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Jean Racine esponente del teatro tragico francese del Seicento.

I personaggi del teatro classicista di Racine sono antieroi a differenza di quelli delle tragedie di Corneille. Essi sono in balìa delle primitive passioni dell'animo, dell'odio, di torbidi rapporti di sangue (odio tra fratelli, amore incestuoso), incapaci di volontà, travolti dai propri insanabili conflitti interiori. La passione è un'ineluttabile fatalità che piega i destini degli uomini e l'amore, sentimento devastante, è spesso esasperato dalla gelosia.


GRANDI PERSONAGGI STORICI Ritengo che ripercorrere le vite dei maggiori personaggi della storia del pianeta, analizzando le loro virtù e i loro difetti, le loro vittorie e le loro sconfitte, i loro obiettivi, il rapporto con i più stretti collaboratori, la loro autorevolezza o empatia, possa essere un buon viatico per un imprenditore come per una qualsiasi persona. In questa sottosezione figurano i più grandi poeti e letterati che ci hanno donato momenti di grande felicità ed emozioni. Io associo a questi grandi personaggi una nuova stella che nasce nell'universo.

FRANCESI

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Jean Racine ([La Ferté-Milon, 22 dicembre 1639 – Parigi, 21 aprile 1699) fu il massimo esponente, assieme a Pierre Corneille, del teatro tragico francese del Seicento. Nacque in una famiglia di fede giansenista, figlio primogenito di Jean Racine e Jeanne Sconin: venne battezzato a La Ferté-Milon il 22 dicembre 1639. Sua madre rimase nuovamente incinta poco dopo la nascita del futuro scrittore , cosicché fu una nutrice a occuparsi di Jean. Jeanne Sconin morì nel gennaio 1641, dando alla luce Marie. Due anni più tardi morì anche il padre di Racine; il piccolo Jean fu affidato ai nonni paterni Jean Racine e Marie Desmoulins, mentre la neonata Marie fu data in cura ai nonni materni.
Marie Desmoulins gli diede la possibilità di studiare presso eminenti grecisti, tra cui Antoine Le Maistre, Claude Lancelot e Pierre Nicole che lo iniziarono ai classici greci e influiranno notevolmente la sua opera. Per seguire gli studi filosofici si trasferì a Parigi, entrando (probabilmente nel 1646) alle « Petites Écoles » di Port-Royal, l'istituto dove aveva studiato anche Blaise Pascal. In questo periodo, durante un tumulto sollevato dalla Fronda, venne colpito da una pietra sopra l'occhio sinistro, rimediando una cicatrice che sarebbe rimasta visibile per tutta la sua vita. Tra il 1653 e il 1655 studiò al collegio di Beauvais.
Nel 1655 tornò a Port-Royal per completare la formazione retorica, seguito, a partire dall'anno successivo, dal medico giansenista Jean Hamon. In questo periodo Racine, ancora adolescente, compose i suoi primi testi, odi e inni di carattere religioso. Uscito dal collegio, venne accolto dallo zio Nicolas Vitart all'hôtel del duca di Luynes.
Nell'ottobre 1661 si trasferì presso lo zio Antonin Sconin a Uzès, dove questi era vicario generale della diocesi e intendeva fargli usufruire di un beneficio ecclesiastico, ma Racine andò progressivamente rifiutando la severa formazione giansenista impartitagli, preoccupandosi di ottenere piuttosto un ruolo nella vita mondana del tempo. L'anno prima, infatti, aveva composto l'ode La Nymphe de la Seine à la Reine in occasione delle nozze di Luigi XIV, cui dedicherà anche l'Ode sur la convalescence du Roi e La Renommée aux Muses, quando, ventitreenne, tornò a Parigi, facendo il suo ingresso a corte grazie all'intercessione del duca di Saint-Aignan.
Prima dei diciotto mesi trascorsi a Uzès, Racine era già riuscito a farsi conoscere nel mondo intellettuale parigino. Vitart aveva infatti sottoposto la succitata ode per il matrimonio del re al giudizio dell'illustre critico Jean Chapelain - il quale lo prese sotto la sua protezione -, e al celebre Charles Perrault, cosicché la poesia era stata pubblicata nelle settimane successive. Il medesimo periodo segnò anche l'inizio della duratura amicizia tra Racine e Jean de la Fontaine, con cui rimase in contatto epistolare durante il soggiorno nel mezzogiorno francese. Con il rientro nella grande città e la pubblicazione dell'Ode sur la convalescence du Roi, il poeta ricevette inoltre una gratifica economica da parte del sovrano.
Tuttavia, una vera emancipazione economica e la vera popolarità potevano venirgli solo dal teatro. Conscio delle sue abilità tragiche, si dedicò alla composizione di un'opera basata sulla saga edipica, spinto, secondo quanto scrisse nella Prefazione del 1675, da « qualche persona di spirito ». È probabile che Racine mentisse per giustificare l'insuccesso della pièce o il soggetto ardito - « ero molto giovane », aggiunse -, ma non è escluso che la Thébaide gli possa essere stata consigliata da amici quali Boileau o La Fontaine. La vicenda compositiva della prima tragedia rimane in gran parte avvolta nel mistero. Secondo alcuni fu scritta in gran parte a Uzès, secondo altri Molière, alla cui troupe il tragediografo affidò la messa in scena, avrebbe fornito a Racine il piano pronto per essere versificato, e emendato parti dell'opera.
A quanto emerge dalla corrispondenza raciniana, il giovane poeta si sarebbe prima rivolto alla rivale compagnia dell'Hôtel de Bourgogne, rinomata per la rappresentazione di tragedie, e solo in seguito ai tempi lunghi che gli venivano prospettati, impaziente, avrebbe scelto Molière (la cui troupe si distingueva meglio nelle commedie), che in quel momento voleva contrapporre una Thébaïde a quella di Charles Boyer, prevista proprio all'Hôtel de Bourgogne. In ogni caso La Thébaïde ou les Frères ennemis, già ultimata nel dicembre 1663, fu rappresentata il 20 giugno 1664, in un periodo infausto come quello estivo, riscuotendo scarso successo.

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In fondo al frutteto di Port-Royal è visibile l'edificio in cui si trovavano les « Petites Écoles » ai tempi di Racine. L'estensione del XIX secolo è invece oggi un museo


Il decennio tra il 1667 e il 1677 fu per Racine il culmine della sua carriera. Con Andromaca trovò per la prima volta il suo stile personale, a imitazione della tragedia greca. Il poeta era ormai alla pari con il suo famoso rivale Corneille. L'unica commedia I litiganti, in cui cercava di competere con Molière, non ebbe molto successo. Le sue seguenti tragedie Britannico, Berenice e Mitridate trattano della storia romana. Dopo il successo di Bajazet, opera con numerosi intrighi alla corte turca, Racine fu eletto all'Académie française il 12 gennaio 1673. Inoltre scrisse Ifigenia, il cui soggetto è tratto dal poeta greco Euripide. Fedra tratta ancora dalla mitologia greca ed è considerata oggi il pezzo forte di Racine. Tuttavia, ebbe solo un moderato successo alla sua prima.
Nel 1677 divenne lo storiografo ufficiale della corte francese; nel 1679, forse a causa di uno scandalo di corte, si ritirò a vita privata. In quel periodo la sua fede giansenista rifiorì: Racine, che nel frattempo si era sposato con Cathérine Romanet, da cui ebbe sette figli, tornò al teatro solo tra il 1689 e il 1691, con opere a tema didattico-religioso tratte dall'Antico Testamento.
Racine ricevette nel dicembre 1690 una carica di «Gentilhomme ordinaire de Sa Majesté». Divenne parimenti Tesoriere di Francia, carica che gli assicurava una rendita. Infine venne nominato storiografo del re nel 1677, contemporaneamente a Nicolas Boileau.
Gli ultimi anni di vita li trascorse, con la moglie e i figli, a Parigi, dove morì. Per sua espressa volontà fu sepolto a Port-Royal des Champs.

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Molière


Temi delle tragedie
I personaggi del teatro classicista di Racine sono antieroi a differenza di quelli delle tragedie di Corneille. Essi sono in balìa delle primitive passioni dell'animo, dell'odio, di torbidi rapporti di sangue (odio tra fratelli, amore incestuoso), incapaci di volontà, travolti dai propri insanabili conflitti interiori. La passione è un'ineluttabile fatalità che piega i destini degli uomini e l'amore, sentimento devastante, è spesso esasperato dalla gelosia. La debolezza d'animo dei personaggi e il pessimismo dell'autore riflettono una visione giansenista dell'esistenza. Racine è quindi poeta della coscienza del male, dell'impossibilità, per i suoi personaggi, di scegliere il bene e di sottrarsi al destino senza l'aiuto della Grazia di Dio. Frequenti sono le scene sanguinose e macabre e lo sfondo delle vicende è cupo. La trama è semplice e lineare ed il linguaggio è elevato.
Critica
A proposito della tragedia raciniana, emblematica della tragedia nell'âge classique francese, Michel Foucault ha scritto:

«Nel teatro di Racine ogni giornata è minacciata da una notte: notte di Troia e dei massacri, notte dei desideri di Nerone, notte romana di Tito, notte di Atalia. Sono queste grandi facce di notte, questi quartieri d'ombra che frequentano il giorno senza lasciarsi annientare, e non spariranno se non nella nuova notte della morte. E, a loro volta, queste notti fantastiche sono ossessionate da una luce che forma come il riflesso infernale del giorno: incendio di Troia, torce dei pretoriani, luce pallida del sogno. Nella tragedia classica francese giorno e notte sono disposti a specchio, si riflettono all'infinito e danno a questa semplice coppia un'improvvisa profondità che con un solo movimento avvolge tutta la vita e tutta la morte dell'uomo».

Opere

Tragedie

  • La Tebaide o i fratelli nemici (La Thébaïde ou les Frères ennemis, 1664)
  • Alessandro il Grande (Alexandre le Grand, 1665)
  • Andromaca (Andromaque, 1667)
  • Britannico (Britannicus, 1669)
  • Berenice (Bérénice, 1670)
  • Bajazet (1672)
  • Mitridate (Mithridate, 1673)
  • Ifigenia (Iphigénie, 1674)
  • Fedra (Phèdre, 1677)
  • Esther (1689)
  • Atalia (Athalie, 1691)

Commedie

  • I litiganti (Les Plaideurs, 1668)

IFIGENIA

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Ifigenia dipinto di Anselm Feuerbach


Venne rappresentata per la prima volta a Versailles il 18 agosto 1674, e fu pubblicata l'anno successivo a Parigi "Chez Claude Barbin ... Avec privilege du Roy".
Trama
La flotta greca è pronta per salpare verso Troia, ma i venti sono fermi e il mare è piatto: l'oracolo Calcante (una figura che non compare mai sulle scene ma del quale sono riportate le parole) annuncia il volere degli Dei affinché le navi possano partire, ossia il sacrificio della figlia del re dei re Agamennone: Ifigenia. Tutta la tragedia è costruita su equivoci tragici e sul conflitto interiore di Agamennone, diviso tra l'ambizione di re e le responsabilità di fronte all'esercito che vuole partire per cercare gloria sui lidi di Troia contro l'amore paterno per la figlia, promessa sposa di Achille il quale giurerà di difenderla a costo della vita contro il volere degli Dei. Ulisse esorta l'uomo al sacrificio, ricordandogli doveri e possibilità delle conseguenze dell'atto. Dopo una serie di ripensamenti, Agamennone decide di ingannare l'oracolo per evitare il sacrificio, permettendo la fuga di Ifigenia e della propria moglie Clitennestra ma Erifile, portata in Aulide come schiava dopo la vittoria di Achille a Lesbo, la quale non conosce le sue origini e il suo nome, seppure senta dentro di sé di appartenere a una stirpe reale, innamorata segretamente dell'eroe, rivela l'inganno progettato da Agamennone a Calcante. Il sacrificio sembra imminente, quando Calcante chiarisce l'oracolo: c'è un'altra Ifigenia che deve essere resa in dono agli Dei. Si tratta della schiava Erifile, nata dalla relazione clandestina tra Elena e Teseo e chiamata segretamente Ifigenia.
Differenze tra le tragedie antiche e quella di Racine
Euripide tratta di Ifigenia in due opere: Ifigenia in Tauride (scritta per prima, ma che svolge una vicenda cronologicamente successiva a quella del sacrificio in Aulide), in cui si inscena la storia del riconoscimento tra la giovane e il suo fratello minore Oreste, e Ifigenia in Aulide, in cui si presenta la vicenda interiore di Agamennone alle prese con un oracolo per lui decisamente infausto. In questa opera, Ifigenia viene salvata dal sacrificio dalla dea Artemide, la quale trasforma in extremis la fanciulla in una cerva (per cui tutti si accorgono della trasformazione e sostengono la dipartita della ragazza con gli dei, ma sappiamo dall'altra opera euripidea quale ne fu il destino). Racine grazie alla sua straordinaria conoscenza dei miti classici attinge questo finale da un'altra versione classica anche se molto meno nota, quella di Stesicoro. Il motivo di questa scelta si può ricondurre alla consuetudine, per gli autori di opere teatrali del periodo, di attenersi a delle regole: la bienséance (decoro, decenza), secondo la quale sarebbe stato ignobile far comparire sulle scene il sacrificio di una fanciulla esente da colpe, e la vraisemblance (verosimiglianza), per cui la trasformazione di una donna in cervo non sarebbe stata verosimile.


LA TEBAIDE O I FRATELLI NEMICI

Trama
Atto primo
Dopo essere stato cacciato da Tebe, Polinice guida una spedizione di argolidi con l'intenzione di ascendere a un trono che gli spetta in comproprietà con il fratello Eteocle. Questi, pur disposto a ricevere Polinice e a trattare con lui la pace, gode del favore popolare e del sostegno dello zio Creonte, la cui ambizione è di accrescere l'odio tra i fratelli e diventare re.
Atto secondo
Dopo che è stata definita una tregua tra i due schieramenti, Emone confida tutto il suo amore ad Antigone. Per lei si è aggregato al campo di Polinice, ed è disposto ad assecondare ogni sua volontà, pur di vedersi ricambiato. Sopraggiunge poi Olimpia, rendendo noto il vaticinio dell'oracolo, secondo cui non ci sarà pace prima che l'ultimo sangue reale abbia insanguinato la terra tebana. Polinice, infuriato contro l'ingiustizia divina, è deciso a riprendere le ostilità, nonostante la madre e la sorella tentino di dissuaderlo. Poco dopo, un soldato greco reca la notizia del ripreso combattimento: Creonte ed Eteocle hanno rotto la tregua.
Atto terzo
Meneceo, figlio di Creonte, si è immolato sul campo di battaglia per salvare la città. Convinto di realizzare la profezia dell'oracolo, si è trafitto con la spada sotto gli occhi dei due fratelli nemici e del padre. Creonte allora si oppone a Eteocle, deciso a vendicare Meneceo, invocando la pace e spingendo il re ad accettare l'incontro che Polinice gli ha chiesto. Rimasto solo con Attalo, Creonte rivela che le sue ambizioni non sono mutate, ma ha deciso di cambiare strategia. La guerra ha causato la morte di Meneceo e l'allontanamento dell'altro suo figlio Emone, passato al nemico: conscio dell'odio che divide Eteocle da Polinice, confida si possano distruggere vicendevolmente.
Atto quarto
Giocasta è felice di vedere i figli parlare assieme, fiduciosa in un'intesa tra loro. Nell'incontro tra i due fratelli erompe però l'odio reciproco, e l'immutabilità della rispettiva posizione. Eteocle è il sovrano amato dal popolo, Polinice si vale di prerogative divine e giuridiche. Quand'è ormai chiaro che non potrà esserci un accordo di pace, Eteocle e Polinice si sfidano a duello - chi vincerà avrà il regno -, mentre Giocasta, disperata, annuncia il proprio suicidio.
Atto quinto
Antigone non vive ormai che per Emone: la madre si è uccisa, e le è giunta voce che Polinice ha vinto il duello, trafiggendo il fratello. La realtà è ben peggiore, come le racconta poco dopo Creonte. Anche Polinice è morto, colpito dal nemico mentre esalava l'ultimo respiro, e persino Emone, gettatosi in mezzo a loro per soddisfare il compito di pace assegnatogli da Antigone, è stato trucidato da Eteocle. Creonte, destinato ormai al trono, dispone che la giovane amante del figlio diventi sua sposa, ma successivamente rimane sconvolto, perché anche Antigone si suicida. In preda al dolore e ai rimorsi, Creonte pone fine ai suoi giorni.

Personaggi

  • Eteocle, re di Tebe
  • Polinice, suo fratello
  • Giocasta, loro madre
  • Antigone, sorella di Eteocle e Polinice
  • Creonte, fratello di Giocasta
  • Emone, figlio di Creonte, amante di Antigone
  • Olimpia, confidente di Giocasta
  • Attalo, confidente di Creonte
  • Un soldato dell'esercito di Polinice
  • Guardie


L'opera
Pochissimo è noto circa la genesi della prima tragedia raciniana; l'autore ne fa parola solo privatamente, in tre lettere inviate tra il novembre e il dicembre 1663 all'abate Le Vasseur. Da queste missive apprendiamo che la composizione procedette in maniera spedita, nonostante le molte modifiche apportate dal drammaturgo - in particolare tagli e variazioni suggerite da coloro cui sottopose il testo. Fu la troupe di Molière a portare La Thébaïde sulla scena venerdì 20 giugno 1664 al Palais-Royal di Parigi. La rappresentazione ebbe poco successo, come testimonia il registro tenuto da La Grange. Data la scarsa affluenza di pubblico, dopo le prime serate Molière affiancò alla pièce una sua farsa. La Thébaïde fu rappresentata quattordici volte al Palais Royal, e il disinteresse generale è testimoniato, oltre che dall'indifferenza del pubblico, dal silenzio della critica: nessuna delle gazzette letterarie dell'epoca parlò dell'opera. Anche nel XVIII secolo, quando il repertorio raciniano era ormai affermato, la pièce venne messa assai di rado in scena, sottoposta piuttosto alla curiosità e alla fantasia di biografi e critici i quali, considerato il mistero che avvolgeva le origini della tragedia, ne arricchirono di aneddoti la genesi. Tra le ipotesi che godettero di maggior fortuna figura quella di Grimarest, biografo di Molière: secondo lui il commediografo, dovendo al più presto opporre una tragedia che rivaleggiasse con l'Hôtel de Bourgogne, fornì al giovane Racine il piano dell'opera e in seguito la emendò. Tuttavia, le succitate lettere a Le Vasseur suggeriscono una conoscenza molto sommaria tra Molière e Racine al momento della composizione della tragedia. Inoltre, la missiva raciniana del dicembre afferma che la Thébaïde è prevista, in un prossimo futuro, all'Hôtel, da cui si può dedurre come la pièce fosse stata redatta con la supervisione della Grande-Compagnie che vi operava. Solo successivamente, quindi, Racine si sarebbe rivolto alla troupe del Palais Royal. Racine si premurò soprattutto di mantenere l'unità di azione; nella prefazione del 1675 rimproverò infatti all'Antigone (1637) di Rotrou - che pure tenne presente per la composizione dell'opera - l'« aver messo assieme due azioni diverse in un'unica pièce », caratteristica sempre meno tollerata dopo la metà del secolo. Tra le altre fonti della Tebaide figurano Le fenicie di Euripide e, in misura minore, l'Antigone di Sofocle.


ANDROMACA

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Trama
I personaggi sono: Pirro, figlio di Achille; Ermione, fidanzata di Pirro; Andromaca, moglie di Ettore, morto dopo la caduta di Troia; Astianatte, figlio di Andromaca e Ettore; Oreste, ambasciatore inviato dai greci. Nel palazzo di Pirro a Butroto (Butrinto) nell'Epiro, Ermione attende le nozze promesse, per cui è venuta da Sparta. Ma Pirro indugia, la trascura per amore di Andromaca, che è sua schiava.
A lei offre la mano, la corona e la salvezza per il figlio Astianatte. Preoccupati, i greci inviano a lui Oreste, per chiedere il fanciullo. Oreste è innamorato di Ermione e spera che Pirro rifiuti e lasci la fidanzata, che potrebbe così rispondere al suo amore. La minaccia dei greci, diviene un'arma in mano a Pirro, nel tentativo di piegare Andromaca: ma anche se straziata, resiste.
Ermione rivela ad Oreste il suo amore per Pirro, e gli chiede di porre la scelta a Pirro tra lei e Astianatte.
A dispetto dell'amore per Andromaca, Pirro decide di consegnare Astianatte e sposare Ermione. Oreste è disperato, mentre Ermione è raggiante di felicità, a cui si associa il disprezzo per la principessa troiana, che ora viene a supplicarla in favore del figlio. Un incontro tra la schiava e Pirro, sembra capovolgere la situazione: Pirro le offre di sposarla e di porre in salvo la vita del figlio. Andromaca accetta, ma il suo disegno è di sposarlo, assicurare la sua protezione al figlio e quindi darsi la morte. Ermione, davanti a questo affronto, chiama Oreste e, invocando il suo amore, gli chiede di uccidere Pirro. Combattuta tra orgoglio e amore, attende l'esito; quando Oreste gli viene a riferire che l'infedele è stato ucciso, scoppiano il suo dolore e il suo amore. Respinge quindi l'uomo che troppo l'ha ubbidita e corre a suicidarsi sul cadavere del promesso sposo. Oreste, in preda alla follia, sviene e Pilade ne approfitta per portarlo via.
L'opera
È il primo capolavoro di Racine, il primo esempio del suo teatro di nuda passione e realismo psicologico. La parte iniziale presenta un carattere complesso da cui deriva l'alterno moto dei personaggi, che si dispiega nello svolgimento della tragedia in un gioco di due coppie che si respingono e si ricercano. Ermione, veemente e appassionata, è la prima delle amanti frenetiche raciniane; Andromaca, affidata all'interpretazione di Mademoiselle Du Parc, riveste l'opera di luce poetica, col suo candore virgiliano. Racine purifica Andromaca, togliendole anche la nuova maternità (Molosso), che era nell'Andromaca di Euripide, e a cui fugacemente accenna Virgilio nell'Eneide (Libro III), da cui Racine prende la sua prima ispirazione.

Personaggi

  • Andromaca, vedova di Ettore, prigioniera di Pirro
  • Pirro, figlio di Achille, re d'Epiro
  • Oreste, figlio di Agamennone
  • Ermione, figlia di Elena, fidanzata di Pirro
  • Pilade, amico di Oreste
  • Cleone, confidente di Ermione
  • Cefisa, confidente di Andromaca
  • Fenicio, tutore di Achille
  • Seguito di Pirro
  • Seguito di Oreste

 

6 aprile 2024 - Eugenio Caruso

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Tratto da

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