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Giacomo da Lentini, considerato l'ideatore del sonetto.

Oi deo d’amore, a te faccio preghera
ca mi ’ntendiate s’io chero razone:
cad io son tutto fatto a tua manera,
aggio cavelli e barba a tua fazzone,

     ad ogni parte aio, viso e cera,
e seggio in quattro serpi ogni stagione;
per l’ali gran giornata m’è leggera,
son ben[e] nato a tua isperagione.

     E son montato per le quattro scale,
e som’asiso, ma tu m’ài feruto
de lo dardo de l’auro, ond’ò gran male,

     che per mezzo lo core m’ài partuto:
di quello de lo piombo fa’ altretale
a quella per cui questo m’è avenuto.

Da Lentini


GRANDI PERSONAGGI Ritengo che ripercorrere le vite dei maggiori personaggi della storia del pianeta, analizzando le loro virtù e i loro difetti, le loro vittorie e le loro sconfitte, i loro obiettivi, il rapporto con i più stretti collaboratori, la loro autorevolezza o empatia, possa essere un buon viatico per un imprenditore come per una qualsiasi persona. In questa sottosezione figurano i più grandi poeti e letterati che ci hanno donato momenti di grande felicità ed emozioni. Io associo a questi grandi letterati una nuova stella che nasce nell'universo.

ITALIANI

 - Angiolieri - Ariosto - Boccaccio - Carducci - Cavalcanti - D'Annunzio - Da Lentini - Dante - Leopardi - Machiavelli - Manzoni - Monti - Pascoli - Petrarca - Pirandello - Tasso - Verga - Virgilio

lentini

Jacopo da Lentini (dettaglio di una miniatura trecentesca, Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze)

Giacomo da Lentini, conosciuto come Iacopo da Lentini, Jacopo da Lentini o "Il Notaro" (Lentini, 1210 circa – Lentini, 1250 circa), è stato un grande poeta e, tra i principali esponenti della Scuola siciliana; è considerato l'ideatore del sonetto.
«Jacobus de Lentini domini imperatoris notarius»: così si firma in un documento messinese del 1240 il funzionario della corte di Federico II che Dante poi citerà come il "Notaro" per antonomasia (nome in realtà ripreso da Bonagiunta Orbicciani) nella sua Divina Commedia (Canto XXIV Purgatorio, 56). Il ruolo di funzionario gli viene accordato dal codice Vaticano latino 3793 (il più ricco ed autorevole per quanto concerne la lirica siciliana, compilato a Firenze alla fine del XIII secolo o all'inizio del successivo).(VEDI SOTTO).
Si conoscono altri atti da lui sottoscritti in varie città dei possedimenti peninsulari del Regno di Sicilia, datati tra il 1233 ed il 1240; tuttavia sono ben poche le informazioni sulla sua vita.
Fu probabilmente lo "Iacobus de Lentino" comandante del castello di Garsiliato (Mazzarino), nominato in un documento dell'aprile 1240.
Al "Notaro" si attribuiscono 16 canzoni di vario schema metrico, 22 sonetti (si noti che Iacopo è generalmente considerato l'inventore di tale forma metrica); 2 dei sonetti sono in "tenzone" con l'abate di Tivoli, uno risponde a Jacopo Mostacci. Si deve alla sua iniziativa la rivisitazione in lingua volgare dei temi e delle forme della poesia provenzale che ha dato inizio alla lirica d'arte italiana. Jacopo è stato uno dei più grandi poeti italiani e sicuramente uno dei padri del volgare siciliano.
Iacopo è considerato il "caposcuola" dei rimatori della cosiddetta scuola poetica siciliana, ruolo che gli fu assegnato già da Dante e che trova riscontro nella collocazione delle sue Canzoni in apertura del Canzoniere Vaticano latino 3793. Nel De vulgari eloquentia è citato per una sua canzone, considerata un esempio di uno stile limpido e ornato. I suoi componimenti coprono un arco temporale che va, grossomodo, dal 1233 al 1241.

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Il castello di Mazzarino, di cui Giacomo fu forse il comandante.


La tradizione poetica fiorita alla corte di Federico II, nei ristretti termini cronologici in cui essa si colloca, rappresentò il modello letterario che più si distaccava da quelli sino ad allora presenti nel resto d'Italia. Fino ad allora, la poesia lirica aveva potuto esprimersi quasi esclusivamente nelle corti feudali del settentrione d'Italia, sul modello delle corti provenzali dove era sorta la lirica occitana. Nella corte di Federico, l'apporto letterario fu invece dato in primo luogo da alcuni tra i principali funzionari del Regnum Siciliae. Federico II nomina Iacopo "Principe di Palermo" con titolo onorifico in onore della sua grande poesia.
Nascono in tal modo figure come Iacopo da Lentini, Rinaldo d'Aquino, Pier della Vigna, Guido e Odo delle Colonne, Giacomino Pugliese, Jacopo Mostacci, l'Abate di Tivoli, e altri ancora. I manoscritti, inoltre, attribuiscono alcuni componimenti anche allo stesso Federico ed ai suoi figli. Nella Magna Curia, Iacopo ricopre il ruolo di notaro dal 1233 al 1240 circa; le uniche testimonianze di quest'attività all'interno della corte federiciana risalgono a una lettera al papa Gregorio IX, vergata di suo pugno. Comunque sia, Giacomo fu probabilmente il maggiore esponente letterario della corte di Federico II. Dante, nella Divina Commedia, considera il Notaro poeta per antonomasia.
La produzione letteraria di Iacopo e della Scuola Siciliana, s'impronta quasi esclusivamente sulla poesia d'amore. Le liriche cantano temi amorosi, in cui il rapporto tra uomo e donna è quello tipico della tradizione cortese. Ha realizzato un canzoniere oggi composto da trentotto liriche a lui attribuite, fra le quali si trovano realizzate tutte le possibilità stilistiche elaborate dalla Scuola Poetica Siciliana: la canzone di argomento sublime, la canzonetta con temi narrativi e spesso dialogati, e il sonetto, inventato molto probabilmente dallo stesso Iacopo, dedicato a disquisizioni teoriche, morali e filosofiche, per lo più sulla natura dell'amore.

lentini 3

Ritratto di Federico II con il falco dal suo trattato De arte venandi cum avibus. Da Lentini lavorò alla corte di Federico II.


Nei componimenti dei poeti siciliani la donna assume in sé tutti i valori, mentre, l'amante-vassallo proclama la propria indegnità e nullità (come il tema cortese del fenhedor, nei versi di Meravigliosamente). La poesia di Iacopo e della Scuola è altamente formalizzata, utilizza le più raffinate tecniche retoriche ed è modellata sui motivi della lirica provenzale, codificando anche le strutture metriche della canzone, della canzonetta popolaresca, del discorso e soprattutto del sonetto, la cui invenzione, come si è detto, è attribuita a Giacomo.
La lingua dei poeti siciliani, così come è documentata dai manoscritti che la tramandano, è essenzialmente un siciliano colto depurato dagli elementi municipali e idiomatici.
Nelle sue liriche il Notaro analizza l'amore come vicenda interiore, con grande acutezza psicologica.
Il magistero poetico di Giacomo all'interno della Magna Curia, che si affiancò all'attività amministrativa, si inserisce in un periodo di generale rinascita culturale del Regno di Sicilia; durante il Regno di Federico II in Italia fiorirono le arti e le scienze e venne fondato lo Studium napoletano, che costituì il primo nucleo dell'Università di Napoli, che deve infatti il suo attuale nome all'Imperatore svevo.
Iacopo visse tra Lentini e il palazzo reale di Palermo, in cui era notaio di corte. Morì intorno al 1260 all'età di cinquant'anni. I terremoti che hanno devastato il suo paese natale non lasciano ricordi tangibili di lui. Esiste un suo ritratto nella Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze in una miniatura della fine del XIII secolo (Codice Palatino 418, f. 18). In un documento rinvenuto a Messina, datato 5 maggio 1240, è stata individuata la sua firma autografa.

AUDIO

Opere

Madonna, dir vo voglio, Canzone e traduzione di un testo trobadorico di Folchetto di Marsiglia

Meravigliosa-mente, Canzonetta di sette strofe  di nove versi settenari ciascuna

Edizioni

  • Poesia del Duecento e del Trecento, Collana Il Parnaso vol. I.  Einaudi, Torino, 1956
  • Poeti del Duecento. Volume I. Tomo I: Testi arcaici. Scuola siciliana. Poesia cortese, Ricciardi, Milano-Napoli, 1960-1995
  • Poesia italiana: il duecento, a cura di Piero Cudini, Collana I grandi libri, Garzanti Libri, Milano, 1978
  • I Poeti della Scuola siciliana. Volume I: Giacomo da Lentini, Mondadori, Milano, 2008 

POESIE

 Madonna, dir vo voglio

 Madonna, dir vo voglio
como l’amor m’à priso,
inver’ lo grande orgoglio
che voi bella mostrate, e no m’aita.
Oi lasso, lo meo core,
che ’n tante pene è miso
che vive quando more
per bene amare, e teneselo a vita.
Dunque mor’e viv’eo?
No, ma lo core meo
more più spesso e forte
che no faria di morte – naturale,
per voi, donna, cui ama,
più che se stesso brama,
e voi pur lo sdegnate:
amor, vostra mistate – vidi male.

     Lo meo ’namoramento
non pò parire in detto,
ma sì com’eo lo sento
cor no lo penseria né diria lingua;
e zo ch’eo dico è nente
inver’ ch’eo son distretto
tanto coralemente:
foc’aio al cor non credo mai si stingua;
anzi si pur alluma:
perché non mi consuma?
La salamandra audivi
che ’nfra lo foco vivi – stando sana;
eo sì fo per long’uso,
vivo ’n foc’amoroso
e non saccio ch’eo dica:
lo meo lavoro spica – e non ingrana.

     Madonna, sì m’avene
ch’eo non posso avenire
com’eo dicesse bene
la propia cosa ch’eo sento d’amore;
sì com’omo in prudito
lo cor mi fa sentire,
che già mai no ’nd’è quito
mentre non pò toccar lo suo sentore.
Lo non-poter mi turba,
com’on che pinge e sturba,
e pure li dispiace
lo pingere che face, – e sé riprende,
che non fa per natura
la propïa pintura;
e non è da blasmare
omo che cade in mare – a che s’aprende.

     Lo vostr’amor che m’ave
in mare tempestoso,
è sì como la nave
c’a la fortuna getta ogni pesanti,
e campan per lo getto
di loco periglioso;
similemente eo getto
a voi, bella, li mei sospiri e pianti.
Che s’eo no li gittasse
parria che soffondasse,
e bene soffondara,
lo cor tanto gravara – in suo disio;
che tanto frange a terra
tempesta, che s’aterra,
ed eo così rinfrango,
quando sospiro e piango – posar crio.

Assai mi son mostrato
a voi, donna spietata,
com’eo so’ innamorato,
ma crëio ch’e’ dispiaceria voi pinto.
Poi c’a me solo, lasso,
cotal ventura è data,
perché no mi ’nde lasso?
Non posso, di tal guisa Amor m’à vinto.
Vorria c’or avenisse
che lo meo core ’scisse
come ’ncarnato tutto,
e non facesse motto – a vo’, isdegnosa;
c’Amore a tal l’adusse
ca, se vipera i fusse,
natura perderia:
a tal lo vederia, – fora pietosa.

  Meravigliosa - mente

  Meravigliosa - mente
un amor mi distringe
e mi tene ad ogn’ora.
Com’om che pone mente
in altro exemplo pinge
la simile pintura,
così, bella, facc’eo,
che ’nfra lo core meo
porto la tua figura.

In cor par ch’eo vi porti,
pinta come parete,
e non pare difore.
O Deo, co’ mi par forte
non so se lo sapete,
con’ v’amo di bon core;
ch’eo son sì vergognoso
ca pur vi guardo ascoso
e non vi mostro amore.

     Avendo gran disio
dipinsi una pintura,
bella, voi simigliante,
e quando voi non vio
guardo ’n quella figura,
par ch’eo v’aggia davante:
come quello che crede
salvarsi per sua fede,
ancor non veggia inante.

     Al cor m’ard’una doglia,
com’ om che ten lo foco
a lo suo seno ascoso,
e quando più lo ’nvoglia,
allora arde più loco
e non pò star incluso:
similemente eo ardo
quando pass’e non guardo
a voi, vis’amoroso.

     S’eo guardo, quando passo,
inver’ voi no mi giro,
bella, per risguardare;
andando, ad ogni passo
getto uno gran sospiro
ca facemi ancosciare;
e certo bene ancoscio,
c’a pena mi conoscio,
tanto bella mi pare.

     Assai v’aggio laudato,
madonna, in tutte parti,
di bellezze c’avete.
Non so se v’è contato
ch’eo lo faccia per arti,
che voi pur v’ascondete:
sacciatelo per singa
zo ch’eo no dico a linga,
quando voi mi vedite

Canzonetta novella,
va’ canta nova cosa;
lèvati da maitino
davanti a la più bella,
fiore d’ogn’amorosa,
bionda più c’auro fino:
«Lo vostro amor, ch’è caro,
donatelo al Notaro
ch’è nato da Lentino».

     Oi deo d’amore, a te faccio preghera

     Oi deo d’amore, a te faccio preghera
ca mi ’ntendiate s’io chero razone:
cad io son tutto fatto a tua manera,
aggio cavelli e barba a tua fazzone,

     ad ogni parte aio, viso e cera,
e seggio in quattro serpi ogni stagione;
per l’ali gran giornata m’è leggera,
son ben[e] nato a tua isperagione.

     E son montato per le quattro scale,
e som’asiso, ma tu m’ài feruto
de lo dardo de l’auro, ond’ò gran male,

     che per mezzo lo core m’ài partuto:
di quello de lo piombo fa’ altretale
a quella per cui questo m’è avenuto
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Canzoniere Vaticano latino 3793

Il manoscritto Vaticano Latino 3793, conservato presso la Biblioteca Apostolica Vaticana, è una raccolta di poeti italiani del Duecento.

Il codice siglato Vaticano latino 3793  è il più ampio manoscritto della lirica italiana delle origini: contiene circa mille componimenti, mentre tutti gli altri manoscritti di poesia "pre-stilnovista" oltrepassano appena, nell'insieme, il numero di cinquecento. Senza questo codice, di molti autori oggi avremmo perso completamente notizia. La raccolta è divisa in due parti: la prima comprende solo canzoni (137), la seconda sonetti (670). Nell'ordinamento del progetto, nella struttura e nell'ordine degli autori, presumibilmente dovuti allo scriba che copiò la maggior parte dei testi, è stato da più critici ravvisato un preciso disegno storiografico che traccia l'evoluzione della lirica volgare italiana dalla cosiddetta Scuola siciliana, attraverso i poeti Siculo-toscani, fino a Dante e al cosiddetto.

Di seguito si elencano i contenuti principali dei diversi fascicoli del manoscritto:

  1. Indice degli autori;
  2. Giacomo da Lentini (Madonna, dir vi voglio);
  3. Rinaldo d'Aquino, Jacopo Mostacci;
  4. Cielo d'Alcamo, Ruggieri Apugliese e Giacomino Pugliese;
  5. Mazzeo di Ricco, re Enzo, Percivalle Doria, Compagnetto da Prato, Messer Osmano, Neri de' Visdomini, Ruggierone da Palermo;
  6. Guido Guinizzelli, Nascimbene di Bologna, Tomaso di Faenza, Roberto Galliziani di Pisa, Bonagiunta Orbicciani;
  7. Guittone d'Arezzo
  8. Ancora Guittone;
  9. Poeti fiorentini: Chiaro Davanzati e Monte Andrea;
  10. Chiaro Davanzati;
  11. Chiaro Davanzati (in tutto presente con sessanta canzoni);
  12. Chiaro Davanzati e anonimi;
  13. Monte Andrea;
  14. Poeti fiorentini già antologizzati tra cui: Bonagiunta, Guido delle Colonne (Amor, che lungiamente m'ài menato), Monte;
  15. Interviene un secondo scriba; Dante Alighieri (Donne ch'avete intelletto d'amore), serie di canzoni anonime, attribuite da Gianfranco Contini all'"Amico di Dante" ;
  16. Mancante;
  17. Mancante; si presume dovessero rimanere "bianchi" per nuovi inserimenti in corso d'opera;
  18. Apre la serie dei sonetti: Giacomo da Lentini: tenzoni (scambio di sonetti tra due o più poeti) sulla natura d'amore;
  19. Guittone d'Arezzo (80 sonetti) e altri rimatori toscani;
  20. Rimatori fiorentini minori;
  21. Chiaro Davanzati (122 sonetti);
  22. Tenzoni di ambiente toscano municipale;
  23. Idem;
  24. idem;
  25. Rustico di Filippo, varie tenzoni e sonetti dell'"Amico di Dante".

23 gennaio 2024 - Eugenio Caruso

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Tratto da

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