Michail Solochov e il suo capolavoro: Il placido Don.

«Eh caro! chi è il pazzo di noi due? Eh lo so: io dico TU! e tu col dito indichi me. Va là che, a tu per tu, ci conosciamo bene noi due. Il guaio è che, come ti vedo io, gli altri non ti vedono... Tu per gli altri diventi un fantasma! Eppure, vedi questi pazzi? senza badare al fantasma che portano con sé, in se stessi, vanno correndo, pieni di curiosità, dietro il fantasma altrui! e credono che sia una cosa diversa.» Pirandello. Così è (se vi pare).

GRANDI PERSONAGGI STORICI Ritengo che ripercorrere le vite dei maggiori personaggi della storia del pianeta, analizzando le loro virtù e i loro difetti, le loro vittorie e le loro sconfitte, i loro obiettivi, il rapporto con i più stretti collaboratori, la loro autorevolezza o empatia, possa essere un buon viatico per un imprenditore come per una qualsiasi persona. In questa sottosezione figurano i grandi poeti e letterati che ci hanno donato momenti di grande felicità ed emozioni.

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Michail Aleksandrovic Šolochov

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Ritratto di Michail Aleksandrovic Šolochov

Michail Aleksandrovic Šolochov ( Kružilin, 24 maggio 1905 – Vëšenskaja, 21 febbraio 1984) è stato uno scrittore e politico sovietico. Per ampiezza di soffio epico e serenità di visione è stato paragonato a Tolstoj, e ha riscosso vasto successo anche in Occidente (Premio Nobel per la letteratura nel 1965 "per la potenza artistica e l'integrità con le quali, nella sua epica del Don, ha dato espressione a una fase storica nella vita del popolo russo”). In URSS la sua opera era tenuta in altissimo conto, oltre che per questi pregi artistici, per il contributo alla vittoria ed alla propaganda del socialismo. È noto principalmente per aver narrato l'epopea dei Cosacchi del Don durante la rivoluzione russa e la guerra civile nel suo romanzo più celebre, Il placido Don.
Michail Aleksandrovic Šolochov nasce il 24 (11, secondo il calendario giuliano) maggio 1905 nel villaggio di Kružilin, frazione della stanica (villaggio cosacco) di Vešenskaja, nel distretto del Donec'k. Il padre era un cosacco dedito ai commerci, mentre la madre, ucraina, era una cameriera analfabeta.

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Il palazzo del Governo dell'Oblast' di Rostov.


Il giovane Šolochov frequenta il ginnasio a Mosca, Bogucar e Vešenskaja, ma lo scoppio della guerra civile nel 1918 lo costringe a interrompere gli studi. Vivrà per tutta la durata del conflitto in prossimità del fronte dell'Alto Don. A partire dal 1920, inizia ad occupare diversi posti di impiego nelle amministrazioni locali, fra cui quella del maestro elementare. Nello stesso periodo partecipa anche alla caccia dei gruppi di partigiani cosacchi insorti contro le politiche di requisizione dei prodotti alimentari avviate dal potere sovietico.
La carica di addetto al vettovagliamento lo porta in diverse occasioni a rischiare la vita: i partigiani di Nestor Machno lo minacciano di morte e rischia persino di essere fucilato dai suoi compagni per l'indebita punizione di un kulak. Questi anni particolarmente turbolenti verranno ricordati nei suoi racconti giovanili e nell'ultima parte della sua opera più importante, Il placido Don. Tra il 1920 e il 1922 comincia anche a comporre drammi per il teatro locale della stanica di Karginskaja. Nell'ottobre del 1922 si trasferisce a Mosca per presentare domanda d'ammissione all'università, ma viene respinto. Si dedica quindi a numerose occupazioni occasioni fino alla fine dell'anno seguente, quando aderisce al gruppo La Giovane Guardia, composto da scrittori membri delle Gioventù comuniste. Entra anche a far parte dell’Associazione degli scrittori proletari russi.
La sua prima pubblicazione è del settembre 1923. La verità della gioventù, giornale del komsomol, mette alle stampe il suo primo racconto satirico, intitolato La Prova. Questa testata, che ben presto verrà ribattezzata ne Il Giovane Leninista, continuerà a pubblicare suoi racconti, tra cui Il Neo e Il Vento, ben oltre il suo ritorno sulle rive del Don, avvenuto a maggio. Dopo essersi sposato, Šolochov si ristabilisce definitivamente a Vešenskaja e si dedica alla stesura dei Racconti del Don, pubblicati nel 1926 e successivamente ristampati, qualche tempo più tardi, in una seconda edizione più ampliata dal titolo La steppa azzurra.
Il tema centrale è la guerra che infuriò sul bacino del Don all'inizio degli anni venti, portando con sé carestie e repressioni di massa. I protagonisti sono quasi sempre strenui difensori del potere sovietico che arrivano a sacrificare la propria vita nel nome della causa per cui anche l'autore aveva combattuto. Secondo il critico Hermann Ermolaev, "i racconti danno un assaggio delle doti epiche, drammatiche e comiche di Šolochov, senza però rivelarne la dimensione lirica, che nei futuri romanzi darà un'efficacia straordinaria alle sue descrizioni dell'amore e della natura".
I racconti della giovinezza riscontrano un successo notevole e vengono ripubblicati in diversi edizioni fino al 1931. Dal 1932 al 1956, tuttavia, l'autore si opporrà a qualunque tipo di ristampa, giudicandoli "esageratamente ingenui e irrimediabilmente puerili". Il materiale dei Racconti del Don andrà in seguito a costituire il nucleo narrativo de Il placido Don.

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Per l'acqua - Dipinto dei Mykola Pymonenko


Il placido Don e le accuse di plagio
La stesura del suo capolavoro inizia nel 1925, quando il manoscritto porta ancora il titolo I paesi del Don. Dopo aver deciso di ampliarne il respiro storico, Šolochov ribattezza l'opera e ne predispone la partizione in quattro volumi, Il placido Don, La guerra continua, I rossi e i bianchi e Il colore della pace. Questi usciranno, fra vicende alterne che vedranno personalmente coinvolto persino Stalin, tra il 1928 e il 1940 per le riviste Ottobre e Mondo Nuovo. Nonostante le pressioni degli editori e del governo, Šolochov si rifiuterà sempre di compromettere la propria opera.

Il romanzo narra l'epopea di Grigorij Melechov e della sua famiglia, originaria del villaggio cosacco di Tatarskij. Dapprima arruolato tra le file dell'esercito zarista durante la prima guerra mondiale, Grigorij combatterà su entrambi i fronti della guerra civile e, ricercato dalle autorità sovietiche, finirà per arruolarsi in una banda di disertori. Nell'ultima delle sue innumerevoli fughe, egli perde l'amata Aksin’ja, vittima di un colpo d'arma da fuoco. Il lutto spegne ogni sua speranza riguardo al futuro e lo porta a far ritorno al villaggio natale, dov'è rimasto il figlio. Per il respiro epico e per la commistione di epopea familiare e cronaca storica, il romanzo è stato spesso avvicinato a Guerra e pace di Tolstoj. Ne Il placido Don è condensata quella lotta di classe che sconvolse irrimediabilmente il mondo cosacco e di cui Šolochov rende l'essenza psicologica nella storia del suo eroe, Grigorij. Gli avvenimenti che giustificano la trama si svolgono in funzione del protagonista e l'intreccio che ne esce è inteso a mostrare la vittoria della rivoluzione sui cosacchi, che ne furono sempre nemici accaniti. Sul vasto affresco del "cosacchismo", ricco di dettagli folcloristici e denotato dalla comunione con la natura, irrompe la storia in tutta la sua tragicità, creando una frattura che insinua in tutti i personaggi la consapevolezza che nulla potrà essere come prima.

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La copertina originale de Il placido Don


Šolochov viene accusato di plagio già ai tempi della pubblicazione dei primi due volumi. Per verificare la fondatezza di tali insinuazioni, nel 1929, la segreteria della RAPP (Associazione russa degli scrittori proletari) nomina una commissione d'inchiesta che assolverà l'autore pur non fornendo alcuna prova convincente. La questione si riapre in corrispondenza dell'assegnazione del Premio Nobel a Šolochov nel 1965. Viene infatti alla luce La rapida del "Placido Don", opera incompiuta di un critico letterario sovietico del quale il curatore, Aleksandr Solženicyn, riporta solo l'iniziale del cognome: D*. L'ignoto sostiene che Il Placido Don sia in realtà formato da due testi, uno scritto dal vero autore, Fëdor Krjukov (1870-1920), l'altro da Šolochov. Il procedimento di D*, tuttavia, presenta numerose inesattezze e manca di rigore scientifico. Lo stesso Medvedev non riuscirà mai a dimostrare fino in fondo la sua tesi e arriverà a riconoscere la fragilità della sua argomentazione. Nei primi anni ottanta, un'analisi comparata delle opere di Krjukov eseguita da un gruppo di ricercatori scandinavi mediante elaboratore conferma la paternità di Šolochov. I risultati dell'indagine vengono ripresi dal professore Nils Lid Hjort dell'Università di Oslo che, attraverso un esame statistico della lunghezza delle frasi dei manoscritti in questione, ha ribadito i risultati dell'inchiesta precedente.
Rapporti col partito, attività giornalistica e ultimi anni
Oltre alla stesura del suo capolavoro, Šolochov dedica la maggior parte degli anni trenta alla realizzazione di un altro romanzo, Terre vergini dissodate. Se Il placido Don aveva coperto il periodo che andava dalla rivoluzione alla guerra civile, quest'opera fornisce invece un ritratto della collettivizzazione dei primi anni Trenta. La pubblicazione del primo volume, nonostante le solite controversie con l'editoria, inizia nel gennaio del 1932, sulle pagine del Mondo Nuovo. Anche stavolta, l'intercessione di Stalin, incontrato di persona dall'autore un paio d'anni prima, segna la svolta decisiva. Il romanzo riscontra un successo fenomenale e vale all'autore il Premio Lenin. Gli elogi della critica e la protezione di Stalin lo portano ad iscriversi al PCUS nel 1932. Questo, tuttavia, non lo rende del tutto immune da repressioni; nell'autunno del 1938, viene infatti arrestato dall'NKVD sotto la falsa accusa di aver partecipato a un'insurrezione cosacca antisovietica nei pressi di Rostov. Stalin, però, non potendo accettare un simile affronto nei confronti di uno dei più popolari autori fedeli al partito, ne ordina il rilascio.
Con l'avvento della seconda guerra mondiale, la produzione di Šolochov verte sempre di più verso il giornalismo e la propaganda. Diventa corrispondente di guerra della Pravda e della Stella Rossa. Nell'estate del 1942, perde la madre a causa di un bombardamento tedesco e gli archivi contenenti i suoi manoscritti e la corrispondenza con Stalin e Gor'kij vengono irrimediabilmente distrutti. Dalla sua esperienza al fronte nascono il racconto La Scienza dell'Odio, in cui viene descritta la brutalità delle truppe naziste, e il romanzo di guerra Hanno combattuto per la patria, pubblicato dalla Pravda tra il 1943 e il 1969, da cui verrà tratto l'omonimo film del regista Sergej Bondarcuk nel 1975.
Dopo la guerra, porta a termine la stesura del secondo volume di Terre vergini dissodate e, nel 1956, scrive il racconto Il destino di un uomo che ispirerà un altro film di Bondarcuk dallo stesso titolo. Nel corso della sua carriera giornalistica si attiene a posizioni ortodosse e strettamente conformi alla linea del partito; nei suoi articoli, infatti, si scaglia con decisione contro autori dissidenti come Pasternak, Solženicyn, Sinjavskij e Daniel' e contro la letteratura occidentale in generale. Nel 1957, Il placido Don diventa anche un film diretto da Sergej Gerasimov. L'adattamento cinematografico di Bondarcuk, invece, uscirà solo nel 2006. Šolochov muore nella stanica di Vešenskaja il 21 febbraio 1984 dopo esser diventato lo scrittore sovietico col più alto stato di servizio; oltre al Premio Nobel per la letteratura conferitogli nel 1965, vinse anche il Premio Stalin e il Premio Lenin, fu deputato a vita del Soviet Supremo dell'URSS, delegato a tutti i congressi del PCUS a partire dal 1939, membro del Comitato Centrale dal 1961, due volte Eroe del lavoro socialista e membro dell'Accademia delle scienze dell'URSS. Nel 1962, l'Università di St Andrews gli conferisce la laurea honoris causa in legge, mentre nel 1965 riceve quella della facoltà di lettere dalle Università di Lipsia e Rostov.
Temi e stile
L'opera di Šolochov è stata ascritta da molti critici all'interno del canone del realismo socialista. I caratteri costitutivi della corrente dominante del tempo si possono riscontrare nelle opere giovanili, i cui protagonisti, denotati da un marcato slancio eroico, sono molto spesso sostenitori del potere sovietico, ma molti hanno ritenuto insufficiente questa categorizzazione per quanto riguarda i romanzi della maturità. In questi ultimi, la tensione ideologica emerge dal conflitto e dall'ambiguità e non vengono risparmiate le critiche nei confronti dell'autorità bolscevica.
Nei grandi romanzi degli anni trenta, la priorità di Šolochov rimane la fedeltà nei confronti del dato storico; la sua narrazione è scevra della retorica propagandistica e del tono ampolloso di molti dei romanzi del realismo socialista. Prevalgono i prestiti dagli idiomi dialettali e dalla poesia contadina e popolare del bacino del Don. Su questo sostrato si sviluppa una prosa piana e lineare, che facilmente si presta alla traduzione proprio perché tende al tipico.
Le sue ultime opere, invece, influenzate dallo stile cronachistico della produzione giornalistica, vedranno un ritorno all'ortodossia dei primi anni, con risultati però notevolmente inferiori dal punto di vista artistico.
Nel periodo delle mie letture dei grandi romanzieri russi non persi Il placidi Don che mi permise di approfondire la conoscenza dei cosacchi e della loro storia, anche se li avervo già incontrati in altri romanzi come Lev Tolstoj, I cosacchi - Aleksandr Puškin, La figlia del capitano (1836) - Nikolaj Gogol', Taras Bul'ba e Vij. Il romanzo permette anche di analizzare il confronto che vi fu tra coloro che restarono fedeli allo zar e i bolscevichi.

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Matrimonio tra cosacchi, dipinto di Józef Brandt.

Il placido Don

E' un romanzo annoverato fra i capolavori della letteratura russa. Descrive le vite e le lotte dei cosacchi del Don durante la prima guerra mondiale, la rivoluzione russa e la guerra civile russa. È composto da quattro sezioni: Il placido Don (1928), La guerra continua (1929), I rossi e i bianchi (1933), Il colore della pace (1940).
Il primo volume è stato pubblicato in Italia nel 1941 dall'editore Garzanti, con la traduzione di Natalia Bavastro. Il romanzo ha ricevuto il Premio Stalin nel 1941, il premio Lenin (Letteratura) nel 1960, e ha fatto guadagnare al suo autore il Premio Nobel per la letteratura nel 1965. Il romanzo rientra nel filone del realismo anche se introduce qualche novità nella rappresentazione dei temi.
A partire dal 1925, Šolochov comincia la stesura di un romanzo che rimarrà incompleto, I paesi del Don. Lo scopo è quello di illustrare il ruolo giocato dai cosacchi nella rivoluzione, ma l'autore si accorge ben presto di dover anticipare l'inizio dell'azione per poter fornire al lettore una maggiore visione d'insieme del contesto storico. Dopo aver ribattezzato l'opera, Šolochov inizia a lavorare ai primi tre volumi. Il primo, terminato nel 1927, viene rifiutato dalla rivista Ottobre. Sarà solo grazie allo scrittore Aleksandr Serafimovic, anch'egli cosacco del Don nonché ammiratore di Šolochov, che l'opera vedrà la luce nel gennaio 1928. A breve distanza segue anche il secondo volume, intitolato La guerra continua, apparso sempre nella rivista Ottobre.
Nel 1930 il terzo volume, I rossi e i bianchi, viene respinto dalla redazione di Ottobre che vi ravvisa una giustificazione dell'insurrezione dell'Alto Don contro l'Armata Rossa. La pubblicazione viene ripresa solo due anni dopo dalla rivista Mondo Nuovo, a seguito della determinante intercessione di Stalin. Il capo del governo interviene anche nella pubblicazione del quarto volume, sospesa nel 1938 e ritardata di due anni a causa delle sue richieste di modifica. Šolochov, tuttavia, si rifiuta di compromettere il proprio romanzo. Stalin rinuncia alle proprie pretese e la pubblicazione de Il colore della pace viene ultimata all'inizio del 1940 nel Mondo Nuovo.
Il completamento della prima pubblicazione, tuttavia, non segna la fine delle vicissitudini che quest'opera dovrà affrontare. La rappresentazione a tinte chiaroscure di alcuni dei personaggi bolscevichi non passa inosservata agli occhi della censura che rimaneggerà notevolmente le successive edizioni, in particolare quella del 1953. In totale, si stima che il romanzo abbia subito circa duecentocinquanta tagli.
Trama
Il placido Don

L'azione inizia intorno all'anno 1912, a Tatarskij, un villaggio rurale dell'Alto Don. Protagonista del romanzo è Grigorij Melechov, figlio di Pantelej, nelle cui vene scorre sangue cosacco e turco. Con grande disappunto del padre, il giovane Grigorij si invaghisce di Aksin’ja Astachova, moglie del vicino di casa Stepan. Pantelej decide allora di far sposare al più presto il figlio con Natal’ja Koršunova, figlia di un cosacco molto ricco. Incurante delle fresche nozze, Grigorij prosegue la propria relazione clandestina e scappa con Aksin’ja. I due si recano nella grande tenuta del Generale Nikolaj Alekseevic Listnickij e lì trovano rifugio e un impiego. La fuga dei due amanti causa delle ostilità tra la famiglia Melechov e quella di Stepan. Nel frattempo Natal’ja, umiliata dall'abbandono del marito, tenta il suicidio. Aksin'ja annuncia al compagno di essere incinta poco prima della sua partenza per il fronte russo-austriaco. Durante l'assenza del padre, nasce così Tanja che ben presto però si ammalerà e morirà. Aksin’ja allora, credendo Grigorij caduto in guerra, si getta tra le braccia di Evgenij, figlio del generale. Il protagonista però fa inaspettatamente ritorno per un congedo e, scoperta la relazione di Aksin’ja, la abbandona per tornare da Natal’ja.
La guerra continua
Quando si apre il secondo episodio, Grigorij è tornato al fronte insieme al fratello Pëtr. Nel frattempo, a Tatarskij, Natal’ja dà alla luce due gemelli. Cominciano ad arrivare notizie riguardanti la rivoluzione di febbraio e i cosacchi del fronte giurano fedeltà al governo provvisorio. Grigorij però si sente sempre più attratto verso le idee del bolscevismo, che riscontrano una popolarità sempre crescente fra i soldati. Mentre la situazione delle truppe si fa sempre più disperata, comincia a farsi largo una figura, particolarmente influente fra i cosacchi, che sarà protagonista della controrivoluzione: il comandante supremo Kornilov.
Grigorij viene rispedito a casa dopo essere stato ferito in combattimento e lì si scontrerà col padre e col fratello riguardo alle sue posizioni politiche. Il villaggio intanto elegge un nuovo atamano, dando così il via agli arruolamenti per l'imminente scontro con i bolscevichi.
I rossi e i bianchi
I rossi e i bianchi entra nel vivo della guerra civile. Mentre Grigorij e Pëtr, arrivati a ricoprire il grado di ufficiali nell'Armata Bianca, combattono contro l'Armata Rossa, a Tatarskij, Aksin’ja si riunisce col marito Stepan. I rossi avanzano fino al villaggio, per lo più ormai evacuato, ma non dalla famiglia Melechov. Pëtr perde la vita in battaglia, causando un lutto che il fratello cercherà di superare dandosi al bere. Nello stesso periodo, però, dato il ritorno a Tatarskij, Grigorij riscopre la passione per Aksin’ja e le chiede di raggiungerlo nella stanica di Vešenskaja, dove si trova di stanza per l'esercito. L'avanzata dell'Armata Rossa sembra ormai inesorabile e Grigorij è costretto a far evacuare definitivamente il villaggio per trarre in salvo anche Natal’ja e i suoi figli.
Il colore della pace
Il quarto ed ultimo volume della saga ci ripresenta la storia d'amore segreta fra Grigorij e Aksin’ja. Questa rinnovata passione però viene subito turbata dalla malattia di Dar’ja, vedova di Pëtr, che, temendo di trovarsi ormai in fin di vita, rivela a Natal’ja la relazione di Grigorij. Tradita nuovamente e in preda alla disperazione, Natal’ja decide di abortire il terzo figlio che stava aspettando da Grigorij. L'operazione però le costa la vita. La morte della moglie porta Grigorij ad allontanare sempre di più Aksin’ja per avvicinarsi ai propri figli. Il senso di colpa colpisce anche Dar’ja e la spinge addirittura a togliersi la vita gettandosi nel Don. Ammalatosi di tifo, Grigorij trascorre la propria convalescenza nel villaggio natio. Una volta guarito, decide di andarsene da Tatarskij insieme alla sua amata per evitare di essere nuovamente arruolato, proprio come aveva fatto il padre Pantelej. Durante il viaggio, però, è Aksin’ja ad ammalarsi e il protagonista si vede quindi costretto a proseguire il viaggio verso la Turchia senza di lei. Non molto tempo dopo, Grigorij riceve anche notizia della morte del padre.
Dopo una pronta guarigione, Aksin’ja viene ospitata nella casa dei Melechov dalla madre (Vasilisa) e dalla sorella (Dunjaška) di Grigorij. La proprietà è ora gestita da Michail Koševoj, presidente del comitato rivoluzionario della Vešenskaja, amante di Dunjaška e assassino di Pëtr. Le tre vengono a sapere che Grigorij si è unito all'Armata Rossa. Il ritorno di Grigorij a Tatarskij dura ben poco; il suo passato controrivoluzionario lo ha reso infatti un ricercato delle autorità sovietiche. Dopo una breve parentesi in un gruppo di ribelli, Grigorij tenta di scappare ancora una volta, portando con sé Aksin’ja e lasciando i figli alla sorella. Durante la fuga, però, la ragazza viene ferita fatalmente. Il protagonista è devastato da questa perdita e, consapevole ormai del fatto che il suo destino sia segnato, si unisce a un'altra banda di disertori. Dopo sei mesi, stanco di combattere e desideroso di riabbracciare i figli, Grigorij fa nuovamente ritorno a Tatarskij. Il romanzo termina col figlio che lo accoglie dandogli la notizia della morte della sorellina per scarlattina.
Temi e stile
I critici sono prevalentemente concordi nell'identificare il principale modello del romanzo in Guerra e pace di Tolstoj; le due opere, infatti, condividono la fusione del genere del romanzo storico con quello della saga familiare e in entrambe vi è una compresenza di personaggi storici e personaggi puramente fittizi. Il richiamo a Tolstoj per Il placido Don è persino diventato, secondo alcuni, un luogo comune della critica russa, un luogo comune che però genera equivoci. Non solo, infatti, i due romanzi sono incomparabili dal punto di vista del valore artistico, ma presentano anche fondamentali differenze stilistiche: Guerra e pace è un romanzo corale che progredisce attraverso la moltitudine delle figure che lo animano, mentre il motore de Il placido Don è rappresentato dagli avvenimenti che ne costituiscono la trama. Inoltre, se in Tolstoj l'evento storico è visto da una prospettiva tragica ed infinita, in Šolochov non vi è alcun tipo di trascendenza filosofica; la priorità rimane la fedeltà obiettiva nei confronti del fatto di cronaca, le figure non vengono ingigantite da nessun destino ineluttabile, ma rimangono profondamente reali. L'altra grande fonte d'ispirazione per il romanzo la si può trovare nell'opera di Gogol', in particolare in alcuni dei suoi racconti ucraini e in Taras Bul'ba; in Gogol' l'autore de Il placido Don trova quella trasposizione letteraria del "cosacchismo" così raffinata che farà da impalcatura narrativa anche ai suoi romanzi. Per il lessico, l'abbondanza di colori e l'audacia delle struttura sintattiche, Il placido Don presenta un legame di parentela più stretto con la prosa ornamentale sovietica degli anni venti, piuttosto che con Tolstoj. Nel romanzo, infatti, si contano più di duemila similitudini e non meno di tremila termini riferiti al colore; questa ricchezza retorica illustra il modo pittoresco di esprimersi dei personaggi e denota un notevole influsso della poesia popolare. Questo sostrato stilistico permette allo scrittore di fornire un quadro vivissimo del mondo cosacco in tutta la sua peculiarità. La tradizione, il folclore e i costumi svolgono un ruolo predominante nel direzionare le azioni degli individui e testimoniano l'amore dell'autore per una realtà di cui si sente parte. Questo ritratto, tuttavia, non è mitizzato, ma fortemente contestualizzato nella realtà storica della periferia russa nei primi anni venti. La penna di Šolochov rende i cosacchi dei personaggi ben definiti con personalità forti, la cui ricca natura emerge nel conflitto ed è proprio da questa tensione che nasce la tragicità storica che permea tutto il romanzo. Il placido Don è stato spesso ascritto tra i capolavori del realismo socialista, ma molti elementi costituitivi del romanzo lo fanno discostare da quella che era la tradizione letteraria dominante del periodo in cui è stato concepito. Nei suoi romanzi, infatti, non troviamo lo slancio eroico o il fervore politico che caratterizza la letteratura realista del tempo. La tensione ideologica de Il placido Don è piuttosto incentrata sull'ambiguità, e tutti i personaggi rimangono modelli estremamente incerti per quanto riguarda l'orientamento politico. Emblematica, a tal proposito, è la lenta alienazione di Gregorij; dapprima diviso tra due amori, poi tra due rivoluzioni e due controrivoluzioni, finisce col diventare separatista e bandito e infine, come scrive Minissi, "ombra solitaria che si aggira cupa intorno alla vuota casa paterna".

I cosacchi

I cosacchi sono un'antica comunità militare che vive nell'Europa orientale, in maggioranza nella steppa ubicata tra l'Ucraina e gli Zarati Russi del nord-est. Inizialmente con tale termine furono individuate le popolazioni nomadi tatare delle steppe del sud-est della Russia. Tuttavia, a partire dal XV secolo, il nome fu attribuito a gruppi di Slavi che popolavano i territori che si estendevano tra la Russia Meridionale e l'Ucraina Orientale lungo il basso corso dei fiumi Don e Dnepr (questi ultimi erano noti come cosacchi dello Zaporož'e); in questo senso, i cosacchi non costituiscono un gruppo etnico vero e proprio. Altre zone di colonizzazione successiva furono la pianura ciscaucasica (bacini dei fiumi Kuban' e Terek), il basso Volga, la steppa del bacino dell'Ural e alcune zone della Siberia orientale nel bacino del fiume Amur. Il termine "cosacco" apparirebbe per la prima volta nel 1395, nelle Cronache della Repubblica di Novgorod, oppure secondo altri storici solo nel 1444 in un manoscritto moscovita, per designare soldati mercenari nomadi e liberi (ovverosia non soggetti agli obblighi feudali) che spesso offrivano i loro servigi ai vari principi. Durante la guerra civile russa (1918-1922) i cosacchi, che inizialmente avevano appoggiato la rivoluzione contro lo Zar, si schierarono in gran parte con le Armate Bianche in opposizione ai bolscevichi, mentre nella seconda guerra mondiale lottarono invece sia per gli Alleati sia per l'Asse.



18 aprile 2023 - Eugenio Caruso



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