastico Nobiluomo don Chisciotte della Mancia, desiderano conoscere il cavaliere e ospitarlo, con Sancho, nel loro castello. I due accettano e il duca e la duchessa si divertono a prenderli in giro inscenando in un bosco una mascherata con maghi, demoni, donzelle e altri personaggi. In seguito imbastiscono il dramma della contessa Trifaldi e delle sue dodici pulzelle che hanno il volto barbuto per un incantesimo del mago Malabruno. Don Chisciotte dovrà affrontare il mago nel suo paese cavalcando Clavilegno, un cavallo alato che in realtà è fatto di legno ed è carico di mortaretti, cosicché, quando Chisciotte e Sancho lo cavalcano bendati, il duca dà fuoco alle polveri e i due, dopo aver fatto un gran salto in aria, cadono sull'erba. L'incantesimo è rotto. Più tardi il duca nomina Sancho governatore dell'isola di Barattaria, ma la vita è troppo complicata per il semplice scudiero che se ne ritorna dal suo padrone. I due lasciano il castello alla volta di Barcellona e lungo la strada incontrano ancora tantissime avventure finché l'ultima pone fine alla vita del cavaliere errante ed è la sfida che gli viene da Sansone Carrasco, lo studente di Salamanca, travestito da Cavaliere della Bianca Luna. Lungo la strada don Chisciotte incontra il Cavaliere della Bianca Luna che lo sfida a confessare che la sua dama è più bella di Dulcinea. Il Cavaliere dei Leoni rimane allibito da tanta arroganza e accetta la sfida con il patto che chi avesse perso si sarebbe consegnato nelle mani del vincitore. Così avvenne che don Chisciotte, vinto da Carrasco, che aveva usato ancora una volta un trucco, si consegna nelle sue mani e viene finalmente ricondotto a casa. Una volta al villaggio, forse per l'abbattimento di essere stato vinto o per destino, viene colto da una improvvisa febbre che lo tiene a letto per sei giorni. Malgrado la visita degli amici il cavaliere si sente molto triste e, al termine di un sonno di sei ore, egli si sveglia gridando che stava per morire e ringraziando Dio per aver riacquistato il senno. Don Chisciotte vuole confessarsi e in seguito fare testamento, e dopo qualche giorno, tra i pianti degli amici e soprattutto di Sancho, muore. Per la sua sepoltura furono composti molti epitaffi tra i quali quello di Sansone Carrasco:
Giace qui l'hidalgo forte
che i più forti superò,
e che pure nella morte
la sua vita trionfò.
Fu del mondo, ad ogni tratto,
lo spavento e la paura;
fu per lui la gran ventura
morir savio e viver matto.

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Don Chisciotte e Sancho Panza di Gustave Dorè



Significato e importanza del Don Chisciotte
Lo scopo di Cervantes è sottolineare l'inadeguatezza della nobiltà dell'epoca a fronteggiare i nuovi tempi che correvano in Spagna, un periodo storico caratterizzato infatti dal materialismo e dal tramonto degli ideali, e contraddistinto dal sorgere della crisi che dominerà il periodo successivo al secolo d'oro appena conclusosi. "Don Chisciotte lamenta la diabolica invenzione della polvere da sparo che aveva messo fine per sempre alla fase cavalleresca della guerra""[...]. Milan Kundera scrive che "il romanzo appare come una sarcastica conclusione di tutta la letteratura precedente: fantastica, eroica, piena di leggende e miti" e, citando Octavio Paz, che "lo humour è una grande invenzione dell'epoca moderna legata alla nascita del romanzo, e in particolare a Cervantes""[...] . Nel finale dell'opera Cervantes scrive: «Il quale autore (...) altro non chiede se non che le si attribuisca la stessa attendibilità che le persone intelligenti riconoscono ai libri di cavalleria, che il mondo ha tanto in considerazione.» Il primo fine del romanzo, dichiarato esplicitamente nel Prologo dallo stesso Cervantes, è quello di ridicolizzare i libri di cavalleria e di satireggiare il mondo medievale, tramite il "folle" personaggio di don Chisciotte; in Spagna, la letteratura cavalleresca, importata dalla Francia, aveva avuto nel Cinquecento grande successo, dando luogo al fenomeno dei "lettori impazziti". Cervantes vuole inoltre mettere in ridicolo la letteratura cavalleresca per fini personali. Infatti, egli fu soldato, combatté nella battaglia di Lepanto e fu un eroe reale (ovvero impegnato in battaglie reali in difesa della Cristianità), ma trascorse gli ultimi anni della sua vita in povertà (leggenda vuole che Cervantes trascorse gli ultimi suoi anni di vita in carcere), non solo non premiato per il suo valore, ma addirittura dimenticato da tutti. Nel Don Chisciotte ogni cosa può essere soggetta a diversi punti di vista (ad esempio i mulini a vento diventano dei giganti), il che fa perdere chiaramente l'esatta concezione della realtà. Nell'opera di Cervantes è presente una dimensione tragica che dipende dall'inesistente corrispondenza fra cose e parole: le vicende cavalleresche ormai sono parole vuote, ma don Chisciotte a causa della sua locura ("pazzia", in spagnolo) non se ne accorge e cerca di ristabilire i rapporti fra realtà e libri. A fare da contraltare alle farneticazioni di don Chisciotte c'è Sancho Panza, che ogni volta interpreta correttamente le vicende molto terrene e mondane che il padrone scambia per mirabolanti avventure. Abbiamo quindi l'anziano hidalgo orgoglioso, dealista fino a perdere la ragione e la rispettabilità e il popolano coi piedi fermamente piantati per terra e buon senso, che si fa però trascinare in disastrose imprese abbacinato dalle promesse di futura gloria.
D'altra parte nel 1588 l' Invencible Armada spagnola del cattolicissimo re Filippo, era stata sconfitta dalla flotta della anglicanissima regina Elisabetta, mostrando che orgoglio e religiosità avevano fatto il loro tempo e che si vedeva all'orizzonte un nuovo mondo; il vecchio era stato sbeffeggiato da Don Chisciotte.
L'accumularsi di situazioni in cui lo stesso oggetto dà origine a interpretazioni dei due personaggi diametralmente opposte senza che nessuno dei due prevalga sull'altro, che trasformano la realtà a seconda della prospettiva cui la si guarda, incutono nel lettore quella sensazione di incertezza irrisolvibile, tipica del Manierismo che viene risolta nella seconda parte grazie all'apertura di una nuova dimensione, squisitamente barocca, della narrazione, con la storia di nuovi eventi e la rifondazione dei vecchi su nuove basi in cui l'interpretazione e la narrazione vengono a intrecciarsi in una rete di corrispondenze a specchio tra azione e riflessione, passato e presente, illusione e realtà, che è dinamica. All'interno di questa rete ognuno è costretto a reinterpretare la realtà come meglio crede poiché il narratore onnisciente scompare e il significato è affidato a due manoscritti diversi, spesso in contrapposizione fra di loro, con cui l'autore si prende gioco disseminando qua e là incongruenze e lacune per mettere in dubbio la verità dei due manoscritti. L'opera di Cervantes si colloca quindi perfettamente nell'età barocca in cui la realtà appare ambigua e sfuggente, dominata dall'indebolirsi del confine tra reale e fantastico nonché soggetta ad essere descritta da diversi punti di vista contraddittori.
Questo romanzo rispetto ai poemi cavallereschi (Orlando Furioso) tratta di argomenti contemporanei e non del passato (canzoni di gesta) ed è in prosa e non in versi. Del romanzo picaresco conserva l'interesse per gli aspetti più degradati della realtà (povere osterie, campagne desolate, ecc.) e per i personaggi più miseri (contadini, galeotti, prostitute), ma la condizione sociale del protagonista non è quella di un picaro bensì di un hidalgo. Inoltre, rispetto al romanzo picaresco, l'opera presenta una struttura e dei personaggi più complessi. Don Chisciotte rappresenta la crisi del Rinascimento e l'inizio del barocco. Il romanzo mette in luce l'esigenza di far emergere la propria individualità, fuori di rigidi rapporti sociali cristallizzati, facendo emergere l'istinto, la follia, il sogno, l'ignoto. Il critico Mario Pazzaglia scrive:
"L'intento dichiarato dell'autore era quello di abbattere l'autorità e il favore che hanno nel pubblico di tutto il mondo i libri di cavalleria, parodiandoli; e l'intento rispecchiava, in fondo, una crisi di valori nell'Europa del tempo travagliata da lotte di potenza imperialistica e dal deciso predominio del capitalismo che sosteneva i nuovi stati assolutistici ed era certo intimamente avverso a ogni forma di idealismo, di liberalità e di generosità cavalleresca".
Don Chisciotte è preda della follia in quanto interpreta la realtà in maniera distorta, ma nella seconda parte del romanzo la sua follia appare in buona parte consapevole, proprio come quella che Amleto finge nella tragedia di William Shakespeare; la follia di don Chisciotte è lo strumento per rifiutare la volgarità e la bassezza del reale, la follia di Amleto è il mezzo attraverso il quale il protagonista, principe di Danimarca, tenta di smascherare la corruzione e l'immoralità della sua corte. La teatralità poi ha una parte fondamentale nell'opera di Cervantes: essa fa sì che il romanzo si trasformi in una grande recita che culmina con il falso duello tra don Chisciotte e il Cavaliere della Bianca Luna.
Cesare Segre scrive:"[...] Don Chisciotte si è poi preso come scudiero un contadino ignorante e sentenzioso, Sancho, che in linea di principio smonta con il buon senso le fantasticherie del padrone, ma lentamente è attratto nel gioco e diventa una caricatura dello stesso don Chisciotte. Il don Chisciotte della seconda parte è concepito da Cervantes in modo molto diverso, ma anche per mortificare un mistificatore, Avallaneda, che lo aveva anticipato con una seconda parte apocrifa. [....] Così, mentre nella prima parte è don Chisciotte che cerca di trasformare la realtà secondo i suoi sogni, nella seconda si sente obbligato ad accettare e motivare a posteriori le trasformazioni apportate dai suoi interlocutori. I quali, onorandolo e coccolandolo, in realtà fanno di lui uno zimbello, quasi un buffone di corte" (in particolare, nella seconda parte, nei capitoli XXXIV-XXXV, vi si narra una macchinazione dei duchi dei quali don Chisciotte è ospite). Segre conclude con queste riflessioni: "Se nella prima parte don Chisciotte si ingannava, nella seconda viene ingannato, e la parabola da pazzia trasfiguratrice a pazzia organizzata, eteronoma, segue l'arco narrativo costituito dallo sviluppo fra prima e seconda parte. Ciò rende più complesso il rapporto fra realtà e follia e invenzione, in un gioco di specchi esasperatamente letterario. Il mondo che ora don Chisciotte attraversa è molto più ricco e variegato di quanto lo stesso don Chisciotte immaginasse, ma è anche tale da produrre una serie crescente di scacchi, come la sconfitta in duello da parte di un cavaliere più finto di lui, o la rovinosa caduta nel fango dopo che un'orda di porci lo ha travolto con Sancho. Don Chisciotte è diventato un personaggio tragico, e, prima di dichiararsi risanato e pentito, e dunque vinto, sul letto di morte, esclama, come un mistico: io sono nato per vivere morendo".
Il Don Chisciotte è stato considerato il progenitore del romanzo moderno da importanti critici, tra cui György Lukács.

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Statua di Cervantes a Lepanto, Grecia



Eugenio Caruso - 9 settembre 2022

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