Pindaro e la lirica corale

«Come l'acqua è il più prezioso di tutti gli elementi, come l'oro ha più valore di ogni altro bene, come il sole splende più brillante di ogni altra stella, così splende Olimpia, mettendo in ombra tutti gli altri giochi» (Olimpica I, 1) .

GRANDI PERSONAGGI STORICI Ritengo che ripercorrere le vite dei maggiori personaggi della storia del pianeta, analizzando le loro virtù e i loro difetti, le loro vittorie e le loro sconfitte, i loro obiettivi, il rapporto con i più stretti collaboratori, la loro autorevolezza o empatia, possa essere un buon viatico per un imprenditore come per una qualsiasi persona. In questa sottosezione figurano i più grandi poeti, pensatori e letterati che ci hanno donato momenti di grande felicità ed emozioni. Io associo a questi grandi personaggi una nuova stella che nasce nell'universo.

GRECI E LATINI

Anassagora - Anassimandro - Anassimene - Aristofane - Aristotele - Cicerone - Democrito - Diogene - Empledoche - Epicuro - Eraclito - Eschilo - Euclide - Euripide - Lucrezio - Ovidio - Pindaro - Pitagora - Platone - Seneca - Socrate - Solone - Talete - Zenone -

Pindaro ( Píndaros; Cinocefale, 518 a.C. circa – Argo, 438 a.C. circa) è stato un poeta greco antico, tra i maggiori esponenti della lirica corale. Nacque a Cinocefale, presso Tebe, tra il 522 e il 518 a.C., discendente della nobilissima famiglia dorica degli Egidi, provenienti da Sparta, e fondatori del culto gentilizio di Apollo Carneo, originaria della Beozia. Sarebbe stato un cantore dell'aristocrazia dell'epoca, allievo della poetessa Corinna e rivale di Mirtide di Antedone: poeta itinerante, viaggiò a lungo e visse presso sovrani e famiglie importanti, per le quali scrisse.

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Busto di Pindaro. Copia romana del 130-140

I componimenti di Pindaro sono organizzati in linea generale secondo lo schema seguente: l'occasione della vittoria e la celebrazione del vincitore; il racconto di un mito, variamente connesso con la stirpe dell'atleta vincitore o con il suo paese di origine; infine la riflessione etica, che inquadra l'evento contingente in una meditazione più vasta intorno al destino dell'uomo.
Conformemente alla sua adesione all'etica aristocratica, Pindaro ritiene che l'areté (ossia il valore) sia innato nell'uomo, retaggio di sangue e di stirpe, non acquisibile con la disciplina o l'esercizio: del valore è espressione l'eroe del mito e, sul piano umano, l'atleta vincitore. Nel significato anche religioso che assume nella Grecia classica l'evento sportivo, la realtà umana si proietta sullo sfondo luminoso del divino, che il poeta intende liberare da ogni possibile contraddizione e contaminazione del male. Il mondo concettuale di Pindaro non si esprime in una tessitura di passaggi logici, ma si rivela in una serie di immagini concentrate e possenti, di impervia sublimità. Esse sono allineate talora senza precisi raccordi, secondo un gusto di trapassi repentini (di qui la qualifica, poi divenuta espressione comune e generica, di voli pindarici).
La lingua di Pindaro è, come in tutta la lirica corale, il dialetto dorico, intessuto di reminiscenze epiche e di forme eoliche. L'imitazione di Pindaro nelle letterature moderne, sganciate dalla tradizione medievale,viene innescata dalla pubblicazione delle Odi, stampate nel 1511. Esse furono subito imitate in lingua italiana da Trissino, dall'Alamanni e da Antonio Minturno; in latino da Benedetto Lampridio - tutti autori accomunati dalla ricerca umanistica oltreché dalla traduzione e dall'interesse editoriale di testi classici.
Da Lampridio procedono le odi latine di Jean Dorat, che fu maestro di Ronsard; le poesie dell'Alamanni, passato alla corte di Francesco I, furono pubblicate in Francia; di qui l'interesse rinnovato per le innovative modalità liriche e metriche giunse alla Pléiade e alle odi pindariche di Ronsard (1550-52). Da questo, più che dai precursori italiani, mosse Gabriello Chiabrera; e la lirica grave e solenne di Alessandro Guidi, di Vincenzo da Filicaia, di Benedetto Menzini tentò più volte i modi pindarici.
Ricordiamo poi i 'metafisici' inglesi J. Dryden, J. Oldham e l'antesignano A. Cowley. La Germania, che aveva avuto ben presto dalla scuola di Melantone la traduzione latina, contò pure numerosi imitatori, a cominciare da M. Opitz, fino a J. C. Gottsched e a K. W. Ramler.
Il pindarismo francese vanta nel sec. 18° il nome di P.-D. Écouchard-Lebrun, che fu detto Lebrun-Pindare; nella poesia spagnola, meritano ricordo le odi di Fernández de Moratín. All'imitazione, che troppe volte si riduce a uno studio di congegni metrici e formali, attraverso cui la finzione retorica dà l'illusione di sentimenti eroici, si viene ad aggiungere un pindarismo in senso più vago e più lato, che venne di volta in volta riconosciuto nelle espressioni più elevate della lirica moderna, da Goethe a Wordsworth, da Foscolo a Leopardi. Più diretta impronta delle odi di Pindaro si osserva, fra i poeti tedeschi, in Hölderlin e Von Platen; fra gli inglesi, in Coventry Patmore.

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Pindaro (studio per il dipinto Apoteosi di Omero del Museo del Louvre) - Jean-Auguste- Dominique Ingres - 1830 circa - Londra,


Pindaro trascorse, in effetti, diversi anni in Sicilia, in particolare a Siracusa e ad Agrigento, presso i tiranni Gerone e Terone. Fu appunto in Sicilia che incontrò altri due celebri poeti greci Simonide di Ceo e Bacchilide, suoi rivali nella composizione. In forma maggiore rispetto a questi, Pindaro - di spirito religioso e profondamente devoto alle tradizioni aristocratiche - infuse nella sua opera quella concezione religiosa e morale della vita che gli permise - è il parere di molti critici - di mettersi alla pari, nei versi che scriveva, con l'eroe celebrato, anche nel caso si trattasse di un potente tiranno: il senso di questa operazione era che, mettendo in luce - immortalandola, appunto - l'impresa dell'eroe, il poeta poteva educare le nuove generazioni perpetuando gli antichi valori grazie alla forza della conoscenza data dagli scritti.
Secondo le fonti, Pindaro, anche se, su commissione, accettò di dedicare ad Atene un carme; tornato, infine, a Tebe, vi morì nel 438 a.C., reclinando il capo sulla spalla dell'amato Teosseno.
La grandezza di Pindaro è testimoniata anche da un aneddoto di età ellenistica: si narra che, quando nel 335 a.C. Tebe fu rasa al suolo, Alessandro Magno ordinò che venisse salvata soltanto la casa in cui si diceva fosse vissuto il poeta in onore al significato che i versi di Pindaro avevano per il popolo greco e che ai suoi discendenti fosse risparmiata la riduzione in schiavitù, destino che toccò invece alla stragrande maggioranza dei Tebani sconfitti.

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Pindaro esalta un vincitore nei giochi olimpici. Dipinto di Giuseppe Sciuti.


Poi le conseguenze della politica familiare degli Egidi, sostenitrice del potere spartano assieme agli Alcmeonidi, gli rese difficile la permanenza in Grecia: molte comunità greche non parteciparono alle guerre contro la Persia iniziate nel 490 a.C.e tra di loro i Greci di Delfi e di Tebe (in Beozia, la terra natale di Pindaro). È un periodo di grandi epurazioni politiche; si succedono fatti come la prigionia e morte di Milziade e l'esilio, non definitivo, di Aristide da Atene dopo la sconfitta di Maratona. La neutralità della Beozia nocque all'immagine di Pindaro, e il poeta se ne avvide dopo l'infuocato 480 a.C., anno di decisivi scontri armati per terra e per mare, dalle Termopili a Imera in Sicilia, per diverse cause. La vittoriosa Atene non trova facile conforto alle distruzioni subite; il canto sublime di Pindaro che celebra la alleanza (che si rivelerà vincente tra Atene e Sparta) frutta comunque al poeta la stima e la protezione dei governanti ma non la serenità necessaria per decidere di rimanere coi vincenti. Pindaro decise di lasciare Atene (città in pieno riarmo navale con Temistocle) nel 476, quarantenne, nel pieno della sua maturità poetica, della quale con raffinata abitudine godette Terone, a capo della città di Agrigento, ascoltando epinici e treni a lui dedicati dal poeta. Altri epinici vennero composti per Gerone, a Siracusa, e per Senocrate di Agrigento.
Vi fu una lotta a suon di versi per dividere i favori delle corti cogli altri grandi lirici Bacchilide e Simonide di Ceo. Si confronti il componimento di Pindaro per Gerone con quello composto da Bacchilide: a Gerone per i cavalli d'Olimpia.

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Pindaro e Pan. Dipinto di Salvator Rosa.


Opere
La copiosa opera poetica di Pindaro – raccolta dai filologi alessandrini in diciassette libri – è giunta a noi in maniera parziale. La tradizione medievale ha conservato integralmente solo i quattro libri di epinici comprendenti le 14 Olimpiche, 12 Pitiche, 11 Nemee, 8 Istmiche. Restano inoltre diversi frammenti delle altre opere, quali peani, iporchemi, encomi, due libri di ditirambi, canti funebri, prosodi, partenii.

Olimpiche

Questi componimenti furono scritti per i vincitori dei giochi in onore di Zeus:

  • Olimpica I: Per Ierone di Siracusa vincitore nella gara del corsiero (celete);
  • Olimpica II: A Terone di Agrigento vincitore nella corsa dei carri;
  • Olimpica III: Ancora per Terone di Agrigento vincitore col carro in occasione delle Teoxenie;
  • Olimpica IV: A Psaumida di Kamarina vincitore con i cavalli;
  • Olimpica V: Allo stesso Psaumida vincitore colla quadriga, col carro da mule e nella gara del corsiero;
  • Olimpica VI: Per Agesia di Siracusa vincitore con il carro da mule;
  • Olimpica VII: Per Diagora di Rodi pugile;
  • Olimpica VIII: Ad Alcimedonte di Egina giovine lottatore;
  • Olimpica IX: A Efarmosto d'Opunte lottatore;
  • Olimpica X: Ad Agesidamo di Locri Epizefirio fanciullo pugile;
  • Olimpica XI: Allo stesso Agesidamo Epizefirio fanciullo pugile;
  • Olimpica XII: A Ergotele imerese vincitore nello stadio lungo;
  • Olimpica XIII: A Senofonte di Corinto, corridore dello stadio, vincitore nella corsa e nel pentatlo;
  • Olimpica XIV: A Asopico di Orcomeno vincitore nello stadio.

Pitiche

Tali odi furono dedicate ai giochi per Apollo:

  • Pitica I: Per Gerone di Etna vincitore nella corsa dei carri;
  • Pitica II: Per Gerone di Siracusa vincitore con il carro;
  • Pitica III: Per Gerone di Siracusa vincitore con il corsiero;
  • Pitica IV: Per Arcesilao di Cirene vincitore nella corsa dei carri;
  • Pitica V: Per Arcesilao di Cirene vincitore con il carro;
  • Pitica VI: A Senocrate di Agrigento vincitore con il carro;
  • Pitica VII: Per Megacle di Atene, vincitore con la quadriga;
  • Pitica VIII: Ad Aristomene di Egina lottatore;
  • Pitica IX: Per Telesicrate di Cirene vincitore alla corsa con le armi;
  • Pitica X: A Ippocle Tessalo fanciullo vincitore nella doppia corsa;
  • Pitica XI: A Trasideo Tebano fanciullo vincitore nello stadio;
  • Pitica XII: A Mida di Agrigento auleta.

Nemee

Queste odi furono scritte per i giochi omonimi:

  • Nemea I: A Cromio Siracusano vincitore nella corsa con i cavalli (kròmio Aitnàio Ippòis);
  • Nemea II: A Timodemo Acarnese vincitore nel pancrazio;
  • Nemea III: Per Aristoclide Egineta vincitore nel pancrazio;
  • Nemea IV: A Timasarco Egineta fanciullo lottatore;
  • Nemea V: A Pitea Egineta vincitore nel pancrazio;
  • Nemea VI: Ad Alcimida Egineta lottatore fanciullo;
  • Nemea VII: A Sogene Egineta fanciullo vincitore nel pentatlo;
  • Nemea VIII: A Dinide Egineta vincitore nello stadio;
  • Nemea IX: A Cromio Etneo vincitore col carro;
  • Nemea X: A Teeo d'Argo vincitore nella lotta;
  • Nemea XI: Ad Aristagora di Tenedo pritane.

Istmiche

Epinici per i giochi dedicati a Poseidone:

  • Istmica I: Per Erodoto Tebano vincitore col carro;
  • Istmica II: Per Senocrate di Agrigento vincitore con il carro;
  • Istmica III: A Melisso Tebano vincitore coi cavalli e nel pancrazio;
  • Istmica IV: Allo stesso Melisso Tebano vincitore con i cavalli;
  • Istmica V: A Filicida d'Egina vincitore nel pancrazio;
  • Istmica VI: Ancora per Filicida d'Egina vincitore nel pancrazio;
  • Istmica VII: A Strepsiade di Tebe vincitore nel pancrazio;
  • Istmica VIII: A Cleandro d'Egina vincitore nel pancrazio.

Il mondo poetico e concettuale di Pindaro
Negli Epinici, Pindaro cantò le vittorie della gioventù aristocratica dorica - cui egli stesso apparteneva - ai giochi panellenici, che a cadenze fisse si tenevano a Olimpia (ed erano, questi, in onore di Zeus perciò i più importanti: appunto degli agoni olimpici), Delfi (Giochi pitici), a Nemea nel Peloponneso (Giochi nemei) e sull'Istmo di Corinto (Giochi istmici).
Celebrando le competizioni agonistiche del suo tempo – articolate per lo più in tornei di lotta, pugilato, corse a piedi, a cavallo o su carri tirati da cavalli – alzò alte lodi a Olimpia in versi rimasti memorabili:

«Come l'acqua è il più prezioso di tutti gli elementi, come l'oro ha più valore di ogni altro bene, come il sole splende più brillante di ogni altra stella, così splende Olimpia, mettendo in ombra tutti gli altri giochi» (Olimpica I, 1)

Cantando i modelli di un ideale umano del quale l'eccellenza atletica era solo una manifestazione, Pindaro dava conto, sicuramente con consapevolezza, di uno dei principali canoni dell'etica greca, quello che coniugava bellezza e bontà, prestanza fisica e sviluppo intellettuale: in fondo, i valori di quell'educazione aristocratica alla quale egli stesso era stato formato. Nonostante la poesia da lui prodotta sia su commissione, è evidente che il prodotto sia comunque congeniale al suo credo e quindi non si possa definire una poesia "venale".
Interprete e mentore, quindi, della coscienza della grecità classica fusa in un'unica identità culturale interna alla costante presenza del mito come garanzia storica, Pindaro viene ancor oggi ricordato attraverso un motto diventato celebre, riferito, appunto, ai suoi "voli poetici" (i "voli pindarici", appunto), vale a dire quella proverbiale capacità di dare vita a momenti narrativi ricchi di passaggi e scarti improvvisi che se apparentemente poco curanti di una necessaria coesione logica arricchiscono il testo di una particolare carica di tensione. Innalzando, inoltre, a livello sacrale la vittoria, paragonava il vincitore al dio stesso.
Per il poeta latino Orazio, la poesia di Pindaro è da considerarsi inimitabile, e nonostante in epoca moderna alcuni critici abbiano tentato di ridimensionarne la figura, tacciandolo di eccessiva adulazione nei confronti di coloro per i quali i versi erano stati scritti, risulta temerario negare l'oggettiva grandezza di una lirica che quasi in ogni sua parte tende al sublime e le cui immagini potentissime l'hanno giustamente fatta preferire a quella del pur impeccabile Bacchilide.


PER IPPOCLE DI TESSAGLIA

VINCITORE NELLA DOPPIA CORSA DEI FANCIULLI A PITO

I

Strofe

Sparta felice! Tessaglia
beata! Su l’una e su l’altra
la stirpe d’Alcide
guerriero, da un padre discesa, ha lo scettro.
Ma che? Forse impronto m’esalto? No. Pito
mi chiama, e la rocca Pelínnia,
e i figli d’Alèva, che braman per Ippocle
si desti nell’agape, a gloria, la voce dei cori.

Antistrofe

Gode egli i premî; ed il grembo
parrasio, fra il popolo accolto,
a lui la vittoria
gridò tra i fanciulli, nel duplice corso.
O Apollo, gli eventi degli uomini han prospero,
se un Dio li sospinge, l’inizio
e il fine: tal gesta compié per tua grazia;
ma pure per insita virtú su le tracce egli mosse

Epodo

del padre, di Fricia, che, chiuso nell’armi
di Marte, due volte ebbe il serto
d’Olimpia; e sott’esse le balze
feraci di Cirra,
la corsa gli diede vittoria.
Prosegua Fortuna; e nei giorni
venturi, fiorisca magnanima ricchezza per essi.

II

Strofe

Parte non scarsa dei beni
che l’Ellade porge, ora godono:
deh, mai non tramuti
lor sorte l’invidia dei Súperi! È un Dio
chi cuore ha sereno: felice, e cantato
dai vati, è colui, che, vincendo
col pugno e col piede veloce, consegue
il premio supremo per possa e fiero animo; e vede,

Antistrofe

vivo tuttora, la Sorte
largire a un suo figlio fanciullo
i serti di Pito.
Il bronzëo cielo cosí non ascende;
ma d’ogni delizia concessa ai mortali
il limite estremo egli attinge.
Né a piedi, né sopra naviglio tu trovi
la via prodigiosa che ai ludi iperborei mena.

Epodo

Un dí fra quei popoli giunse, a banchetto
con essi fu il duce Persèo.
Li colse che offrivano al Nume
insigni ecatombi
d’onàgri: ché assai Febo ha cari
i loro festini e le preci;
e l’irta mirando salacia dei bruti, sorride.

III

Strofe

Né dai loro usi è proscritta
la Musa: carole di vergini
lí sempre s’aggirano,
e grida di lire, di flauti strepiti.
Ed oro di lauri cingendo a le chiome,
banchettan con animo lieto:
né morbi né uggiosa vecchiezza la sacra
progenie contamina; e senza travagli né guerre,

Antistrofe

passan la vita, schivando
la Nèmesi. Il figlio di Dànae,
spirante prodezza
dal cuore, pervenne, guidandolo Atena,
fra questo consesso di genti beate;
e uccise la Gòrgone; e il capo
chiomato di lucidi guizzi di serpi
— lapidea morte — fra genti isolane portò.

Epodo

«Nessuna fra l’opre dei Numi, sí strana
mi sembra, che fede io le nieghi. —
Il remo trattieni, da prora
di súbito l’àncora
affonda, e gli scogli a fior d’acqua
evíta: ché il fiore degl’inni
su quest’argomento e su quello, come ape, si lancia.

IV

Strofe

Spero che quando gli Efirî
d’intorno al Penèo verseranno
la dolce mia voce,
mercè del mio canto, piú fulgido Ippòcle
sarà pei suoi serti, fra quanti ha compagni
negli anni, fra quanti provetti,
e dolce pensiero di tenere vergini.
Infiamman desiri diversi la mente degli uomini.

Antistrofe

Quello che alcuno desidera,
se a sorte lo trova, ghermisca
la brama fuggevole
che ai piedi si scorge: ché niuno l’evento
degli anni prevede. — Confido in Toràce
che ospizio mi die’, che dei cantici
miei vago, aggiogava per me la quadriga
pïeria: che ama ed onora chi l’ama e l’onora.

Epodo

A chi su la pietra lo saggia, ben l’oro
rifolgora, e l’animo schietto.
E noi leveremo la lode
pei buoni fratelli
che alta la legge dei Tèssali
mantengono; e pregio è dei buoni
secondo le leggi dei padri guidar le città.


9 marzo 2024 - Eugenio Caruso

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