Herman Melville e il suo capolavoro Moby Dick

BUDDHA

“Infatti che cos’è la vostra vita?

Nient’altro che un vapore, brevemente appare per poi dissolversi e svanire”

Nell’estasi nuova verso il meno,

aspirante al nulla!

Singhiozzi di mondi, dolore di stirpi…

Questo, i muti sofferenti…

Nirvana! Assorbi tutti noi nei tuoi cieli,

annientaci in te!

Golding


GRANDI PERSONAGGI STORICI Ritengo che ripercorrere le vite dei maggiori personaggi della storia del pianeta, analizzando le loro virtù e i loro difetti, le loro vittorie e le loro sconfitte, i loro obiettivi, il rapporto con i più stretti collaboratori, la loro autorevolezza o empatia, possa essere un buon viatico per un imprenditore come per una qualsiasi persona. In questa sottosezione figurano i grandi poeti e letterati che ci hanno donato momenti di grande felicità ed emozioni. Io associo a questi grandi personaggi una nuova stella che nasce nell'universo.

AMERICANI

Bellow - Buck - Eliot - Faulkner - Hemingway - Kérouac - Màrquez - Melville - Henry Miller - Neruda - O'Neill - Steinbeck

melville

Herman Melville (New York, 1819 – New York, 1891) è stato uno scrittore, poeta e critico letterario statunitense, autore nel 1851 del romanzo Moby Dick, considerato uno dei capolavori della letteratura americana.
Nacque a New York il 1º agosto del 1819, figlio di Allan Melville e Maria Gansevoort. Herman Melville ricevette la prima istruzione a New York, dove il padre Allan, ricco commerciante, stimolò con i suoi racconti il desiderio d'avventura del suo secondogenito. La vita della famiglia trascorse agiata fino all'estate del 1830, quando il padre subì un tracollo finanziario, dichiarò bancarotta e manifestò una malattia psichica che lo portò alla morte. Dopo questo evento, che lasciò segni indelebili in Melville, la famiglia (composta di otto figli tra fratelli e sorelle), ridotta in povertà, si trasferì nel villaggio di Lansingburgh, sul fiume Hudson. Qui Herman lasciò definitivamente la scuola; dapprima lavorò nell'azienda di uno zio, poi nel negozio del fratello maggiore, infine come insegnante.

golding 2

Il porto di New Bedford nel 1867


L'irrequietezza di Herman e il desiderio di essere economicamente indipendente, nonché la mancanza di una prospettiva lavorativa, lo spinsero nel giugno 1839 a imbarcarsi come mozzo su una nave ancorata al porto di New York e in partenza per Liverpool, la "St. Lawrence". Fece la traversata, visitò Londra e ritornò con la stessa nave. Redburn: il suo primo viaggio (Redburn: His First Voyage), pubblicato nel 1849, si ispira a questa esperienza. La lettura di Due anni a prora (Two Years Before the Mast) di Richard Henry Dana Jr. contribuì probabilmente a ridestare in Melville il desiderio di viaggiare. Il libro, pubblicato nel 1840, descriveva la dura vita da marinaio semplice di uno studente di legge. Melville si arruolò di nuovo come marinaio e il 1º gennaio 1841 partì dal porto di New Bedford (Massachusetts) sulla baleniera "Acushnet", diretta verso l'oceano Pacifico. Non abbiamo informazioni dirette riguardo a questo viaggio di diciotto mesi, per quanto il romanzo sulla baleniera Moby Dick; ovvero, la balena rielabori probabilmente molti ricordi dell'esperienza a bordo della "Acushnet". Una volta a Nuku Hiva, nelle Isole Marchesi, Melville disertò con un compagno. Il romanzo Typee e la sua continuazione, Omoo, riguardano questa vicenda, anche se in forma romanzata.

golding 3

Nuku Hiva, isola delle Marchesi e ambientazione di Typee.


Omoo è ambientato a Tahiti e Moorea ed è la storia quasi biografica delle disavventure di un marinaio disertore tra polinesiani e coloni bianchi. Dopo un soggiorno alle Isole della Società e l'imbarco su due baleniere, Melville raggiunse le Hawaii nell'aprile del 1843. Vi restò quattro mesi facendo diversi lavori. Nell'agosto 1843 si arruolò sulla fregata americana "United States" che, dopo aver fatto scalo in Perù, raggiunse Boston nell'ottobre 1844. La "United States" servì da modello alla "Neversink" ("L'inaffondabile") nel romanzo Giacchetta bianca, o il mondo visto su una nave da guerra (White Jacket: or, The World in a Man-of-War). Così tre dei libri di Melville (Typee, Omoo e Giacchetta bianca) sono schiettamente autobiografici, mentre Moby Dick lo è indirettamente. Redburn si colloca tra queste due tipologie; Mardi, romanzo filosofico scritto tra Omoo e White Jacket, parte dall'esperienza dei Mari del Sud per divenire presto un lungo viaggio conoscitivo e satirico sul modello de I viaggi di Gulliver e altri classici che Melville andava via via scoprendo con entusiasmo da neofita.
Con il rientro a Boston finirono le avventure marinaresche e iniziarono quelle letterarie e famigliari. Il 4 agosto 1847 Melville sposò Elizabeth Shaw a Boston. Lizzie Melville, donna intelligente, mite e affettuosa riuscì, nonostante il carattere via via più scontroso e malinconico del marito, a stabilire con lui forti legami. Ebbero due figli maschi, entrambi premorti al padre, e due femmine. Melville abitò a New York fino al 1850, anno in cui acquistò una fattoria a Pittsfield (Massachusetts) occidentale; nel febbraio del 1850 pose mano a Moby Dick, che terminò e pubblicò nel 1851. Restò a Pittsfield tredici anni, impegnato a scrivere e a dirigere la fattoria. In vari racconti, fra cui Io e il mio camino (I and My Chimney), Montagna d'ottobre (October Mountain), Cock-A-Doodle-Doo! (Chicchirichì!) e La Veranda (The Piazza), Melville offre immagini della non facile vita a Arrowhead (nome che diede alla fattoria) e della campagna circostante. Il suo racconto più celebre, Bartleby lo scrivano (1853), è invece ambientato a New York.

golding 4

Arrowhead, la casa di Melville a Pittsfield, 1934


Dopo i successi di Typee e Omoo le sue opere furono accolte con favore decrescente e non gli consentirono più di mantenere la famiglia. Per questo, e forse per l'affaticamento dovuto all'intensa attività letteraria, dal 1857 Melville cessò di pubblicare narrativa e dipese economicamente dal suocero, autorevole giudice del Massachusetts. Fra il 1856 e il 1857 compì un viaggio solitario in Inghilterra, dove visitò l'amico Hawthorne, e in Palestina. Al rientro, nella primavera del 1857, sostò una settimana a Napoli e a Vico Equense e un mese a Roma; fu anche a Genova e Venezia, fu a Padova dove rimase molto impressionato dalla scultura La caduta degli angeli ribelli attribuita ad Agostino Fasolato, su questa opera fece una conferenza a Cincinnati nel 1858. Rientrato in patria, tentò dal 1857 al 1860 l'attività di conferenziere itinerante. I suoi argomenti erano le opere d'arte che aveva visto in Europa e le meraviglie dei mari del Sud. Ma non riscosse il successo sperato essendo, a quanto sembra, privo dell'arte di interessare gli ascoltatori.
Nel 1866 ottenne un impiego come ispettore doganale nel porto di New York, lavoro che esercitò con rassegnazione fino al 1885. In questo periodo diede alle stampe una raccolta di poesie ispirate alla Guerra di secessione americana (1866) e pubblicò a spese del suocero un lungo poema, Clarel (1878), liberamente ispirato al suo soggiorno in Palestina.
Nel 1867 il primogenito Malcolm, nato nel 1849, si uccise in casa dei genitori con un colpo di pistola. Il secondogenito, Stanwix (1851-1886), morì più tardi a San Francisco, dopo una vita errabonda. Solo la quartogenita, Frances (1855-1938), si sposò ed ebbe quattro figlie, che ricordavano un nonno molto assorto nei suoi pensieri. Fra le nipoti, Eleanor Melville Metcalf curò un volume di lettere e documenti famigliari: Herman Melville: Cycle and Epicycle.
Nel 1890 Melville subì un attacco di erisipela. Il 19 aprile 1891 portò a termine il manoscritto dell'ultimo breve romanzo, Billy Budd, ma in seguito lo riprese ancora in mano, lasciandolo inedito alla morte. Morì a New York il 28 settembre 1891 e fu sepolto nel Woodlawn Cemetery nel Bronx. Nel 1892 furono pubblicate, a cura di Arthur Stedman, nuove edizioni dei suoi quattro romanzi di maggior successo: Typee, Omoo, White-Jacket e Moby Dick.
I romanzi
-I primi romanzi, narrazioni di avventure nei mari del Sud, conobbero un notevole successo, facendo di Melville uno dei più noti autori di storie marinaresche. Ma la sua popolarità declinò dopo la pubblicazione di Moby Dick (1851), che pure fu accolto con favore dai recensori, specie inglesi. Alla sua morte, Melville era quasi completamente dimenticato, anche se diversi suoi romanzi erano regolarmente ristampati. Moby Dick del 1851, da molti ritenuto il capolavoro di Melville, fu riscoperto nel 1921 grazie a una biografia di Raymond Weaver. Oggi è considerato una delle opere fondamentali della letteratura mondiale. Melville era amico di Nathaniel Hawthorne e le sue opere furono ispirate dalla produzione più tarda di quest'ultimo; Moby Dick è dedicato a Hawthorne.
- Il romanzo breve Billy Budd, scritto dopo circa trenta anni da Moby Dick, rimasto inedito e non del tutto finito alla morte di Melville, fu pubblicato nel 1924 e fu presto ritenuto un classico. Due compositori, Giorgio Federico Ghedini e Benjamin Britten, ne hanno ricavato opere per il teatro musicale.
- Tra le opere di Melville vi sono anche i romanzi Taipi, Omoo, Giacchetta bianca (White-Jacket), Pierre o delle ambiguità (Pierre: or, The Ambiguities), L'uomo di fiducia (The Confidence Man) (che è stato interpretato come una critica alla filosofia ottimista di Ralph Waldo Emerson), numerosi racconti e alcune opere poetiche. Il racconto Bartleby lo scrivano (Bartleby the Scrivener) è uno dei suoi scritti più celebri e discussi, spesso considerato un precursore dell'esistenzialismo e della letteratura dell'assurdo.
- Il romanzo breve del 1855 Benito Cereno è una delle poche opere dell'Ottocento letterario americano che si occupa della tratta degli schiavi, raccontando la storia di un ammutinamento realmente avvenuto e prendendosi gioco dei pregiudizi egalitari del capitano americano (che mette in salvo il collega spagnolo vittima dell'ammutinamento).
- Il carteggio fra Melville e Hawthorne rappresenta uno dei nodi più affascinanti e problematici della letteratura dell'Ottocento. Se pur breve e incompleto (Melville distrusse le lettere dell'amico), esso ci consente di seguire la crisi artistica dell'autore di Moby-Dick negli anni decisivi e più inquieti della letteratura americana. È questa un'evoluzione sofferta che riflette le svolte cruciali della carriera di Melville, dalle vette di Moby-Dick e Pierre all'impasse della Storia di Agatha, un progetto mai portato a termine che Melville delinea nelle ultime lettere a Hawthorne, sollecitando l'amico a una sòrta di creazione vicaria. Ed è proprio sulla scia della storia di Agatha - la storia inconclusa e inconclusiva della donna abbandonata e derelitta - che Melville riorienta radicalmente la propria arte uscendo dallo stallo creativo per assumere il ruolo di critico spietato e corrosivo della coscienza nazionale.
- Melville pubblicò poesia in versi dopo aver cessato l'attività di narratore. La raccolta dedicata alla guerra di secessione, Pezzi di battaglia (Battle Pieces), ebbe successo. Il successivo poema, Clarel, che tratta del pellegrinaggio di uno studente in Terra Santa, la più ambiziosa opera poetica di Melville, rimase invece pressoché sconosciuto ai suoi tempi, e anche tutt'oggi rimane poco letto.

Opere

Romanzi

  • Typee: A Peep at Polynesian Life, 1846 
  • Omoo: A Narrative of Adventures in the South Seas, 1847 
  • Mardi: And a Voyage Thither, 1849 
  • Redburn: His First Voyage, 1849 
  • White-Jacket: or, The World in a Man-of-War 1850 
    • trad. di Livio Crescenzi, Mattioli 1885, Fidenza 2016 
  • Moby-Dick or The Whale, 1851 
    • trad. di Cesare Pavese, Torino, Frassinelli, 1932; poi Milano, Adelphi, 1987
    • trad. di Cesare Giardini, Milano, Mondadori, 1951
    • trad. Cesarina Melandri Minoli, Torino, UTET, 1958; poi Milano, Mondadori, 1986
    • trad. di Nemi D'Agostino, Milano, Garzanti, 1966
    • trad. di Pina Sergi, Firenze, Sansoni, 1972; poi Milano, Rizzoli, 2004
    • trad. di Pietro Meneghelli, Roma, Newton, 1995
    • trad. di Bernardo Draghi, Milano, Frassinelli, 2001
    • trad. di Alessandro Ceni, Milano, Feltrinelli, 2007
    • trad. di Giuseppe Natale, Torino, UTET, 2010
    • trad. di Bianca Gioni, Milano, Dalai editore, 2011
    • trad. di Ottavio Fatica, Torino, Einaudi, 2015
  • Pierre: or, The Ambiguities, 1852 
  • Israel Potter: His Fifty Years of Exile, 1855 (Israel Potter: i suoi cinquant'anni di esilio)
  • The Confidence-Man: His Masquerade, 1857 
    • trad. di B. Draghi, Milano, Frassinelli, 2001
  • Billy Budd, Sailor: An Inside Narrative, 1924 

Racconti

  • Bartleby, the Scrivener, 1853, in The Piazza Tales (1856)
  • Cock-A-Doodle-Doo!, (Il chicchirichì del nobile gallo Beneventano), 1853, in The Apple-Tree Table and Other Sketches (1922)
  • The Encantadas, or Enchanted Isles, (Le Encantadas o le isole incantate), 1854, in The Piazza Tales
  • Poor Man's Pudding and Rich Man's Crumbs, (Il budino del povero e le briciole del ricco), 1854, in The Apple-Tree Table and Other Sketches
  • The Happy Failure, (Il fiasco felice), 1854, in The Apple-Tree Table and Other Sketches
  • The Lightning-Rod Man, (L'uomo-parafulmine o Il venditore di parafulmini), 1854, in The Piazza Tales
  • The Fiddler, (Il violinista), 1854, in The Apple-Tree Table and Other Sketches
  • The Paradise of Bachelors and the Tartarus of Maids, (Il paradiso degli scapoli e il tartaro delle fanciulle), 1855, in The Apple-Tree Table and Other Sketches
  • The Bell-Tower, (Il campanile), 1855, in The Piazza Tales
  • Benito Cereno, 1855, in The Piazza Tales
  • Jimmy Rose, 1855, in The Apple-Tree Table and Other Sketches
  • The Gees, 1856, in The Apple-Tree Table and Other Sketches
  • I and My Chimney, (Io e il mio camino), 1856, in The Apple-Tree Table and Other Sketches
  • The Apple-Tree Table, (Il tavolo di melo), 1856, in The Apple-Tree Table and Other Sketches
  • The Piazza, (La veranda), 1856, in The Piazza Tales
  • The Two Temples, (I due templi), 1924, in Billy Budd and Other Prose Pieces
  • Daniel Orme, 1924, in Billy Budd and Other Prose Pieces

Poesia

  • Pezzi di battaglia: aspetti della guerra (Battle Pieces: and Aspects of the War, 1866)
  • Clarel: A Poem and Pilgrimage in the Holy Land, 1876  trad. parziale di Elémire Zolla, Torino, Einaudi, 1965; poi Milano, Adelphi, 1993; unica traduzione italiana integrale a cura di Ruggero Bianchi, Torino, Einaudi, 1999)
  • John Marr ed altri marinai (John Marr and Other Sailors, 1888)
  • Timoleon (Timoleon and Other Ventures in Minor Verse, 1891)
  • Napoli al tempo di re Bomba (Naples in the Time of Bomba as told by Major Jack Gentian)
  • Billy coi braccialetti potrebbe essere stata scritta da lui.

Altre opere

  • Io e il mio camino, Mattioli 1885, Fidenza 2009 traduzione di Franca Brea 
  • Viaggi e balene (scritti inediti; traduzione e cura di Fabrizio Bagatti), Firenze, Clichy, 2013
    • comprende: (Autentici aneddoti del “Vecchio Zack”; "Bozzetti di caccia alla balena; "Il viaggio di Francis Parkman"; "I leoni del mare"; "Una riflessione sulla rilegatura"; "Statue di Roma"; "I Mari del Sud"; "Sui viaggi")
  • Diario di viaggio in Europa e nel Levante - Journal of a Visit to Europe and the Levant (postumo, nel 1955, ma risalente agli anni 1856-1857)
  • Diario di viaggio a Londra e sul continente - Journal of a Visit to London and the Continent (postumo nel 1948 ma risalente agli anni 1849-1850)
  • Frammenti da una scrivania, n.1 - Fragments from a Writing Desk, No. 1 (da Democratic Press, and Lansingburgh Advertiser, 4 maggio 1839)
  • Frammenti da una scrivania, n.2 - Fragments from a Writing Desk, No. 2. (da Democratic Press, and Lansingburgh Advertiser, 18 maggio 1839)
  • Incisioni di un viaggio su una balenieraEtchings of a Whaling Cruise (da New York Literary World, 6 marzo 1847)
  • Aneddoti autentici del «Vecchio Zac» - Authentic Anecdotes of «Old Zack» (da Yankee Doodle, II, settimanalmente da 24 luglio a 11 settembre 1847, tranne il 4 settembre).
  • Il giro del signor Parkman - Mr Parkman's Tour (da New York Literary World, 31 marzo 1849).
  • Il nuovo romanzo di Cooper - Cooper's New Novel (da New York Literary World, 28 aprile 1849).
  • Riflessione sulle rilegature dei libriA Thought on Book-Binding (da New York Literary World, 16 marzo 1850).
  • Hawthorne e i suoi muschiHawthorne and His Mosses (da New York Literary World, 17 e 24 agosto 1850).
  • Chicchirichì - Cock-A-Doodle-Doo! (da Harper's New Monthly Magazine, dicembre 1853).
  • Il pudding del poverello e le briciole del riccone - Poor Man's Pudding and Rich Man's Crumbs (da Harper's New Monthly Magazine, giugno 1854).
  • Un felice insuccesso - The Happy Failure (da Harper's New Monthly Magazine, luglio 1854).
  • Il violinista o il manipolatore - The Fiddler (da Harper's New Monthly Magazine, settembre 1854).
  • Il paradiso degli scapoli e l'inferno delle zitelle - The Paradise of Bachelors and the Tartarus of Maids (da Harper's New Monthly Magazine, aprile 1855).
  • Jimmy Rose (da Harper's New Monthly Magazine, novembre 1855)
  • I Gees - The «Gees» (da Harper's New Monthly Magazine, marzo 1856)
  • Io e il caminetto - I and My Chimney (da Putnam's Monthly Magazine, marzo 1856).
  • Il tavolo di legno di melo - The Apple-Tree Table (da Putnam's Monthly Magazine, maggio 1856).
  • Prosa miscellanea - Uncollected Prose (1856)
  • Statues of Rome - Statue di Roma (ciclo di conferenze, 1857)
  • The South-Seas - I mari del sud (ciclo di conferenze, 1858)
  • Viaggiare - To Travel (ciclo di conferenze, 1859)
  • The Mutinity of Somers (1888)
  • As They Fell (1890) (poi Weeds and Wildings Chiefly: With a Rose or Two)
  • Daniel Orme (inedito pubblicato nel 1948)
  • I due templi (postumo) - The Two Temples
  • Frammenti inediti
    • Frammento (Fragment)
    • Jack Gentian
    • Il maggiore Gentian e il colonnello J. Bunkum (Major Gentian and Colonel J. Binkum)
    • Ritratto di gentiluomo (Portrait of a Gentleman)
    • Nota sui Cincinnati (The Cincinnati)
    • Il marchese de Grandvin (The Marquis de Grandvin)
    • Al maggiore John Gentian decano del Burgundy Club (To Major John Gentian, Dean of the Burgundy Club)
    • Sotto la rosa (Under the Rose)

Lettere e opere complete

  • The Complete Works of Herman Melville, a cura di Howard P. Vincent, Chicago-New York: Hendricks House, 1947 e seguenti, progetto di 14 volumi di cui ne sono usciti solo 7.
  • Merrell R. Davis e William H. Gilman (a cura di), The Letters of Herman Melville, New Haven: Yale University Press, 1960.
  • The Works of Herman Melville, London: Constable, 1922-1924, 16 volumi, n.ed. New York: Russell & Russell, 1963.
  • The Writings of Herman Melville, Evanston-Chicago: Northwestern University Press, 1968-2017, 15 volumi.
  • Complete Fiction and Other Prose Works, a cura di G. Thomas Tanselle, 3 volumi, New York: Library of America (numeri 1, 6 e 24), 1982-1985.

melville 10

 

MOBY-DICK

Tema

In Moby Dick oltre alle scene di caccia alla balena, si affronta il dilemma dell'ignoto, del senso di speranza, della possibilità di riscattarsi che si può presentare da un momento all'altro. Alla paura e al terrore e alle tenebre, si affiancano lo stupore, la diversità, le emozioni che convivono insieme in questo romanzo: interiorizzando tutte le questioni, Melville vi profuse riflessioni scientifiche, religiose, filosofiche - il dibattito sui limiti umani, sulla verità e la giustizia - e artistiche del narratore Ismaele, suo alter ego e una delle voci più grandi della letteratura mondiale, che trasforma il viaggio in un'allegoria della condizione della natura umana e al contempo in una parabola avvincente dell'imprudente espansione della giovane repubblica americana.

Per il puritano Melville la lotta epica tra Achab e la balena rappresenta una sfida tra il Bene e il Male. Moby Dick riassume, inoltre, il Male dell'universo e il demoniaco presente nell'animo umano. Achab ha l'idea fissa di vendicarsi della balena che lo ha mutilato e a ciò si unisce una furia autodistruttiva: «La Balena Bianca gli nuotava davanti come la monomaniaca incarnazione di tutte quelle forze malvagie da cui certi uomini profondi si sentono rodere nell'intimo....».

Ma la balena rappresenta anche l'Assoluto che l'uomo insegue e non può conoscere mai:

«Ma non abbiamo ancora risolto l'incantesimo di questa bianchezza né trovato perché abbia un così potente influsso sull'anima; più strano e molto più portentoso, dato che, come abbiamo veduto, essa è il simbolo più significativo di cose spirituali, il velo stesso, anzi, della Divinità Cristiana, e pure è insieme la causa intensificante nelle cose che più atterriscono l'uomo!...»

Quanto alla rappresentazione nel romanzo della natura, essa è un'entità tremenda e fascinosa (il mare, gli abissi) e può essere vista come esempio di Sublime romantico: lo spruzzo intermittente della balena è come un soffio potente per cui i marinai «non avrebbero potuto rabbrividire di più, eppure non provavano terrore, ma piuttosto un piacere....».

In una lettera a Hawthorne, Melville definiva il suo romanzo come il "libro malvagio" poiché il protagonista del racconto era il male, della natura e degli uomini, che egli però voleva descrivere senza rimanerne sentimentalmente o moralmente coinvolto.

Poiché l'edizione inglese mancava dell'Epilogo, che racconta la salvezza di Ishmael, sembrava che la storia fosse raccontata da qualcuno che si supponeva fosse perito. Il fatto fu riconosciuto da molti recensori britannici come una violazione delle regole delle opere di fiction e una seria pecca dell'autore.

Trama

«Laggiù soffia! Laggiù soffia! La gobba come una montagna di neve! È Moby Dick!»
(Dal capitolo 133, La caccia)

Il narratore, Ismaele, è un marinaio in procinto di partire da Manhattan. Nonostante «sia oramai piuttosto vecchio del mestiere» per le esperienze vissute, questa volta ha deciso che per il suo prossimo viaggio s'imbarcherà su una baleniera. In una notte di dicembre giunge così alla Locanda dello Sfiatatoio, accettando di dividere un letto con uno sconosciuto al momento assente. Quando il suo compagno di branda, un tatuatissimo ramponiere polinesiano chiamato Queequeg, fa ritorno a ora tarda e scopre Ismaele sotto le sue coperte, i due uomini si spaventano reciprocamente. Diventati presto amici, i due decideranno di imbarcarsi assieme dall'isola di Nantucket sulla Pequod,

«...bastimento vecchio e inusitato... una nave della vecchia scuola, piuttosto piccola... Stagionata e tinta dalle intemperie di tutti e quattro gli oceani. Un veliero cannibale, che si ornava delle ossa cesellate dei suoi nemici» con le quali è stata adornata. La nave è equipaggiata da 30 marinai di ogni razza e provenienti da ogni angolo del pianeta. È comandata da un inflessibile capitano quacchero, chiamato Achab, che sembra non essere sulla nave, descritto da uno degli armatori come «un grand'uomo, senza religione, simile a un dio», il quale «è stato all'università e insieme ai cannibali».

Poco dopo, sul molo, i due amici s'imbattono in un misterioso uomo dal nome biblico di Elia che allude a future disgrazie che colpiranno Achab. Il clima di mistero cresce la mattina di Natale quando Ismaele vede delle oscure figure nella nebbia vicine al Pequod, che proprio quel giorno spiega le vele

All'inizio sono gli ufficiali della nave a dirigere la rotta, mentre Achab se ne sta rinchiuso nella sua cabina. Il primo ufficiale è Starbuck, anch'egli quacchero come Achab, che si dimostra serio e sincero oltre che un abile comandante; in seconda c'è Stubb, spensierato e allegro, sempre con la sua pipa in bocca; il terzo ufficiale è Flask, tozzo e di bassa statura e del tutto affidabile. Ciascun ufficiale è responsabile di una lancia con il proprio ramponiere.

Una mattina, qualche tempo dopo la partenza, finalmente Achab compare sul cassero della nave. La sua è una figura imponente e impressionante con una gamba che gli manca dal ginocchio in giù, rimpiazzata da una protesi realizzata con la mascella di un capodoglio. Achab svela all'equipaggio che il vero obiettivo della caccia è Moby Dick, un vecchio ed enorme capodoglio, dalla pelle chiazzata e con una gobba pallida come la neve, che lo ha menomato durante il suo ultimo viaggio a caccia di balene. Egli non si fermerà davanti a niente nel suo tentativo di uccidere la balena bianca. Il primo ufficiale Starbuck, che vorrebbe invece cacciare le balene e ritornarsene tranquillamente a casa, rifuggendo dall'odio e dalla vendetta, alla fine obbedirà al suo capitano.

Melville, intervenendo in prima persona, prova a dare una prima classificazione enciclopedica delle balene, dividendole in balene In-Folio, balene In-Ottavo e balene In-dodicesimo; si noti che l'autore definisce la balena come "un pesce che sfiata e con pinna orizzontale".

Durante la prima calata della lance per inseguire un gruppo di balene, Ismaele riconosce gli uomini intravisti nella foschia prima che il Pequod salpasse. Achab aveva in segreto portato con sé il proprio equipaggio, incluso un ramponiere chiamato Fedallah (a cui si fa anche riferimento come 'il Parsi'), un enigmatico personaggio che esercita una sinistra influenza su Achab al quale profeterà che la morte li colpirà assieme.

Il romanzo descrive numerosi "gam", incontri fra due navi in mare aperto durante i quali per Achab c'è un'unica domanda che sempre pone all'equipaggio delle altre navi: «Avete visto la Balena Bianca?

Quando il Pequod entra nell'Oceano Pacifico, Queequeg si ammala mortalmente e chiede al carpentiere della nave che gli venga costruita una bara, ma poi decide di continuare a vivere, e la bara diviene così la sua cassa portaoggetti che poi verrà calafatata e adattata per rimpiazzare il gavitello del Pequod.

Da equipaggi di altre baleniere giungono notizie su Moby Dick. Il capitano Boomer del Samuel Enderby, che ha perso un braccio proprio a causa della balena, si stupisce di fronte al bruciante bisogno di vendetta di Achab. Dalla nave Rachele arriva una richiesta di aiuto per ricercare il figlio più giovane del capitano andato disperso con la sua barca durante un recente scontro con la balena bianca. Ma il Pequod adesso è davvero vicino a Moby Dick e Achab non si fermerà di certo per soccorrerli. Infine viene incrociata la Letizia mentre il suo capitano sta facendo gettare a mare un marinaio ucciso da Moby Dick. Starbuck, sentendo vicino il disastro, implora vanamente Achab per l'ultima volta di riconsiderare la sua sete di vendetta.

Il giorno dopo, il Pequod avvista Moby Dick. Per due giorni l'equipaggio insegue la balena, che infligge loro numerosi danni, compresa la scomparsa in mare del ramponiere Fedallah che al terzo giorno Moby Dick, riemergendo, mostra ormai morto avviluppato dalle corde dei ramponi. Conscio che il capodoglio che nuota lontano dal Pequod non cerca la morte dei balenieri, e che Achab è ossessionato dalla sua vendetta, Starbuck esorta un'ultima volta Achab a desistere, osservando che:

«Moby Dick non ti cerca. Sei tu, tu che insensato cerchi lei!»
(Moby Dick, Cap. 135)

Achab ignora per l'ennesima volta la voce della ragione e continua con la sua caccia sventurata. Poiché Moby Dick aveva danneggiato due delle tre lance che erano salpate per cacciarlo, l'imbarcazione di Achab è l'unica rimasta intatta. Achab rampona la balena, ma la corda del rampone si rompe. Moby Dick si scaglia allora contro il Pequod stesso, il quale, danneggiato gravemente, comincia ad affondare. Il capitano Achab rampona nuovamente la balena ma questa volta il cavo gli si impiglia al collo e, quando Moby Dick si immerge, viene trascinato negli abissi oceanici. Anche in punto di morte egli inveisce contro Moby Dick: «in nome dell'odio che provo, sputo su di te il mio ultimo respiro». La lancia viene quindi inghiottita dal vortice generato dall'affondamento della nave, nel quale quasi tutti i membri dell'equipaggio trovano la morte. Soltanto Ismaele riesce a salvarsi, aggrappandosi alla bara-gavitello di Queequeg, e dopo un intero giorno e un'intera notte viene fortunosamente recuperato dalla Rachele.

Personaggi

Il Pequod e il suo equipaggio

La nave con il suo equipaggio, destinati profeticamente alla morte, non solo è la protagonista del racconto di tutta la navigazione diretta alla caccia della balena, sia quando si ferma immobile, priva di vita, per l'assenza dei venti sia quando è squassata in tutte le sue strutture dalla tempesta, ma essa è anche il simbolo di un'avventurosa società americana multirazziale fiduciosa della forza che le proviene dalla comune volontà di vincere il male e progredire:

«È la propaggine di una civiltà americana affascinata dalle proprie potenzialità di crescita e potenza. Dall’osservazione della vita sul Pequod Ismaele trae un’immensa varietà di significati: ... le ragioni e i limiti del vivere sociale; la possibilità di una comunione che travalichi le barriere religiose, razziali, sessuali; infine, i processi che determinano l’ascesa di un capo politico.»

Il capitano Achab

Il capitano Achab è il protagonista assoluto della storia. La sua figura titanica ha un nome biblico: Ahab, nel Primo Libro dei Re (21: 26), è colui che «commise molti abomini, seguendo gli idoli». Egli guida l'equipaggio del Pequod nella folle impresa di caccia, ai quattro angoli dell'oceano, del bianco capodoglio, che ai suoi occhi ha le sembianze del biblico Leviatano. «

Roso di dentro e arso di fuori dagli artigli fissi e inesorabili di un'idea incurabile»,

Achab deve vendicarsi di Moby Dick che, aggredito, aveva reagito e gli aveva tranciato e divorato una gamba quando «

.. venne allora che il corpo straziato e l'anima ferita sanguinarono l'uno nell'altra [e] ... Achab e l'angoscia giacquero coricati insieme nella stessa branda».

Ai suoi occhi, il capodoglio è l'incarnazione del male, che egli insegue e persegue fino alla catastrofe.

Ismaele

Ismaele è il narratore, unico sopravvissuto, ma non il protagonista dell'epico racconto, e così si presenta ai lettori: «Chiamatemi Ismaele» (Call me Ishmael). Il nome ha origine biblica, nella Genesi infatti Ismaele è il figlio ripudiato di Abramo e della schiava Agar, entrambi cacciati nel deserto dopo la nascita di Isacco. Sicché "Chiamatemi Ismaele" è come dire "Chiamatemi esule, vagabondo". Egli riassume in sé la voce di tutti gli orfani, i diseredati della terra, ossia la condizione di tutti gli uomini e le donne del mondo. Descrive poco di sé stesso: solo che ha le spalle larghe e che è newyorkese.

Moby Dick

Moby Dick è descritta nel titolo come una balena bianca con uno sfiatatoio enorme, la mandibola storta, i fianchi flagellati da ramponi e «tre buchi alla pinna di tribordo». L'animale è il punto di riferimento per ogni personaggio; la sua insolita bianchezza - ovvero assenza di connotazioni etiche - simboleggia l'inaccettabile indifferenza della natura nei confronti dell'uomo. Una stranezza: il titolo del libro in lingua originale è Moby-Dick, ma poi in tutto il testo la balena è sempre chiamata Moby Dick, senza trattino.

Altri personaggi

  • Queequeg è un gigante, nativo di una fittizia isola polinesiana chiamata Kokovoko o Rokovoko. Suo padre era un Gran Capo, un Re; suo zio un Gran Sacerdote. È il primo personaggio importante incontrato da Ismaele nella Locanda dello Sfiatatoio. Sul Pequod sarà il primo ramponiere. Descritto con curiosità e rispetto da Ismaele, non si separa mai da Yojo, il suo piccolo idolo che egli venera come una divinità. È protagonista di alcuni atti eroici tra cui il salvataggio di Tashtego che stava per morire dopo essere precipitato nella testa di un capodoglio morto dal quale si stava estraendo lo spermaceti.
  • Starbuck è il primo ufficiale del "Pequod", nativo di Nantucket. Viene descritto fisicamente come alto e magro, e di carattere severo e coscienzioso. Egli è «l'uomo più cauto che si possa trovare nella baleneria», prudente ma non codardo, sarà uno dei più riluttanti ad assecondare il folle piano di Achab. Come tutto l'equipaggio perisce in mare dopo un ennesimo tentativo di uccidere la balena bianca.
  • Stubb è il secondo ufficiale, nativo di Capo Cod, descritto come un uomo allegro e spensierato, apparentemente indifferente ad ogni pericolo e minaccia, collezionista e fumatore di pipe.
  • Flask è il terzo ufficiale, nativo di Tisbury, un giovane tozzo e rubicondo, baleniere intrepido benché poco sensibile al fascino del mare.
  • Tashtego è il secondo ramponiere, un risoluto guerriero indiano nativo del "Capo Allegro", originariamente terra di guerrieri-cacciatori, che ora forniva a Nantucket molti dei suoi più audaci ramponieri.
  • Daggoo è il terzo ramponiere, «un gigantesco negro selvaggio», imbarcatosi spontaneamente da giovane su una nave baleniera dal suo villaggio nativo in Africa.
  • Pip, abbreviazione di Pippin, un nero di piccola statura, suonatore di tamburello: è un ragazzo schiavo latitante, marinaio un po' stralunato e goffo; durante gli inseguimenti alle balene inevitabilmente finisce in mare e quando per la seconda volta accade viene abbandonato nell'oceano e ripescato solo molte ore dopo, completamente impazzito. Emarginato dall'intero equipaggio, viene invece accolto da Achab, che lo sente suo simile nella follia.
  • Fedallah è un misterioso asiatico (Parsi) dai capelli a turbante, che sembra legato come un'ombra ad Achab da un influsso quasi telepatico: sarà lui a predire con una strana profezia la fine di entrambi.
  • Lana Caprina è il cuoco di bordo che viene schernito da Stubb durante la cena a base di pinna di balena.

Il viaggio del Pequod

«Ora, il Pequod era salpato da Nantucket proprio all'inizio della Stagione Equatoriale. Nessuna impresa al mondo avrebbe pertanto consentito al suo capitano di compiere la grande traversata verso sud, di doppiare Capo Horn, e poi, risalendo a nord per sessanta gradi di latitudine, di giungere in tempo nel Pacifico equatoriale per battere le sue acque. Egli avrebbe dunque dovuto attendere la stagione successiva. Nondimeno, la partenza prematura del Pequod forse era stata scelta segretamente da Achab proprio in considerazione di questo insieme di cose. Infatti, egli aveva innanzi a sé un'attesa di trecentosessantacinque giorni e altrettante notti, e invece di passarla a terra soffrendo impaziente, avrebbe impiegato quel lasso di tempo in una caccia mista, nel caso in cui la Balena Bianca, trascorrendo le vacanze in mari molto lontani dai suoi periodici siti di alimentazione, avesse mostrato la sua fronte rugosa al largo del Golfo Persico, o nella Baia del Bengala, o nei Mari della Cina, o nelle altre acque frequentate dalla sua specie. E così i monsoni, i pamperi, i maestrali, gli harmattan, gli alisei, tutti i venti, insomma, tranne il levante e il simun, avrebbero potuto sospingere Moby Dick entro il cerchio tracciato dalla scia del Pequod, nel suo tortuoso zigzagare per il mondo.»
(Capitolo 44)

Dunque il capitano Achab non doppia Capo Horn, ma il Capo di Buona Speranza: si dirige dunque a Sud, poi a Est, raggiungendo l'Oceano Pacifico attraverso l'Oceano Indiano.

Il romanzo come allegoria

Moby Dick è un’opera di estrema complessità e da oltre un secolo i critici tentano di illuminare i numerosi angoli oscuri di questo libro così vasto e così articolato. A testimonianza dei molteplici livelli di lettura dell’opera, basti tenere presente che già la definizione del genere letterario d’appartenenza non è affatto facile ed immediata: se a prima vista il romanzo pare dominato dal tema dell’avventura e dell’esplorazione, nel corso della lettura si stratificano la dimensione mitica e quasi mistico-religiosa dell’inseguimento di Moby Dick (tanto che i paralleli con la Bibbia, espliciti o sottointesi, sono innumerevoli.
Vi è poi un chiaro richiamo, tanto che alcuni passi del romanzo assumono appunto la fisionomia di un testo teatrale, alla tragedia shakespeariana, il cui influsso si evidenzia soprattutto nella creazione in senso drammatico dei personaggi del Pequod. Bisogna poi considerare la vastissima gamma di citazioni, recuperi e rimandi letterari di cui Moby Dick e la sua lingua sono intarsiati, che traspongono la vicenda di Moby Dick da un’avventura per mare a un grandioso poema dal respiro epico.
Un carattere profondo del romanzo è allora la sua componente allegorica, per mezzo della quale il viaggio del Pequod e la caccia a Moby Dick divengono immagine e simbolo della conoscenza umana e del suo interrogarsi sulla natura del Male nel mondo. La “balena bianca”, animale di per sé mitico e ignoto, terribile e inafferrabile, è quindi il simbolo di un’ossessione conoscitiva che Melville evidenzia subito. Moby Dick si apre infatti con una sezione intitolata Etimologia ed estratti, in cui il narratore Ismale accumula una serie di citazioni - dalla Genesi al Libro di Giobbe, dai Salmi al profeta Isaia, da Rabelais ai resoconti di veri balenieri, da Shakespeare al Paradiso perduto di Milton, dall’amato Hawthorne ai viaggi di Darwin - per tentare di catturare, almeno linguisticamente, l’idea della balena.
Questa caccia, reale e letteraria, prosegue poi nelle pagine del libro, in cui abbondano le minuziose descrizioni della fisionomia della balena e del capodoglio, delle tecniche impiegate nella caccia, delle modalità di estrazione del preziosissimo spermaceti, cioè la sostanza grassa e oleosa contenuta nei loro corpi. Questo mythos si collega direttamente (e acquista così ancor più spessore simbolico) col problema dell’avvistamento e della visione di Moby Dick, la cui caccia dura ben tre anni: in mare aperto, l’oggetto della ricerca di Achab e Ismaele è per lo più nascosto e invisibile, accrescendo così il proprio potere di inquietante suggestione. Moby Dick diventa allora simbolo di tutto ciò che è ignoto e inafferrabile per l’uomo.


POESIE DI GUERRA E DI MARE

IL TUMULO PRESSO IL LAGO

L’erba non dimenticherà mai questa tomba.

Quando calpestandola nel sole, verso casa

dopo la corsa in treno, spossante,

soldati ragazzi passarono alla sua porta

feriti forse, e pallidi, esangui

lei lasciò il lavoro di casa incompiuto

preparò in silenzio la tavola lungo la strada

tra le ombre dei sempreverdi, per offrire

a loro esausti del viaggio, grati.

Così fu caldo il suo cuore, senza figli, vergine

che diede loro conforto, come una madre.

IL LAGO

[…]

Sentivo la bellezza benedire il giorno

nell’opulenza del dono autunnale

ma anche l’evanescenza inarrestabile.

È passato un anno da un’ora come questa

che solo precede di poco la raffica

che spazzerà queste foglie vive dal passato

delle altre foglie morte.

[…]

Tutto muore…

Rimasi a lungo sul confine del sogno

poi per scordare l’oltraggio antico della morte[…]

Tutto muore… e non solo

gli alberi elevati e gli uomini e l’erba

anche le forme lucenti dei poeti, passano

e le imprese solenni si sgretolano

anche la verità stessa decade e, guarda,

dalle sue ceneri amare cresce e menzogna e pena.

Tutto muore…

L’uomo che opera muore, e poi la sua opera

e come di questi pini di cui seguo le tombe

statua e scultore cadono a pezzi

in ogni amaranto si annida un verme […]

«Muore, tutto muore!

L’erba mure, ma nella pioggia primaverile

ricresce, e vive di nuovo

sempre, di nuovo

vive, muore, e vive ancora.

Chi piange per questa morte di tutto?

Estate e inverno, gioia e dolore

e ogni cosa ovunque nel regno di Dio

finisce e tra poco inizierà di nuovo,

declina e cresce, cresce e declina,

ancora e con violenza

finisce, finisce, sempre, e inizia di nuovo

finisce, finisce sempre, ricomincia!»

IL TESSITORE

[…]

La faccia raggrinzita, il corpo chino,

non conosce il riposo né il vino,

vive recluso nell’astinenza,

chi tesse per l’altare di Arva.

FONTI SOLITARIE

Lo so: la gioventù favolosa fugge e svanisce:

ma tu non guardare il mondo con occhi mondani,

non adeguarti al ritmo delle stagioni.

Anticipa e precludi la sorpresa,

sta’ dove staranno i Posteri,

sta’ dove son stati e sono gli Antichi,

e immerse le tue mani in fonti solitarie,

bevi l’essenza del sapere immutabile:

saggio una volta, sarai saggio per sempre.

BUDDHA

“Infatti che cos’è la vostra vita? Nient’altro che un vapore, brevemente appare per poi dissolversi e svanire”

Nell’estasi nuova verso il meno,

aspirante al nulla!

Singhiozzi di mondi, dolore di stirpi…

Questo, i muti sofferenti…

Nirvana! Assorbi tutti noi nei tuoi cieli,

annientaci in te!

IL CAPITANO DEL METEOR

Solo sull’abisso più solo della terra

marinaio che vegli senza tregua

pensoso e leggero superi il Capo delle Tempeste

su onde mostruose che si arricciano e si infrangono.

Pensiamo a te, qui, dal margine

quando soffiamo il sidro in bolle schiumeggianti,

a te, mentre ci stringiamo in cerchio

a te che radi il vello dell’oceano,

e al Meteor che rolla verso casa.

IL FALCO DELLA NAVE DA GUERRA

Quel falco nero

della nave da guerra

che rotea nella luce

sopra la vela più alta, bianca

della nave nera

come una nuvola annerita dal sole

noi che voliamo basso, schiavi della gravità

abbiamo ali per ascendere alla sua altezza?

Nessuna freccia lo può raggiungere, nemmeno

il pensiero accedere alla quiete

suprema nel cerchio del suo regno.

LA MONTAGNA DI GHIACCIO. UN SOGNO

Ho visto una nave dall’aspetto guerriero

coi vessilli al vento con le vele spiegate

trascinata come da pazzia e basta

sfrecciare contro un iceberg immobile

e non lo scosse, anche se già la nave esaltata si inabissava.

Il cozzo precipitò grandine di immensi cubi di ghiaccio

cupi a tonnellate sfondarono la tolda:

ma quella sola valanga fu tutto

nulla si mosse, solo il relitto che colava a picco.

Dagli sperono dalle pallide creste

nemmeno l’albero più sottile e fragile nemmeno

un prima precipitò nel deserto delle gole di verde cristallo,

le stalattiti nelle grotte nelle miniere non ebbero

vibrazione quando la nave attonita colò a picco,

non un fremito scosse i gabbiani che in una bianca nuvola

ruotavano lontani attorno a un picco dai fianchi nevosi

ma neppure gli uccelli più vicini che sfioravano i banchi

bassi di ghiaccio e le rive di cristallo ebbero un brivido.

dall’urto nessun trasalimento scosse il blocco

delle orride guglie alla base,

le torri miniate dalle onde restarono immobili

sul mare sovrastante il gelido strapiombo.

Le foche viscide sonnecchianti sugli scogli scivolosi

non sgusciarono via, mai, quando agli orli più alti

rovesciata da pura inerzia la nave sussultante

s’inabissò nel vuoto nulla.

Montagna inanimata pensai, così gelida e basta

annuvolata dalla tua umidità esiziale

che esali ancora il tuo fiato stillante e alla deriva

ti compi sciogliendoti, nata per la morte,

anche se immensa e fragorosa sei come un marinaio idiota

ti muovi lenta e quelli che in te s’imbattono

ti maledicono e si inabissano a sondare il tuo precipizio nel fondo

ma non turbano la molle sonnolenza del lumacone vischioso

mollemente sdraiato lungo la morta

indifferenza delle tue mura.


18 gennaio 2024 - Eugenio Caruso

LOGO

Il fiore di girasole, logo del sito, unisce natura, matematica e filosofia.

www.impresaoggi.com