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Moliere, dopo Plauto, il più grande commediografo

 

«Tuttavia [...] forse mi permetto di affermare che, nonostante una certa inferiorità di stile, il discorso di Bailly ha offerto un più ordinato, più vero e più filosofico apprezzamento dei pezzi principali di questo poeta immortale [rispetto all'elogio di Chamfort]».


GRANDI PERSONAGGI STORICI Ritengo che ripercorrere le vite dei maggiori personaggi della storia del pianeta, analizzando le loro virtù e i loro difetti, le loro vittorie e le loro sconfitte, i loro obiettivi, il rapporto con i più stretti collaboratori, la loro autorevolezza o empatia, possa essere un buon viatico per un imprenditore come per una qualsiasi persona. In questa sottosezione figurano i più grandi poeti e letterati che ci hanno donato momenti di grande felicità ed emozioni. Io associo a questi grandi personaggi una nuova stella che nasce nell'universo.

FRANCESI

Balzac - Baudelaire - Camus - Eluard - France - Gide - Mauriac - Molière - Proust - Rousseau - Villon - Voltaire -

Molière, pseudonimo di Jean-Baptiste Poquelin (Parigi, prima del 15 gennaio 1622 – Parigi, 17 febbraio 1673), è stato un commediografo, attore teatrale e drammaturgo. Assieme a Corneille e Racine rappresenta uno degli autori più importanti del teatro classico francese del XVII secolo. Il 15 gennaio 1622 venne battezzato nella chiesa di sant'Eustachio a Parigi. Ben presto chiamato Jean-Baptiste per distinguerlo dal fratello minore Jean, solo in seguito, a ventidue anni, circa, scelse lo pseudonimo di "Molière" in onore dello scrittore François de Molière. Suo padre, Jean Poquelin, era un tappezziere, un artigiano agiato; la madre, morì l'anno dopo.

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Molière ritratto da Nicolas Mignard (1658)


Nel 1633, il padre sposò Catherine Fleurette, la quale morì nel 1636. L'infanzia del futuro commediografo fu dunque segnata da lutti e inquietudini, che però spiegano solo in parte il fondo di tristezza del suo umore e la rarità dei ruoli materni nel suo teatro. Nella fanciullezza furono, invece, fondamentali la vivacità popolare, l'animazione, il rumore, l'accanito lavoro oltre agli spettacoli con i quali da piccolo fu ogni giorno a contatto, grazie alla passione che gli fu data dal nonno materno, Louis Cressé, che spesso lo portava all'Hotel de Bourgogne e al Pont Neuf, dove si poteva assistere alle rappresentazioni dei comici italiani e alle tragedie dei comédien.
Nel quartier des Halles, dove visse, il vivace spirito di Poquelin poté impregnarsi del senso di una vita formicolante, dello scherzo pittoresco e della varietà della realtà umana. Il padre gli permise di frequentare scuole molto più prestigiose di quelle destinate ai bambini degli altri commercianti: Molière compì i suoi studi dal 1635 al 1639 al Collège de Clermont, collegio di gesuiti, considerato il migliore della capitale e frequentato da nobili e ricchi borghesi. Qui imparò la filosofia scolastica, in lingua latina, oltreché una perfetta padronanza della retorica. Nel 1637 prestò giuramento come futuro erede della carica di tappezziere del re, precedentemente ricoperta dal padre.

Nel 1641 porta a termine gli studi di diritto, ottenendo la Licenza a Orléans. Comincia a frequentare gli ambienti teatrali, conosce il famoso Scaramuccia (al secolo Tiberio Fiorilli) e intrattiene una relazione con la ventiduenne Madeleine Béjart, giovane attrice rossa di capelli, già madre di un bambino avuto dalla precedente relazione con Esprit de Raymond de Mormoiron. Molière e Madeleine fondarono così una loro compagnia. Il 6 gennaio 1643 Molière rinunciò alla carica di tappezziere reale; il mese successivo, Madeleine dette alla luce Armande Béjart la quale si sposerà poi con Molière.
Il 30 giugno 1643, Molière firmò il contratto che costituì una troupe teatrale di dieci membri, l'Illustre Théâtre, di cui facevano parte Madeleine Béjart (in qualità di prima attrice), il fratello Joseph e la sorella Geneviève. La piccola compagnia prese in affitto il Jeu de Paume des Métayers ("sala dei mezzadri") di Parigi, e, nell'attesa della conclusione dei lavori per adattare la sala alle rappresentazioni teatrali, si stabilì a Rouen, inscenando spettacoli di ogni tipo, dalle tragedie alle farse. Il 1º gennaio 1644 l'Illustre Théâtre esordì nella capitale.
Il pubblico tuttavia non rispose a dovere: iniziarono ad accumularsi debiti e si pervenne persino all'arresto di Molière per insolvenza, talché la compagnia nel 1645 si sciolse. Una volta liberato per l'interessamento del padre e di Madeleine, lui e alcuni membri della compagnia abbandonarono la capitale francese. Dal 1645 al 1658 con i suoi compagni lavorò come attore ambulante con la compagnia di Charles Dufresne, rinomata e finanziata dal duca di Épernon, governatore della Guienna. Nel 1650, Molière ottenne la direzione della troupe che iniziò a fare le sue rappresentazioni a Pézenas, dove ogni anno si tenevano gli Stati della Linguadoca, e nel Sud della Francia.
A partire dal 1652 la compagnia, ormai ben affermata, iniziò ad avere un pubblico regolare a Lione. Durante questo girovagare egli conobbe bene l'ambiente della provincia ma, soprattutto, imparò a fare l'attore e a capire i gusti del pubblico e le sue reazioni. In questo periodo iniziò a scrivere alcune farse e due commedie, ossia Lo stordito (L'Étourdi), commedia di intrigo, rappresentata a Lione nel 1655 e Il dispetto amoroso (Le dépit amoureux), opera non eccezionale, rappresentata a Narbona l'anno seguente.
Nel 1658 tornò a Parigi dopo un soggiorno a Rouen con la sua compagnia, la Troupe de Monsieur, nome accordatole da Filippo d'Orléans. Il 24 ottobre di quell'anno recitarono davanti al re Luigi XIV, il quale si entusiasmò solo con la farsa Il dottore amoroso (Le Docteur amoureux), scritta da Molière (il testo fu ritrovato e pubblicato nel 1960). La compagnia venne autorizzata a occupare, alternandosi con la troupe degli Italiani, il teatro del Petit-Bourbon, e, quando nel 1659 gli Italiani se ne andarono, lo stesso teatro fu a sua completa disposizione. Iniziò così a mettere in scena delle tragedie, ma con scarso successo.
Scrisse anche un'opera che non fu né una tragedia né una commedia, il Don Garcia de Navarre, incentrata sul tema della gelosia, ma fu un fiasco. Molière allora capì che la commedia era la sua aspirazione e in questo genere eccelse già con la prima opera Le preziose ridicole (Les précieuses ridicules), nel 1659. In questa farsa mise in luce gli effetti comici di una precisa realtà contemporanea e le bizzarrie tipiche della vita mondana, ridicolizzandone espressioni e linguaggio. Tutto ciò provocò l'interruzione delle rappresentazioni per qualche giorno, ma gli inviti a corte e nelle case dei grandi signori si susseguirono ugualmente.

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Molière ritratto da Pierre Mignard, Museo Condé (Chantilly)


Il 1660 registrò il gran successo di Sganarello o il cornuto immaginario, e fu il comico d'intrigo l'argomento principale, con il qui pro quo che regnava in un ambiente dove ognuno si preoccupava solo ed esclusivamente della propria situazione. Nel frattempo venne demolito il salone Petit-Bourbon, ma il re fece prontamente assegnare alla compagnia la sala del Palais-Royal, e in giugno vi fu la presentazione de La scuola dei mariti (École des maris). In questa commedia attraverso le buffonerie, vennero ancora presentati problemi gravi e scottanti come l'educazione dei figli e la libertà da concedere alle mogli.
In onore di una festa dedicata al re Luigi XIV, in quindici giorni Molière scrisse e mise in scena la commedia Gli importuni (Les Fâcheux). Il 20 febbraio 1662, sposò Armande Béjart ufficialmente sorella, ma quasi sicuramente figlia, di Madeleine. Armande entrò anch'essa a far parte della compagnia. Dall'unione nacquero due maschi e una femmina, l'unica che sopravvisse a Molière. In dicembre, venne rappresentata La scuola delle mogli (L'École des femmes) che superò in successo e in valore tutte le commedie precedenti. L'opera portò tuttavia allo scontro con i rigoristi cristiani e, nel 1663, Molière fu interamente occupato dalla querelle de La scuola delle mogli, parallelamente al suo successo. Il 12 maggio 1664 ci fu la prima rappresentazione de Il Tartuffo (Tartuffe ou l'Imposteur).
Tra il 1667 e 1668, ispirandosi alla commedia in prosa di Tito Maccio Plauto, Aulularia, e prendendo spunti anche da altre commedie (I suppositi dell'Ariosto; L'Avare dupé di Chappuzeau, del 1663; La Belle plaideuse di Boisrobert, del 1654; La Mère coquette di Donneau de Vizé, del 1666) scrisse L'avaro (L'Avare ou l'École du mensonge) che venne rappresentato per la prima volta a Parigi, al Palais-Royal il 9 settembre 1668 dalla "Troupe de Monsieur, frère unique du Roi", ovvero la compagnia di Molière stesso, che in quell'occasione recitava la parte di Harpagon. Seguirono altri lavori fortunati come Il borghese gentiluomo, comédie-ballet con le musiche di Lully, e Le intellettuali.
Molière morì il 17 febbraio 1673 di tubercolosi. Collassò mentre recitava Il malato immaginario; il decesso avvenne nella notte, tra le braccia di due suore che lo avevano accompagnato a casa. Una leggenda successiva racconta che morì dalle risate nel tentativo di recitare le sue battute. Quello stesso anno l'Illustre Théâtre assorbì i resti della compagnia del Teatro di Marais e nel 1680 il re, con un ordine speciale, sancì la fusione con l'Hôtel de Bourgogne, dando vita all'inizio della Comédie-Française, di stanza all'Hotel Guénégaud.

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Luigi XIV invita Molière per condividere la sua cena, di Jean-Léon Gérôme.


L'Accademia di Francia non accettò mai Molière tra gli immortali mentre era in vita, perché il "commediante", ancora definito "guitto", era considerato culturalmente inferiore. Riparò in seguito dedicandogli nel 1774 una statua con l'iscrizione Rien ne manque à sa gloire, il manquait à la nôtre (Nulla manca alla sua gloria, egli mancava alla nostra).
Nel 1769 inoltre autori come Chamfort e Jean Sylvain Bailly dedicarono degli elogi biografici al commediografo francese. In particolare, commentando l'Éloge de Molière di Bailly, il suo biografo François Arago, scrive:

«Tuttavia [...] forse mi permetto di affermare che, nonostante una certa inferiorità di stile, il discorso di Bailly ha offerto un più ordinato, più vero e più filosofico apprezzamento dei pezzi principali di questo poeta immortale [rispetto all'elogio di Chamfort]».

Il successo di Molière fu tale che nacque la locuzione Langue de Molière (lingua di Molière) per indicare la lingua francese e, per contaminazione, Pays de Molière (Paese di Molière) per indicare la Francia.
Poetica
Molière, attore e allo stesso tempo drammaturgo, ricercò uno stile di scrittura e recitazione meno legato alle convenzioni dell'epoca, e proteso verso una naturalezza realistica, che descrivesse al meglio le situazioni e la psicologia dei personaggi. Queste idee, che si realizzeranno in seguito nel teatro borghese, cominciano a emergere con forza ne La scuola delle mogli e ne Il misantropo. Un nuovo stile che Molière accompagna con una critica feroce della morale dell'epoca, cosa che impedì a lungo alla commedia Il Tartuffo di essere rappresentata in pubblico. La sua acuta osservazione della realtà fu spesso per Molière fonte di guai, specialmente quando i nobili oggetto delle sue satire si riconoscevano nei suoi personaggi.
È nota la reazione del duca di La Feuillade che, riconosciutosi nel Marchese della Critica alla scuola delle mogli, gli strofinò sul viso con violenza i bottoni del suo vestito pronunciando la battuta del Marchese: «Torta alla crema! Torta alla crema!». Simili incidenti accaddero con Monsieur d'Armagnac, scudiero di Francia, e con il duca di Montausier, precettore del Delfino, che minacciò di bastonarlo a morte per averlo preso a modello nel creare il personaggio di Alceste, il misantropo, salvo poi cambiare idea e ringraziarlo dell'onore concessogli.
L'aspirazione di Molière, spesso costretto a scrivere commedie-balletto per compiacere i gusti del re, fu quella di dedicarsi a sviluppare un nuovo tipo di commedia, che porterà in seguito alla nascita della commedia di costume moderna, ispirata agli accadimenti quotidiani, scritta in prosa e che obbedisca alla verosimiglianza. Molière può essere considerato a tutti gli effetti il precursore di quel rinnovamento teatrale che comincerà a esprimersi compiutamente un secolo dopo, con Carlo Goldoni, fino a raggiungere la piena maturità nel teatro di Anton Cechov. Anche Dario Fo lo ha spesso indicato tra i suoi maestri e modelli.
Un luogo comune abbastanza diffuso consisterebbe nella presunta ossessione di Molière nei confronti della medicina e dei medici: basterebbe, infatti, una semplice lettura di alcune opere del drammaturgo per imbattersi diverse volte nel personaggio del medico, che sembra essere direttamente preso di mira da parte dell'autore (basti pensare a L'amore medico del 1665 o al successivo Il medico per forza sino al celebre Il malato immaginario). Per esempio, nella prima commedia menzionata l'autore non si limitava a moltiplicare il numero dei medici (addirittura cinque) ma sembra acquisizione definitiva che, dietro i nomi fittizi e "parlanti" dei personaggi, Molière satireggiasse celebri medici professionisti della Parigi di Luigi XIV, ognuno dei quali caratterizzato a suo modo.
La satira da parte dell'autore in quest'opera si manifesta nella rappresentazione, palesemente caricaturale, dell'atteggiamento dei medici in scena, i quali si esibiscono in duelli sulle reciproche conoscenze, assolutamente pomposi. Ancora Molière insiste sul medico come professionista di scarsa qualità che agisce solo in funzione dei propri interessi. In particolare, tutti i dottori di Molière sono profondamente legati al denaro; i medici dimenticano del tutto il loro ruolo positivo e vengono dipinti in atteggiamenti arrivisti che hanno il solo scopo di "far fruttare la malattia, con la frode, con l'inganno".

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La tomba di Molière, oggi nel cimitero di Père-Lachaise


In generale, l'assiduità delle battute aspre e pungenti che Molière non lesina ai medici sembrerebbe insomma tradire una forma di astio personale, al limite del maniacale, forse espressione della personale esperienza dell'autore con la malattia e, quindi, con i medici (non si dimentichi la tubercolosi di cui soffrì il drammaturgo: egli ricevendo i medici, potrà rendersi personalmente conto della loro inadeguatezza e avrà subito modo di scriverne in Il medico per forza.
Tuttavia, come afferma un importante studioso (Sandro Bajini) la critica all'imperizia dei medici, di per sé, si potrebbe giustificare sullo sfondo della più ampia disamina delle illusioni umane, che, com'è noto, rappresenterebbe la dimensione più profonda del teatro del commediografo. C'è dunque da notare che un'attenta lettura delle scene in cui Molière inserisce la "maschera" del dottore porta alla conclusione che il drammaturgo non nutre mai alcuna seria ostilità nei confronti dei medici. La stessa biografia dell'autore può risultare in questo senso illuminante: con Monsieur Mauvillain, suo medico personale, Molière avrebbe intrattenuto rapporti quanto meno cordiali, sia pure nella professata ironia da parte dell'autore verso la necessità di assumere i farmaci suggeritigli dal medico.


L'AVARO (L'Avare ou l'École du mensonge)

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Schizzo umoristico di Arpagone

È ambientata a Parigi   nella casa di Arpagone, nell'arco di un giorno. La pièce venne rappresentata per la prima volta a Parigi, al Teatro di Palais-Royal il 9 settembre 1668 dalla “Troupe du Roy”.

Il personaggio del vecchio avaro, che fa da protagonista, è uno dei caratteri tipici del teatro classico, che si ritrova anche nell'Aulularia di Plauto. Come nella commedia plautina il timore di essere derubato e, in seguito, la consapevolezza del furto subito offrono lo spunto a un'infinità di situazioni comiche, ma oltre a questo l'Avaro ha una struttura più complessa, dove la vicenda amorosa ha maggior spessore e rilievo. ((Aululòaria - La commedia della pentola - La pentola, che è piena d'oro, è stata nascosta dal vecchio Euclione, che ha un terrore ossessivo di esserne derubato. Tra molte inutili ansie dell'avaro, la pentola finisce davvero per sparire; nel frattempo sua figlia, che aspetta un bambino da un giovane innamorato di lei, viene promessa in sposa a un vecchio scapolo, zio del giovane, che però è disposto a fare un passo indietro).

Trama

Nella commedia, l'avaro in questione è Harpagon, il quale spera che sua figlia Elise si sposi con un uomo ricco ma vecchio, di nome Anselme, il quale accetterà la ragazza anche senza dote. La ragazza in realtà è innamorata di un altro ragazzo di nome Valère, il quale però è un povero squattrinato.

Atto I

La scena si apre con Valerio ed Elisa che discutono delle controversie relative alla loro storia d'amore. La giovane, infatti, è preoccupata che suo padre, ancora all'oscuro dei sentimenti dei due, quando verrà a conoscenza dei fatti, non le permetterà di sposare il suo amato, privilegiando invece qualcun altro. Valerio a tal proposito le ricorda che ha accantonato le sue nobili origini facendosi assumere dal padre di lei come domestico, esclusivamente per vederla e per accattivarsi nel tempo l'amicizia, la fiducia e il rispetto del padre, al fine di presentarsi come validissimo candidato per le nozze di lei.

Valerio inoltre, convince Elisa a parlare della loro situazione al fratello di lei, Cleante, con il quale ha un ottimo rapporto di amicizia, in modo da poterlo consultare e di averlo favorevole alla loro causa. In quel momento giunge proprio Cleante, e prima che Elisa possa illustragli la sua situazione, il fratello le confida di essere perdutamente innamorato di una certa Marianna, che abita con la madre non molto lontano da casa loro, non agiate economicamente. Cleante continua dicendo di essere preoccupato per l'opinione del padre sui suoi sentimenti, poiché se verranno intralciati è pronto ad andar via di casa. La sorella ascoltando quelle parole non può far altro che comprender la situazione del fratello, poiché rispecchia la sua, che ancora non gli ha svelato. I due fratelli dunque, escono in giardino per continuare il loro discorso e trovare un rimedio.

La scena si sposta nuovamente in casa dove Arpagone, furibondo, urla e inveisce contro Freccia, accusandolo di averlo sempre intorno per spiarne le mosse e rubagli i beni da lui guadagnati e faticosamente nascosti. Freccia, sorpreso e allo stesso tempo stanco di queste continue congetture folli, asserisce di non aver alcun interesse a volerlo derubare, poiché gli è sempre stato un onesto servitore. Tale discorso non fa altro che alimentare le fobie assurde di Arpagone, che in realtà teme che si venga a sapere dell'esistenza del suo tesoro. Dunque Arpagone prima di lasciarlo andare lo perquisisce alla ricerca di un'ipotetica refurtiva. Non appena Freccia si allontana, Arpagone medita tra sé quanto sia difficile trovare un nascondiglio sicuro per il suo tesoro di diecimila scudi. In quel momento giungono i suoi due figli, Elisa e Cleante, che rimprovera aspramente per andar in giro vestiti sontuosamente con nastri e parrucche, dilapidando il suo patrimonio; inoltre tale sfarzosità, sempre secondo Arpagone, incentiverebbe i malintenzionati a venire a rubare in casa sua. Cleante lo tranquillizza asserendo di comprarsi i vestiti con soldi propri, guadagnati al gioco.

Arpagone, ora tranquillizzato, decide di rivelare ai figli la sua ferma intenzione di sposarsi con Marianna, e di far sposare Elisa la sera stessa con un certo Anselmo, che è ben agiato economicamente. Cleante all'udire tali parole si sente venir meno e si ritira costernato. Elisa invece, dichiara che non sposerà mai Anselmo e che la sua decisione sarebbe certamente approvata da chiunque. Proprio in quel momento giunge Valerio e Arpagone decide di mettere alla prova la veridicità delle parole appena espresse dalla figlia. Valerio superata in un primo momento la costernazione, sentendo le intenzioni di Arpagone, continua a reggere la parte di lodevole e fedele domestico, dando piena ragione al padre. In quel momento Arpagone sente un cane abbaiare e credendo, impaurito, che qualcuno abbia scoperto il suo tesoro nascosto in giardino, corre fuori a controllare. Elisa allora ne approfitta per chiarire per quale motivo Valerio ha assecondato la volontà del padre, invece di contraddirlo.

Valerio le confida che contraddirlo lo farebbe solo arrabbiare, poiché persone come lui non sono disposte ad ascoltare le opinioni altrui. Valerio la tranquillizza ulteriormente asserendo che per impedire il matrimonio quella sera stessa, basterà fingersi improvvisamente malata. Aggiunge inoltre che neanche i medici potranno scoprire che è una farsa, poiché non capiscono nulla. Arpagone rientra, ringraziando il cielo che non fosse successo niente. Riprendendo le redini del discorso lasciato in sospeso, Arpagone, entusiasta della ferma condivisione di idee di Valerio, ordina a quest'ultimo di fare le veci di sua figlia, aggiungendo che da quel momento avrà su di lei assoluto potere. Valerio ringrazia per le lodi di Arpagone e si allontana insieme ad Elisa.

Atto II

Cleante chiede a Freccia come stiano procedendo le trattative con un certo Mastro Simone per ottenere un prestito di 15.000 franchi. Freccia mette in guardia il suo padrone sulle difficoltà e sulle controversie che implicano il chiedere soldi in prestito ad usurai. Lo mette al corrente che Mastro Simone non è altro che un mediatore di affari, e che lui a sua volta dovrà chiedere i soldi a una terza persona, e che tutto ciò costerà a Cleante un interesse del 25%. Tale notizia costerna Cleante che inveisce prima sulla disonestà del prestatore, e poi sull'avarizia scellerata di suo padre, che lo ha costretto a tali sotterfugi economici.

Ma nonostante ciò, Cleante accetta i compromessi e decide di vedersi di persona, accompagnato dal servo, con Mastro Simone e con il prestatore. Cleante scopre che il prestatore finale si rivelerà essere suo padre Arpagone, il quale alla scoperta di chi avrebbe dovuto ricevere a prestito i soldi, dà inizio a un dibattito acceso con il figlio, accusandolo di prestarsi a prestiti riprovevoli. Cleante, dal canto suo lo accusa di prestarsi ad azioni vergognose. Dunque il prestito monetario salta ed i quattro si dipartiscono. Giunge Frosina, che chiede ad Arpagone di potergli parlare. Il padrone però, impensierito per la salute del suo patrimonio, esce in giardino a controllare il suo tesoro, chiedendole di aspettarlo lì.

Nel frattempo arriva Freccia che chiede a Frosina come se la passa, e se per caso è implicata in qualche affare con Arpagone. Frosina asserisce che sta trattando un affaruccio per il padrone di casa, sperando di ottenere una piccola ricompensa, come premio del lavoro svolto. Freccia la dissuade dal crederlo capace di ciò asserendo che non esista uomo più avaro di lui. Rientra Arpagone chiedendo a Frosina, cosa avesse da dirgli. Lei le confida che i preparativi per il matrimonio fra Anselmo ed Elisa, e tra lui e Marianna, stanno procedendo nel migliore dei modi.

Continua dicendo che non ha fatto altro che parlare bene di lui a Marianna, suscitandole una gran voglia di vederlo e conoscerlo. Aggiunge che la giovane Marianna piena di virtù e ben assennata, stravede per i sessantenni come lui rispetto ai suoi coetanei dai quali non si sente minimamente attratta. Asserisce poi che come dono di nozze porterà 1.200 franchi, unica notizia che preoccupa Arpagone, il quale sperava in una cifra più consistente. Infine, Frosina approfitta delle liete notizie, per chiedergli dunque un piccolo aiuto economico per sistemare un processo in corso, che se lo perdesse avrebbe su di lei gravissime conseguenze. Arpagone dopo essersi rabbuiato al sentir parlare di favori economici, fa finta di non aver sentito ringraziando e salutando la serva per il l'ottimo lavoro di mediazione, e andandosene via. Frosina, scandalizzata dal suo comportamento, inveisce contro il padrone, asserendo di non volersi arrendere, e di tentare la stessa tecnica con la futura moglie.

Atto III

Arpagone convoca la servitù e i figli al fine di assegnargli i compiti in vista della cena di nozze che si dovrà compiere la sera stessa. A Donna Claudia ordina di provvedere alle pulizie. A Stecchino e Merluzzo impartisce il compito di servire le bevande. Ad Elisa affida l'incarico di controllare che non vi siano sprechi di cibo quando verrà sparecchiata la tavola. A Cleante invece, impartisce l'ordine di accogliere nel modo migliore Marianna, la sua futura matrigna. Infine a Mastro Giacomo, unico della casa a rivestire due funzioni, ordina di preparare una cena non troppo dispendiosa per otto persone, e poi di preparare i cavalli per andare alla fiera. Ma mastro Giacomo si trova subito in disaccordo per la cena in quanto vuole essere ben retribuito, e per i cavalli, che sono malnutriti e allo stremo, a causa dell'avarizia del padrone.

Interviene allora Valerio che, continuando a giocare il ruolo di ruffiano al solo scopo di accattivarsi sempre di più la stima del padrone di casa, prende le difese di Arpagone, inimicandosi sempre di più Mastro Giacomo che finisce col dichiarare la sua antipatia per i il servo, e per confessare cosa pensa e cosa dice la gente di Arpagone, cioè che è uno scellerato avaro. Mastro Giacomo finisce con l'essere malmenato dal padrone per la sua audacia inopportuna. Arpagone se ne va infuriato. Mastro Giacomo coglie l'occasione per accusare ancora una volta Valerio di immischiarsi fastidiosamente nei fatti altrui. Fa quindi la voce grossa e inizia a minacciarlo. Valerio però gli si rivolta contro e Mastro Giacomo finisce per essere malmenato pure dal servo.

Nel frattempo Frosina e Marianna giungono in casa e, mentre aspettano l'arrivo di Arpagone, Marianna confida a Frosina di quanto sia riluttante a sposarsi con l'anziano padrone di casa, soprattutto perché è innamorata di un giovane ragazzo con il quale si è vista diverse volte, ma del quale non conosce la famiglia. Frosina asserisce che è meglio sposare un vecchio ricco, che un giovane squattrinato. Aggiunge che lei non deve far altro che aspettare che il suo vecchio sposo muoia di vecchiaia per ereditare i beni e quindi risposarsi ben agiata, con chi vuole. Marianna si sente inorridita dal dover attendere la morte di qualcun altro per poter vivere felice. Giunge finalmente Arpagone che suscita subito ribrezzo in Marianna, non solo per il brutto aspetto logorato dal tempo, ma per l'atteggiamento sprezzante che tiene nel presentare la figlia Elisa e il figlio Cleante, mostrati quasi come bestie indesiderate da mantenere, più che figli da amare.

Marianna, alla inaspettata vista di Cleante, si rallegra, e i due iniziano a farsi continue lodi e complimenti, insospettendo e ingelosendo il padre che non sa niente del loro amore segreto. Infine Cleante, come gesto d'amore per Marianna, sfila un anello dal dito del padre, e lo dona a Marianna, giustificandosi con Arpagone, di farlo in vece sua. Ciò nonostante il padre se la prende con il figlio inveendo contro di lui sottovoce. Marianna, molto restìa a tale regalo, finisce con l'accettarlo convinta da Valerio che il non prenderlo suoni come offesa e faccia arrabbiare Arpagone. Sopraggiunge Merluzzo che asserisce che i cavalli non sono ferrati e che devono essere portati dal maniscalco, se si vuole andare alla fiera. Mentre aspettano che i cavalli siano pronti, Cleante si propone per accompagnare Marianna in giardino facendole servire da mangiare. Arpagone insospettito, gli accosta Valerio, ordinandogli di controllare la situazione e di far in modo che non vi siano sprechi di cibo.

Atto IV

Marianna confida a Cleante di essere in apprensione per le loro sorti, e di non avere in mente niente per porvi rimedio tranne forse la possibilità di cercare di rendere sua madre favorevole alla loro causa. Elisa le mostra la più sincera solidarietà mentre Frosina, incitata dai due fratelli, riesce infine a escogitare un piano per raggirare Arpagone. Asserisce che il rifiuto diretto di Marianna nei confronti di Arpagone susciterebbe rancore verso tutti, impedendo sicuramente che ella possa in futuro sposarsi con suo figlio. Dunque propone che sia Marianna stessa a farsi rifiutare, mantenendo un comportamento che costringa il padrone di casa a ripensarci. Continua proponendo di trovare una donna anzianotta molto disponibile che interpreti il ruolo di nobildonna proprietaria di case e di un bene di 10.000 scudi, e di candidarla come futura moglie di Arpagone.

Infine asserisce che Arpagone finirebbe certamente col sposarla, perché nonostante ami molto Marianna, egli ama molto di più il denaro, anche se poi, quando vorrà vederci chiaro sul patrimonio della donna, rimarrà deluso. I quattro si separano, entusiasti dell'idea della serva. Giunge Arpagone che vede suo figlio salutare Marianna, baciandola sulla mano, cosa che fa nascere in lui il dubbio che vi possa essere qualcosa fra i due. Arpagone annuncia che i cavalli e la carrozza sono pronti e che Elisa e Marianna possono andare alla fiera. Cleante propone di andarci anche lui, ma il padre lo esorta a rimanere in casa, perché gli deve parlare.

Arpagone chiede dunque a Cleante cosa ne pensi della sua futura matrigna, e lui, seguendo il piano di Frosina, asserisce di ritenerla di bellezza mediocre, di portamento goffo, e di personalità comune. Arpagone allora gli confessa che tali discorsi mandano all'aria un progetto che aveva iniziato a coltivare, e che lo vedeva rinunciare al matrimonio, in quanto troppo anziano per lei, e che visto che si doveva celebrare un matrimonio, Cleante sarebbe stato più adeguato, ed avrebbe potuto prendere il suo posto. Cleante si mostra assolutamente favorevole all'idea del padre che però ora, avendo appena udito le considerazioni del figlio riguardo a Marianna, si sente costretto ad accantonare la sua idea. Allora Cleante, al fine di convincerlo, confessa la sua storia d'amore con Marianna, e i sentimenti che lui prova nei suoi confronti. Arpagone dunque getta la maschera e svela al figlio di aver finto di volergli dare Marianna in sposa, che ciò altro non era che un piano per fargli confessare i suoi sentimenti, sospettati dal padre.

Gli ordina quindi di rinnegare i suoi sentimenti, e di non ostacolarlo. Cleante dal canto suo, gli rinfaccia che farà proprio l'esatto contrario. Arpagone allora minaccia di picchiarlo con un bastone. Sopraggiunge Mastro Giacomo, che non potendo vedere padre e figlio litigare così irosamente, si intromette nel tentativo di farli andare d'accordo. Inizia quindi a fare da tramite dei due, allontanandoli e riportando prima a l'uno, poi all'altro quello che vogliono dirsi. La voglia di Mastro Giacomo di vederli riappacificati è così grande che durante il suo lavoro di mediazione non afferra lui stesso le intenzioni dei due, che finiscono con il riappacificarsi credendo di aver risolto la situazione. Mastro Giacomo con grandi ringraziamenti da entrambe le parti se ne va, ma appena padre e figlio riprendono l'argomento e si rendono conto che entrambi sono ancora fermi nelle loro solite intenzioni, ricomincia la lite.

Mentre Cleante si allontana, arriva dal giardino Freccia, con una cassetta, che lo incita a seguirlo, asserendo che è riuscito ad appropriarsi del tesoro di suo padre. Lo esorta quindi a scappar via poiché sentono le urla di suo padre. Arpagone scopre con sua enorme disperazione e costernazione, che il suo tesoro di 10.000 scudi è stato rubato. Inizia quindi ad urlare e inveire contro quelli di casa ritenendoli tutti colpevoli, e minacciando di chiamare i gendarmi per farli impiccare tutti quanti, e che, se alla fine non riuscirà a trovare il suo tanto prezioso e amabile tesoro, si impiccherà con le proprie mani.

Atto V

Arpagone convoca il Commissario per indagare sul furto del suo tesoro di 10.000 scudi, ritenendo colpevole tutta la città, sobborghi compresi. Il Commissario lo rassicura dicendogli che inizieranno insieme a indagare sul furto. Interrogano dunque per primo Mastro Giacomo, che sentendo che il padrone è stato derubato, e che si sta cercando il colpevole, decide di vendicarsi su Valerio, per l'atteggiamento servizievole nei confronti del padrone di casa, per il modo di impicciarsi negli affari altrui e di voler comandare, e infine per le bastonate da poco prese. Dunque asserisce di aver visto Valerio con la suddetta scatola rubata in giardino.

Arpagone non perde tempo e va subito da Valerio accusandolo di tradimento e di furto, ed esortandolo a confessare tutto. Valerio, credendo che il padrone di casa abbia scoperto il suo intento di voler sposare Elisa, consolida la falsa testimonianza di Mastro Giacomo, confessando di aver attuato il piano a fin di bene e che merita di essere perdonato. Arpagone nega qualsiasi forma di perdono; mentre Valerio finisce col far intendere che è innamorato di Elisa e vuole sposarla. Il padrone di casa quindi ritiene che Valerio gli abbia rubato la cassetta del tesoro e in aggiunta voglia portargli via la figlia. Elisa giunge in difesa di Valerio ma senza alcun risultato. Arpagone quindi si reca da quello che nei suoi piani avrebbe dovuto essere il futuro marito di Elisa, cioè Anselmo, per spiegargli le complicanze che sono appena sorte.

Valerio si difende asserendo di essere innamorato di Elisa, ma di non essere responsabile del furto del tesoro di Arpagone, e che quando si conoscerà il colpevole le cose si risolveranno. Arpagone e Anselmo lo ammoniscono di non inventarsi false reputazioni e titoli inesistenti, e di mostrare le prove di quello che dice. Valerio, quindi, rivela di essere figlio di Don Tommaso D'Alburzio di Napoli. Continua dicendo di essere scappato all'età di sette anni per fuggire dalle persecuzioni nei confronti di molte nobili famiglie di Napoli, e di essere stato allevato come un figlio dal capitano della nave con la quale fuggì, e una volta adulto, saputo che suo padre era ancora vivo, iniziò a cercarlo per il mondo.

Durante tale viaggio conobbe Elisa, si innamorò di lei e che questo incontro gli fece prendere la decisione di introdursi in casa come domestico. Come prova della sua storia, cita persone e mostra oggetti e cimeli appartenenti alla sua famiglia. Marianna, sentendo tale racconto riconosce in lui suo fratello, spiegando che anche lei e sua madre fuggirono per mare ma furono presi dai corsari e fatti schiavi. Dopo dieci anni di schiavitù, riebbero la libertà grazie a una felice circostanza, tornarono a Napoli dove tutti i loro beni erano stati però venduti, e senza aver notizia del padre. Passarono quindi per Genova dove recuperando una piccola parte di beni, giungendo infine a Parigi. A sentire il racconto di Valerio e Marianna, Anselmo capisce di essere il comune padre smarrito e si rivela ai presenti con gioia asserendo di essere Don Tommaso D'Alburzio di Napoli, di esser venuto ad abitare lì sotto il nome di Anselmo per dimenticare le disgrazie passate.

Aggiunge infine che intendeva sposarsi con una giovane donna come Elisa per rifarsi una nuova famiglia. A tali parole, Arpagone chiede ad Anselmo, ora padre di Valerio di provvedere a risarcire il furto di 10.000 scudi da parte di quest'ultimo. Sopraggiunge Cleante che tranquillizza il padre sulle sorti della cassetta, asserendo di custodirla lui stesso in un luogo, e che la riavrà a patto che permetta il matrimonio tra lui e Marianna. Arpagone però esige la cassetta per pagare le spese di matrimonio. Interviene quindi Anselmo che si offre di pagarle lui stesso il matrimonio e un nuovo vestito. Arriva però il commissario che esige di essere pagato per il lavoro di indagine svolto, sebbene breve. Arpagone si rifiuta di pagare e offre Mastro Giacomo, ormai scoperto autore di una falsa testimonianza, per la forca. Anselmo interviene ancora una volta, convincendolo a perdonare Mastro Giacomo, e dichiarando che lo pagherà lui il commissario. Tutti quindi si accingono ai preparativi per il duplice matrimonio, mentre Arpagone non vede l'ora che tutto sia finito per riavere il tanto agognato tesoro.

PERSONAGGI

  • Valerio; figlio di Anselmo, innamorato di Elisa,
  • Elisa; figlia di Arpagone, innamorata di Valerio,
  • Cleante; figlio di Arpagone e giocatore d'azzardo, innamorato di Marianna,
  • Arpagone; vecchio vedovo avaro, padre di Cleante e di Elisa ed innamorato di Marianna,
  • Freccia; servo di Cleante,
  • Mastro Simone; mediatore di affari,
  • Frosina; mezzana/faccendiera,
  • Marianna; innamorata di Cleante e amata da Arpagone,
  • Anselmo; nobile di mezza età, padre di Valerio e di Marianna,
  • Mastro Giacomo; cuoco e cocchiere,
  • Donna Claudia; domestica di Arpagone.
  • Stecchino; lacchè di Arpagone.
  • Merluzzo; lacchè di Arpagone.
  • Il Commissario
  • L'Assistente del Commissario

IL MALATO IMMAGINARIO  (Le Malade imaginaire),

Scritta nell'ultimo anno di vita di Molière, la commedia è intrisa di realismo. Lo stesso protagonista, che si presenta come un classico personaggio farsesco, pronuncia a tratti affermazioni lucide e ragionevoli, mostrando un cinismo e una disillusione che tradiscono le amare riflessioni dello stesso autore, il quale approfitta delle occasioni comiche offerte dalla trama per introdurre in modo inaspettato un'aspra denuncia della società del suo tempo.

Il 17 febbraio del 1673 Molière, che interpretava Argante, portò a termine la rappresentazione di questa commedia nonostante il suo grave stato di salute, morendo infine poche ore dopo.

Atto I

La scena inizia con l'ipocondriaco Argante che pondera il prezzo delle ricette e dei medicinali a lui prescritti dal Dottor Olezzo e dal Dottor Purgone. Finiti i suoi calcoli, manda a chiamare Tonietta (o Tonina) a che possa riordinare stanza. Tonietta coglie l'occasione per asserire contrariata che entrambi i suoi dottori si stanno approfittando delle sue manie ipocondriache per lucrarci. Argante ribatte accusandola di ignoranza, e le ingiunge di rispettare la professione medica; manda poi a chiamare la figlia Angelica, per dirle che ella andrà in sposa a Tommaso Diaforetico, figlio del Dottor Diaforetico, nipote del Dottor Purgone, Angelica gli dice di essere innamorata solamente di Cleante e di non voler prender altro marito che lui. Tonietta, già a conoscenza dell'amore di Angelica, interviene in sua difesa chiedendo al padre il motivo della scelta di Tommaso Diaforetico, e Argante le spiega che, vedendosi affetto da una grave malattia al fegato, ha interesse a desiderare un Medico come genero che possa essere costantemente presente per curarlo, e aggiunge che la famiglia Diaforetico è economicamente ben agiata. Spalleggiata da Tonietta, Angelica asserisce che la scelta del suo futuro marito deve spettare solo a lei e non a terzi. Argante ribatte che se non lo sposerà la manderà in convento, come vuole la sua matrigna, ma Tonietta continua la difesa di Angelica, mandando su tutte le furie Argante. Arriva però Belinda, che con mille moine calma il padrone di casa. Mosso dalla riconoscenza per l'amore e le cure che la moglie gli porta, Argante decide di fare testamento, lasciando tutto a lei, e tutti mandano a chiamare il notaio, che casualmente si trova già fuori di casa.

Entra quindi il Signor Buonafede, che informa Argante che secondo il diritto consuetudinario di Parigi egli non può lasciar tutto a sua moglie, e per farlo dovrebbe ricorrere all'espediente di lasciar tutto a un'altra persona che, dopo la sua morte, passerà tutti i beni a sua moglie. L'inaspettata notizia affligge Argante, che vuole comunque darle 20.000 franchi e 2 titoli da 4.000 e 6.000 franchi, di cui dispone in casa. Belinda nasconde malamente la smania di poterli prendere, mentre Argante la invita a recarsi nel suo studio per stilare il testamento. Nel frattempo Angelica chiede alla fidata Tonietta di recare al suo amato Cleante l'infausta decisione di suo padre; Tonietta decide di affidare tale incarico di messo al suo fidanzato Pulcinella, l'usuraio...

Primo intermezzo

Balletto

Il primo intermezzo viene rappresentato da Pulcinella che è disperato perché sa che il suo grande amore per Tonina non è corrisposto, e decide quindi di farle una serenata. I violini però disturbano la sua scena d'amore, e c'è un duetto tra Pulcinella e i violini. Intervengono poi gli arcieri, che Pulcinella allontana con violenza e si ribella quando, risentiti, essi lo vogliono imprigionare. Non avendo Pulcinella i soldi per pagare un'ammenda, dovrà scegliere fra trenta sberle o dodici bastonate, e sceglie le seconde, al che gli arcieri ballerini gli danno delle bastonate in cadenza, ma alla fine danzano tutti.

Atto II

Con grande sorpresa di Tonietta, Cleante si presenta alla sua porta, confidandole che per stare un po' in sua compagnia si spaccerà per l'amico del suo maestro di musica, mandato lì per sostituirlo poiché malato. Una volta annunciato da Tonietta, Cleante spiega al padrone di casa che è stato mandato dal maestro di musica, il quale è stato costretto ad andare in campagna. Argante manda a chiamare Angelica, proponendo di assistere alle sue prove di musica, ma prima di poter dare inizio a tali esibizioni, Tonietta avvisa Argante dell'arrivo del Dottor Diaforetico e suo figlio. Argante invita Cleante a conoscere il futuro sposo di Angelica, e il Dottor Diaforetico e Argante si scambiano sommi saluti, entusiasti l'uno dell'altro di vedersi.

La parola va dunque a Tommaso Diaforetico, che si mostra anch'egli entusiasta del suo futuro matrimonio, al che padre e figlio si alternano, lodando le proprie doti. Argante chiede per quale motivo non abbia interesse nel far lavorare il figlio a corte, e il Dottor Diaforetico risponde che i nobili vogliono essere subito guariti; ciò mette in risalto come Diaforetico abbia interesse di trascinare pateticamente nel tempo finte cure, al solo scopo di arricchirsi, prerogativa di molti medici di allora. Argante propone di sentire l'esibizione musicale di Angelica e Cleante, e quest'ultimo spiega ad Angelica la storia e la parte che deve interpretare: la trama consiste in un pastore che trae una pastorella in salvo dalle violenze di un altro pastore, e tra i due nasce un profondo amore, ma ella gli dice che suo padre le ha ingiunto di sposarsi con un altro uomo. I due iniziano a cantare in versi con rima baciata l'angoscia dei due pastorelli Tirsi e Filli. Argante ovviamente non coglie l'antifona/retorica di tali parole, ritenendo l'opera di pessimo esempio.

Giunge Belinda, la quale viene salutata da Tommaso Diaforetico con grandi complimenti. Tommaso si rivolge ad Angelica mostrandole di essere intenzionato a sposarsi il prima possibile, ma Angelica si difende dalle di lui incitazioni, asserendo di non conoscerlo bene ancora. Belinda giunge a difesa del volere del padre, e Angelica la accusa implicitamente di aver sposato Argante solo per i soldi; questo porta il padre a scusarsi con tutti i presenti per la ritrosia e la contrarietà della figlia. Prima di congedarsi, il Dottor Diaforetico e figlio visitano il signor Argante diagnosticandogli malori e prescrivendogli diete diverse da quelle del Dottor Purgone. Belinda avverte Argante di aver visto Angelica in camera sua in compagnia di sua sorella Luigina e di un uomo. Argante manda quindi a chiamare Luigina, per avere chiarimenti su ciò. Luigina tenta di tener nascosto tutto, poiché l'ha promesso a sua sorella, ma Argante la percuote con delle verghe; Luigina si finge però morta per il colpo, scatenando rimorsi e disperazione nel padre. Per fortuna, Luigina gli mostra di aver finto, e gli confessa di aver assistito ad un uomo che, dopo alcuni diverbi con Angelica, le ha baciato la mano, fuggendo alla vista della matrigna. Arriva Beraldo, che venuto a sapere delle intenzioni di suo fratello chiede chiarimenti su ciò. Prima di iniziare a discorrere, lo invita ad assistere a una Mascherata, per alleviare i suoi mali e farlo divertire.

Secondo intermezzo

Il secondo intermezzo viene rappresentato da diversi Egiziani che, vestiti da Mori, fanno delle danze intrecciate da canzoni. Alla fine fanno danzare anche delle scimmie che hanno portato con loro.

Atto III

Beraldo comincia a discutere con suo fratello Argante: inizia parlandogli della moglie, per la quale non ha simpatie, continua parlando del matrimonio di Angelica, asserendo che deve essere ella a scegliersi il marito, e conclude accusandolo di non avere assolutamente alcun tipo di malattia e di essere schiavo delle sue fobie, oltre che della medicina e dei medici, che ritiene bravi a parole e nella teoria, ma poco efficienti nella pratica. Argante ribatte dicendogli di non mancar di rispetto alla scienza medica e tanto meno ai medici, che svolgono l'arte di salvare le vite umane. Beraldo ribatte a sua volta dicendogli che contro i malori la miglior soluzione è il riposo e non tutti i rimedi fasulli dei medici, i quali, oltre ad arricchirsi le tasche, reputano la loro professione assolutamente somma e non criticabile; gli confessa inoltre che avrebbe voluto portarlo a vedere una commedia di Molière, che a tal proposito avrebbe fatto maggior luce su ciò.

Argante ribatte che Beraldo è un insolente a criticare la medicina e i medici, che a suo avviso sono delle persone studiose e gentiluomini, e conclude dicendo che se Beraldo si ammalasse e lui fosse un medico gli direbbe di crepare, senza recargli alcun aiuto. Beraldo gli risponde che ciò non potrebbe mai accadere, perché Molière non ricorrerebbe mai all'ausilio di un medico. Arriva il Signor Fiorente, invece del Dottor Purgone, per somministrare la consueta cura ad Argante. Beraldo si oppone biasimandolo delle sue continue cure ridicole. A tali parole il Signor Fiorente si offende e lo ammonisce per le critiche che destina alla scienza medica, e se ne va rifiutando di somministrare la cura e annunciando di riferire tutto al Dottor Purgone, sconcertando Argante. Giunge dunque il Dottor Purgone, profondamente offeso e adirato, che accusa entrambi di farsi beffa della Medicina, rifiutandosi di ricevere la consueta cura, e proclama di non voler esser più suo medico e di rompere qualsiasi legame di amicizia o parentela con lui, scioglie il matrimonio tra suo nipote e Angelica e se ne va prevedendogli sciagure e una morte certa in meno di quattro giorni. A tali parole Argante rimane sconvolto e si abbatte.

Tonietta nel frattempo inscena con l'aiuto di Beraldo una farsa ad Argante, spacciandosi per medico, e si presenta asserendo di aver avuto sentore del caso cronico di Argante e di essersi recata lì per aiutarlo. Dopo averlo visitato, Tonina gli diagnostica un disturbo ai polmoni e gli prescrive di mangiare grandi arrosti e bere molto vino rosso, gli aggiunge di avere novant'anni invece dei ventisei che dimostra, il che è dovuto alle sue conoscenze mediche, e gli consiglia di cavarsi un occhio e di amputarsi un braccio, che secondo lei sono mal funzionanti, lasciando basito Argante, che si rifiuta. Finita la finta visita, Tonietta se ne va, asserendo di dover partecipare a una riunione medica; finito tutto, la giovane si cambia così velocemente, approfittando dell'ingenuità di Argante tale che egli non sospetta minimamente la messa in scena di Tonietta e tutte le fantasticherie che gli racconta, nonostante la netta somiglianza con la dottoressa. Tonietta ritorna nelle spoglie di serva, e insieme a Beraldo discute con Argante del futuro di Angelica, visto che non andrà più in moglie a Tommaso Diaforetico. Argante asserisce che la farà suora, seguendo il consiglio di sua moglie, ma Beraldo biasima la totale sottomissione di Argante alla moglie oltre che alle medicine, e aggiunge che egli cade in tutti i suoi tranelli. Argante ribatte dicendo che è una moglie premurosa e che pensa solo a lui.

Tonietta allora convince il padrone di casa a fingersi morto a Belinda, per vedere la sua reazione. Argante acconsente, convinto di mostrare quello che sostiene. Appena rientra Belinda, Tonietta inizia a urlare in preda al dolore, avvisandola della morte del marito. Belinda confessa di essere sollevata da tale notizia, aggiungendo che Argante era una persona sudicia, sgradevole, disgustosa e scomoda per tutti, ed esorta la serva a farle da complice, nascondendo momentaneamente il suo cadavere e razziando i suoi beni. A quel punto Argante si alza in piedi proclamandosi ancora vivo, mentre Beraldo e Tonina si mostrano felici che il marito conosca finalmente la vera faccia della moglie. Tonina convince Argante ad allestire la stessa scena con Angelica, la quale si dispera della morte di suo padre, unico che le voleva davvero bene. Argante quindi si alza in piedi ed abbraccia la figlia acconsentendole di sposare Cleante, a patto che quest'ultimo diventi medico, dati i suoi malori. Cleante si mostra favorevole a ciò, ma Tonietta e Beraldo convincono Argante a divenire lui stesso medico. Argante si mostra inizialmente impossibilitato a ciò, dal momento che non è più giovane e che non conosce il latino   e tanto meno ha le basilari nozioni mediche, ma Tonietta e Beraldo gli confessano che basta portare il camice di medico per poter essere tale, e Beraldo gli aggiunge che la sera stessa farà venire una facoltà di medici che lo faranno medico, con tanto di cerimonia. Preoccupata per tali eventi, Angelica chiede chiarimenti a Beraldo, che le confessa che farà venire dei comici travestiti da medico, che insceneranno la proclamazione di Argante come nuovo medico, con grande allegria e divertimento generale, e aggiunge che ciò non corrisponde a burlarsi di lui, ma ad assecondare i suoi capricci.

Terzo intermezzo

Il terzo intermezzo viene rappresentato dalla cerimonia burlesca nella quale un uomo viene proclamato medico. Il coro è formato da otto porta clisteri, sei speziali e ventidue dottori, di cui otto chirurghi ballano e due cantano con versi tutti in latino. Alla fine tutti i chirurghi e speziali vengono a fargli il saluto in cadenza, poi tutti ballano al suono degli strumenti e delle voci, delle battute di mano e dei mortai, quelli in genere usati dagli speziali.

PERSONAGGI

  • Argante; ipocondriaco.
  • Tonietta; serva di Argante.
  • Angelica; figlia di Argante ed innamorata di Cleante.
  • Belinda; seconda moglie di Argante.
  • Signor Buonafede; notaio.
  • Cleante; innamorato di Angelica.
  • Dottor Diaforetico; figlio del Dottor Purgone: medico di Argante.
  • Tommaso Diaforetico; figlio del Dottor Diaforetico, e pretendente alla mano di Angelica.
  • Luigina; giovane figlia di Argante e sorella minore di Angelica.
  • Beraldo; fratello di Argante.
  • Signor Fiorente; speziale.
  • Dottor Purgone; medico di Argante.

 

Il tema del medico

Il malato immaginario ha come oggetto della propria satira, sia la mania ipocondriaca del malato, che l'imperizia dei medici che cercano di prendersene cura. Si alternano in molte scene figure caricaturali di medici dai nomi e dagli atteggiamenti più ridicoli: dal dottor Purgone al farmacista Olezzanti, dal dottor Diarroicus, che è tradotto dal francese Diafoirus, (il prefisso greco dia, usato ancora oggi nella medicina moderna, ricorda diarrehée, termine usato in campo medico sin dal secolo XIV a suo figlio Tommaso.

Ognuna di queste figure è riconducibile a un modello di medico che Molière dipinge come egoista, ipocrita, avaro e formalista. Il figlio del dottor Diarroicus, ad esempio, entra in scena nel secondo atto e costituisce perfettamente il giovane medico che Molière vuole rappresentare. Viene presentato in questi termini:

«un giuggiolone che ha appena terminato gli studi e che fa ogni cosa senza grazia e nel momento sbagliato»

Tommaso impara a memoria il discorso di presentazione alla famiglia di Argante e se interrotto non è in grado di proseguire logicamente. Il padre, nella medesima scena, presenta questo limite intellettuale del figlio come un vanto dell'educazione che gli ha fornito: Molière, così facendo, polemizza anche sulla formazione culturale della classe medica. Sia il dottor Diarroicus che il dottor Purgone (così come il farmacista) ostentano quasi sempre le conoscenze delle lingue antiche, con discorsi inutili e pomposi.

Giunti verso la fine della commedia, dunque, il personaggio di Beraldo sconfessa completamente la medicina definendola “una della più grandi follie dell'umanità” e crede addirittura “ridicolo un uomo che pretende di guarirne un altro" Il discorso di Beraldo è, secondo lo studioso Sandro Bajini, dunque, una critica razionalistica circa lo scarso livello scientifico della medicina di quel tempo e pone l'attenzione della satira più che sul medico in particolare, sull'uomo vinto dalle illusioni.


 

7 marzo 2024 - Eugenio Caruso

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Tratto da

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