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I passi della crisi 2008 - 2012 - Parte XIV


Io non voglio uomini consenzienti attorno a me. Voglio chi mi dica la verità, anche se questo può costargli il posto.
Samuel Goldwyn


L’articolo è  il seguito di
Come si è arrivati alla grande crisi del 2008 Parte I,
I passi della grande crisi 2008 - 2009 Parte II,
I passi della grande crisi 2008 - 2009 Parte III,
I passi della grande crisi 2008 - 2009 Parte IV,
I passi della grande crisi 2008 - 2009 Parte V,
I passi della crisi 2008 -2010 - Parte VI
I passi della crisi 2008 - 2010 - Parte VII
I passi della crisi 2008 - 2010 - Parte VIII
I passi della crisi 2008 - 2010 - ParteIX
I passi della crisi 2008 - 2011 - Parte X
I passi della crisi 2008 - 2011 - Parte XI
I passi della crisi 2008 - 2011 - Parte XII
I passi della crisi 2008 - 2011 - Parte XIII

Con riferimento ai succitati articoli, questo prosegue, per il primo trimestre del 2012,  l’analisi delle performance economico-finanziarie degli stati sovrani e delle più importanti imprese del pianeta. Con particolare attenzione è analizzata la situazione italiana. Sono, inoltre, presi in considerazione tutte le più importanti iniziative degli stati e delle organizzazioni internazionali e nazionali, nonché gli andamenti delle economie di vari paesi. L’articolo viene aggiornato quotidianamente.

Ottime notizie per i lavoratori tedeschi (2 gennaio 2012).
La Germania chiude il 2011 con il massimo record di occupazione dalla riunificazione del Paese avvenuta nel 1990. Lo ha annunciato oggi l'Ufficio federale di statistica a Wiesbaden, precisando che lo scorso anno erano occupate 41,04 milioni di persone, 535.000 in più rispetto al 2010. L'occupazione è salita dell'1,3 per cento. Il mercato del lavoro tedesco ha beneficiato della ripresa economica goduta dal Paese dopo la recessione del 2009, registrando un tasso di disoccupazione sotto la soglia del 7%, il livello più basso da oltre 20 anni. Gli esperti prevedono che il miglioramento continui anche quest'anno, ma avvertono che sará meno pronunciato a causa del previsto rallentamento della crescita. Nel 2011 il Pil tedesco è cresciuto di circa il 3%, ma la maggior parte degli esperti concorda sul fatto che nel 2012 fará un ben più modesto 0,5 per cento. Che il 2012 sarà più difficile dell'anno appena passato lo ammette anche il ministro dell'economia, Wolfgang Schauble: «Il 2012 - ha detto Schauble - sarà probabilmente più difficile del 2011, ma l'econimia tedesca é in buona salute». Il ministro ha poi lanciato un appello ai suoi colleghi dell'Eurozona «a fare il necessario per consolidare il loro bilanci e portare avanti le riforme». Su quest'ultimo aspetto è intervenuta Bundesbank. In un'intervista al quotidiano Tagesspiegel, il presidente Jens Weidmann ha detto che la Germania deve proseguire nella sua azione di consolidamento del bilancio pubblico per continuare a dare "il buon esempio" ai suoi partner europei. «L'obiettivo è raggiungere in tempi rapidi un equilibrio di bilancio», ha detto Weidmann aggiungendo di non condividere la decisione del governo di concedersi una "pausa" a tale riguardo. «La Germania ha una responsabilità particolare in quanto pilastro della stabilità dell'unione monetaria», ha aggiunto. Per questo motivo, il Paese «non deve allentare il suo impegno» per ridurre il deficit. Stando alle stime della Bundesbank, il deficit pubblico tedesco è passato dal 4,3% del 2010 all'1,3% nel 2011 e dovrebbe toccare l'1% nel 2012 e lo 0,7% nel 2012. Weidmann si è detto anche prudentemente ottimista riguardo alle prospettive di crescita del Paese: il mese scorso, la Banca centrale ha riferito di un tasso del 3% nel 2011, prevedendo lo 0,6% nel 2012 e l'1,8% nel 2013, «a condizione che non si aggravi la crisi del debito». «Una delle lezioni apprese dalla crisi è che non si può rinviare il consolidamento», ha sottolineato Weidmann. Una buona notizia arriva intanto dalla Süddeutsche Zeitung: secondo i calcoli fatti dal quotidiano stampato a Monaco di Baviera, a partire dal 2012 i lavoratori tedeschi si ritroveranno in tasca 160 euro in più all'anno. Ciò grazie alle facilitazioni entrate in vigore con l'anno nuovo, in particolare la riduzione dal 19,9 al 19,6% dei contributi pensionistici da ripartire a metà tra datori di lavoro ed occupati. Grazie a questa misura ogni lavoratore si ritroverà in tasca al netto 60 euro in più, mentre gli altri 100 euro aggiuntivi derivano dall'aumento delle detrazioni fiscali per vari tipi di previdenza individuale. Ad approfittare di questa somma saranno le persone con un reddito annuo lordo compreso fra 24mila e 66mila euro, mentre per chi guadagna di più il beneficio non supererà i 65 euro all'anno.

Auto: crollano le vendite (3 gennaio 2012).
Nel 2011, in Italia, sono state immatricolate 1.748.143 nuove auto, in calo del 10,88% rispetto alle 1.961.579 immatricolazioni del 2010. Sono i dati diffusi dalla Motorizzazione e dal ministero dei Trasporti. Ancora più consistente la flessione delle vendite a dicembre: nell'ultimo mese dell'anno appena trascorso le immatricolazioni sono state infatti 111.212, con un crollo del 15,3% nel confronto con lo stesso mese del 2010. Nello stesso periodo di dicembre 2011 sono stati registrati 386.710 trasferimenti di proprietà di auto usate, con una variazione di -6,38% rispetto a dicembre 2010, durante il quale furono registrati 413.050 trasferimenti di proprietà (nel mese di novembre 2011 sono stati invece registrati 390.822 trasferimenti di proprietà di auto usate, con una variazione di -6,56% rispetto a novembre 2010, durante il quale furono registrati 418.239 trasferimenti di proprietà). Se si confronta il 2011 con l'anno record 2007 - precisa Federauto - la perdita è stata del 30%, ovvero -745mila vetture. Il gruppo Fiat (Chrysler compresa) ha immatricolato in dicembre 31.703 vetture, con una flessione del 19,8% rispetto allo stesso periodo del 2010. Nell'intero 2011 il calo è del 13,8% a 515mila da 598mila. Si è quindi leggermente ridotta la quota Fiat, pari al 28,5% in dicembre (contro il 30,14%) e al 29,5% nei dodici mesi (contro il 30,5%). Il confronto con i principali gruppi esteri vede la tenuta (+1,26%) della sola Volkswagen (che incrementa la quota da poco meno del 12% al 13,15% con quasi 230mila vetture vendute), mentre accusano netti cali percentuali la francese Psa (Peugeot-Citroen) con -24%, Ford (-20%), Renault (-15%). Continua il fenomeno Mini (+20% nell'anno con oltre 21mila vetture vendute). Tuttavia i marchi Fiat archiviano il 2011 con un totale di oltre 514 mila auto immatricolate e una quota di circa il 29,5 per cento, sostanzialmente in linea con quella del 2010. In dicembre, le auto registrate da FGA sono 31.700 per una quota del 28,5%. Il brand Fiat ha immatricolato nel 2011 oltre 363 mila vetture ottenendo una quota del 20,8 per cento. A dicembre, le auto Fiat vendute sono circa 22.800 per una quota vicina al 20,5 per cento. Le immatricolazioni Alfa Romeo nel 2011 sono oltre 58 mila e la quota é del 3,3 per cento (rispetto al 2010 i volumi crescono del 12% e la quota aumenta di 0,7%). Il marchio in dicembre ha venduto oltre 3.000 vetture, per una quota del 2,7 per cento. Positivi i risultati della Giulietta nel 2011 che, con il 13% di quota, si conferma modello di punta del brand e protagonista nel segmento C. Per una visione complessiva clicca qui.

Chrysler sugli scudi (4 gennaio 2012).
Chrysler Group negli Stati Uniti ha registrato nel mese di dicembre vendite pari a 138.019 unità, in aumento del 37 per cento rispetto allo stesso periodo del 2010 (100.702 unità), che rappresenta la miglior performance da maggio 2008. Per l'intero esercizio, il Gruppo Chrysler ha registrato vendite pari a 1,37 milioni di unità, con un miglioramento del 26 per cento rispetto al 2010 e il più elevato aumento percentuale di qualsiasi altro costruttore full-liner. Nel 2011, i marchi Chrysler, Jeep, Dodge e Ram Truck hanno tutti registrato significativi aumenti delle vendite rispetto al 2010. Per il Gruppo Chrysler, il mese di dicembre ha segnato il ventunesimo mese consecutivo di aumenti delle vendite e il settimo mese consecutivo di aumenti di almeno il 20 per cento. L'aumento del 37 per cento registrato per il mese di dicembre è in parte attribuibile alle forti vendite dell'ammiraglia Chrysler 300, della berlina media Chrysler 200, delle berline sportive Dodge Charger e Avenger, dei pickup Ram e delle Jeep Grand Cherokee, Wrangler e Compass. Per il marchio Chrysler, l'aumento dell'83 per cento, trainato dalle forti vendite delle berline Chrysler 300 e Chrysler 200, rappresenta il più alto incremento percentuale di tutti i marchi del Gruppo Chrysler e il miglior mese da agosto 2008. I brand Jeep, Dodge e Ram Truck hanno entrambi conseguito aumenti percentuali a due cifre per il mese di dicembre, mentre il marchio FIAT ha registrato un miglioramento del 44 per cento rispetto al mese di novembre. Per Chrysler in particolare, nel mese di dicembre le vendite della Chrysler 200 sono cresciute del 661 per cento rispetto al precedente modello nel mese di dicembre 2010, mentre le vendite della Chrysler 300 sono aumentate del 242 per cento. In dicembre Chrysler ha lanciato la nuova Chrysler 300 Luxury Series, ideata per essere l'ammiraglia Chrysler più lussuosa di sempre. Le vendite del marchio Jeep sono cresciute del 41 per cento nel mese di dicembre, segnando il miglior mese da dicembre 2007 e il ventesimo mese consecutivo di crescita. Le Jeep Wrangler, Grand Cherokee e Compass hanno contribuito in maniera significativa alla crescita del 41 per cento registrata dal marchio. L'aumento del 1.035 per cento registrato per le vendite di Jeep Compass rappresenta il più elevato aumento percentuale registrato tra i vari modelli del Gruppo Chrysler per il mese di dicembre. La Wrangler ha stabilito un nuovo record di vendite per il mese di dicembre e il settimo record mensile consecutivo del 2011. La Jeep Grand Cherokee ha registrato un aumento delle vendite del 36 per cento, segnando il miglior mese a livello di vendite da dicembre 2005. Il marchio Dodge ha registrato un aumento del 28 per cento rispetto a dicembre 2010. L'incremento registrato dal marchio è stato trainato dall'aumento del 227 per cento delle vendite della nuova Dodge Charger, che ha anche segnato il miglior dicembre del modello dal 2007. Le nuove Dodge Avenger e Dodge Journey hanno entrambe segnato aumenti percentuali a due cifre rispetto a dicembre 2010. Anche il nuovo Dodge Durango ha contribuito all'aumento delle vendite registrato dal marchio per il mese di dicembre, con una crescita del 22 per cento rispetto al mese di novembre. Nel mese di dicembre, il marchio Dodge ha presentato in anteprima la Dodge Dart 2013, berlina a cinque porte dotata di tecnologie all'avanguardia che competerà nel segmento delle compatte. La Dart farà il suo debutto il 9 gennaio al Salone Internazionale dell'Auto di Detroit. Il marchio Ram Truck ha registrato un aumento delle vendite del 10 per cento rispetto allo stesso mese del 2010, segnando il miglior mese da agosto 2008. Le vendite del gigantesco pickup Ram sono salite del 12 per cento, segnando il miglior mese da marzo 2008. All'aumento hanno contribuito sia i modelli light-duty sia quelli heavy-duty. Per l'intero esercizio, i pickup Ram hanno conseguito un aumento delle vendite del 23 per cento. Nel mese di novembre, la rivista Four Wheeler ha nominato il Ram 2500 Power Wagon "Pickup Truck of the Year".

ISTAT: disoccupazione giovanile (5 dicembre 2012)
E' allarme disoccupazione per i giovani in Italia. A novembre, in base ai dati provvisori diffusi dall'Istat, il tasso di disoccupazione giovanile è salito al 30,1%: si tratta del dato più alto dal gennaio del 2004, anno in cui sono iniziate le serie storiche mensili. In sostanza, un giovane su tre di coloro che partecipano al mercato del lavoro, di età compresa tra i 15 e i 24 anni, è disoccupato. Il dato sulla disoccupazione giovanile (fascia 15-24 anni) é il più alto, sottolineano i tecnici dell'Istat, "dal gennaio 2004, quindi dall'inizio delle serie storiche mensili". La crisi economica appare essersi poi abbattuta con forza sul mercato del lavoro. Sono 670mila gli occupati in meno in Italia dall'aprile del 2008, inizio della crisi, e novembre 2011. Ad aprile del 2008 gli occupati erano 23.573.000, mentre a novembre 2011 erano 22.906.000.010. Nel terzo trimestre 2011 il tasso di disoccupazione é pari al 7,6%, un decimo di punto in più rispetto al terzo trimestre 2010. L'Istat rende noti anche i dati provvisori di novembre, con un tasso di disoccupazione all'8,6%, in aumento di 0,1 punti percentuali su ottobre e di 0,4 punti su base annua: si tratta del dato più elevato da maggio 2010. In particolare a novembre 2011 gli occupati sono 22.906 mila, in diminuzione dello 0,1% (-28 mila unità) rispetto a ottobre. Il calo riguarda la sola componente femminile. Nel confronto con lo stesso mese dell'anno precedente l'occupazione diminuisce di 67 mila unità pari allo 0,3%. Quanto al tasso di occupazione si attesta al 56,9%, in diminuzione di 0,1 punti percentuali nel confronto congiunturale e di 0,2 punti in termini tendenziali.

UNGHERIA: rischio default (5 dicembre 2012).
Si aggrava la situazione in Ungheria, con rendimenti dei titoli di Stato ai massimi storici, il fiorino ungherese ai minimi sull'euro e un flop della domanda sull'asta di bond collocati dal governo di Budapest. In questo quadro cresce il rischio di default con il rialzo dello spread tra i titoli ungheresi e quelli britannici a 750 punti. In salita anche i cds a quota 745. Budapest è finita nel mirino della speculazione finanziaria dopo che il governo di Viktor Orban ha dato l'ok a una legge costituzionale approvata la scorsa settimana dal Parlamento nazionale che minaccerebbe l'indipendenza della banca centrale. Norma che violerebbe il Trattato di Lisbona e per questo motivo ha causato l'interruzione delle trattative per i prestiti da parte del Fmi e dell'Ue al Paese. Le tensioni in Ungheria impattano direttamente su Unicredit e Intesa Sanpaolo, le due banche italiane con l'esposizione più forte in Ungheria. Nel dettaglio le controllate di Intesa Sanpaolo e Unicredit in Ungheria sono rispettivamente la quinta e la settima banca del Paese magiaro. Come conseguenza di questa crisi politica-finanziaria, il fiorino continua a segnare record negativi. Oggi un euro vale più di 322 fiorini. La valuta ungherese non era mai stata così debole e la sua tendenza al ribasso conferma un trend che già ieri l'aveva vista superare il muro di quota 320. La debolezza del fiorino si conferma anche rispetto al franco svizzero, scambiato a 264,5 fiorini, e al dollaro Usa, scambiato a 249,5 fiorini. Il franco è un punto di riferimento importante per l'Ungheria, dal momento che un'importante quota dei mutui in valuta estera contratti dai privati è denominato in tale valuta. Budapest vede poi nero anche sul fronte dei titoli di stato, il cui rendimento stamani è segnalato in ulteriore salita. Oggi i bond a 10 anni hanno un rendimento del 10,9 per cento. Solo ieri il rendimento di riferimento è stato fissato al 10,58 per cento. Si tratta del rendimento più alto degli ultimi 10 anni. Sempre sul fronte dei titoli di Stato, l'Ungheria ha collocato 35 miliardi di fiorini ungheresi in titoli di Stato a 12 mesi, un ammontare inferiore a quanto pianificato (45 miliardi) con rendimenti in rialzo al 9,96% rispetto all'asta del 20 dicembre di Bill a 3 mesi (7,03%) e a quella del 22 dicembre di Bill a 12 mesi (7,91%). «È chiaro che l'Ungheria non può andare avanti con i suoi mezzi. È una conseguenza dello stato di fatto» del Paese, spiega Chiara Manenti di Intesa Sanpaolo. L'indipendenza della banca centrale «è un prerequisito indispensabile» perché possano essere avviati i negoziati per la concessione degli aiuti finanziari all'Ungheria. Lo ha detto il portavoce della Commissione europea, Olivier Bailly, ribadendo per il terzo giorno consecutivo che Budapest non ha chiarito i dubbi sulla legge costituzionale che pone la banca centrale sotto controllo politico. L'indipendenza dell'istituzione, ha aggiunto Bailly, «preoccupa la Ue, lo Fmi, la Bce e i mercati». «Sta alle autorità ungheresi - ha aggiunto il portavoce - chiarire come vogliono fare per ristabilire certezze che diano stabilita». «Una decisione sull'avvio dei negoziati formali - ha affermato Olivier Bailly - ci sarà solo quando avremo certezza dell'ambiente legale. Nel frattempo stiamo analizzando la nuova legge e avremo le risposte molto presto». Bailly ha quindi ricordato come l'art.130 del Trattato di Lisbona stabilisce che le banche centrali europee «devono essere pienamente indipendenti» e che «non possono ricevere istruzioni da alcun politico al si sopra di loro». Inoltre ha sottolineato che «tutte le banche centrali europee sono connesse», ma se «una non è allineata crea problemi a tutta l'Europa». Secondo altre fonti della Commissione «la Bce avrebbe sicuramente problemi a lavorare con una banca non indipendente». Scetticismo è stato poi mostrato nei confronti dell'ipotesi, ventilata da Budapest, di potersi rivolgere alla Cina o altri partner per ottenere i finanziamenti necessari per salvare il Fiorino in caduta libera e allontanare il rischio di default del Paese. «Non crediamo ad una parola di quello che dicono», ha detto una fonte europea a conoscenza del dossier. «Siamo consapevoli della difficoltá della situazione, vogliamo un accordo con il Fondo monetario e se serve potremmo cambiare anche la legge sulla banca centrale», ha detto durante una conferenza stampa Tamas Fellegi, capo negoziatore con il Fondo sul pacchetto di aiuti. «Posso negoziare un accordo provvisorio, ma deve essere alle condizioni più favorevoli possibili» ha aggiunto Fellegi, secondo quanto riporta il Wall Street Journal, dopo un colloquio con il premier ungherese Viktor Orban, e a pochi giorni dalla missione dell'11 gennaio a Washington nella sede del Fondo monetario internazionale.

Vertice Merkel Sarkozy (9 dicembre 2012).
Introdurre la Tobin tax e anticipare il vertice europeo previsto a marzo è questa l'ipotesi che emerge dal vertice tra Angela Mekel e Nicolas Sarkozy. Un faccia a faccia che è servito anche a chiarire le diversità di vedute emerse negli ultimi giorni tra Francia e Germania. «Il summit europeo previsto a marzo per il "fiscal compact" sarà anticipato a fine mese», ha annunciato la Merkel. La cancelliera, nonostante l'altolà di ieri di Cameron, rilancia poi sulla Tobin tax: «Combattiamo da anni per la tassa sulle transazioni finanziarie». «Applicheremo la regola sulla tassa finanziaria così come prevede la Commissione Ue. Gli altri verranno dietro», le ha facco eco il presidente francese. A preoccupare sono ancora le tensioni sui debiti sovrani. I fondi salva stati messi in piedi dall’Unione Europea «devono essere più efficaci», ha chiesto Sarkozy. Mentre oggi a Berlino si è parlato anche di come mettere a disposizione velocemente i capitali al fondo salva stati. Ma l'Europa, oltre a mettere in sicurezza i conti pubblici, deve ripartire. «Credo che la priorità oggi sia la crescita, l’impiego» e la «competitività a livello europeo», ha confermato il presidente francese. L'asse con Berlino, almeno a parole, sembra rafforzarsi: c’è una «intesa stretta» fra Francia e Germania, ha assicurato la Merkel. E per Sarkozy «l’alleanza Francia-Germania è la pietra angolare dell’Europa» e «non c’è futuro per l’Europa se ci sono divergenze franco-tedesche». I timori restano. «La situazione è tesa - ha ammesso Sarkozy - . Estremamente tesa. Dobbiamo essere lucidi, e portare la riposta migliore, nell’ambito dei trattati e nell’ambito della democrazia». Sulla Tobin tax inoltre non paiono esserci spiragli. Inutile che i danesi neopresidenti di turno dell’Ue, o il premier europeista Mario Monti, spediscano segnali concilianti all’inquilino di Downing Street. David Cameron ignora ogni invito al dialogo costruttivo e tira diritto in difesa della City col copione preferito di Margaret Thatcher. Ieri, parlando alla Bbc, il premier britannico ha bocciato ancora l’idea d’una tassa sulle transazioni finanziarie. «Non è logica - ha detto -, se non verrà introdotta in altri paesi e la bloccherò». Il che, a queste condizioni, assomiglia più a un «mai» che a un «forse». L’idea si basa sulla formula sviluppata dall’economista americano James Tobin all’inizio degli Anni Settanta. Si considera che dopo il 2007 le banche sono state salvate dalla crisi con denaro pubblico e che, dunque, sia giusto che ora diano un loro contributo ai governi che le hanno tolte dai guai rinunciando a parte dei loro incassi. «Equo e fattibile», assicura la Commissione Ue che ha aperto il dibattito a mettendo sul tavolo una proposta per scremare i ricchi. Sarkozy la desidera con forza. «La Francia l’avrà nel 2012», ha promesso il primo ministro François Fillon. Il provvedimento potrebbe arrivare in Consiglio dei ministri fra la fine di gennaio e l’inizio di febbraio, a seconda delle fonti governative. L’uomo dell’Eliseo lo gioca per non essere sfrattato in estate, per dimostrare che le banche - scintilla dell’incendio che ha portato tutti sull’orlo della recessione - non saranno impunite.

Iniziative a favore dell'impresa (11 gennaio 2012).
Non solo le liberalizzazioni nei servizi. Il piano del governo prevede subito una cura anti burocrazia che vada soprattutto nella direzione di facilitare le attività imprenditoriali. Il pacchetto "sblocca imprese" dovrebbe entrare nel decreto concorrenza con cadenza quasi mensile, immaginato dal premier Mario Monti e dal ministro per lo Sviluppo economico, le infrastrutture e i trasporti Corrado Passera. L'esecutivo è pronto all'abrogazione di tutti i procedimenti di autorizzazione ritenuti non necessari o comunque in conflitto con la direttiva servizi. Le semplificazioni, che stanno definendo gli uffici tecnici dei ministri Patroni Griffi e Passera, mireranno inoltre in modo diretto ad agevolare la nascita di nuove imprese eliminando gli intralci burocratici e riducendo i tempi per lo start up. Il tema della direttiva servizi (recepita dall'Italia con il Dlgs 59 del 2010) è finito al centro dell'agenda del governo già a fine novembre, dopo gli incontri di Monti con i commissari europei Rehn e Barnier che avevano sollecitato all'Italia un'applicazione più stringente ed efficace. Sono almeno altri due i provvedimenti pro-imprese già pronti per una prima illustrazione nel consiglio dei ministri di venerdì e che, quasi sicuramente, saranno varati la prossima settimana insieme al pacchetto liberalizzazioni che il governo chiuderà dopo il confronto con i partiti della maggioranza. Il primo intervento ha il profilo di un atto regolatorio in deroga alla normativa sui controlli alle imprese: per evitare controlli ripetuti da parte di enti o amministrazioni diverse (Inail, Inps, ispettori del lavoro, Vigili del Fuoco) si punta da una parte ad affidare a un unico soggetto più funzioni ispettive e, dall'altra, ad avviare un più stretto coordinamento per concentrare in una sola visita all'impresa più verifiche. La seconda misura di deregulation prevede invece l'attribuzione di poteri sostitutivi ai dirigenti della Pa per evitare il ricorso al giudice in caso di contenzioso. La norma dovrebbe avere impatto sulla disciplina sostanziale che regola le procedure di pagamento della Pa ai fornitori o le procedure per la concessione di licenze edilizie. In caso di superamento dei termini il fornitore potrà rivolgersi a un dirigente responsabile che potrà rilasciare nuovi termini ridotti per la chiusura della pratica. Sul fronte dei cittadini, invece, si punta a un allargamento della de-certificazione avviata dal vecchio Governo con l'estensione del principio "taglia-certificati" ad alcune categorie protette. Le certificazioni di invalidità, per esempio, avranno valore automatico per l'accesso a una serie di servizi locali che oggi prevedono la produzione di documentazione aggiuntiva.

La tassa sulla fortuna (11 gennaio 2012).
Con tre distinti decreti del 16 dicembre scorso, il Ministero dell'Economia e delle finanze ha dettato le modalità di applicazione della c.d. tassa sulla fortuna (fissata in misura pari al 6% delle vincite eccedenti l'importo di 500 euro) ai premi di lotterie nazionali ad estrazione istantanea, di Enalotto, Superstar, SiVince Tutto SuperEnalotto e newslot. Ai premi reclamati a decorrere dal 1° gennaio 2012, si applica un diritto del 6% sulla parte di vincita eccedente l'importo di 500 euro. I premi eccedenti tale importo sono corrisposti al netto della ritenuta, che è applicata al momento del pagamento al vincitore. Per i premi corrisposti in più soluzioni periodiche, il valore nominale di tale premio, indicato nei relativi decreti, è corrisposto dal concessionario alla compagnia assicurativa incaricata al netto del diritto del 6%. Le somme relative all'applicazione del diritto del 6% sono versate dal concessionario secondo le modalità previste nella relativa convenzione di concessione per le somme dovute all'erario. Per i premi corrisposti in più soluzioni periodiche, il prelievo avverrà sull'importo del capitale corrisposto dal concessionario alla compagnia assicurativa incaricata di versare, a coloro cui spettano, le somme mensili. Il capitale sarà quindi corrisposto al soggetto erogatore al netto del diritto del 6%, sulla parte eccedente l'importo di 500 euro. L'importo trattenuto dal concessionario, quale sostituto d'imposta, dovrà essere immediatamente versato all'erario sul capitolo di entrata del bilancio dello Stato indicato dall’AAMS (Amministrazione Autonoma Monopoli di Stato). Il soggetto erogatore, avuto riguardo ai rispettivi piani contrattuali, corrisponderà al vincitore il premio secondo la cadenza periodica, e gli ammontari previsti, corrispondendo ciascun rateo in misura proporzionalmente ridotta del 6%. Al fine di dare applicazione all'addizionale pari al 6% delle vincite eccedenti 500 euro sugli apparecchi di cui all'art. 110, comma 6, lettera b), TULPS, i concessionari della rete telematica degli apparecchi da divertimento ed intrattenimento richiedono ad AAMS, entro il 20 gennaio 2012, l'avvio del processo di verifica di conformità necessario all'adeguamento dei sistemi di gioco e provvedono alla consegna di tutta la documentazione e delle componenti hardware e software necessarie. Fino alla conclusione dei necessari aggiornamenti tecnici dei sistemi di gioco, l'addizionale è applicata dal concessionario all'atto del pagamento della vincita al giocatore. A tali fini, il concessionario annota in un apposito registro di sala, per ciascuna vincita pagata ed in relazione a ciascun giorno:
a) l'ammontare della vincita, al lordo dell'addizionale, eccedente 500 euro;
b) l'ammontare dell'addizionale;
c) la vincita netta;
d) il numero di riferimento del biglietto presentato all'incasso, nonchè, ove previsto dalla disciplina vigente, gli estremi identificativi del soggetto richiedente il pagamento, ivi compresi quelli del documento di identità presentato.
L'addizionale trattenuta è versata dal concessionario entro il giorno 16 del mese successivo a quello di riferimento (il relativo codice tributo è pubblicato sul sito istituzionale AAMS). Al fine di consentire i necessari controlli, ciascun concessionario comunica, entro il mese successivo a quello di riferimento, l'ammontare complessivo delle vincite, al lordo dell'addizionale, eccedenti 500 euro, l'ammontare complessivo dell'addizionale e l'ammontare complessivo delle vincite nette all'AAMS; gli Uffici di AAMS controllano la rispondenza dei dati contenuti nel registro con quelli contenuti nelle banche dati dei relativi concessionari.

Vertice Merkel Monti (11 gennaio 2012).
«L'Italia ha fatto molto sul fronte delle riforme. Le misure adottate sono molto importanti. E a questo punto ognuno dei principali Paesi dell'Eurozona dovrà fare la sua parte per la stabilizzazione della moneta unica». Lo ha detto Angela Merkel, intervenendo nella conferenza stampa congiunta con il premier Mario Monti al termine del loro faccia a faccia a Berlino e riprendendo un concetto già espresso dal professore nell'intervista al quotidiano tedesco Die Welt. «Abbiamo concordato che Italia, Francia e Germania si trovino il 20 gennaio a Roma - ha aggiunto la cancelliera - per continuare la collaborazione già avviata». Precisando che «le economie nazionali più piccole nell'eurozona non le escluderemo» e che «occorre trovare una soluzione ragionevole per la Grecia per poi impegnarci su provvedimenti strutturali da applicare». Serve «più Europa e non meno Europa in futuro» ha detto ancora la Merkel e in questo senso la Germania e l'Italia «sono in primo piano». «L'Europa può contare su un'Italia pronta a fare pienamente la sua parte verso la stabilità e lo sviluppo dell'Unione» ha replicato subito dopo Mario Monti spiegando che «il nostro Paese non è più considerato fonte di infezione in Eurolandia. Ora bisogna pensare anche a politiche per la crescita. L'obiettivo è lavorare intensamente affinché insieme si trovi una soluzione ai problemi dell'Europa, la più bella costruzione che l'umanità ha mai messo in opera e a cui Italia e Germania hanno dato fondamentale contributo fin dal primo giorno». Il presidente del Consiglio, rispondendo ai cronisti, ha poi fatto notare che «i tassi di interesse sul debito italiano non sono più giustificati visto lo sforzo dell'Italia che anche gli stessi mercati apprezzano». Per questo motivo, «quello che gli italiani sperano e quello che io spero è che prima dei molti trimestri che occorrono per tradurre buone politiche economiche in crescita è che nei mercati finanziari ci sia una riduzione dei tassi di interesse che se erano giusti o meno quando c'era diffidenza ora non lo sono più». Monti ha poi confermato che nei prossimi giorni «avremo un provvedimento molto ampio sulle liberalizzazioni». Ed è tornato a parlare di Tobin Tax spiegando che «forse questa è una fase storica in cui ha più senso che in passato».

Le preoccupazioni di Draghi (12 gennaio 2012).
Serve varare d'urgenza il nuovo trattato fiscale europeo e il rafforzamento del fondo salva stati (Efsf)». Ad affermarlo è il presidente della Bce, Mario Draghi, al termine del Consiglio direttivo che ha lasciato invariati i tassi all'1 per cento. Il Fiscal Compact su cui si sta discutendo in Europa deve essere «chiaro e non ambiguo sulle regole», aggiunge Draghi, e preferibilmente andrebbe ratificato entro la fine del mese. Il presidente Bce ha poi toccato diversi altri temi. I mercati «hanno apprezzato quanto realizzato in Italia». È l'unica frase in cui Draghi cita direttamente l'Italia. In diversi passaggi, però, rispondendo alle domande, evidenzia che quanto fatto sul piano del consolidamento fiscale nei paesi a rischio dell'Area Euro, quindi a partire dall'Italia, «è straordinario». Un altro passaggio in cui il presidente Bce cita la sua madrepatria riguarda le liberalizzazioni in Italia. «Le riforme strutturali sono cruciali per rilanciare la crescita e creare occupazione»: Draghi risponde così a una domanda sulle liberalizzazioni in discussione in Italia, in particolare sulle misure che incidono su taxi e farmacie. «Le riforme strutturali devono essere fatte, per favorire la crescita economica e creare posti di lavoro». L'incertezza del quadro economico «resta elevata» con «rischi orientati al ribasso» e le turbolenze sui mercati continuano a pesare sulla crescita ma ci sono «segnali di stabilizzazione dell'attività economica». E ancora: «Continuiamo a pensare che l'attivitá economica riprenderà progressivamente nella zona euro nel 2012 sostenuta dalla domanda e dalle misure prese». Durante l'incontro Draghi ha affermato che «l'inflazione resterà sopra il 2% nei mesi a venire e poi scenderà». Per risolvere la crisi, ha sottolineato ancora il presidente della Bce, importante è «varare con urgenza il nuovo trattato fiscale europeo (il cosiddetto "fiscal compact") e il rafforzamento dell'Efsf, il fondo salva-stati». L'esercizio condotto dall'Eba (Authority bancaria europea) «era giusto» in principio ma è stato deciso in momenti diversi da quelli attuali e sulla base di condizioni che non si sono verificate e quindi si è «rivelato prociclico», cioè ha accentuato l'attuale momento di tensioni anziché attenuarle, dice Draghi. «Quando l'Eba ha deciso di farlo si dava per scontato che il capitale pubblico sarebbe stato già presente e invece questo non é successo e ci si aspettava che l'Efsf sarebbe stato pienamente operativo, il che avrebbe avuto un effetto positivo sul mercato dei bond sovrani e invece non era ancora attivo. Quindi i bisogni di capitale che sono stati trovati per le singole banche sono stati individuati sulla base di prezzi dei bond sovrani che sono in un momento di grande stress. Quindi l'esercizio dell'Eba, pur giusto, si è rivelato prociclico e credo che in futuro verrà ripetuto sulla base di premesse diverse». Draghi si è detto «molto preoccupato» per gli sviluppi della situazione in Ungheria, dove la nuova legislazione limita i poteri della locale banca centrale. Per il presidente dell'Eurotower a legge «non è in sintonia con lo spirito dei trattati».

Addio alle tariffe dei professionisti (12 gennaio 2012).
Tariffe addio. Senza eccezioni. Obbligo, con esplicita rilevanza deontologica, di concordare con il cliente il preventivo della prestazione. Tirocinio anche negli ultimi anni di università. Aumento del numero dei notai. Tutela contro le clausole vessatorie nei rapporti con i professionisti. La bozza di decreto legge sulle liberalizzazioni interviene anche sul fronte, cruciale, delle professioni. E lo fa a partire da uno degli snodi, anche mediatici, più evidenti, quello delle tariffe. A venire cancellati sono così tutti i parametri, sia minimi sia massimi, compresi quelli per la determinazione degli onorari dovuti ai notai. Di conseguenza, a venire modificato è anche il Codice civile: nell'articolo 2233 viene così azzerato il riferimento alle tariffe professionali del primo comma e stabilito che il giudice, quando il compenso non può essere determinato secondo gli usi, decide secondo equità e non più con la precedente acquisizione del parere dell'ordine professionale di riferimento. Parere che diventa inutile anche nell'ambito della domanda di decreto ingiuntivo indirizzato a ottenere il pagamento di quanto dovuto. Sparite le tariffe, il provvedimento si pone però l'ovvio problema della trasparenza, risolvendolo con l'introduzione di un vero e proprio obbligo, con rilevanza deontologica in caso di trasgressione, di stesura del preventivo della prestazione e di comunicazione al cliente. Il professionista dovrà poi obbligatoriamente informare il cliente dell'esistenza di una copertura assicurativa, della sua durata e del relativo massimale, posta a garanzia della capacità di risarcimento dei danni provocati alla clientela nell'esercizio dell'attività. Con l'eccezione delle professioni mediche e sanitarie, poi, la bozza di decreto apre alla possibilità di svolgere i tirocini già durante gli ultimi anni del corso di laurea. Una disposizione che, nelle intenzioni del Governo, punta alla "democratizzazione" delle professioni, non facendo pesare sulle famiglie per troppo tempo il costo della preparazione, senza compromettere la qualità della formazione stessa. La norma introduce, pertanto, la possibilità per le università di inserire nei propri statuti e regolamenti la possibilità per lo studente di svolgere tirocinio o pratica finalizzati all'iscrizione nell'albo professionale nel corso dell'ultimo biennio di laurea specialistica o magistrale. Sul fronte dei notai, l'intervento ne amplia la pianta organica di 500 unità portando a 1.500 il totale dei posti da coprire per concorso. In questo modo si attuerà un'estensione dell'esercizio della funzione di notaio anche oltre il territorio del distretto in cui è collocata la sede sino a farla coincidere con l'«intero ambito territoriale della corte d'appello nella quale tale distretto è ubicato». Un concorso all'anno per quest'anno e i prossimi 2 dovrebbe permettere di coprire interamente la pianta organica. Aumentato anche il numero di giorni di assistenza obbligatoria del notaio nella sua sede e limitata la facoltà di apertura di uffici secondari che potrà invece avvenire solo nel distretto di appartenenza: «Ciò per contemperare l'attuazione dei principi sopra richiamati (presenza diffusa in tutto il territorio) con l'esigenza di garantire il buon andamento della funzione pubblica notarile mediante il diretto e immediato contatto tra il notaio e l'utenza nello studio che egli è obbligato a tenere aperto nella sede assegnata».

Accordo UNIPOL LIGRESTI (13 gennaio 2012).
Accordo fatto tra Unipol e la galassia Fondiaria Sai. Si va verso un mega polo assicurativo formato dalla stessa Unipol, da FonSai e da Milano Assicurazione come esito di una fusione a quattro che coinvolgerà anche la holding Premafin. Prima che tutto ciò avvenga, però, ci sarà un'Opa sulla Premafin promossa da Unipol gruppo finanziario, quindi un aumento di capitale sempre della holding, un'iniezione di liquidità nella compagnia guidata da Emanuele Erbetta e infine una ripatrimonializzazione di Unipol. L'operazione, assai complessa nelle sue tecnicalità, permetterà di creare sul mercato italiano un colosso del settore assicurativo che avrà una quota del 32% del mercato danni e del 10% del mercato vita. Ancora da definire nel dettaglio, invece, l'intesa sulla governance. Da quanto si apprende, però, la catena di controllo vedrà a monte Finsai che a sua volta controllerà Unipol gruppo finanziario che tirerà le fila del nuovo agglomerato assicurativo e di Unipol Banca. I Ligresti verranno invece liquidati in sede d'Opa. Al momento l'unica voce fuori dal coro rispetto alla volontà della famiglia di fare un passo indietro sarebbe quella di Paolo Ligresti che ha appena dichiarato che una decisione definitiva sul riassetto verrà presa tra stasera e domani mattina. Paolo Ligresti, tuttavia, sarebbe l'unico componente della famiglia ancora dubbioso sul da farsi.

Rischi di declassamenti del rating (13 gennaio 2012).
Standard and Poor's ha deciso di declassare Francia e Austria, ma nel mirino potrebbero esserci altri Paesi, Italia compresa, mentre la Germania verrebbe risparmiata dalla scure dell' agenzia di rating. A dirlo è il quotidiano finanziario francese Les Echos. Standard and Poor's è pronta a tagliare il rating di Italia, Spagna e Portogallo di due scalini, mentre la Francia e l'Austria sarebbero declassate di uno. Sempre secondo le fonti di Les Echos, l'annuncio ufficiale arriverà da parte di S and P alle 22.30 ora italiana, dopo la chiusura di Wall Street. L'allarme rating gela i primi, timidi segnali di fiducia ricomparsi in settimana sui mercati continentali. «Se la notizia del declassamento è vera» ha detto Alain Minc, consigliere del presidente della Repubblica francese, Nicolas Sarkozy si tratta «di un'azione svolta da persone con gravi comportamenti perversi». «Fare una cosa così la settimana in cui i mercati europei si normalizzano, come ha fatto notare anche Mario Draghi, presidente della Bce - ha attaccato Minc - significa che non abbiamo più a che fare con dei pompieri piromani, ma con persone affette da gravi comportamenti perversi». Le prime voci diffuse di taglio al rating nell'eurozona si sono diffuse nel pomeriggio, quando le Borse hanno bruscamente virato al ribasso per poi recuperare qualche posizione in chiusura. Milano, che è arrivata a perdere il 2,3% , ha poi mostrato un'ultima rilevazione dell'indice Ftse Mib in calo dell'1,2%. Non bastasse, è arrivata da Atene la notizia della pausa impressa dalle banche al negoziato sul debito. L'Institute of international finance (Iif), che rappresenta le banche e i creditori privati della Grecia, ha annunciato in una nota la sospensione delle trattative sulla ristrutturazione del debito pubblico. «Sfortunatamente, nonostante gli sforzi della leadership greca - si legge - la proposta elaborata dal comitato di creditori e investitori privati, una riduzione nominale senza precedenti del 50% dei bond sovrani greci da loro detenuti, non ha prodotto una risposta costruttiva coerente da entrambe le parti». In queste circostanze, prosegue l'Iif, «le discussioni con la Grecia sono interrotte per una riflessione». Fino al primo pomeriggio i mercati avevano beneficiato anche del positivo esito dell'asta dei Btp triennali italiani i cui rendimenti sono scesi al 4,83% dal 5,62% di fine dicembre. Una schiarita che segue quella già vista sui Bot a breve, con i rendimenti quasi dimezzati. Con il diffondersi dell'allarme rating lo spread tra Bund e Btp è risalito a quota 500 e si è leggermente ridimensionato a 487 punti in chiusura.

Downrating da S and P (13 gennaio 2012).
Standard and Poor's strappa la tripla A alla Francia, fa scivolare di due gradini l'Italia portandola da A a BBB+, declassa Spagna, Portogallo e Austria. Tra i grandi si salva solo la Germania che mantiene il rating AAA insieme a Olanda e Lussemburgo. È un inedito “declassamento di massa”, che certo indebolisce gli sforzi in corso per consolidare un'Europa che traballa sotto debiti pubblici e mercati. Alla spicciolata, sono i singoli governi a confermare di essere stati informati dalla agenzia di rating, come chiede la prassi. L'annuncio dell'agenzia di rating americana arriva a tarda sera, dopo la chiusura dei mercati statunitensi. Oltre all'Italia, che ha perso ben due punti, sono stati nove i Paesi presi di mira dall'agenzia di rating. Secondo il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano «le profonde trasformazioni in corso su scala mondiale evidenziano l'urgenza per l'Europa di mettere in campo la più forte volontà comune nel procedere senza esitazioni sulla via dell'unità politica e dell'effettiva unione economica». In ogni caso per il presidente della Camera, Gianfranco Fini, «È una bocciatura relativa a tutta l'eurozona di cui fa parte anche l'Italia, che ne soffre anch'essa ma, se si va a leggere quanto scritto da Sand P, si riconosce al governo Monti la capacità e il coraggio di avere aggredito alcune criticità». Anche Standard and Poor's interviene nel dibattito che si è scatenato in tutta Europa. Sull'Italia Moritz Kraemer, direttore generale, spiega che con il nuovo Governo Monti la politica italiana «è profondamente cambiata», ma i progressi «non sono sufficienti a superare i venti contrari». E poi ha aggiunto che il rifinanziamento di Italia e Spagna va «al di là della portata dell'Efsf, il Fondo salva-Stati europeo». Kraemer ha inserito Italia è Spagna tra i Paesi «più vulnerabili»In ogni caso non è finita: «Sono in aumento i rischi sulla scia della crisi dei debiti sovrani ed ulteriori declassamenti sono possibili».

World Bank : scenario negativo (18 gennaio 2012).
La Banca mondiale mette in guardia sul rallentamento dell'economia mondiale che rischia di pesare molto sui Paesi in via di sviluppo. Le nuove previsioni economiche mondiali vedono un rialzo del Pil mondiale del 2,5% nel 2012 dopo una crescita stimata in precedenza del 3,6% e dopo il +2,7% del 2011. Secondo l'istituto internazionale la crescita dovrebbe migliorare nel 2013 per raggiungere il 3,1%. Nei Paesi a crescita "elevata" si stima un +1,4% mentre per i Paesi dell'area euro è previsto un calo del Pil dello 0,3%. Mentre per i Paesi in via di sviluppo la Banca mondiale stima una crescita del Pil del 5,4% e del 6% nel 2013. Le stime precedenti indicavano una crescita rispettivamente del 6,2% edel 6,3% per i Paesi emergenti. «Sembra che l'Europa sia entrata in recessione e la crescita in diversi Paesi in via di sviluppo (Brasile, India e in minor misura in Russia, Sudafrica e Turchia, ndr) sta rallentando», sottolinea la Banca. «Le turbolenze finanziarie generate dalla crisi del debito in Europa si sono propagate anche negli altri Paesi ad alto reddito e in quelli in via di sviluppo - si osserva nel rapporto - e se l'Europa sembra essere entrata in recessione la crescita in molti Paesi in via di sviluppo è stata rallentata in reazione a politiche interne restrittive. Come risultato, nonostante la forte performance di Usa e Giappone, la crescita e il commercio globale sono notevolnente rallentati». Negli Usa la Banca Mondiale stima un tasso di sviluppo pari al 2,2% nel 2012 e al 2,4% nel 2013 mentre l'economia giapponese crescerà, rispettivamente, dell'1,9% e dell'1,6%. In Usa e in Giappone non è ancora stato risolto il problema dell'alto livello del debito pubblico e ciò, avvertono gli economisti di Washington, potrebbe comportare degli shock che si andrebbero a sommare ai rischi provenienti dall'Eurozona. A complicare l'outlook mondiale contribuiscono infine «la possibilità che le tensioni politiche in Medio Oriente e Nordafrica mettano a rischio le forniture di petrolio».

Bozza del decreto "liberalizzazioni" detto "Cresci Italia" (19 gennaio 2012)
107 pagine e 44 articoli che scateneranno proteste e rivolte. La bozza delle liberalizzazioni predisposta dal governo è pronta.
Una scatola nera nelle auto. Per risparmiare. È questa una delle novità contenuta nella bozza: «Nel caso in cui l'assicurato acconsenta all'istallazione di meccanismi elettronici che registrano l'attività del veicolo - si legge nel documento governativo - i costi sono a carico delle compagnie che praticano inoltre una riduzione rispetto alle tariffe stabilite». Inoltre, gli intermediari che distribuiscono servizi e prodotti assicurativi per veicoli e natanti saranno obbligati, prima della sottoscrizione del contratto, «a informare il cliente, in modo corretto, trasparente ed esaustivo, sulla tariffa e sulle altre condizioni contrattuali proposte da almeno tre diverse compagnie assicurative non appartenenti a medesimi gruppi».
Il testo allo studio prevede la liberalizzazione di orari e turni delle farmacie. «Le farmacie - recita l'articolo 14 del nuovo testo - possono svolgere la propria attività e i servizi medici aggiuntivi anche oltre i turni e gli orari di apertura».
Novità anche per i medici di famiglia. Obbligato, salvo particolari situazioni, a specificare nella ricetta medica l'eventuale esistenza del farmaco equivalente, ovvero dei cosiddetti medicinali generici, quelli più economico. «Il medico, salvo che non sussistano ragioni terapeutiche contrarie nel caso specifico - si legge nella bozza - inserisce in ogni prescrizione medica le seguenti parole: o farmaco equivalente se di minor prezzo, ovvero specifica l'esistenza del farmaco equivalente».
Cancellate, come previsto, le tariffe professionali, minime e massime. Inoltre diventa obbligatorio per tutti i professionisti il preventivo scritto ai clienti. «L'inottemperanza costituisce illecito disciplinare». Sono esclusi però medici e professioni sanitarie.
Le stazioni di rifornimento titolari di autorizzazione petrolifera, potranno liberamente rifornirsi da qualsiasi produttore o rivenditore. Niente limiti anche per i distributori di benzina self-service fuori dai centri abitati «all'utilizzo continuativo, anche durante l'orario di apertura, delle apparecchiature per la modalità di rifornimento senza servizio con pagamento anticipato».
Altra novità è la separazione di Snam rg da Eni. «Per quanto riguarda la produzione e la distribuzione del carburante - ha spiegato Monti da Londra - è una cosa che porteremo al Cdm in una forma di cui dobbiamo ancora discutere i dettagli».
Saranno inoltre stabiliti per legge i costi dei conti corrente base. Sarà un decreto, in assenza di una convenzione con l'Abi, a fissarne i criteri. Stabilita anche l'individuazione ex lege delle commissioni che le banche applicheranno sui prelievi fatti con Bancomat.
COMMENTO Sarà interessante vedere come uscirà questa proposta dal dibattito parlamentare. Già di per sè sembra insufficiente, manca ad esempio lo scorporo della rete ferroviaria, la liberalizzazione di autostrade, trasporto aereo e poste. Quanto fatto fonora dal governo Monti soffre però di un grave difetto non si è fatto nulla, per ora, per tagliare lo stock del debito pubblico, infatti lo spread tra Btp e Bund resta appena sotto i 500 punti base, segno che i mercati non hanno per ora apprezzato gli interventi di Monti. In molti punti il decreto sembra pasticciato e frutto della fretta. Analizzando, in dettaglio, con alcuni commercialisti i provvedimenti presi per il loroOrdine risulta che il decreto di agosto del governo di centro destra era organizzato meglio.

FMI: scenario negativo (20 gennaio 2012).
Anche quelle del Fondo Monetario Internazionale non sono previsioni positive; sulla crescita del Pil mondiale l’Istituto delle Nazioni Unite prevede cali più o meno per tutti i paesi del mondo. In Italia la recessione è prevista sia per il 2012 che per il 2013: il Prodotto Interno Lordo italiano diminuirà del 2,2% quest’anno e dello 0,35 nel 2013. A “contagiare le economie internazionali” sarebbe stato l‘euro “malato” fa sapere il Fmi nel suo World Economic Outlook: “La ripresa globale è minacciata dalle crescenti tensioni nell’area dell’euro” a cui si uniscono “le fragilità finanziarie altrove”. Anche per la Spagna il Fmi prevede un calo: -1,7% nel 2012 e -0,3% nel 2013. Per Germania e Francia il Pil sarà in crescita anche nei prossimi due anni: in Germania +0,3% nel 2012 +1,5% nel 2013; in Francia +0,2% nel 2012 e +1% nel 2013. Da un punto di vista mondiale il Pil salirà del 3,3% nel 2012 (-0,7 punti rispetto alle stime precedenti) e del 4% nel 2013 (-0,5). L’unica soluzione in grado dilimitare l’attuale crisi, il Fmi la identifica con la Bce: “La politica monetaria della Bce deve essere molto accomodante. Dovrebbe continuare a fornire liquidità ed essere pienamente impegnata a acquistare titoli per aiutare a mantenere fiducia nell’euro”.

Monti: ottimo comunicatore (23 gennaio 2012)
Dopo la partecipazione a "Che Tempo che fa" su Rai Tre, dove aveva spiegato le linee ispiratrici del decreto "Cresci Italia", il premier Mario Monti torna in tv, e sulla stessa rete, ospite di Lucia Annunziata. Monti parla sugli ultimi giorni di intenso lavoro del suo governo, a partire dalle liberalizzaziioni, ma anche sulla riforma del mercato del lavoro, sulla lotta all'evasione e anche sui presunti "conflitti d'interesse" all'interno del suo governo. Anche il rapporto con i partiti, in vista del prossimo arrivo del decreto liberalizzazioni in Parlamento, è in primo piano. Si parte infatti dalla manifestazione della Lega Nord a Milano, dove Monti è stato fortemente contestato, ma che considera «parte dell'attività che temporaneamente svolgo». In realtà, ha aggiunto Monti, l'azione del governo per certi versi è in linea con i principi originari della Lega stessa: «Nella Lega c'è un'evoluzione recente che ha portato questo partito a essere frontalmente opposto al governo che presiedo, è un fenomeno di cui prendo atto con rispetto e su cui non mi pronuncio», ha premesso il premier. Tuttavia, ha aggiunto, «avendo seguito con simpatia i primi passi della Lega ritengo che molte cose che stiamo facendo rispondano all'ispirazione originaria della Lega» di «un'Italia più libera di dare corso a impulsi imprenditoriali e di dare respiro alla concorrenza». «Quindi sono sicuro che se la Lega pensa ai propri principi fondamentali dentro il suo cuore sarà meno ostile a quello che stiamo facendo», ha assicurato. Ma servirà la richiesta della fiducia per l'approvazione del decreto? «Non so ancora se la vorremo porre - ha detto Monti - Trovo che le prime reazioni dei partiti a questo incisivo provvedimento siano nel complesso positive». Abbiamo molta fiducia nel fatto che il Parlamento sappia apprezzare questo provvedimento». Dal Nord al Sud, una riflessione sul "movimento dei forconi" che ha bloccato la Sicilia per una settimana per richiedere tariffe più convenienti per i camionisti ma anche condizioni diverse per l'isola in generale. «Bisogna contenere le cause - risponde Monti - C'è una caratteristica importante e pericolosa di questo paese: per anni si sono rispettati gli interessi delle singole categorie che quelli generali - aggiunge Monti - Interessi che sono legittimi, ma l'insieme degli interessi delle varie categorie dà luogo ad una gabbia che fa danno al Paese, che sprofonda». COMMENTO Il garbo e la deferenza con i quali è trattato Monti su Rai Tre contrastano con la maleducazione e l'ostilità con cui erano trattati i rappresentanti del governo di Centro Destra al punto che, in un'occasione, Silvio Berlusconi fu costretto ad abbandonare il "ring" di Lucia Annunziata. Ma davvero qualcuno crede che cambiando le tariffe degli avvocati, gli orari delle farmacie e le licenze dei taxisti l’Italia possa crescere “del dieci per cento, come va affermando Monti, con la sua assidua presenza sui media?

Le proposte del governo sul lavoro (24 gennaio 2012).
Nella riforma del lavoro allo studio del governo ci sarà, ha anticipato Elsa Fornero nell'incontro avuto con le parti sociali, «uno schema di reddito minimo», che richiede «risorse ora non individuabili». Per questo e per «ragioni di bilancio lo schema potrebbe essere già individuato in questa riforma ma, per le stesse ragioni, l'applicazione normativa potrebbe essere dilazionata». Il governo propone anche di riformare il sistema di ammortizzatori sociali puntando su un meccanismo con due possibilità: un sostegno per le crisi temporanee e un altro per chi perde il lavoro. «Servono ammortizzatori che facilitino la ricollocazione dei lavoratori. Per raggiungere l'obiettivo sarebbe importante un passaggio ad un sistema integrato, basato su due pilastri: uno per la riduzione temporanea dell'attività, l'altro, per il sostegno al reddito di chi abbia perso il lavoro. Gli ammortizzatori saranno finanziati da contributi come avviene nel sistema assicurativo mentre la fiscalità generale servirà per l'assistenza». La riforma del mercato del lavoro prevederebbe un uso limitatissimo della Cassa integrazione, e solo di quella ordinaria nei casi in cui si possa rapidamente riprendere il lavoro. Tutti gli altri ammortizzatori riguarderebbero interventi dopo il licenziamento con una indennità risarcitoria. Il governo ha quindi presentato alle parti sociali un documento in cinque punti: tipologie contrattuali, apprendistato, flessibilità, ammortizzatori sociali e servizi per il lavoro. Il tavolo tra il governo e le parti sociali sul lavoro servirà a migliorare la situazione delle imprese e dei lavoratori. È l'auspicio del premier Mario Monti, che ha esordito dicendo: «Apriamo oggi un cantiere importante. Voi, forze produttive, avete il mondo dove competere, noi come governo agiamo in Italia e abbiamo un non facilissimo lavoro da condurre in Europa, spero che il maggiore spazio che stiamo creando per le forze produttive del Paese vi aiuti a far sì che quello che verrà fuori dal vostro tavolo serva a migliorare la situazione di imprese e lavoratori ma anche la situazione dell'Italia nella Ue». Il premier ha anche rassicurato le parti sociali che non si procederà per decreto sulla riforma del mercato del lavoro ma avverte che «i tempi non possono essere lunghi». Secondo il ministro Fornero, la riforma del mercato del lavoro («una riforma ambiziosa, da fare con un largo consenso») si farà insieme alle parti sociali in tre, quattro settimane, avvalendosi del coordinamento del Governo. «Solo alla fine del confronto si potrà parlare di contratto unico». E ha aggiunto: «Occorre un contratto che evolva con l'età dei lavoratori, piuttosto che contratti nazionali specifici che evolvono per tutte le età». E soprattutto «la flessibilità dovrà costare di più». Il governo ha poi proposto alle parti sociali di aprire dei gruppi tematici per lavorare via web alla riforma del mercato del lavoro. I gruppi di lavoro informatici saranno cinque per affrontare gli altrettanti punti proposti dal ministro Fornero nel suo documento. L'input della discussione, avrebbe precisato il ministro, verrà dal governo e poi saranno le parti sociali a rispondere con suggerimenti, indicazioni, critiche sui temi che a loro interessano di più. «Nel breve periodo ci saranno forti ristrutturazioni, quindi per ora miglioriamo quello che abbiamo», ha invece detto il presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia. Ha poi aggiunto che «da noi c'è una flessibilità minore che in Germania: noi dobbiamo concentrarci sugli abusi, non dobbiamo toccare l'impianto delle varie forme di flessibilità». Ha ricordato che «il tasso di occupazione italiano prima dei pacchetti Treu-Biagi era al 48%, oggi è al 58%, senza considerare la percentuale di sommerso che è altissima. Attenzione- sottolinea- a ridurre forme di flessibilità in linea con l'Europa». Altra cosa sono gli abusi: lì Confindustria è «in prima linea». Alle parti sociali «piacciono due cose in particolare per favorire l'inserimento dei giovani: l'apprendistato e usare di più le agenzie interinali». «Non sono linee guida su cui si sviluppa il confronto: vuol dire che non sono state condivise», precisa il leader della Cgil, Susanna Camusso, indicando che non sarà sulla base del documento presentato dal governo sul mercato del lavoro che si svilupperà una base di discussione. E ha aggiunto: «Le parti sociali al tavolo sono tutte d'accordo sul fatto che non si può superare la cassa integrazione straordinaria», quella tipologia di ammortizzatore sociale, prevista in caso di ristrutturazione, riorganizzazione o riconversione aziendale o a impresa assoggettata a procedura concorsuale di fallimento e liquidazione coatta. E anche Raffaele Bonanni, segretario Cisl, è sembrato piuttosto scettico sull'eventuale riforma degli ammortizzatori sociali: «Gli attuali ammortizzatori possono essere una chance molto importante anche per il futuro». «Con la cassa integrazione in deroga e la cassa integrazione straordinaria abbiamo coperto tutti come mai successo e, per fortuna, l'abbiamo fatto in questo momento di crisi», ha ricordato. «Se c'è da rivedere il loro funzionamento in termini di finanziamento della formazione durante la sosta, anche noi- ha detto Bonanni- siamo favorevoli a una misura drastica per tagliare l'evasione sulla formazione. Ma limitatamene a questo e non su altro».

Mozione comune Pdl, Pd e Centro (25 gennaio 2012).
Sono tutti attenti a tenere ben distinti ruoli e missione, ma Pdl, Pd e Terzo polo si muovono insieme sulla politica europea e ieri hanno messo a punto una mozione unitaria. Così Gianni Vernetti dell'Api ha avuto buon gioco nel dire che «la maggioranza diventa un po' più politica». E, anche se la definizione non piace affatto ai diretti interessati, i partiti che sostengono l'esecutivo per ora viaggiano appaiati e provano a lanciare un prezioso assist al premier Mario Monti, impegnato su un duplice fronte: quello interno, con il rush finale sulla fase due, e la sfida europea.
Il confronto è partito stamane dal Senato (alle 11,45 è previsto l'intervento del premier). Poi, dalle 16, il dibattito si sposterà alla Camera dove Monti replicherà alle 17,15 prima delle dichiarazioni di voto dei gruppi e dell'ok definitivo previsto in serata. Alla maratona parlamentare di oggi, Pdl, Pd e Terzo Polo si presentano quindi con un testo unitario. Idv e Lega, invece, andranno da soli: ieri i dipietristi avevano già messo a punto il loro documento, mentre gli uomini di Umberto Bossi hanno depositato solo oggi la loro mozione. Gli ultimi due testi sono quelli presentati da Grande Sud e Coesione nazionale e il documento che ha come prima firmataria Emma Bonino e sottoscritto da esponenti di vari Gruppi. Più che i contenuti delle mozioni, però, a tenere banco sono soprattutto gli equilibri suggellati dai documenti presentati ieri. La composizione della mozione unitaria di Pdl, Pd e Terzo Polo è stata materialmente affidata a Rocco Buttiglione. Ieri, nell'ufficio alla Camera del presidente dell'Udc, si sono visti i "tecnici" dei partiti per il via libera al testo unitario. «È stato un buon lavoro di squadra», ha spiegato il democratico Francesco Tempestini. I dati salienti del dispositivo si racchiudono nella richiesta al governo Monti di far valere la voce dell'Italia in sede europea, innanzittutto, sull'esigenza di lavorare a politiche per la crescita. Nella mozione, ha poi chiarito Buttiglione, si chiede di trattare «condizioni di rientro del debito pubblico che non siano peggiorative del six pack». Quindi spazio alla richiesta di impegno al governo per la formazione di un'agenzia di rating europeo, sull'introduzione della Tobin Tax - si pone anche l'accento sulla necessità di convincere la Gran Bretagna -, la messa a punto di strumenti innovativi di finanziamento allo sviluppo, come gli eurobond. Infine, una sollecitazione a lavorare in Ue per una nuova prospettiva federalista «che superi il metodo troppo intergovernativo oggi dominante», ha spiegato ieri Vernetti.

BANKITALIA: i bilanci delle famiglie nel 2010 (26 gennaio 2012).
Il reddito delle famiglie italiane è diminuito tra il 1991 e il 2010 del 2,4% in termini reali. È quanto si legge in un Bollettino di Bankitalia sui bilanci delle famiglie italiane. La ricchezza familiare netta, data dalla somma delle attività reali (immobili, imprese e oggetti di valore) e delle attività finanziarie (depositi, titoli di Stato, azioni, ecc.) al netto delle passività finanziarie (mutui e altri debiti), presenta un valore mediano di 163.875 euro. Le famiglie con capofamiglia laureato, dirigente o imprenditore registrano livelli più elevati di ricchezza netta (con valori mediani compresi fra 305.000 e 395.000 euro), così come quelle residenti nei comuni con più di 500.000 abitanti (circa 180.000 euro). Livelli più bassi si riscontrano per le famiglie con capofamiglia senza titolo di studio (circa 52.000 euro) o operaio (39.500 euro). Dal 2008 al 2010 il valore mediano della ricchezza netta risulta aumentato di circa il 5 per cento in termini reali. Dal 1991 tale valore è cresciuto di quasi il 56 per cento. Nel 2010 il reddito familiare medio annuo, al netto delle imposte sul reddito e dei contributi sociali, è risultato invece pari a 32.714 euro, 2.726 euro al mese. La quota di individui poveri, convenzionalmente identificati da un reddito equivalente inferiore alla metà della mediana, quindi a meno di 1.400 euro al mese, spiega Bankitalia, è risultata del 14,4%, in aumento di un punto percentuale rispetto al 2008 (tra i cittadini stranieri è oltre il 40%). I redditi: quelli dei pensionati crescono di più. Il reddito «equivalente» dei lavoratori dipendenti italiani è cresciuto in termini reali dal 1991 al 2010 di appena il 3,3% a fronte di un +15,7% di quello dei lavoratori autonomi e dell'11,5% dei pensionati e «gli altri individui in altra condizione non professionale». Il reddito equivalente, precisa l'istituto, «è una misura che tiene conto della dimensione e della composizione del nucleo familiare». Quanto alla distribuzione del reddito, il 10% delle famiglie più ricche possiede il 45,9% della ricchezza netta familiare totale (44,3% nel 2008). La percentuale di famiglie indebitate è pari al 27,7%, con l'indebitamento che, «come in passato, risulta più diffuso tra le famiglie a reddito medio-alto» e con le passività che «sono costituite in larga parte da mutui per l'acquisto e per la ristrutturazione di immobili». Le famiglie italiane sono proprietarie della casa nella quale vivono nel 68,4% dei casi. Il 21% dei nuclei invece vive in affitto, il 7,4% occupa l'abitazione a uso gratuito, il 2,8% in usufrutto e lo 0,3% a riscatto. Rispetto alla precedente indagine (nel 2008), si è leggermente ridotta la quota di famiglie in affitto e in proprietà o a riscatto (-0,3 punti percentuali ciascuna) a fronte di un corrispondente aumento della porzione di famiglie in usufrutto o a titolo gratuito (0,9 punti percentuali). Negli ultimi 30 anni si osserva una progressiva riduzione delle famiglie in affitto a fronte di una maggiore diffusione della proprietà.

Eurispes. Rapporto Italia 2012 (27 gennaio 2012).
Il l 2011 per gli Italiani è stato un anno da dimenticare. La situazione economica del Paese secondo il 67% degli intervistati dall'Eurispes nel Rapporto Italia 2012, è «nettamente peggiorata negli ultimi dodici mesi». Quasi la metà delle famiglie italiane (48,5%) è costretta a usare i risparmi per arrivare a fine mese. E il traguardo della quarta settimana, per il 45,7% del campione, viene superato con difficiltà crescenti, mentre il 27,3% dichiara di non arrivare a fine mese. «Oltre il 70% riferisce di non riuscire a risparmiare, contro il 15,7% di quanti riescono a mettere da parte del denaro; un quarto (24,9%), inoltre, ha difficoltà a pagare la rata del mutuo e quasi un quinto (18,6%) ha lo stesso problema con il canone di affitto». La quota di quanti ritengono di poter «certamente» risparmiare, nei prossimi dodici mesi, è inferiore al 5%, mentre quelli che pensano «probabilmente» di riuscire a mettere da parte una porzione di reddito arrivano al 13,1%. Per il 38,2% è probabile che non ci sarà possibilità di risparmio e le indicazioni di assoluta certezza dell'impossibilità di non poter risparmiare nei prossimi mesi raggiungono il 34,8 per cento. Il clima di sfiducia e incertezza sul futuro si ripercuote anche sulla fiducia verso le istituzioni. Il Parlamento occupa il gradino più basso nella classifica di considerazione degli italiani nei confronti degli organi dello Stato. «Solo il 9,5% vi ripone molta o abbastanza fiducia», si legge nel rapporto dell'Eurispes, «Confrontando i dati con quelli relativi agli anni precedenti, si passa dal 26,9% del 2010 al 15% del 2011, sino all'attuale 9,5%, che rappresenta in assoluto il punto più basso dal 2004 (36,5%) a oggi». Percentuali alte di fiducia nei confronti del Capo dello Stato da parte degli italiani, ma in un periodo in cui la politica e le istituzioni non godono dei favori popolari anche Giorgio Napolitano vede scendere l'indice di gradimento. «La fiducia nel Presidente della Repubblica tiene, ma con qualche scossone». Da segnalare anche come gli italiani preferiscano le preferenze in materia elettorale. E quindi sono favorevoli, sostiene l'Eurispes, «alla reintroduzione dell'espressione diretta di voto al proprio candidato». «Nel 2010 infatti l'83,1% del campione si dichiara favorevole a questa possibilità, e nel 2011, pur calando lievemente, la percentuale delle risposte affermative si assesta sull'80%. Nel 2012 la percentuale scende ancora al, pur sempre alto, 78,2%. A calare, rispetto all'anno scorso, sono coloro che si sono dichiarati contrari a questa eventualità, passati dal al 7,3% al 5,6%, mentre aumenta la quota di persone che non ha una posizione chiara in merito (dal 12,7% al 16,2%) e che, forse, sfiduciata dal clima politico attuale, non crede possa bastare introdurre le preferenze per risanare la situazione».

ISTAT: cala fiducia delle imprese (30 gennaio 2012).
Lieve calo a gennaio del clima di fiducia delle imprese manifatturiere che scende a 92,1 da 92,5 del mese di dicembre 2011 ma raggiunge il livello più basso dal novembre 2009. I giudizi sugli ordini - comunica l'Istat - migliorano, mentre le attese di produzione peggiorano; il saldo dei giudizi sul livello delle scorte di magazzino diminuisce. L'indice scende da 91,2 a 90,2 nel comparto produttore di beni strumentali e da 95,0 a 93,9 in quello dei beni di consumo, mentre aumenta da 90,9 a 91,7 nei beni intermedi. Secondo le consuete domande trimestrali sulla capacità produttiva, nel quarto trimestre 2011 il grado di utilizzo degli impianti scende a 70,4% da 71,7% del terzo trimestre e la durata della produzione assicurata sulla base dell'attuale portafoglio ordini rimane stabile a 3,1 mesi. Inoltre, nel quarto trimestre la quota di operatori che segnala la presenza di ostacoli all'attività produttiva rimane invariata al 44%. Sempre a gennaio l'indice del clima di fiducia delle imprese di costruzione, invece, sale a 82,2 da 80,2 di dicembre. Migliorano sia i giudizi sugli ordini e/o sui piani di costruzione, sia le attese sull'occupazione. Invece la fiducia risulta in calo sia nelle imprese dei servizi di mercato, a 76,4 da 80,2 (ai minimi da marzo 2009), sia in quelle del commercio al dettaglio che crolla a 78,4 (da 81,7) segnando il valore minimo dal 2003, ovvero dall'inizio delle serie storiche destagionalizzate.

UE: approvato il Fiscal Compact (31 gennaio 2012).
Ieri sera il Fiscal Compact, patto per rafforzare le regole di bilancio sul deficit e il debito e per raggiungere il pareggio di bilancio entro il 2013, è stato approvato da tutti i leader dell'Unione europea tranne la Gran Bretagna - che già il 9 dicembre scorso non aveva sottoscritto l'accordo - e la Repubblica Ceca, che non l'ha sottoscritto "per ragioni costituzionali". La conferma della firma a 25 è venuta dal presidente francese Nicolas Sarkozy. Sarkozy ha anche detto che ci sono buone speranze che un accordo sul debito greco venga trovato nei prossimi giorni e che la Francia si è opposta a mettere sotto tutela la Grecia e che anche Angela Merkel ha convenuto su questo. Un accordo è stato trovato sulla questione dell'allargamento delle riunioni della zona euro anche ai Paesi che hanno sottoscritto il Fiscal Compact, pur non facendo parte dell'Eurogruppo. Sulla questione ieri c'è stato un lungo braccio di ferro tra la Polonia, favorevole allargamento, e la Francia, contraria. La decisione trovata, secondo le fonti, prevede di tenere due incontri annui dell'Eurogruèèp che dibatteranno i temi della convergenza e delle strategie legate alla moneta comune. Una terza riunione aperta agli altri Paesi firmatari del nuovo patto sul bilancio sarà dedicata invece ai temi dell'architettura dell'euro e della competitività. Soddisfatto il presidente del Consiglio Mario Monti. In una conferenza stampa a tarda notte, Monti ha detto: "Il nostro è un governo europeo fin nella spina dorsale e nel cervello" sottolineando che su molti punti dei documenti approvati ieri l'apporto è stato quello di "una fortissima traccia italiana". "Scusate se malgrado l'ora ho un certo entusiasmo", ha aggiunto. Monti si è detto ottimista che la Germania possa evolvere la sua posizione sulla entità dei due fondi salva-Stati (Efsf - European financial stability facility ed Esm - European mechanism stability - Vedi Nota) dicendo che questa evoluzione "la vediamo, la sentiamo". Il nodo da sciogliere è nelle sanzioni: di che tipo saranno, chi vigilerà e chi le applicherà. Ma c’è di più. “Solo gli Stati che decidono di accettare i meccanismi e le nuove regole potranno ricevere denaro dal Fondo salva-stati. Questo impone ai paesi più in difficoltà di attenersi a quanto previsto dal fiscal compact soprattutto per quanto riguarda il piano di riduzione del debito per cui viene fissato il tetto del 60% in rapporto al prodotto interno lordo a cui tendere con un miglioramento di un ventesimo all’anno”. Una misura ragionevole perché graduale nel lungo periodo. Questo significa che per l’Italia, oltre alle manovre approvate dal governo Berlusconi, prima, e da quello Monti, poi, tutte quelle che verranno saranno improntate a raggiungere il pareggio di bilancio attraverso la riduzione del debito e la crescita del prodotto interno lordo.Circa l'ipotesi di un commissariamento dei bilanci della Grecia, Monti ha risposto: "Oggi si è parlato molto poco della Grecia. L'ipotesi fantasiosa e sgradevole di una istituzionalizzazione di un commissariamento del bilancio greco non è stata formulata in sede di capi di governo". Per quel che riguarda il Fiscal Compact e le nuove politiche di rientro del debito ha commentato: "La soluzione è nella linea che il Parlamento e il governo italiano auspicavano. Non ci sono ulteriori appesantimenti o aggravi". Dalla riunione la Merkel ne esce rafforzata, ma, la pubblicazione, alla vigilia, di una proposta tedesca per commissariare la Grecia e, in prospettiva, ogni Paese che non rispetti le regole di bilancio, è apparsa così stridente da ottenere l'effetto controproducente di spaccare anche i Paesi del "fronte del rigore" e di attizzare fra gli altri l'insorgere dei sentimenti anti-tedeschi. Va bene che la Merkel è preoccupata per le prossime elezioni ma la Germania deve stare attenta a non tirare troppo la corda perchè potrebbe restare isolata in Europa. Nota. Il Consiglio UE, riunitosi a Bruxelles il 16-17 dicembre 2011, ha dato il via al Meccanismo europeo di stabilità (ESM - European Stability Mechanism), ovvero un meccanismo permanente di salvataggio degli Stati membri in difficoltà destinato a salvaguardare la stabilità finanziaria dell'intera area euro. A partire dal 2013 l'ESM prenderà il posto del Fondo europeo di stabilità finanziaria (EFSF - European Financial Stability Facility) e del meccanismo europeo di stabilizzazione finanziaria, che resteranno in vigore fino al giugno 2013.

ISTAT: la disoccupazione cresce (31 gennaio 2012).
I dati dell’Istat sulla disoccupazione dicono che in Italia la mancanza di lavoro cresce più che in altri paesi, anche se resta sotto la media europea perché partivamo da un dato accettabile. Ora, però, siamo già all’8.9%, con un aumento del 10.9 a dicembre 2011 rispetto allo stesso mese dell’anno prima. Un ritmo più veloce di quello medio della UE. Cresce di 3 punti la disoccupazione giovanile (al 31 per cento, quasi un terzo dei giovani).Per non parlare dei cosiddetti “scoraggiati”, quelli disponibili a lavorare ma delusi e inerti al punto da non cercarlo più, il lavoro. Sono un esercito: 2 milioni 700mila, in proporzione dieci volte più che in Francia. Addirittura più numerosi dei disoccupati. Non a caso ieri il presidente della Commissione Europea, Josè Manuel Barroso, ha proposto l’invio di ispettori nei dieci paesi maggiormente colpiti dalla crescita della disoccupazione. L’Italia è in compagnia di paesi “malati” come la Spagna e i paesi baltici. Non c’è nella lista la Germania, dove anzi la disoccupazione è scesa al 6.7 per cento, il dato più basso in vent’anni. In Italia, l’8.9 è per converso il dato più basso degli ultimi anni, di fatto sui livelli del 2001. Giova notare che le cifre vanno prese con le pinze perché i criteri di calcolo sono diversi nei vari paesi e per esempio in Italia non risultano tanti studenti-lavoratori che non avrebbero problemi a “dichiararsi” in paesi come la Gran Bretagna, va detto che comunque l’allarme dei sondaggi è sempre tardivo rispetto ai problemi. Fotografa una situazione matura e datata. Il dramma della disoccupazione giovanile in Italia è sotto gli occhi di tutti, da tempo. L’Unione europea che approva i vincoli di bilancio se ne disinteressa. Solo parole sono uscite da Bruxelles, ieri e oggi, su questo che è un tema cruciale anche perché se c’è meno lavoro c’è meno crescita. E noi ancora discutiamo dell’articolo 18, unico al mondo, e il leader della UIL, Angeletti, si dice contrario a riformarlo anche per i nuovi assunti. Ma i sindacati, si sa, sono pagati dai pensionati e da chi il lavoro ce l’ha. Chi rappresenta i nostri figli? Chi se non noi? Non possiamo tollerare l’idea di prepensionamenti con tanto di consulenze-premio a vita, di assunzioni dietro raccomandazione, di una laurea che è carta straccia (il suo valore legale andrebbe abolito), di avanzamenti automatici di carriera in dispregio del merito, di una giustizia dai tempi biblici che rende difficile la vita alle imprese (e ai lavoratori). Non possiamo più considerare le indennità di disoccupazione alla stregua di assegni permanenti di solidarietà che sollevano i disoccupati dall’obbligo di cercare un nuovo posto.

Approvato il milleproroghe (1 febbraio 2012).
Via libera della Camera al decreto legge Milleproroghe. Tra le novità del passaggio del decreto alla Camera ci sono i correttivi alla riforma delle pensioni targata Fornero per i lavoratori cosiddetti "esodati" e i "precoci" e l'aumento del prezzo delle sigarette.
Queste sono le principali modifiche:
- pensioni: i lavoratori "precoci" (coloro che lasceranno il lavoro con 42 anni di anzianità, prima di avere compiuto i 62 anni d'età (41 e un mese per le donne) non avranno penalizzazioni se lasciano il lavoro con un'anzianità contributiva maturata entro il 31 dicembre 2017 inclusi i periodi di astensione obbligatoria per maternità, per l'assolvimento degli obblighi di leva, per infortunio, per malattia e cassa integrazione ordinaria. Agli "esodati" (coloro che accettando incentivi economici dall'impresa in crisi si sono licenziati con la prospettiva di andare i pensione entro i successivi due anni e che con le nuove norme hanno visto svanire questa possibilità) non verrà applicata la riforma Fornero se hanno risolto il rapporto di lavoro entro il 31 dicembre 2011. Se le risorse non fossero sufficienti potrebbe scattare un aumento dei contributi che le imprese versano per gli ammortizzatori sociali.
- sigarette: le risorse per "precoci" ed "esodati" arriveranno con un incremento dell'aliquota di base dell'accisa sui tabacchi lavorati per assicurare "maggiori entrate in misura non inferiore a 15 milioni di euro per l'anno 2013 e 140 milioni annui a decorrere dal 2014".
- Sistri: proroga di ulteriori quattro mesi fino al 30 giugno per l'operatività del Sistri.
- spiagge: le concessioni su spiagge, laghi e porti, anche ad uso diverso da quello turistico-ricreativo, in essere al 31 dicembre 2011 sono prorogate di un anno.
- agenzia strade e autostrade: quattro mesi in più per l'adozione dello Statuto dell'Agenzia per le infrastrutture stradali e autostradali.
- esuli Libia: in arrivo 150 milioni in tre anni in favore degli esuli cacciati nel 1970 da Gheddafi.
- rimborsi elettorali per il Molise: prorogati i termini per la presentazione della richiesta dei rimborsi elettorali relativi al rinnovo del Consiglio regionale del 16 e 17 ottobre scorso.
- risorse per gli alluvionati di Messina: i 70 milioni di euro in arrivo per gli alluvionati di la Spezia e Massa Carrara e Genova vengono suddivise anche con Livorno, il Comune di Ginosa, la frazione di Metaponto e Messina.
- in arrivo 500mila euro nel 2012 per il Comune di Pietrelcina.

USA: cala la disoccupazione (3 febbraio 2012).
I dati sul mercato del lavoro statunitense hanno battuto le aspettative più ottimistiche degli analisti: a gennaio sono stati creati 243 mila posti di lavoro e il tasso di disoccupazione è sceso all'8,3%, dall'8,5% di dicembre. Il numero dei senza lavoro, pari a 12,8 milioni di persone, è sceso al livello più basso degli ultimi tre anni.
Il tasso di disoccupazione, pari all'8,2%, non era così basso dal febbraio del 2009. Gli economisti avevano messo in conto che il tasso rimanesse stabile all'8,5% e che a gennaio fossero create un numero di buste paga inferiore a 200 mila unità.
I nuovi posti di lavoro riflettono la crescente fiducia delle imprese private, che così hanno iniziato ad assumere persone. Il settore privato ha infatti generato 257mila nuove buste paga, mentre il settore pubblico ne ha perse 14mila, soprattutto a livello di amministrazioni federali e locali. Il tasso di disoccupazione, però, rimane su livelli storicamente elevati per gli Stati Uniti.
Un ulteriore segnale positivo è legato al rialzo dello 0,2% del costo medio orario delle retribuzioni, a 23,29 dollari. Su base annua il costo medio orario è salito dell'1,9%.
Andando più nel dettaglio, il settore dei servizi professionali ha registrato la creazione di 70mila nuovi posti di lavoro, quello manifatturiero di 50mila. E' inoltre andata bene l'industria dell'auto. Del resto Chrysler ha annunciato proprio questa settimana che verranno assunti quest'anno 1.800 dipendenti.
Inizia a vedersi qualche segnale positivo? Speriamo!

Insofferenza verso la Grecia (8 febbraio 2012).
Le tensioni sul futuro della Grecia si toccano ormai con mano. Dietro all'intervista pubblicata ieri in cui il vice presidente della Commissione Neelie Kroes apre la porta a un fallimento greco si nasconde una evidente insofferenza per il comportamento della Grecia. Eppure parallelamente, nella speranza che ad Atene si trovi un accordo che le permetta di beneficiare di nuovi aiuti europei, i diplomatici stanno cercando soluzioni per coprire il buco che si è venuto a creare nel nuovo pacchetto da 130 miliardi. La signora Kroes ha detto ad alta voce quello che molti stanno sussurrando: «L'uscita di un Paese dalla zona euro non è un dramma - ha spiegato il commissario olandese al quotidiano De Volkskrant -. Si dice spesso che se un Paese lascia la zona euro o gli viene chiesto di lasciare la zona euro, allora l'intera struttura collassa. Semplicemente, non è vero». L'Olanda, forse più della Germania o della Finlandia, sta flirtando con l'idea di abbandonare la Grecia. L'uscita della signora Kroes non è più il tentativo estremo di mettere il governo Papademos sotto pressione. In alcuni ambienti europei l'esasperazione ha fatto un salto di qualità. Non c'è più fiducia nella classe politica greca; si teme che con le elezioni in aprile la situazione peggiori, o comunque non migliori. In queste circostanze il rischio è che la posizione della signora Kroes faccia adepti. Un altro commissario, la greca Maria Damanaki, ha spiegato che l'uscita dall'euro è ormai «studiata apertamente». Tuttavia, proprio mentre il governo Papademos rinvia per l'ennesima volta trattative ritenute decisive e mentre cresce l'insofferenza contro la Grecia (ieri il premier olandese Mark Rutte si è dichiarato «d'accordo» con la signora Kroes), gli sherpa dei Tesori nazionali guardano oltre, sperando su un'intesa ad Atene che possa dare nonostante tutto il via libera ai nuovi fondi europei. Il pacchetto deciso in ottobre doveva essere di 130 miliardi di euro. Potrebbe essere leggermente più elevato e raggiungere i 145 miliardi. Come coprire il buco? Almeno due le possibili soluzioni sul tavolo: una riduzione del tasso d'interesse sui prestiti alla Grecia (oggi intorno al 5%), in modo da dare al Paese più soldi; e/o l'eventualità che le istituzioni pubbliche accettino anche loro, insieme alle banche private, una ristrutturazione del debito. Si discute anche se le banche centrali possano accettare questa soluzione, evitando però che lo faccia la Bce, in modo che non venga accusata in Germania di finanziamento monetario surrettizio.

Accordo raggiunto in Grecia per evitare il default (9 febbraio 2012).
Il governo greco ha comunicato ufficialmente che è stato raggiunto «un accordo generale» tra i tre partiti politici che lo sostengono, sulle misure di austerità supplementari e le riforme richieste dalla Troika. Accordo necessario, insieme alla ristrutturazione del debito pubblico in mano alle banche, per sbloccare il piano di aiuti Ue-Fmi stimato intorno ai 130 miliardi di euro. Intanto questa mattina il ministro delle Finanze greco è volato a Bruxelles con un accordo incompleto raggiunto tra i partiti ad Atene sulle richieste di riforme e tagli avanzate dall'Unione europea come condizione per l'ulteriore passo nel piano di salvataggio dell'economia ellenica. L'accordo è stato raggiunto dopo la riunione notturna tra governo e partiti, si tratta di un'intesa su tutti i punti chiesti dalla Troika, tranne che sui tagli alle pensioni integrative, fa sapere l'ufficio del premier Lucas Papademos. Il governo greco, dunque, spera che i ministri delle Finanze dell'Eurozona, che si riuniranno questa sera a Bruxelles, in una riunione convocata dal presidente dell'Eurogruppo, Jean-Claude Juncker, prenderanno «una decisione positiva» per quanto riguarda il piano d'aiuti alla Grecia. Il ministro greco prima di lasciare Atene, spiega: «Parto per Bruxelles con la speranza che l'Eurogruppo prenderà una decisione positiva in merito al nuovo piano di aiuti». Stando alle ultime indiscrezioni la Troika, avrebbe concesso altri 15 giorni di tempo al governo greco per tovare i 300 milioni di euro che mancano per chiudere l'accordo sul nuovo pacchetto di aiuti da 130 miliardi di euro. Lo rivela l'agenzia Bloomberg, secondo la quale un default della Grecia non è all'ordine del giorno dell'Eurogruppo di oggi a Bruxelles. Se l'intesa sarà raggiunta in Europa e con il Fondo monetario, la Grecia avrà un anno in più (fino al 2015) per creare nei suoi conti pubblici un avanzo primario di 4,5 miliardi di euro. Il governo Papademos dovrà però specificare nell'immediato le misure aggiuntive di austerity che intende prendere per il periodo 2013-2015, che dovranno essere pari a circa 10 miliardi di euro. Resta l'incognita del giudizio europeo sull'accordo incompleto raggiunto ad Atene.

Ancora problemi in Grecia (10 febbraio 2012).
Sale la tensione ad Atene dove la destra estrema (Laos) al Governo decide di non firmare il piano di austerità e di dimettersi, mentre nelle piazze sfocia la violenza. Scontri ad Atene tra manifestanti e forze di polizia si sono verificati nell'ambito delle proteste coincise con lo sciopero indetto dai sindacati contro i tagli decisi dal governo Papademos per poter ottenere i 130 miliardi di aiuti. I ministri del partito greco di estrema destra Laos hanno presentato le proprie dimissioni al primo ministro Papademos. Spetterà proprio a Papademos scegliere se accettare o meno le dimissioni, spiegano le fonti ma il Governo greco vacilla anche perché un ventina di deputati del partito socialista Pasok e altrettanti del conservatore Neo Dimokratia, i due maggiori partiti della coalizione di governo hanno annunciato di non voler votare il pacchetto domenica in Parlamento sfidando i rispettivi segretari Georgios Papandreou e Antonis Samaras. «Ogni ministro che si oppone alle misure di rigore verrà rimpiazzato». Lo ha dichiarato una fonte del governo, commentando le dimissioni dei tre ministri di estrema destra (Laos). Dimissioni anche da parte della deputata socialista greca e sottosegretaria agli Esteri Mariliza Xenogiannakopoulou, in aperta polemica con l'accordo raggiunto ieri dal Governo. La televisione di Stato ellenica ha mostrato immagini di giovani dimostranti, col volto coperto da cappucci ed elmetti, intenti al lancio di pietre e molotov contro la polizia presso la piazza di Syntagma, dove si trova il palazzo del Parlamento e dove le forze dell'ordine hanno risposto con l'uso di lacrimogeni. Ma la notizia più interessante del giorno è il «no» della destra estrema alle richieste della troika. Il leader del partito di estrema destra, membro della coalizione di governo, Georges Karatzaferis, ha annunciato che non voterà domenica in parlamento il piano di austerità chiesto da Ue e Fmi per sbloccare il nuovo piano di aiuti da 130 miliardi di euro. «Non posso votare questo piano di austerità che umilia il paese, non è la strada giusta», ha dichiarato Karatzaferis, all'indomani dell'accordo politico sul piano da parte dei tre partiti (socialista, destra ed estrema destra). La mossa è in previsione del voto anticipato che si dovrà tenere ad aprile. La Ue non vuole dare i soldi: La Commissione Ue ha ribadito la necessitá di avere «certezza legale», con l'approvazione da parte del Parlamento greco dell'accordo raggiunto a livello tecnico tra le autoritá greche e la troika, perché «la responsabilitá deve restare nelle mani di chi è responsabile davanti ai cittadini». Lo ha sottolineato il portavoce del commissario Ue agli affari economici e monetari Olli Rehn, ricordando che il governo greco ha tempo «entro l'Eurogruppo di mercoledì» per presentare le misure con cui chiudere il gap fiscale di 325 milioni di euro, che finora sono stati coperti con generici tagli di spesa alla difesa.

Ducati: un altro grande marchio sta per andarsene (13 febbraio 2012).
Il costruttore italiano di moto noto in tutto il mondo, grazie anche al pilota di MotoGp Valentino Rossi, si appresta a passare di mano. Investindustrial, il gruppo italiano di private equity che fa capo alla famiglia Bonomi, ha intenzione di vendere il marchio in una transazione che potrebbe valere fino a 1 miliardo di euro, il triplo dell'investimento iniziale. «Ducati è attualmente un'impresa perfetta, ma per un'ulteriore crescita ha bisogno di un partner industriale di classe mondiale. Quest'anno lavoreremo per trovare quel partner», ha dichiarato al Financial Times il presidente di Investindustrial Andrea Bonomi. Lo scorso anno Investindustrial, uno dei maggiori investitori in private equity del Sud Europa - scrive il Ft - ha dato mandato a Deutsche Bank e a Goldman Sachs di sondare una quotazione in Borsa di Ducati a Hong Kong. Ma una vendita a un concorrente o a un grande gruppo automobilistico viene visto attualmente come lo schema più probabile per internazionalizzare ulteriormente il marchio. Bonomi ha spiegato che diversi gruppi industriali in Asia, Europa e Usa sono interessati a Ducati e, secondo fonti vicine al dossier, tra i possibili acquirenti figurano il gruppo motociclistico indiano Mahindra e colossi tedeschi come Volkswagen e Bmw. Ducati, che iniziò 86 anni fa la sua attività come produttore di apparecchi radiofonici, oggi detiene il 10,5% nel mercato globale delle moto sportive, in rialzo rispetto all'8,5% del 2010. Ducati Motor Holding si appresta a chiudere il 2011 con circa 42.000 moto vendute e un fatturato prossimo ai 480 milioni di euro, numeri che rappresentano un incremento del 20% rispetto all'anno precedente. La società ha in carico debiti pari a circa 1,7% degli utili prima degli interessi, svalutazione e ammortamenti: un livello basso nel confronto con la maggior parte delle impresa in portafoglio private equity.

Grecia: approvato il piano di austerity (13 febbraio 2012).
Poco prima della mezzanotte il Parlamento greco ha raggiunto la maggioranza dei sì sul nuovo piano di tagli richiesti da Bruxelles in cambio degli aiuti. «È l'ora delle decisioni», aveva detto in aula il premier Lucas Papademos, affermando che «abbiamo davanti un piano che ci aiuterà a uscire dalla crisi economica» in dispensabili per evitare il disastro. A favore delle misure presentate dal governo Papademos hanno votato 199 parlamentari, 74 i voti contrari. Oltre 40 deputati sono stati espulsi dai partiti della coalizione di governo per non aver appoggiato il piano. Il voto è stato preceduto da un infuocato dibattito, nel corso del quale i rappresentanti del governo hanno evocato scenari drammatici per la Grecia nel caso di bocciatura del piano di austerità. All'esterno del Parlamento intanto si erano radunate migliaia di persone (80.000 secondo le autorità) per protestare contro le nuove misure. Gruppi di manifestanti, fra cui i black bloc, hanno letteralmente messo a ferro e fuoco il centro della capitale, scontrandosi con la polizia e appicando incendi in banche, negozi e uffici. Almeno 54 persone sono rimaste ferite, ha riportato il ministero della Sanità. Anche a Salonicco ci sono state manifestazioni di protesta e almeno sei banche sono state danneggiate. Il capo del governo aveva inoltre ripetuto che una decisione sbagliata del voto sul piano porterebbe un «catastrofico default, l'isolamento e l'uscita dall'euro». La maggioranza dei parlamentari lo ha ascoltato e ha votato sì alle nuove misure, ma la piazza di Atene è stata per molte ore oggetto di proteste anche violente, soprattutto a opera dei cosiddetti black bloc. Molotov, bombe carta, lacrimogeni, scontri. Ma soprattutto incendi. Brucia Atene, dove migliaia di manifestanti hanno per ore assediato il Parlamento greco chiamato a varare il pacchetto di austerity "lacrime e sangue" preteso dall'Ue e dal Fmi per dare il via libera al secondo piano di salvataggio da 130 miliardi di euro. «La scelta non è tra i sacrifici e non fare sacrifici, ma tra i sacrifici e qualcosa di inimmaginabile», ha detto intervenendo in Parlamento il ministro delle Finanze greco, Evangelos Venizelos. Sono andati in fiamme la sede di una banca, due cinema e una serie di negozi, nei pressi dell'università, e le fiamme si sono estese ai primi piani dei palazzi che li ospitavano. Sul posto sono arrivati i pompieri, che stanno tentando di domare le fiamme. In piazza Syntagma, tra fuochi e gas lacrimogeni, sono rimasti solo gruppi di anarchici e black bloc fronteggiati da poliziotti con maschere antigas in assetto antisommossa. Un agente sarebbe rimasto ferito. Anche il leggendario compositore greco Mikis Theodorakis, 88 anni, autore del sirtaki e storico attivista politico è tra i dimostranti. Il voto è arrivato attorno alla mezzanotte. L'approvazione di questa nuova manovra ha portato alle dimissioni dei ministri del partito di estrema destra.

Downgrade di Moody's (14 febbraio 2012).
L'agenzia statunitense ha abbassato il rating del nostro Paese portandolo da A2 ad A3 con outlook negativo, lasciando intravedere nuovi tagli se la situazione nell'Eurozona non migliorera'. La decisione di Moody's arriva a pochissimi giorni dalla missione negli Usa del primo ministro Mario Monti, che ha illustrato le misure e le riforme decise dal suo esecutivo al presidente Barack Obama ma anche alla comunita' finanziaria statunitense, con una storica visita a Wall Street. Nonostante cio' gli analisti di Moody's - che hanno tagliato anche il rating di Spagna e Portogallo e minacciano la tripla A di Francia, Regno Unito ed Austria - vedono alcuni punti deboli che condizionano il nostro Paese. Innanzitutto le incertezze legate alla situazione in Europa: dal rischio defualt della Grecia alle difficoltà che i leader stanno ancora dimostrando nel mettere a punto una valida rete di protezione del sistema finanziario e una riforma delle proprie istituzioni. Senza contare le prospettive economiche in via di costante deterioramento, soprattutto in alcuni Paesi tra cui proprio l'Italia. Tutto ciò - spiegano gli analisti dell'agenzia - rischia di pesare ulteriormente "sulla gia' fragile fiducia dei mercati" verso i Paesi con i maggiori problemi sul fronte dei debiti sovrani. Per Moody's ci sono poi le incertezze legate in maniera specifica alla situazione italiana: sia quella economica, con una recessione che si riaffaccia prepotentemente alla porta, sia quella dei conti pubblici, a partire dall'elevatissimo livello del debito pubblico e dagli altissimi costi per rifinanziarlo. Terzo - sottolinea Moody's - c'e' un altro "rischio significativo": quello che il governo italiano non riesca a centrare gli obiettivi di risanamento a causa della marcata e persistente debolezza strutturale dell'economia del Paese. E qui sarà fondamentale quello che il governo Monti riuscirà ad ottenere sul fronte delle riforme strutturali, da quella del mercato del lavoro alle liberalizzazioni. Anche da questo dipenderanno le prossime decisioni dell'agenzia di rating, che per il nostro Paese conferma un outlook negativo legato sopratutto ad un possibile peggioramento della crisi del debito nell'Eurozona. Non a caso anche il rating di Madrid è stato tagliato di ben due scalini (da A1 ad A3), insieme a quello di Lisbona (da Ba2 a Ba3). Giù il rating anche di Slovenia, Slovacchia e Malta. Spread tra Btp e Bund tedesco in rialzo stamani sui mercati con il differenziale che si posiziona poco oltre i 377 punti (367 alla chiusura di ieri). Il rendimento è del 5,67%. COMMENTO Su gran parte dei quotidiani è un lungo peana; "Come ...Monti è stato in Usa ha spiegato tutto a Obana e alla comunità finanziaria, come si permette Moody's di farci un tale affronto!?!". Dobbiamo chiederci di quanto è sceso lo stock del debito? Quali privatizzazioni sono state avviate? Nulla. Ecco la risposta.

Grecia: altre peplessità (15 febbraio 2012).
Le trattative tra la Grecia e i suoi partner per la concessione del nuovo pacchetto di aiuti incontrano nuovi ostacoli e dubbi. Venerdì a Roma si incontreranno il cancelliere tedesco Angela Merkel e il premier Mario Monti, per discutere di eurozona e della crisi greca. Il presidente dell'Eurogruppo Jean-Claude Juncker ieri ha spiegato che è necessario «ulteriore lavoro tecnico in un certo numero di settori». In particolare, il primo ministro lussemburghese ha sottolineato che ancora manca all'appello un accordo sul modo in cui la Grecia intende coprire un buco da 325 milioni di euro; «unel contempo non sarebbe ancora pronta l'analisi aggiornata sulla sostenibilità del debito greco. Per di più non ho ancora ricevuto le assicurazioni politiche dai leader della coalizione greca sull'adozione del programma di risanamento delle finanze pubbliche». Prima di prestare nuovo denaro ad Atene, l'Eurogruppo vuole dai leader politici un impegno scritto a perseguire le riforme economiche anche dopo le elezioni che si terranno ad aprile. La questione greca continua dunque a essere circondata da una grande incertezza. Il Parlamento di Atene ha approvato domenica l'accordo con la troika. Questo passaggio parlamentare era però soltanto una delle condizioni poste dai ministri delle Finanze in occasione dell'Eurogruppo della settimana scorsa. In quella circostanza, i Governi della zona euro avevano anche chiesto impegni scritti da parte delle forze politiche, così come un piano di riduzione del deficit pubblico per il 2012 di 325 milioni di euro. Queste ultime due condizioni non sarebbero state soddisfatte. L'aspetto più controverso è la promessa scritta. Due giorni fa, Antonis Samaras, il leader del partito conservatore Nuova Democrazia, ha affermato che se sarà eletto primo ministro nelle elezioni di aprile, vorrà rinegoziare il pacchetto con Bruxelles. Il ministro delle Finanze tedesco, Wolfgang Schäuble, ha risposto indispettito. Riferendosi a un eventuale fallimento della Grecia, ha dichiarato, minaccioso: «Siamo meglio equipaggiati di due anni fa». L'allusione è chiara: lo stesso accordo con le banche per una ristrutturazione del debito pubblico greco nasconde la possibilità di trasformare l'operazione finanziaria in un fallimento ordinato, se sarà necessario. C'è una evidente sfiducia nei confronti della Grecia, un Paese che tra le altre cose continua a riservare una fetta importante del proprio bilancio alla difesa (circa il 3% del prodotto interno lordo). COMMENTO Ritengo fuori luogo la rigidità di Jean-Claude Juncker che come Presidente del Lussemburgo si rifiuta di concordare con l'UE un piano anti evasione per il suo Paese, uno dei paradisi fiscali per evasori di tutta Europa, Paese che basa la propria ricchezza ospitando una parte di quell'enorme massa finanziaria che è alla base dell'attuale crisi.

No alla candidatura di Roma alle Olimpiadi 2020 (15 febbraio 2012).
Dopo una valutazione dei costi e dei benefici legati all’operazione nel suo complesso, il premier Monti ha deciso che non esistono le condizioni perché il governo offra le garanzie dello Stato alla candidatura per i Giochi. Non arriva, dunque, la firma sulla lettera con le garanzie richieste dal Cio da presentare entro il 15 febbraio. Il presidente del Consiglio ha incontrato il presidente del Comitato organizzatore, Mario Pescante, il presidente del Coni, Petrucci e il sindaco di Roma, Alemanno, ufficializzando una decisione che era già nell’aria da tempo. La lettera con le garanzie richieste dal Cio doveva essere consegnata entro mercoledì. «L’esito è stato negativo», ha detto sconsolato il sindaco Alemanno all'uscita dall'incontro a Palazzo Chigi. Sconsolato ma anche deciso a dare un segno politico alla bocciatura delle chances olimpiche della capitale. Ha prevalso la considerazione che l’Italia non può permettersi un’avventura con troppe incognite e con costi non chiari. Pur sottolineando la sua ammirazione per un progetto che merita elogi, il presidente del Consiglio ha spiegato: «Il Comitato olimpico internazionale richiede al governo del Paese ospitante i Giochi una lettera di garanzia finanziaria... tra le altre cose il governo del Paese ospitante deve farsi carico di ogni eventuale deficit della manifestazione». E ha sottolineato: «Non possiamo correre rischi». Tutti i ministri, ha poi spiegato Monti, hanno partecipato alla discussione sul tema e «siamo arrivati alla conclusione unanime che il governo non si sente - nelle attuali condizioni dell'Italia - di assumere questi impegni di garanzia». Monti ha parlato poi delle Olimpiadi a Roma come di una «operazione che potrebbe mettere a rischio i denari dei contribuenti, proprio mentre siamo sottoposti nei prossimi vent'anni ad un'operazione di rientro dal debito, operazione condivisa e accettata in sede europea dal precedente governo». Il governo, ha ricordato quindi Monti, «ha dovuto chiedere sacrifici importanti a larghe fasce della popolazione italiana». Ma le turbolenze che ancora interessano l'economia non consentono ancora di prescindere da questa difficile situazione finanziaria: «Dobbiamo responsabilmente guidare l'Italia. In questo senso, non ci sentiamo di prendere un impegno finanziario che potrebbe gravare sull'Italia in misura imprevedibile nei prossimi anni». La crisi economica, il caso di Atene 2004 e i costi raddoppiati per l’Olimpiade che si svolgerà a Londra sono stati decisivi nel convincere il premier ad un no comunque doloroso, perché Monti è il primo a sapere che l’organizzazione di un’Olimpiade può rappresentare una grande occasione di sviluppo. Ma non in questo momento e non a queste condizioni. La mancata firma della lettera di impegno economico da consegnare al Cio fa decadere la candidatura. Commento. Dopo il NO di Monti, che riceve il plauso dal 90% degli italiani, i soliti noti si sono rivelati patrioti e offesi per questa grande opportunità persa dall'Italia (... agli intrallazzatori, ai palazzinari, ai faccendieri, ai corruttori, ai corrotti. Ricordiamoci degli scandali dei Mondiali di Roma 2009).

La scure di Moody's sull'Europa (16 febbraio 2012).
Moody's declassa decine e decine di realtà economiche europee, enti locali, grandi imprese, banche e assicurazioni. Dopo il giudizio sul debito sovrano italiano, l'agenzia di rating annuncia l'abbassamento della valutazione relativa a numerosi enti locali di vari Paesi d'Europa. In Italia il downgrade riguarda le regioni Lombardia, Toscana, Umbria e Veneto, la provincia e il comune di Milano come pure quelli di Firenze, la provincia di Torino e la città di Venezia. Ribassati anche i rating di varie regioni ed enti locali spagnoli, portoghesi e austriaci, nonché quello di varie società francesi, tra cui quelle ferroviarie. Nella valutazione a lungo termine, Moody's cala di un posto la Lombardia (A1), la città e la provincia di Milano (A2), la città di Firenze (BAA1), la provincia di Firenze e la regione Toscana (A3), la provincia di Torino (A2), l'Umbria (A3), il Veneto e la città di Venezia (A3). Moody's declassa o abbassa l'outlook di 114 istituti di credito di 16 Paesi europei. Le banche italiane coinvolte dalla revisione del giudizio sono 24. Poi ce ne sono 21 spagnole, otto austriache, dieci francesi, sette tedesche, otto danesi, sei portoghesi, nove britanniche, cinque svedesi, quattro slovene, due svizzere e una per Belgio, Finlandia, Lussemburgo e Norvegia. Le azioni sui rating riflettono, afferma Moody's, "la pressione combinata" derivante in primo luogo dall'"avverso e prolungato impatto della crisi dell'area dell'euro che rende il contesto operativo molto difficile per le banche europee", in secondo luogo il "deterioramento del merito di credito dei rating sovrani, che ha portato all'aggiustamento dei rating di nove Paesi lo scorso 13 febbraio" e infine le "sfide importanti" che dovranno affrontare le banche con "significative attività sui mercati dei capitali". Queste difficoltà, secondo Moody's, non riescono ad essere compensate dalla presenza di fattori positivi come il supporto offerto dai governi al sistema bancario e la politica monetaria accomodante. Moody's rivede anche il giudizio su nove gruppi assicurativi europei. Rating abbassato per Unipol, Generali, Mapfre, Caser e Allianz Spa a causa "degli investimenti e dell'esposizione operativa in Italia e Spagna". Outlook rivisto per Allianz Se, Axa, Aviva a causa dell'indebolimento delle condizioni economiche e delle prospettive per l'Eurozona. Sotto osservazione per un possibile downgrade anche Scottish Widows, Clerical Medical e Sns Reaal. Moody's taglia il rating dell'Eni e delle Poste da A2 ad A3, mantenendo negative le prospettive, e rivede da stabile a negativo l'outlook di Finmeccanica. L'agenzia lega la decisione all'abbassamento del rating dell'Italia.
Questi i 24 Istituti sottoposti a downgrade da Moody's.

1) Banca Carige 2) Banca della Marca credito cooperativo 3) Banca delle Marche 4) Banca Monastier e del Sile 5) Banca Mps 6) Bnl 7) Banca popolare Alto Adige 8) Banca popolare di Cividale 9) Banca popolare di Marostica 10) Banca popolare di Spoleto 11) Banca Sella 12) Banca Tercas 13) Banco popolare società cooperativa 14) Cassa di risparmio di Bolzano 15) Cassa di risparmio della provincia di Chieti 16) Cassa di risparmio di Cesena 17) Cassa di risparmio di Parma e Vicenza 18) Credito Emiliano 19) Credito Valtellinese 20) Iccrea BancaImpresa 21) Intesa Sanpaolo 22) Unicredit 23) Ubi Banca 24) Unipol Banca

BCE: tagliate le stime di crescita (16 febbraio 2012).
Facendo eco ai downgrade di Moody's gli economisti della Bce hanno tagliato la stima sulla crescita dell'eurozona nel 2012, portandola a -0,1% da +0,8%. Lo afferma la Bce nel Bollettino mensile. Per il 2013 la Ue-17 crescerà dell'1,1%, contro la precedente stima dell'1,6%. Gli economisti hanno anche aumentato la stima sull'inflazione 2012 all'1,9% dall'1,8%. «I tassi di interesse a breve termine molto contenuti - si legge nel comunicato - e tutte le misure adottate per promuovere il buon funzionamento del settore finanziario dell'area dell'euro sono di sostegno all'economia dell'area. Inoltre, le tensioni presenti nei mercati finanziari si sono attenuate in risposta alle misure di politica monetaria del Consiglio direttivo, ma anche ai progressi compiuti verso il rafforzamento del quadro di governance dell'area dell'euro e all'intensificazione del risanamento dei conti in diversi paesi dell'area». Tuttavia la moderata espansione della domanda a livello mondiale, le perduranti tensioni nei mercati del debito sovrano dell'area dell'euro e il loro impatto sulle condizioni di credito, nonché il processo di risanamento dei bilanci nei settori finanziario e non finanziario continuano a frenare la dinamica di fondo della crescita nell'area. Tale prospettiva è soggetta a rischi al ribasso. Questi sono connessi, in particolare, alle tensioni nei mercati del debito dell'area dell'euro e alla loro potenziale propagazione all'economia reale dell'area; inoltre riguardano eventuali andamenti sfavorevoli dell'economia mondiale, rincari delle materie prime superiori alle ipotesi, spinte protezionistiche e una possibile correzione disordinata degli squilibri internazionali». In dicembre i tassi di incremento sui dodici mesi dei prestiti alle società non finanziarie e alle famiglie, corretti per le cessioni e le cartolarizzazioni, hanno continuato a ridursi, collocandosi rispettivamente all'1,2 e all'1,9 per cento. Il volume dei prestiti a entrambi i settori ha registrato in dicembre una diminuzione, particolarmente pronunciata per il comparto delle società non finanziarie. Vi sono inoltre indicazioni di un ulteriore inasprimento delle condizioni per la concessione del credito da parte delle banche, con effetti sull'offerta di prestiti in diversi paesi dell'area dell'euro alla fine del 2011 anche se la Bce rileva come non sia «ancora completamente espletato l'impatto della prima asta a tre anni sul finanziamento bancario» e la più recente indagine sul credito bancario potrebbe non darne pieno conto. Inoltre devono ancora essere attuate altre misure di politica monetaria non convenzionali annunciate in dicembre. «Dovrebbero essere ridotte le rigidità del mercato del lavoro e dovrebbe essere accresciuta la flessibilità salariale», raccomanda la Bce, sottolineando anche che «occorre realizzare riforme ambiziose e di ampia portata a favore della concorrenza nel mercato dei beni e servizi. È fondamentale che tutti i paesi aderiscano agli obiettivi di bilancio annunciati per il 2012. Ciò dovrebbe contribuire ad ancorare le aspettative su politiche di bilancio sane e a rafforzare la fiducia. A livello dell'Ue nonché negli ordinamenti giuridici di diversi Stati membri è in atto un rafforzamento delle regole che disciplinano la formulazione e l'attuazione delle politiche nazionali di bilancio. Questi sono passi importanti nella giusta direzione.»

De Tomaso: un altro marchio in mani straniere (17 febbraio 2012).
Il marchio De Tomaso entra nell'orbita cinese: è stato infatti svelato il nome dell'acquirente di maggioranza. Si tratta della Car Luxury Investment, società italiana del gruppo cinese Hotyork Investment Group. Non è impresa industriale, ma una cordata di investitori finanziari che hanno già esperienza nel settore dell'auto anche dal punto di vista manageriale. L'iniezione di capitale potrebbe ridar vita al progetto di Gian Mario Rossignolo, ex presidente di Telecom, che nel 2009 rilevò il marchio De Tomaso, con l'obiettivo di far rinascere lo storico brand dopo il fallimento del 2004. Negli ultimi mesi si sono susseguiti una catena di annunci: dalla presentazione a marzo al salone di Ginevra di un concept di Suv/Crossover (dalle linee molto simili a una Bmw Serie 5 GT) e dal tentativo, non andato in porto di acquisre lo stabilimento Ex Fiat di Termini Imerese poi "acquistato dalla Dr Motors di Macchi di Isernia. La storica fabbrica siciliana, nei piani di rosignoli, avrebbe dovuto aggiungersi ai due impianti rilevati dall'impresa: quello Pininfarina di Grugliasco, acquistato con tutti i macchinari, e il secondo di Livorno appartenuto a Delphi, colosso dei componenti Usa. Inoltre risulta che alla società siano stati attribuiti dalla Ue aiuti per 19.2 milioni destinati alla formazione del personale per quanto riguarda la selleria, la saldatura, la verniciatura e l'assemblaggio per 1038 addetti dei due stabilimenti. Il piano di rilancio fa leva sulla produzione di nuovi modelli di auto di lusso (suv e crossover). In pratica De Tomaso punta a sfidare in una partita molto difficile, marchi come Audi e Bmw, mentre nel settore dei suv di alto livello stanno per entrare altri due marchi del gruppo Volkswgen: Bentley e Lamborghini. Per la De Tomaso si tratta di un'impresa titanica, visto che la forza del suo brand storico è da dimostrare e di fronte ha competitori in possesso di tecnologie produttive di alto livello nonché di formidabili economie di scala che derivano da sinergie tra vari marchi. L'ingresso dei capitali cinesi dovrebbe rimettere in moto l'impresa che al momento non ha ancora prodotto nulla. La famiglia Rossignolo manterrà la gestione operativa dell'impresa. "Crediamo nel piano finanziario presentato - spiega il presidente Qiu Kunjian attraverso il suo legale - e intendiamo sviluppare la produzione negli stabilimenti esistenti in Italia, garantendo il mantenimento di tutti i posti di lavoro attuali". L'Italia resterà la sede di produzione delle nuove vetture De Tomaso, mentre il gruppo asiatico "utilizzerà la propria forza commerciale per rafforzare la rete distributiva, non solo cogliendo le opportunità e potenzialità del mercato cinese, ma puntando a una estensione globale a livello internazionale". "Abbiamo attentamente considerato il piano - dichiara Qiu Kunjian - e crediamo nell'opportunità' di sviluppare tutto il prezioso potenziale dell'impresa. Ora stiamo lavorando per finalizzare gli ultimi dettagli e rendere operativo l'accordo entro i prossimi giorni: alla fine di questo processo amministrativo, la De Tomaso potrà tornare a investire tutte le proprie energie nella produzione di auto di qualità per il mercato mondiale".

Corte dei conti: la corruzione dilaga (17 febbraio 2012).
L’allarme lo lancia il presidente Luigi Giampaolino, aprendo la cerimonia di inaugurazione dell’anno giudiziario dei magistrati contabili: «Illegalità, corruzione, malaffare sono fenomeni ancora notevolmente presenti nel Paese e le cui dimensioni, presumibilmente, sono di gran lunga superiori a quelle che vengono, spesso faticosamente, alla luce». Incontrando i giornalisti al termine, Giampaolino è ancora più esplicito. La battaglia contro la corruzione è stata persa, ammette: «Bisognava combattere in modo sistemico, mentre in Italia l’approccio è stato solo penalistico, chirurgico, fatto di tagli irrimediabili. Sempre con l’idea di aumentare le pene o inventarsi nuovi reati mentre sarebbe servita una riforma della pubblica amministrazione». Bisognava creare una mobilitazione ampia, diffusa, qualcosa di paragonabile alle lenzuola bianche della lotta alla mafia: «Bisognerebbe fare per la corruzione quello che è stato fatto per la mafia, costruire un momento di lotta». Nel tratteggiare il malaffare pubblico, presidente e procuratore generale dei magistrati contabili mettono bene in chiaro che quello che la loro Corte può fare è ancora poco. La relazione del procuratore generale, svolta dal sostituto Maria Teresa Arganelli, spiega che l’entità della corruzione annuale in Italia è stimata in 60 miliardi. Secondo i dati della Commissione europea, l'Italia deterrebbe il 50% dell'intero giro economico della corruzione in Europa anche se, commenta Arganelli, si tratta di un dato «che appare invero esagerato per l'Italia, considerando che il restante 50% si spalmerebbe senza grandi problemi negli altri 26 Paesi dell'Unione Europea». Sia come sia il raffronto col resto del continente, i numeri sono comunque impressionanti. Tra Carabinieri, Guardia di finanza e Agenti forestali (il dato della Polizia di stato è tenuto a parte perché disomogeneo ndr) nel solo 2011 i casi di corruzione sono stati 184, 133 quelli di concussione e 1.160 di abuso d’ufficio. E le persone denunciate sono in tutto 4.064. Eppure, quello che la Corte dei conti riesce a recuperare non è commensurabile ai 60 miliardi trafugati. Nel 2011, i magistrati contabili sono riusciti ad infliggere condanne in primo grado per soli 75 milioni di euro e in appello per altri 15 milioni. Oltre alla corruzione, la malagestione delle risorse pubbliche si declina in aspetti diversi, tutti costosissimi come costosa è l’intera macchina dello Stato che ogni anno pesa alle finanze italiane 171,1 miliardi solo per il personale dipendente. Nella sanità pubblica i danni erariali del 2011 sono stati oltre un centinaio e la Corte dei conti è riuscita a ottenere risarcimenti complessivamente per 22 milioni di euro a carico di 144 persone fisiche e otto persone giuridiche. L’Italia non fa bella figura neppure quando si parla di frodi sui fondi provenienti dalla Comunità europea. Anche a causa delle sospette frodi - che sospendono i finanziamenti o li accreditano allo stato contribuente - nel 2009 l’Italia ha dato all’Europa 14,4 miliardi di euro, ma ne ha visti tornare in finanziamenti solo 9,1. E a fine 2009 gli importi da recuperare a causa delle frodi erano di 85,2 milioni totali. In un anno che sarà ricordato «nella storia della finanza pubblica italiana, per la severità della situazione economica e per l’affanno con il quale i governi hanno rincorso i rimedi necessari a fronteggiarla», dice Giampaolino, i problemi sono tanti. Anche l’evasione fiscale: «Per la sola Iva c’è un tax gap (percentuale di tasse che non vengono pagate in tempo ndr) superiore al 36%, di gran lunga il più elevato tra i grandi paesi europei, esclusa la Spagna che arriva al 39%». In mancanza di una stima ufficiale dell’evasione fiscale, le analisi quantificano in almeno 100-120 miliardi le imposte annualmente evase. Bisogna studiare di più, conclude Giampaolino. Non solo gli effetti annunciati, ma l’impatto che le politiche pubbliche «esercitano sulla dinamica delle entrate e delle spese». E anche qui, il penale non basta: «La lotta all’evasione deve essere accompagnata dalla lotta allo sperpero di denaro pubblico».

Cassa integrazione in calo (18 febbraio 2012).
La cassa integrazione a gennaio è calata a 54,9 milioni di ore (-26,7% su dicembre, -8,5% su gennaio 2011) ma questa riduzione è il segnale di una «progressiva transizione verso la disoccupazione». Lo sostiene la Cgil, citando i dati delle rilevazioni Inps da parte del proprio osservatorio Cig, precisando che nel mese erano in cassa 312.000 lavoratori in media con 675 euro in busta paga in meno. Intanto Maurizio Landini, segretario generale della Fiom, il sindacato dei metalmeccanici della Cgil, boccia l'ipotesi di una stretta sulla cassa integrazione straordinaria: «Sostituirla con l'indennità di disoccupazione - ha detto - è come aprire ai licenziamenti collettivi di fronte alle riorganizzazioni aziendali». Landini ha chiesto piuttosto di «estendere la cassa anche a chi non ce l'ha». Quanto al quadro generale, si tratta di «una situazione che non consente ottimismi in un Paese entrato nell'incubo della recessione», come rileva il segretario confederale della Cgil, Vincenzo Scudiere. Secondo il sindacalista, «alla riduzione della cassa c'è un contestuale aumento del livello di disoccupazione e di mobilità, così come il calo di quella in deroga è il segno della conclusione o della mancata approvazione dei finanziamenti delle regioni». Siamo in «piena emergenza», aggiunge, per questo «dobbiamo occuparci delle criticità dettate dalla crisi: dal garantire gli strumenti di tutela al dare risposta agli oltre 70 mila 'esodati' che si trovano in una situazione disperata: senza lavoro, senza pensione e senza futuro».

ISTAT: industria in crescita (20 febbraio 2012).
Fatturato e ordinativi in crescita nel 2011: secondo l'Istat, nel primo caso si è registrato un rialzo del 5,6% mentre per gli ordini l'incremento è stato del 5,9%. In rialzo anche per il mese di dicembre: il fatturato dell'industria, al netto della stagionalità, registra un aumento del 3,4% rispetto a novembre (+3,1% sul mercato interno e +4,0% su quello estero), mentre per gli ordini la crescita è stata del 5,5%. Il mese di dicembre del 2011 - hanno spiegato i tecnici dell'Istat - è stato caratterizzato da un "forte effetto di calendario" avendo due giorni lavorativi in meno rispetto al 2010 (20 contro 22) e questo "ha dato una forte correzione" degli indici. A dicembre il fatturato dell'industria, al netto della stagionalità, ha registrato, infatti, un aumento del 3,4% rispetto a novembre (+3,1% sul mercato interno e +4% su quello estero). Nella media degli ultimi tre mesi (ottobre-dicembre), l'indice è diminuito dell'1,2% rispetto ai tre mesi precedenti (luglio-settembre). Corretto per gli effetti di calendario il fatturato totale è cresciuto in termini tendenziali del 5,6%, con un aumento del 3,4% sul mercato interno e del 10,0% su quello estero. Gli indici destagionalizzati del fatturato hanno segnato, in termini congiunturali, un incremento del 10,6% per l'energia, del 5,8% per i beni strumentali, del 2,3% per i beni intermedi e dello 0,4% per i beni di consumo. Il settore di attività economica per il quale si è registrato l'incremento tendenziale maggiore del fatturato è stato quello della fabbricazione di coke e prodotti petroliferi raffinati (+16,4%), mentre la diminuzione più marcata ha riguardato la fabbricazione di computer, prodotti di elettronica e ottica, apparecchi elettromedicali, apparecchi di misurazione e orologi (-10,6%).

Sbloccati i fondi per la Grecia (21 febbraio 2012)
I 17 ministri delle Finanze dell'Eurogruppo hanno deciso il varo del secondo pacchetto di aiuti internazionali per sostenere i conti pubblici di Atene. Il nuovo programma prevede aiuti per 130 miliardi e, assieme alle ulteriori rinunce dei creditori privati per un totale di 107 miliardi, farà scendere il rapporto fra debito pubblico e Pil dall'attuale 160% a poco più del 120% nel 2020. I detentori privati di obbligazioni greche, con i quali il premier Lucas Papademos ha trattato «fino all'ultimo», rinunciano al 53,5% del valore nominale dei loro titoli (oltre il 70% ai valori attuali), consentendo così una riduzione di circa 100 miliardi dell'ammontare complessivo del debito pubblico; mentre anche gli interessi sui prestiti del primo pacchetto di aiuti, 110 miliardi decisi nel 2010, saranno tagliati per agevolare le autorità greche e la Bce rinuncerà ai profitti sui titoli del debito greco acquistati negli ultimi due anni redistribuendoli alle banche centrali nazionali che li gireranno ai rispettivi governi perchè questi possano abbassare gli interessi del primo prestito. Atene dovrà sottostare a una sorveglianza «rafforzata», che prevede la presenza permanente della troika e l'inserimento nella Costituzione di una norma sulla priorità dei pagamenti delle scadenze del debito. «È molto importante - ha commentato al termine della riunione il presidente della Bce Mario Draghi - che l'attuazione del programma da parte di Atene sia adeguatamente monitorata». Quanto al ruolo del Fondo monetario, il direttore generale Christine Lagarde ha spiegato nella conferenza stampa che «l'Eurogruppo si aspetta che sia significativo: lo decideremo alla prossima riunione del Consiglio di amministrazione nella seconda settimana di marzo». Lagarde ha ricordato i progressi compiuti durante la riunione di oggi: «alle 14,30 di oggi sembrava che con gli aiuti il rapporto debito/Pil al 2020 non potesse essere inferiore al 129% e siamo scesi al 120,5%, ieri sembrava che il pacchetto dovesse essere ben oltre 130 miliardi e invece siamo a 130». «Un bel risultato», lo ha definito il presidente del Consiglio Mario Monti, secondo il quale la decisione della notte scorsa ha dimostrato che «l'Europa è anche in grado di funzionare». La troika, rappresentata nella riunione notturna ai più alti livelli con Draghi, Lagarde e il vicepresidente della Commissione Ue Olli Rehn, assieme ai partner dell'Euro e agli impegni di Atene hanno quindi scongiurato il rischio di fallimento in occasione della prossima scadenza del 20 marzo, quando la Grecia dovrà rimborsare 14,5 miliardi. COMMENTO Ora tocca alla Grecia dimostrare di essere nell'Eurogruppo non solo per Siocrate; Platone e Aristotele, ma anche perchè è in grado di mantenere i patti. Le difficoltà sorgeranno, come per l'Italia, quanmdo la stretta finanziaria ostacolerà la crescita. Infatti Monti e Cameron si sono fatti promotori di un'iniziativa volta a sostenere la crescita: crescita dunque, non più soltanto rigore finanziario. E la crescita ha un nome: apertura dei mercati, un piano anti-crisi in 8 punti per il rafforzamento del mercato interno unico, dall'eliminazione delle «restrizioni anti-competitive» nei servizi, allo sfoltimento delle professioni regolamentate dagli ordini, alla riduzione delle «garanzie implicite per salvare sempre le banche, che distorcono il mercato unico». Perché «le banche, non i contribuenti, dovrebbero essere responsabili per il costo dei rischi che si assumono». Non per nulla Germania e Francia non hanno firmato il documento approvato da 12 Paesi.

Lo scandalo degli stipendi dei burocrati (e non solo) pubblici (21 febbraio 2012).

Pubblichiamo questo articolo di Sergio Rizzo apparso siu Corrietre.it di oggi.
""" C'è un desiderio inconfessabile che unisce destra e sinistra: alleggerire gli stipendi degli alti burocrati di Stato. Buste paga in alcuni casi scandalosamente alte, che lievitano come panna montata grazie al cumulo degli incarichi o a codicilli che hanno finora consentito per esempio ai magistrati «fuori ruolo» impegnati negli incarichi di governo di portare a casa due stipendi facendo un solo lavoro. Vi sareste mai immaginati di veder salire proprio dal partito di Silvio Berlusconi l'onda della protesta, fino a chiedere a gran voce di ripristinare quella misura «stalinista» voluta da Romano Prodi ben quattro anni fa «ma mai attuata», si rammaricavano lo scorso agosto una quarantina di onorevoli pidiellini? E avreste mai pensato che il tetto alle retribuzioni dei manager pubblici sarebbe stato reintrodotto fra gli applausi della sinistra proprio dal governo delle liberalizzazioni? Dove, al solo pensiero di doverlo applicare, qualcuno ha già l'orticaria. «Credo che a causa del tetto faremo fatica a trovare professionalità di alto livello», ha confessato ieri Mario Monti. E non tarderà a verificarlo. In un altro momento si sarebbe formata una fila chilometrica davanti alla porta del ministero del Tesoro, che è alle prese con la scelta dell'amministratore delegato della Banca del Mezzogiorno. Ma non ora, che quel posto può valere al massimo... Già, quanto può valere? Perché a quanto pare non sanno nemmeno esattamente a quanto ammonta quel tetto, vista la quantità di cifre che sono circolate. Si va dai 311 mila ai 294 mila euro lordi all'anno, passando per 299 mila e 305 mila, a secondo dei gusti.
Ma il numero di quanti, nella pubblica amministrazione, superano abbondantemente quella cifra, è certo impressionante. Se fa effetto la clamorosa denuncia dei redditi del capo di gabinetto del ministro dell'Economia Vincenzo Fortunato, che tre anni fa toccava un livello di 788 mila euro, semplicemente inconcepibile per un dirigente pubblico, non desta minore sorpresa l'incredibile sovrapposizione di incarichi del suo ex collega dell'ufficio legislativo del medesimo ministero, Gaetano Caputi: direttore generale della Consob (395 mila euro), componente dell'autorità per gli scioperi (altri 95 mila), nonché docente fuori ruolo ancorché retribuito dalla Scuola superiore di economia e finanze. Retribuzione a cinque zeri, dicono i bene informati, ma top secret.
Ed è questo il punto. Se grazie alle norme volute dall'ex ministro della Funzione pubblica Renato Brunetta, possiamo conoscere (e giustamente) perfino lo stipendio dell'ultimo dirigente di seconda fascia, e anche la paga di un soggetto apicale qual è il Ragioniere generale dello Stato Mario Canzio, accreditato di 516 mila euro l'anno (il vecchio miliardo di lire, tondo), a proposito delle reali retribuzioni non meno stellari dei più stretti collaboratori dei ministri si possono fare solo congetture. Una cosa inaccettabile, che fa salire ancora di più la temperatura.
Così non meraviglia che molti parlamentari, i quali oltre a dover subire qualche sforbiciatina sono stati pure messi alla berlina, non vedano l'ora di vendicarsi a spese di una tecnocrazia sempre più opulenta e sempre meno trasparente. Anche se non si può escludere che quella lobby potentissima riesca a convincere i politici a far naufragare il tetto. Non è successo così forse anche con la norma voluta da Prodi? Il limite era lo stesso di oggi: ma alla fine di una melina durata più di due anni il regolamento attuativo partorito dal governo Berlusconi l'ha di fatto cancellato. Stabilendo che valeva solo per gli incarichi aggiuntivi. Dunque, senza sfiorare gli stipendi.
Monti si trova in una situazione leggermente diversa. Siamo in piena recessione, il potere d'acquisto delle famiglie è in sofferenza, i poveri aumentano, la disoccupazione galoppa. Come spiegare agli italiani che c'è gente pagata dallo Stato che guadagna come trenta impiegati? Ecco perché chi conta di salvarsi grazie alle «deroghe», ha probabilmente fatto male i propri calcoli. Monti non sarà così generoso. Come li ha sbagliati, a meno di sgradevoli sorprese, chi è sicuro di far passare il principio che il famoso tetto debba essere applicato soltanto a partire dai contratti futuri. Anche qui: come lo spiegherebbero agli italiani?
Ma se il principio per cui nessuno stipendio potrà superare quello del primo presidente della Corte di Cassazione potrà essere faticosamente fatto digerire ai «pezzi da novanta» nei ministeri e nelle authority, problemi ben più grossi ci saranno nelle società pubbliche non quotate in borsa. Il tetto in teoria riguarda anche loro. E rischia di essere una questione complicatissima da risolvere, tanto più alla luce della confessione fatta ieri dal premier. Il regolamento che il ministro Filippo Patroni Griffi ha annunciato per maggio non sarà una passeggiata.
Avete idea di quanti siano nelle imprese di Stato gli stipendi che superano i 300 mila euro l'anno? Centinaia. E non parliamo soltanto dei capi azienda. L'amministratore delegato delle Ferrovie dello Stato Mauro Moretti nel 2008 guadagnava 871 mila euro: poco al di sotto di quel livello era il presidente Innocenzo Cipolletta, ora sostituito dall'ex presidente della Consob Lamberto Cardia. La retribuzione di Massimo Sarmi, amministratore delegato delle Poste, si aggira intorno al milione e mezzo di euro? Il presidente Giovanni Ialongo ha diritto secondo la Corte dei conti a 635 mila euro: un bel salto, rispetto a quando era segretario del sindacato postelegrafonico della Cisl. Per non parlare dei più alti dirigenti di quei gruppi. Decine di persone con retribuzioni certamente più alte di 300 mila euro. Ma andiamo avanti. L'amministratore delegato dell'Anas Pietro Ciucci intasca 750 mila euro. La stessa cifra del suo collega di Fintecna Massimo Varazzani, ex altissimo dirigente di Intesa San Paolo, paragonabile a quella del presidente del Poligrafico Maurizio Prato. Il capo della controllata Fintecna immobiliare Vincenzo Cappiello, una vita nelle partecipazioni statali, è fermo (si fa per dire) a 505 mila. Mentre l'amministratore delegato di Invitalia Domenico Arcuri, già capo di Deloitte consulting, ha una retribuzione di 835 mila euro (rimborsi compresi).
Ma è niente in confronto alla densità di buste paga galattiche riscontrabile in Rai. Il presidente Paolo Garimberti incassa 448 mila euro. Il predecessore di Lorenza Lei alla direzione generale guadagnava 715 mila euro. Che porzione di quel fantastico stipendio l'ha seguito alla Consap, altra società pubblica dove Mauro Masi ha traslocato? Boh. Ha raccontato poi nel 2010 Emiliano Fittipaldi sull' Espresso che l'ex direttore Claudio Cappon, rimasto senza un incarico corrispondente, continuava a percepire 600 mila euro. Per non dire dei giornalisti: la tivù di Stato ha decine di direttori, che non guadagnano certo soltanto come un presidente di Cassazione. E dei dirigenti di rete: si va dai 400 mila di Fabrizio del Noce ai 449 mila di Gianfranco Comanducci.
E poi ci stupiamo che in Parlamento qualcuno pretenda gli elenchi dei candidati alla ghigliottina? Però fra questi, è bene che gli onorevoli ne prendano coscienza, non ci saranno i dipendenti degli organi costituzionali: lì si aprirebbe una pagina ancora più sconcertante, tenuto conto che la retribuzione media di un dipendente del Senato, commessi e barbieri compresi, è più alta dell'indennità parlamentare. E 300 mila euro è lo stipendio di un consigliere con 25 anni di anzianità. Il segretario generale della Camera Ugo Zampetti e la sua collega del Senato Elisabetta Serafin intascano più del doppio del capo dell'amministrazione del parlamento britannico. Che guadagna 235 mila euro: meno di uno stenografo di palazzo Madama."""

Si ammorbidisce il decreto sulle liberalizzazioni (23 febbraio 2012).
Saranno i Comuni a decidere sull’eventuale necessità di nuove licenze per i taxi nei propri territori dopo aver sentito il parere non vincolante dell’Autorità per i Trasporti. L’accordo di massima raggiunto in commissione Industria del Senato, con il sostanziale via libera del governo, inverte i termini della questione rispetto al testo originario del decreto liberalizzazioni: all’articolo 36 si affidava infatti questa valutazione all’Autorità stessa «sentiti i sindaci». Con il nuovo assetto i Comuni non saranno obbligati ad adeguarsi al parere dell’Autorità la quale però potrà fare ricorso al Tar nel caso in cui ritenga che tale scelta non sia adeguatamente motivata. Questa soluzione però, che dopo essere stata formalizzata potrebbe essere votata nella giornata di oggi, è stata accolta con perplessità sia da chi ritiene che si tratti di un cedimento alla lobby dei tassisti sia dagli stessi rappresentanti dei tassisti, o almeno una parte di loro, secondo i quali la categoria offre disponibilità senza ottenere contropartite. Sono invece soddisfatti i sindaci, che sperano così di mantenere una prerogativa molto delicata. In realtà rispetto al provvedimento approvato dal Consiglio dei ministri qualche altra novità c’è, e sembra andare in direzione delle richieste dei tassisti. Viene infatti cancellata la possibilità di licenze a tempo parziale, mentre viene mantenuta la possibilità di sperimentare nuove forme di trasporto come il taxi collettivo. La correzione di rotta decisa al Senato non è piaciuta a molti. «È un mese e mezzo che sostengo che il governo non può essere forte con i deboli e debole con i forti» ha detto il segretario generale della Cisl Bonanni. Critici anche i consumatori. «Si tratta dell'ennesima sconfitta per il governo Monti, nuovamente battuto dalla lobby dei tassisti - hanno fatto sapere Adoc, Codacons, Movimento Difesa del Cittadino e Unione Nazionale Consumatori - una liberalizzazione dei taxi come quella che si starebbe profilando di fatto annulla qualsiasi beneficio in favore degli utenti». Ma non sono soddisfatte nemmeno le rappresentanze dei tassisti. «C'è chi dice che sia passata la linea morbida sui taxi, ma a noi questo non risulta perché la nostra categoria ha concesso moltissimo per migliorarsi ed ampliare il servizio, senza aver ottenuto in cambio alcuna contropartita» ha detto Loreno Bittarelli, presidente nazionale di Uritaxi, lamentando soprattutto il fatto che non sia stata inserita la deducibilità dei costi strumentali.

Sale l'indice di fiducia (23 febbraio 2012).
L'indice del clima di fiducia dei consumatori sale nel mese di febbraio a 94,2 dal 91,8 di gennaio (rivisto da 91,6), attestandosi sopra la mediana delle previsioni raccolte da Reuters fra gli analisti pari a 92. La ritrovata fiducia dei consumatori, secondo Istat che oggi ha reso noti i dati, è legata al fatto che "migliorano marcatamente le aspettative sull'andamento generale dell'economia italiana (il saldo sale da -66 a -46) e diminuiscono le aspettative di disoccupazione (da 96 a 82)". Nel dettaglio, sale l'indice relativo alla componente economica generale (da 76,0 a 86,7), mentre scende lievemente quello riferito alla situazione personale degli intervistati (da 97,9 a 97,5). In aumento l'indice che misura le attese a breve termine (da 78,8 a 86,2), ma diminuisce quello relativo alla situazione corrente (da 102,3 a 100,3). Sale il saldo dei giudizi sulla situazione economica della famiglia (da -55 a -53) e quello relativo alle valutazioni prospettiche sul risparmio (da -94 a -79). Peggiorano i giudizi sulla convenienza all'acquisto di beni durevoli (da -88 a -100 il relativo saldo). Riguardo all'evoluzione recente dei prezzi si diffondono i giudizi di forte crescita (il saldo sale da 69 a 76); le aspettative sull'evoluzione nei prossimi dodici mesi segnalano, invece, una attenuazione della dinamica futura dei prezzi (il saldo diminuisce da 57 a 39).

Eurozona: recessione (23 febbraio 2012).
Eurozona in recessione: per l'immediato non sono entusiasmanti le previsioni economiche pubblicate oggi dalla Commissione europea, che ha operato consistenti revisioni al ribasso sulle attese di crescita del Pil. Tuttavia a partire dalla secondo metà dell'anno sono attesi miglioramenti: si dovrebbe assistere a una «crescita modesta», dice l'esecutivo comunitario. Per l'insieme dell'area euro quest'anno viene previsto un meno 0,3 per cento del Pil, a fronte del più 0,5 per cento precedentemente indicato. Una recessione definita «lieve» dalla Commissione. Per l'intera Unione europea a 27 viene invece stimata una crescita a zero, contro il più 0,6 per cento precedente. Fanalini di coda saranno Grecia e Portogallo, che rispettivamente subiranno cadute del Pil del 4,4 e del 3,3 per cento, l'Italia accuserà un meno 1,3 per cento, la Spagna un meno 1 per cento, mentre la Germania riuscirà a spuntare un più 0,6 per cento, secondo la Commissione, e la Francia un più 0,4 per cento. L'area euro è in una lieve recessione, con segnali di stabilizzazione, afferma la Commissione europea. L'inatteso stallo della ripresa che si è visto nel finale di 2011 è destinato a proseguire sui primi sei mesi del 2012. L'esecutivo comunitario avverte che comunque l'incertezza resta elevata e gli sviluppi dei singoli paesi si mostrano diseguali. Sono state invece leggermente riviste al rialzo le previsioni di inflazione: ora viene pronosticata al 2,1 per cento nell'area euro e al 2,3 per cento nell'Ue a 27. I livelli generali di fiducia «rimangono a valori bassi, tuttavia le tensioni sui mercati finanziari si stanno allentando», ha commentato il vice presidente della commissione europea, Olli Rehn, responsabile di Affari economici e dell'euro. «Sono stati compiuti molti dei passi che servivano» a stabilizzare la situazione, e ora ponendo in essere «azioni risolutive» si potrà compiere una svolta e passare dalla stabilizzazione alla ripresa in termini di crescita e occupazione.

OCSE: l'Italia privatizzi (24 febbraio 2012).
L'Italia è stata promossa, anche se c'è ancora molto lavoro da fare. L'Italia infatti deve ridurre la proprietà dello Stato «specialmente nei settori dei media televisivi, dei trasporti, dell'energia e dei servizi locali». È quanto torna a chiedere l'Ocse (l'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) nel rapporto sulla crescita dove si rileva come il governo Monti abbia piani per «realizzare le privatizzazioni». L'Ocse chiede anche di «Ammorbidire la protezione del lavoro sui contratti standard». L'Italia infatti: «non ha ancora intrapreso azioni significative» ma sta «considerando una riforma del mercato del lavoro, mirata ad ammorbidire le tutele sui contratti standard» con «una riforma welfare per migliorare la rete di sicurezza per i disoccupati». L'Italia deve «anche ridurre le barriere alla concorrenza» si scrive sempre nel rapporto annuale dell'Ocse, che fa riferimento a diversi settori, tra cui professioni, servizi locali e commercio. «Il peggio è alle spalle - si dice sempre nel rapporto - ma la disoccupazione resterà alta per tutto il 2013, non ci saranno prospettive di ripresa e i bilanci pubblici rimarrano su livelli insostenibili per molti Paesi dell'area Ocse».

Gli stipendi degli italiani (26 febbraio 2012).
Con poco più di 23mila euro lorde in media l'anno, i lavoratori dipendenti italiani guardano da molto lontano i colleghi lussemburgesi che per la stessa tipologia di lavoro percepiscono più del doppio. Certo, prima ancora di trovare il nostro Paese nella classifica Eurostat dei redditi bisogna scorerre passando per i soliti Paesi del Nord, Paesi Bassi, Germania e Belgio, tutti sopra i 40 mila euro lordi l'anno. E davanti troviamo anche i francesi, gli irlandesi, i finlandesi e gli austriaci, i quali riescono in grande scioltezza a coprire la fascia di redditi compresa tra 33 mila e 39 mila euro. Insomma, non è una novità, in queste classifiche non siamo mai stati al vertice. Quel che un po' sorprende è che più dei dipendenti italiani guadagnano anche i lavoratori di Grecia (con quasi 30 mila euro), Spagna (poco più di 26 mila euro) e Cipro, con quasi 25mila euro. Insomma, se proprio vogliamo guardare qualcuno dall'alto in basso, non ci resta che rivolgerci a Portogallo (17mila) e poi Slovenia, Malta e Slovacchia. I dati sono di Eurostat e sono contenuti nel rapporto Labour market Statistics che utilizza per realizzare il confronto i redditi del 2009, coprendo le imprese con almeno dieci dipendenti dell'industria, delle costruzioni, del commercio e dei servizi per le imprese. Il report contiene anche il confronto con gli stessi dati relativi agli anno precedenti, così da poter anche osservare la crescita delle retribuzioni. L'avanzamento per l'Italia risulta tra i più ridotti: in quattro anni (dal 2005) il rialzo è stato del 3,3%, molto distante dal +29,4% della Spagna, dal +22% del Portogallo. E anche i Paesi che partivano da livelli già alti hanno messo a segno rialzi rilevanti: Lussemburgo (+16,1%), Olanda (+14,7%), Belgio (+11,0%) e Francia (+10,0%) e Germania (+6,2%). Una buona notizia per l'Italia, invece, arriva dalle differenze di retribuzioni tra uomini e donne, quello che Eurostat chiama «un-adjusted gender pay gap», l'indice utilizzato in Europa per rilevare le disuguaglianze tra le remunerazioni (definito come la differenza relativa, espressa in percentuale, tra la media del salario grezzo orario di lavoratori e lavoratrici). Ma l'Italia, con un gap che supera di poco il 5% (con riferimento al 2009) si colloca ampiamente sotto la media europea, pari al 17%, risultando il paese con la forbice più stretta alle spalle della sola Slovenia.

Procede il decreto liberalizzazioni (28 febbraio 2012).
Accordo raggiunto sulle farmacie: se ne potrà aprire una ogni 3.300 abitanti, e non ci saranno quote riservate per i concorsi straordinari per le nuove aperture. Lo afferma la relatrice del decreto liberalizzazioni Simona Vicari (Pdl), confermando che così si arriverà ad aprire circa 5.000 nuove farmacie come era obiettivo del governo. Nessuna novità, invece, per i farmaci di fascia C, sui quali le parafarmacie volevano riaprire il dibattito. «La questione è chiusa con il Salva-Italia», ha precisato la relatrice Simona Vicari (Pdl). La liberalizzazione della vendita dei farmaci di fascia C era stata al centro di un braccio di ferro alla Camera sul primo decreto del governo Monti. Saranno i Comuni a poter decidere sulle licenze dei taxi e il parere dell'Authority sarà obbligatorio, ma non sarà più scritto nero su bianco che debba essere «vincolante». Qualora il parere fosse disatteso, ha spiegato la relatrice Simona Vicari (Pdl) potrà essere impugnato al Tar. Via libera alla separazione di Eni da Snam, che dovrá diventare realtá entro 18 mesi dall'entrata in vigore del decreto legge liberalizzazioni (cioè entro settembre 2013). Lo prevede l'emendamento presentato dai relatori e approvato nella notte dalla commissione Industria del Senato. Il provvedimento stabilisce che al fine di introdurre la «piena terzietá dei servizi regolati di trasporto, di stoccaggio, di rigassificazione e distribuzione delle altre attivitá» della filiera, il presidente del Consiglio dei ministri entro il 31 maggio del 2012, dovrá emanare un decreto che disciplina i criteri di separazione. Arriva un "balzello" sulle grandi società e che servirà a finanziare l'Antitrust. Lo prevede un emendamento al decreto liberalizzazioni approvato dalla commissione Industria. Il contributo è pari allo 0,08 per mille del fatturato risultante dall'ultimo bilancio delle società di capitale, con ricavi superiori ai 50 milioni di euro. La pianta organica dell'Antitrust è incrementata di venti posti. È stato approvato anche l'emendamento che vieta gli incroci personali tra gruppi bancari concorrenti. «Un ulteriore contributo - ha sottlineato la relatrice Simona Vicari (Pdl) - nel tutelare la trasparenza all'interno del sistema bancario-finanziario italiano. Si tratta di un risultato strategico che si unisce alle altre importanti misure varate nei giorni scorsi che hanno interessato il settore delle banche». L'intervento deciso contro l'interlocking directorates, cioè la co-presenza di un individuo in due o più Consigli di amministrazione, secondo Vicari, «permetterá di evitare fenomeni di incroci personali tra gruppi bancari concorrenti. Questo impedirá a chi svolge funzioni di indirizzo, gestione e controllo nelle Fondazioni di sedere allo stesso tempo negli organi di gestione e di controllo di societá bancarie concorrenti della banca conferitaria». Via libera alle misure che istituiscono il tribunale delle imprese: saranno 20 in tutto. Questa notte è stato approvato un emendamento del Governo. Il contributo unificato viene raddoppiato, mentre nel testo originario del decreto legge era quadruplicato. Tesorerie. I Comuni affilano le armi contro la tesoreria unica. L'Anci per contrastare la norma contenuta nel decreto liberalizzazioni che prevede il ritorno alla tesoreria unica tradizionale, mette a disposizione dei Comuni, al fine di tutelare l'autonomia nella gestione finanziaria delle proprie risorse, sul proprio sito, lo schema di delibera di Giunta (già adottata dal Comune di Venezia) per intraprendere un'azione legale, nei confronti del Governo, contro la norma. In linea c'è anche lo schema della nota da trasmettere al tesoriere per chiedere la sospensione degli adempimenti in ragione dell'azione legale intrapresa dal Comune. Questo è il contenuto del telegramma che l'Anci sta inviando ai Comuni italiani per promuovere un ricorso civile contro la norma, contenuta nel Decreto Liberalizzazioni, che obbliga Regioni, Province e Comuni a trasferire allo Stato, entro domani, il 50% delle risorse depositate presso le tesorerie locali alla data del 24 gennaio scorso. «È un fatto gravissimo – spiega il presidente dell'Anci, Graziano Delrio - che una norma con un impatto così ‘devastante' sugli Enti locali non sia stata minimamente concertata con le rappresentanze delle Autonomie». L'Anci ha inoltrato una lettera alle sue sezioni regionali affinché si adoperino per promuovere il ricorso alla Consulta da parte delle Regioni.

BCE: maxi prestito alle banche (29 febbraio 2012).
Nuova maxi iniezione di liquidità dalla Bce alle banche europeo. Alla seconda operazione di finanziamento a tasso agevolato dell' 1%, concesso a «rubinetto» nel giro di pochi mesi, hanno partecipato 800 istituti continentali per un importo complessivo di 529 miliardi. Il 21 dicembre scorso le richieste giunte da 523 banche ammontavano a 490 miliardi. Anche questa volta le banche italiane hanno partecipato massicciamente all'operazione con una domanda per 139 miliardi circa, dei quali 24 sono andati a Intesa Sanpaolo e 12,5 circa a Unicredit, 6 circa a Ubi Banca, 3,5 al Banco Popolare e 3, 5 anche per Mediobanca. L'attesa ora è che le banche utilizzino la liquidità per sostenere l'economia reale. Ma è sul fronte finanziario che si registra il primo effetto positivo, con lo spread Btp-Bund sceso sotto i 340 punti. Il ministro dello Sviluppo economico, Corrado Passera, ha definito «molto saggia e fortunata» la scelta dell'istituto centrale guidato da Mario Draghi. «Le operazioni della Bce in queste ultime due aste per assicurare liquidità illimitata alle banche anche a medio termine è stata di grandissima saggezza per l'Europa e certo anche rilevante per l'Italia», ha detto Passera che martedì aveva invitato le banche a sostenere le imprese e le famiglie. «Il mestiere delle banche è quello di fare credito: se non lo fanno, sono le prime a non avere i conti economici in ordine - ha spiegato il ministro ed ex banchiere - ma quello che è successo negli ultimi mesi con gli spread e le regole Eba aveva reso per molto banche più difficile fare credito». «Utilizzeremo la liquidità della Bce per finanziare imprese e famiglie» ha assicurato l direttore generale dell'Abi, Giovanni Sabatini, alla commissione Bilancio alla Camera, ricordando che la liquità arrivata in dicembre «ha consentito di non ridurre gli impieghi all'economia».

Spagna: sotto osservazione (5 marzo 2012).
La Commissione europea ritiene che la deviazione del deficit pubblico spagnolo dagli obiettivi sia «seria e grave» e ha invitato il Governo di Madrid a «rispettare le regole del patto di stabilità» e gli impegni assunti finora. Lo ha chiarito il portavoce del Commissario Ue per gli affari economici, Olli Rehn, ricordando che a novembre era stato comunicato uno scostamento del 2% e che «ora è diventato del 2,5%». Il portavoce ha poi affermato che la situazione spagnola, a rischio di sanzioni sul deficit, comunque «non è comparabile» a quella della Grecia. Il portavoce di Olli Rehn ha ribadito che non solo i Paesi sotto programma di aiuti ma anche quelli che «sono sotto l'osservazione dei mercati devono rispettare gli obiettivi di deficit pubblico». E questo «è anche il caso della Spagna», che qualche mese fa era ritenuto a rischio di dover chiedere un salvataggio europeo del Fondo monetario internazionale. La Commissione europea aspetta di conoscere le motivazioni della revisione del deficit 2011 e i nuovi obiettivi formalmente posti per il bilancio 2012. In aprile dovrà verificare le cifre fornite da Madrid, quindi farà le sue analisi e arriverà alle conclusioni. Il portavoce di Olli Rehn non ha voluto entrare nel merito della possibilità di una linea più flessibile sul 2012, viste le condizioni peggiori dell'economia. Qualche giorno fa erano stati diffusi i dati 2011: il deficit spagnolo ha toccato l'8,51% del Pil alla chiusura dell'esercizio 2011, oltre 2,5 punti in più della stima del precedente esecutivo di José Rodriguez Zapatero. La previdenza sociale, che secondo le previsioni avrebbe dovuto segnare a fine esercizio un surplus dello 0,4%, ha registrato un deficit di 600 milioni di euro, pari allo 0,49% del Pil. Il deficit delle comunità autonome ha raggiunto a fine 2011 quota 2,94% del Pil, rispetto all'1,3% precedentemente stimato. Intanto lo spread tra Btp e Bund è sceso sotto quello tra Bonos spagnoli e Bund.

UE e le quote rosa (6 marzo 2012).
«La scarsa presenza delle donne ai vertici aziendali impedisce all'Europa di essere competitiva e di crescere economicamente». Un anno dopo aver chiesto ai 27 Paesi Ue di aprire i vertici delle loro imprese anche alle donne, la commissaria europea alla Giustizia Viviane Reding informa che la presenza femminile nei consigli di amministrazione è ancora al 13,7%, cioè solo un consigliere su sette è donna. Solo 24 imprese hanno risposto all'appello di Bruxelles per un'«autoregolamentazione», cioè per un intervento volontario diretto all'incremento della presenza femminile, insomma al varo più o meno ufficiale delle quote rosa: «Mi dispiace vedere che, nonostante i nostri richiami, l'autoregolamentazione non ha portato finora risultati soddisfacenti...». Nella composizione dei vertici aziendali c'è stato, è vero, un lieve miglioramento dell'1,9% almeno fra il 2010 e oggi: «Ma di questo passo - dice ancora Viviane Reding - ci vorrebbero più di 40 anni per raggiungere un significativo equilibrio fra donne e uomini: cioè almeno un 40% di presenze per entrambi i sessi». E per questo, la Reding ha annunciato che «la Ue potrebbe introdurre entro la fine dell'anno le quote rosa nei consigli di amministrazione delle imprese europee». Si parla di questo perché fra due giorni si festeggerà la Giornata internazionale della donna, e l'altro giorno era la Giornata europea della parità salariale: fissata al 2 marzo in base al calcolo teorico che, dal primo gennaio al 2 marzo, le donne lavorano «gratis» per raggiungere nello stipendio i loro colleghi maschi. Ancora oggi, infatti, secondo gli ultimi calcoli della Commissione Europea, come valori medi e a parità di competenze la donna europea guadagna ancora il 16,4% in meno dell'uomo: «Eppure - sostiene sempre la commissaria europea alla giustizia - il principio del salario uguale per uguale lavoro sta scritto nei Trattati europei fin dal 1957. È proprio arrivato il momento che venga posto in pratica ovunque». Qualche anno fa, il divario medio uomo-donna nel continente era al 17%, perciò vi è oggi un leggero progresso: ma qui contano molto le diverse situazioni dei singoli Stati. Con qualche sorpresa: mentre i divari salariali più alti fra i sessi si registrano in Estonia (27%), Austria (oltre il 25%), Germania (circa il 22%) e Gran Bretagna (circa 19%), l'Italia mostra le differenze più basse (poco più del 5%) insieme a Polonia (3%) e Slovenia (4%): ma è praticamente impossibile fare un confronto omologo fra questi dati e ricavarne un giudizio perché in Italia, per esempio, rispetto alla Germania sono diversi i dati del part-time o delle aspettative per maternità. La Ue non si rassegna comunque a far da spettatrice in tutti questi campi. Sulle scrivanie della Commissione Europea si accumulano da anni studi ed analisi sugli effetti dell'«inuguaglianza» sul lavoro: una su tutte, un'indagine della EnrstandYoung sulle 290 principali società quotate in borsa, rivela come le imprese con (almeno) una donna nel consiglio di amministrazione abbiamo utili più alti di quelle riservate ai maschi. Probabilmente, l'appello all'autoregolamentazione lanciato un anno fa da Bruxelles (aumento del 30% nella presenza femminile entro il 2015, e del 40% entro il 2020) era troppo ottimista, o prematuro. Ma non tutto è così nero: la stessa commissaria Reding ricorda infatti che «diversi Stati membri, tra cui Belgio, Francia, Italia, Paesi Bassi e Spagna, cominciano a porsi il problema introducendo leggi sulle quote rosa nei consigli di amministrazione: le quote rosa non suscitano il mio entusiasmo, ma i risultati mi piacciono».

Pareggio di bilancio in Costituzione (6 marzo 2012).
In dirittura d'arrivo il disegno di legge costituzionale che mira a introdurre nella Costituzione il pareggio di bilancio, cioè il principio dell'equilibrio delle entrate e delle spese, come previsto dal Fiscal Compact dell'UE. Il provvedimento, in terza lettura, passerà nuovamente all'esame del Senato (come richiede la procedura di modifica della Carta deve essere approvato in quattro letture senza modifiche). Il testo è, infatti, stato approvato, in prima deliberazione, dalla Camera dei deputati, il 30 novembre 2011, e dal Senato della Repubblica, il 15 dicembre 2011. Sei articoli in tutto, per inserire nella Carta Costituzionale le regole euriopee sul pareggio di bilancio. Le nuove disposizioni costituzionali si applicano dall'esercizio finanziario relativo all'anno 2014. Ecco, voce per voce, il contenuto del provvedimento costituzionale. Applicazione delle nuove disposizioni (articolo 6). Le disposizioni della proposta di legge costituzionale si applicano a decorrere dall'esercizio finanziario relativo all'anno 2014. Armonizzazione dei bilanci pubblici (articolo 3). L'articolo modifica l'articolo 117, secondo e terzo comma, della Costituzione, attribuendo la materia «armonizzazione dei bilanci pubblici» alla competenza legislativa esclusiva statale e non più – come nel riparto vigente – alla competenza legislativa concorrente tra Stato e regioni. Equilibrio dei bilanci (articolo 4). Modificato l'articolo 119, primo e sesto comma, della Costituzione. In particolare, il periodo aggiunto alla fine del primo comma dell'articolo 119 – che nel testo vigente fissa il principio dell'autonomia finanziaria (di entrata e di spesa) delle autonomie territoriali – introduce due nuovi elementi: in primo luogo, condiziona detta autonomia al «rispetto dell'equilibrio dei relativi bilanci»; in secondo luogo, prescrive che le autonomie territoriali concorrano «ad assicurare l'osservanza dei vincoli economici e finanziari derivanti dall'ordinamento dell'Unione europea». Il principio del «pareggio di bilancio» viene così riferito alla singola autonomia territoriale («nel rispetto dell'equilibrio dei relativi bilanci»), anche se, con il nuovo sesto comma dell'articolo 119, assume rilievo l'equilibrio complessivo dell'aggregato regionale degli enti locali. Il periodo aggiunto alla fine del sesto comma, secondo periodo, dell'articolo 119 – che nel testo vigente consente l'indebitamento delle autonomie territoriali «solo per finanziare spese di investimento» – introduce, infatti, due ulteriori condizioni all'indebitamento delle autonomie territoriali: in primo luogo, richiede «la contestuale definizione di piani di ammortamento»; in secondo luogo, impone che «per il complesso degli enti di ciascuna Regione sia rispettato l'equilibrio di bilancio».

Il rating antimafia (6 marzo 2012).
Il rating antimafia per le imprese trova spazio nel decreto liberalizzazioni. La commissione Industria del Senato ha approvato l'emendamento presentato da Elisabetta Alberti Casellati e Franco Asciutti (entrambi Pdl) che getta le basi di un sistema premiale per l'accesso al credito delle imprese che denunciano il racket o comunque si dimostrano attive nel contrasto alla criminalità organizzata. L'emendamento, che si incardina in coda all'articolo 5 del decreto legge, individua nell'Antitrust la chiave per la creazione di questo sistema, con un doppio compito. Da un lato deve segnalare al Parlamento le modifiche normative necessarie per promuovere l'introduzione di principi etici nei comportamenti aziendali, con un occhio alla tutela dei consumatori. Dall'altro, in raccordo con i ministeri della Giustizia e dell'Interno, deve procedere all'elaborazione del rating di legalità per le imprese che operano nel territorio nazionale; «del rating attribuito - si legge nell'emendamento - si tiene conto in sede di concessione di finanziamenti pubblici da parte delle pubbliche amministrazioni, nonché in sede di accesso al credito bancario». Prende dunque forma la proposta lanciata poche settimane fa da Antonello Montante, delegato della presidente di Confindustria Emma Marcegaglia per i rapporti con le istituzioni preposte al controllo del territorio. «Qualcosa sta cambiando in meglio: c'è un Governo realmente impegnato a risolvere le emergenze e una politica più responsabile, e questo è un esempio concreto», dice con soddisfazione Montante. Che ripercorre la genesi dell'iniziativa: «Tutto scaturisce dall'esigenza di affrontare il problema del credit crunch e abbiamo capito che si poteva lavorare su questa sponda; la proposta è stata condivisa subito dal ministro della Giustizia e dalla politica, da destra a sinistra». Ma ci sono altri passi da fare. La moratoria sui crediti, frutto dell'accordo tra Abi e associazioni imprenditoriali, è uno di questi, ma bisogna ridurre i tempi di pagamento della Pa, e anche «creare delle zone franche, soprattutto in quelle distrutte dalla criminalità, che vanno a creare aree di vantaggio per chi vuole investire dall'esterno», propone Montante. Ad esempio, spiega, «il ministro dell'Interno ha firmato l'ok all'approvazione dell'area franca in centro-Sicilia e questo potrà attirare investimenti da tutta Europa». Soddisfazione per l'approvazione dell'emendamento anche della senatrice Casellati: «L'introduzione di un rating di legalità per le imprese è un importante segnale che lanciamo al Paese e a tutto il mondo imprenditoriale. È uno stimolo a credere che il contrasto alla criminalità, le attività di denuncia e di resistenza al racket non sono fini a se stesse, ma rappresentano un valore, un bene prezioso». Sulla stessa lunghezza d'onda il segretario Pdl Angelino Alfano, che considera l'approvazione dell'emendamento come una vittoria del suo partito e considera la proposta «rivoluzionaria perché interpreta la lotta al crimine in chiave incentivante e non solo repressiva, trasformandola in un prezioso valore aggiuntivo». Anche nel Pd i commenti sono positivi: «Il rating sulla legalità ripristina infatti - ha sottolineato Anna Finocchiaro, presidente del gruppo del Pd al Senato - una sana competizione tra le imprese e avvia un circuito virtuoso che fa bene all'economia e quindi al Paese: necessario accrescere la consapevolezza che la legalità 'conviene' alle imprese e fa bene alla crescita».

Martedì nero: timori da Grecia e Spagna (7 marzo 2012).
Un ciclone ribassista si è abbattuta ieri anche sui titoli di Stato italiani, così come su tutte le altre attività a rischio: Borse, materie prime e corporate bond compresi. Così il rendimento dei BTp decennali è tornato sopra la soglia psicologica del 5% (5,07% per la precisione) e il differenziale nei confronti del Bund si è di nuovo allargato fino a 329 punti base. Si potrà notare che parte del movimento è legato al rifugio nei titoli tedeschi, i cui tassi sono scesi all'1,78%. Ieri la Spagna ha sofferto più dell'Italia (il tasso dei Bonos decennali è salito fino al 5,17% portando lo scarto nei confronti della Germania a 337 punti), ma si tratta di una magra consolazione che serve soltanto a confermare la tendenza recente: Madrid ha di fatto rilevato da Roma il ruolo di osservato speciale all'interno dell'Eurozona. Gli ingredienti per una seduta simile erano in fondo tutti a disposizione, a partire dal forte rialzo degli ultimi due mesi e mezzo. A dare il là alle vendite ha però contribuito, oltre agli ennesimi dati deludenti sulla crescita europea (peraltro attesi, visto che il calo del Pil dello 0,3% nel quarto trimestre 2011 è stato confermato da Eurostat), la tensione sul salvataggio della Grecia in vista della scadenza di domani sera, data entro cui banche e fondi d'investimento privati dovranno aderire allo scambio di obbligazioni di Atene. Ma ad attirare attenzione è anche un altro appuntamento di giovedì: sempre domani tornerà a riunirsi la Banca centrale europea (Bce), nel primo incontro dopo la maxi-asta triennale di fine febbraio. Gli analisti prevedono un atteggiamento di attesa da parte dell'Istituto di Francoforte, che non agirà sulla leva dei tassi (confermandoli all'1%) né annuncerà nuove misure straordinarie sulla liquidità. Un modo per passare il testimone ai governi europei da una parte e una mossa probabilmente forzata dall'altra, visto che per effetto delle stesse azioni espansive il bilancio Bce ha ormai superato i 3mila miliardi di euro. Ed è proprio la mancanza di ulteriori annunci su quel versante della politica monetaria che in fin dei conti ha fornito al mercato la «droga» per il recupero a mettere in guardia gli investitori e a indurli a prendere profitto. Sulle conseguenze ulteriori dell'operazione triennale della scorsa settimana, poi, esiste un dibattito piuttosto acceso fra gli operatori: a chi guarda con fiducia tutto l'ammontare di denaro che ancora le banche lasciano parcheggiato presso i depositi di Francoforte (821 miliardi di euro due giorni fa, nuovo massimo storico) rispondono quelli che sostengono come gli effetti maggiori sui titoli di Stato siano ormai alle spalle. Questo perché la caccia al collaterale da presentare alla Bce per ottenere in cambio il denaro che ha scatenato acquisti a tutto campo sui bond sovrani, soprattutto in asta, non avrebbe oggi più ragione di esistere. Le emissioni del Tesoro in programma la prossima settimana (BoT martedì, BTp mercoledì) saranno, sotto questo aspetto, seguite probabilmente con molta attenzione e un pizzico di apprensione in più rispetto alle operazioni di febbraio. Le aste in programma ieri, per la verità, non hanno mostrato un calo dell'appetito degli investitori, anche se il test non era certo dei più probanti. Grecia a parte (che ha piazzato titoli semestrali per 1,14 miliardi a un tasso del 4,8%), il programma prevedeva emissioni austriache (10 anni per un miliardo al 2,89%) e olandesi (20 anni per 4,16 miliardi al 2,74%). Ed è tornato sul mercato pure il fondo salva-stati Efsf con titoli a 3 mesi per 3,44 miliardi che sono stati assegnati allo 0,05%, nettamente in calo rispetto allo 0,22% di metà dicembre a testimonianza di uno scenario che resta comunque favorevole. Una bella mano è arrivata dal governo giapponese, che ha sottoscritto il 4,7% dell'emissione, pari a 160 milioni di euro.
Ieri nell'evidente tentativo di far pressione sui detentori internazionali di bond l'Agenzia di gestione del debito pubblico greco ha reso noto che Atene «non contempla la disponibilità di fondi per effettuare i pagamenti ai creditori del settore privato che si rifiutano di partecipare». Atene non dice direttamente che non rimborserà chi non accetta lo swap, ma che il suo programma economico «non contempla» questo caso. La minaccia si rivolge in particolare al 14% degli investitori che possiedono titoli greci emessi ai sensi del diritto internazionale. Il restante 86%, che possiedono obbligazioni sotto la legge greca, nello stesso comunicato sono stati avvertiti che la Grecia avrebbe usato le cosiddette clausole di azione collettiva (Cac) per far diventare vincolante lo swap su qualsiasi obbligazionista. Come se non bastasse secondo un rapporto dell'Iif, un ipotetico default disordinato dei 357 miliardi di euro del debito complessivo della Grecia potrebbe costare oltre mille miliardi di euro e comporterebbe aiuti straordinari per Italia e Spagna. La stima è contenuta in un report dell'istituto internazionale di Finanza (Iif) guidato dal direttore generale Charles Dallara e dal co-presidente Jean Lemierre di Bnp Paribas e che raggruppa le maggiori banche creditrici della Grecia, secondo il quale gli aiuti internazionali a Italia e Spagna da parte dei fondi di salvataggio europei (Efsf e Esm) e dell'Fmi salirebbero a 350 miliardi di euro. Anche Irlanda e Portogallo avrebbero bisogno di più aiuti. Insomma si tratterebbe del tanto temuto «effetto domino» dei mercati finanziari che ha fatto sconquassi in tutto il mondo con il fallimento disordinato di Lehman Brothers. Il ministro delle Finanze greco, Evangelos Venizelos, ieri si è detto ottimista sulla ristrutturazione del debito: dovrebbe riuscire a raggiungere un'adesione del 75-80% all'accordo sullo 'swap' dei propri bond. Tuttavia, c'é il rischio che l'adesione al piano sia inferiore al 90%, soglia ritenuta da Atene indispensabile per evitare che scattino le eventuali clausole di azione collettiva da parte di coloro che non intendono aderire al piano di ristrutturazione del debito. Lo 'swap bond' con i privati - ossia lo scambio di 206 miliardi di euro di titoli greci vecchi con nuovi che avranno scadenze più lunghe e interessi più bassi - è parte integrante del secondo piano di aiuti per la Grecia da 130 miliardi di euro, volto ad evitare il default del Paese. Lunedì scorso 12 dei 13 membri dell'Istituto della Finanza Internazionale, che complessivamente detengono bond per 40 miliardi di euro, hanno dato il loro sostegno all'accordo di concambio. La scadenza è fissata per domani sera alle 21 ma non è escluso una proroga dell'ultima ora. Infine un paradosso: aiutare la Grecia in difficoltà ha fruttato a Berlino 380 milioni di euro, grazie agli interessi sul primo pacchetto di aiuti. Lo rivelano documenti del ministero delle Finanze tedesco, secondo cui a fronte di un contributo finanziario di Berlino nel 2010 di 15,17 miliardi di euro, Atene ha pagato interessi tra il 3,423% e il 4,528%, facendo rientrare nelle casse tedesche 380 milioni di euro.

Atene e lo swap (9 marzo 2012).
E' un passo verso la salvezza di Atene e del suo debito da 357 miliardi di euro. Ammontano all'85,8% le adesioni dei creditori privati sotto legislazione greca pari a 152 miliardi di euro allo swap obbligazionario sul debito greco mentre quelli sottoposti a legislazione internazionale hanno consegnato 20 miliardi pari al 69% del totale. Lo rivela un comunicato di questa mattina del Governo di Atene, il quale ha reso noto che attiverà, se riceverà il via libera dalla troika, le clausole di azione collettiva (Cac) che obbligano i creditori privati detentori di bond che rientrano nella legge greca ad accettare obbligatoriamente lo swap sul debito. In questo caso le adesioni arriveranno al 95,7%. Una mossa però che deve avere il via libera dalla Bce, Ue e Fmi perché potrebbe aprire una pericolosa breccia per far scattare a sua volta i Cds, cioè i credit default swap, contratti di assicurazione che sul debito greco ammontano a 3,25 miliardi netti e a un noziale pari a 70 miliardi di euro. Ora la parola passa all'eurogruppo che oggi in teleconferenza si riunisce per decidere se dare via libera all'uso delle Cac e alla tranche da 97 miliardi sui 130 miliardi complessivi del secondo piano di aiuti europei. La troika - Fmi, Bce e Commissione Ue - «valuterà se il tasso di partecipazione dei creditori al taglio volontario del debito ellenico sarà sufficiente a rispettare le indicazioni arrivate dall'Eurogruppo lo scorso 20 febbraio». Lo rende noto il ministero delle Finanze tedesco, precisando che il relativo parere è atteso nel corso della giornata e subito dopo i Paesi membri di Eurozona si consulteranno sulle procedure successive. L'intesa con i creditori privati sullo swap del debito greco, «è un grosso passo avanti verso la stabilizzazione e il consolidamento a un livello sostenibile del debito, che concede alla Grecia una grande opportunità». Lo sottolinea il ministro delle Finanze tedesco, Wolfang Schäuble, il quale, in un comunicato, precisa che la troika valuterà se questo risultato è in linea con le richieste dell'Eurogruppo. Il Governo greco è soddisfatto dal successo ottenuto dalla sua offerta di swap del debito: «Si tratta di un momento storico» ha dichiarato il portavoce del governo Pantelis Kapsis come riferiscono stamani i media ellenici. Venizelos ha voluto ringraziare da parte della Grecia i creditori del Paese. «Vorrei, da parte della Grecia - ha detto - esprimere la mia stima a tutti i nostri creditori che hanno sostenuto il nostro ambizioso programma di riforme e che hanno condiviso i sacrifici del popolo greco in questo sforzo storico. Con il sostegno delle istituzioni e dei creditori privati, la Grecia continuerà ad attuare le misure necessarie per raggiungere le riforme economiche e istituzionali per le quali si è impegnata e che riporteranno la Grecia sulla strada dello sviluppo sostenibile», ha concluso. Secondo Daniel Gros, direttore del Ceps di Bruxelles, fra un anno ci sarà bisogno di un terzo piano di aiuti con allungamento delle scadenze del debito e riduzione degli interessi, ma a quel punto ormai sarà debito in maggior parte in mano agli stati e quindi più facile da gestire nel corso di un futuro summit europeo. Come effetto delle notizie dalla Grecia, il differenziale tra Italia e Germania torna sotto la soglia dei 300 punti base arrivando a 287 punti. Scende anche il rendimento del BTp decennale al 4,77%.
Giova ricordare che per clausole di azione collettiva (Cac), si intendono le norme retroattive introdotte dal Parlamento greco per rendere obbligatorio lo swap anche a chi non ha acconsentito, a condizione che vengano superate alcune soglie legali. Le Cac vengono messe in campo se almeno, nel caso di bond sottoposti a legislazione greca, i due terzi di un quorum del 50% degli aventi diritto al voto ne accetta l'applicazione. La cifra è dunque variabile, ma in linea teorica può bastare il 33% di 177 miliardi di euro di bond greci domestici. La soglia di partecipazione richiesta per esercitare le Cac dei bond sottoposti a leggi internazionali varia dal 66% al 33% a seconda della legislazione ma deve essere applicata emissione per emissione. Il Governo greco ha posto però ulteriori paletti all'effettiva attivazione delle Cac in caso di raggiungimento delle soglie legali: con un'adesione sotto il 75% del totale del debito lo swap non andrà avanti; tra il 75% e il 90% deciderà in coordinamento con la troika (Bce, Fmi e Ue) se applicare effettivamente le Cac o tentare ancora la volontarietà per evitare di far scattare i Cds; se si supera la soglia del 90% allora lo scambio si considera volontario e il restante 10% va all'incasso senza aver dovuto pagare pegno. Il credit event è quell'evento che determina lo scatto ("triggering") dei Cds o credit default swap, cioè derivati di assicurazione del bond di un Paese sovrano. Se un fondo o un hedge fund ha comprato bond greci è si è coperto dal rischio default, probabilmente non aderirà allo swap ellenico perché a fronte del default può esercitare i Cds, e incassare il risarcimento. I Cds sui bond greci sono pari a 3,25 miliardi di euro netti ma con un nozionale pari a 70 miliardi di euro. L'Isda, l'associazione che determina il credit event, ha deciso recentemente che attualmente non c'è credit event nello swap della Grecia. A questo punto un fondo che si era assicurato non incasserà i Cds (almeno per ora) ma spera di portare i bond a scadenza. Ma se scattano le Cac allora arriva l'haircut del 53,5% per tutti e la partita si riapre. Lo swap, il maggiore della storia, prevede che i creditori privati (banche, compagnie di assicurazione e fondi di investimento) accettino perdite nominali pari al 53,5%, ma pari in termini reali a oltre il 74%, su una montagna di debito pari a 206 miliardi. La Grecia, che ha un debito complessivo pari a 350 miliardi, vedrebbe così ridotto a 107 miliardi l'ammontare dei crediti vantati dai privati e dovrebbe così centrare l'obiettivo di un debito al 120,5% del Pil nel 2020. Il concambio, che verrà concluso in trent'anni, prevede che i creditori ricevano nuovi bond con un valore pari al 31,5% di quelli attualmente detenuti con un tasso del 2% fino al 2015, del 3% fino al 2020 e del 4,3% fino al 2042. Ai privati verranno inoltre girati buoni biennali dell'Efsf che copriranno un altro 15% e obbligazioni legate alla crescita del Pil ellenico. Sebbene il commissario Olli Rehn abbia smentito, secondo alcuni commentatori tra un anno servirà un terzo salvataggio greco (dopo i 110 miliardi del primo e i 130 del secondo) a carico stavolta degli Stati europei.

ISTAT: crolla la produzione industriale (9 marzo 2012).
Forte contrazione per la produzione industriale a gennaio: il calo è del 2,5% rispetto a dicembre (dato destagionalizzato) e del 5% su base annua (dato corretto per gli effetti di calendario). Si tratta del ribasso annuo più forte dal dicembre del 2009. Sempre l'Istat comunica che la produzione di autoveicoli a gennaio 2012 ha registrato una discesa del 36,8% (dato corretto per gli effetti di calendario). Si tratta della diminuzione tendenziale più marcata dal febbraio del 2009. Il dato grezzo, invece, fa sapere sempre l'Istituto di statistica, ha segnato un calo del 33,5%. Per quanto riguarda l'industria, gli indici corretti per gli effetti di calendario registrano a gennaio 2012 diminuzioni tendenziali per tutti i raggruppamenti principali di industrie. I cali più marcati riguardano l'energia (-5,9%) e i beni di consumo (-5,8%), ma diminuiscono in misura significativa anche i beni intermedi (-5,4%) e i beni strumentali (-4,2%). Rispetto a gennaio 2011, i settori caratterizzati da una crescita sono: l'attivitá estrattiva (+5,8%), la fabbricazione di computer, prodotti di elettronica e ottica, apparecchi elettromedicali, apparecchi di misurazione e orologi (+2,3%) e le industrie alimentari bevande e tabacco (+2,0%). Tra i settori in calo quelli che registrano le diminuzioni tendenziali più ampie sono l'industria del legno, carta e stampa (-16,3%), le altre industrie manifatturiere, riparazione e installazione di macchine e apparecchiature (-13,3%), la fabbricazione di coke e prodotti petroliferi raffinati e la fabbricazione di apparecchiature elettriche e apparecchiature per uso domestico non elettriche (entrambi in calo dell'11,4%).

Camusso: intervista al Corriere (11 marzo 2012).
Susanna Camusso, la Fiom chiama lo sciopero generale se verrà toccato l'articolo 18. Cosa risponde il segretario della Cgil?
«Ho impressione che qualcuno abbia già messo in conto un nostro sciopero generale: una fiammata e via. Ma non può essere così: si aprirà una fase non breve di lotta».
A cosa si riferisce?
«A tante cose: scioperi articolati, proteste mirate, durature, più dolorose».
Non teme che il suo messaggio venga frainteso e alimenti tensioni incontrollabili?
«So che ci sono preoccupazioni, ce le abbiamo anche noi. Ecco perché vanno date risposte».
Cosa pensa della presenza dei No Tav nella manifestazione della Fiom?
«Nessuna forma d'iniziativa legittima può prevaricare la vita degli altri e sconfinare nella violenza. Penso che la Cgil debba avere un giudizio netto. Del resto la nostra posizione favorevole alla Tav l'abbiamo espressa al congresso: il Paese ha un disperato bisogno di investimenti. Dopodiché sarebbe meglio avere regole su come si decide. E comunque va ricostruito il dialogo: è impensabile fare i lavori per anni con la valle contro».
La trattativa sul mercato del lavoro riprende domani. C'è possibilità che si arrivi a un accordo?
«Cominciamo col dire che una riforma, anche una buona riforma, non creerà occupazione: è sbagliato illudere la gente. Serve altro».
Ad esempio?
«Investimenti, politiche industriali che ancora non vedo. La "fase due" della crescita mi sembra lontana: la delega fiscale si sta traducendo in aumento dell'Iva anziché nella riduzione della pressione fiscale sul lavoro».
Questo governo l'ha delusa?
«L'esecutivo Monti ha scelto di avere il piglio di chi vuole fare riforme strutturali, ha usato termini ambiziosi, come "cambiare la mentalità degli italiani". Ma poi questa intenzione si è tradotta nella continuità di politiche che penalizzano il lavoro».
Nel merito della riforma, ci sono punti di contatto sul tema dei contratti?
«Non c'è ancora una sintesi ma le proposte del ministro di far costare di più la flessibilità, eliminando quella cattiva, vanno nella giusta direzione».
C'è qualche novità sulla stabilizzazione dei precari?
«Al momento non ci sono risposte. Non si è mai nemmeno parlato di pubblico impiego dove la precarietà dilaga. Nè mi è piaciuto lo spettacolo del blocco dell'assunzione di 10 mila insegnanti».
Sugli ammortizzatori sociali lei dice che servono 15 miliardi. Può spiegare meglio?
«Attualmente ci sono 8,5 miliardi, tra contributi di imprese e di lavoratori, con l'estensione della contribuzione si potrebbe arrivare a 11. Mancano ancora 4 miliardi per avviare gradualmente la riforma».
Sui due pilastri voluti da Fornero? Cassa ordinaria e indennità di disoccupazione?
«No, non si può fare a meno della cassa straordinaria per le riconversioni che saranno tante dopo la crisi. E l'indennità va estesa a tutti, compreso chi vive il lavoro con discontinuità».
Veniamo all'articolo 18.
«Espungerlo dal tavolo sarebbe un atto di saggezza, limitiamoci a velocizzare i processi sul lavoro».
Ma se invece si procedesse, che farà la Cgil?
«Quando si porrà il problema ci penseremo. Vedo in giro qualche proposta di chi cerca solo uno scalpo. E poi c'è quella della Cisl, che estende le procedure dei licenziamenti collettivi a quelli individuali. Ma i licenziamenti individuali si possono già fare se non sono discriminatori».
Prenda il caso del lavoratore che, messosi in malattia, è andato a tirare il petardo al segretario della Cisl, Bonanni, ed è stato reintegrato sul posto di lavoro.
«Se il lavoratore ha violato la norma contrattuale ha ragione l'impresa, se non l'ha violata, è giusto il reintegro. Non tutte le malattie prevedono di stare a casa 24 ore su 24. Le norme ci sono: basta farle rispettare. Ad esempio, io mi chiedo perché non si impone mai al dirigente pubblico di controllare chi timbra e chi no».
Marcegaglia ha accusato il sindacato di difendere i fannulloni.
«Marcegaglia è stata presa da tentazione perché era all'assemblea di Federmeccanica... Ma non è che per evitare i problemi vadano cancellate le tutele».
Lei ha chiesto a Fornero di rivedere la riforma delle pensioni. Pensa ce ne siano i margini?
«Devono esserci. Non dispero di convincere il ministro che, con riferimento alle pensioni, non tutti i lavori sono uguali. Sul punto c'è una sensibilità fortissima e suggerirei sommessamente di tenerne conto...».
Intanto la Cgil è stata fischiata alla manifestazione della Fiom.
«Mi dicono che i fischi non erano dei lavoratori metalmeccanici. Dopodiché so che c'è una parte di movimento che ha un'idea antagonista. Ma il sindacato non è antagonista: costruisce accordi. Anche il segretario Fiom, Landini, ha detto che è per l'accordo, purché non si tocchi l'articolo 18. Che è quello che penso anch'io».
Veltroni, attaccando l'articolo 18, vi ha chiamati indirettamente «santuari del no».
«Io sento quello che dice il segretario Bersani: non mi sembra che voglia cambiare l'articolo 18. Gli altri si pongano il problema di pensare cosa proporre loro, piuttosto che dirci quello che dobbiamo fare noi».
Da corriere.it

ISTAT: Paese in recessione tecnica (12 marzo 2011).
Il Pil nel IV trimestre è sceso dello 0,7% rispetto al trimestre precedente. Lo rileva l'Istat aggiungendo che rispetto allo stesso trimestre dello scorso anno il prodotto interno lordo è calato dello 0,4%. L'Italia dunque è in recessione tecnica: per il secondo trimestre consecutivo il Pil è infatti in calo congiunturale. La stima preliminare diffusa il 15 febbraio scorso, aggiunge l'Istat, aveva rilevato una diminuzione congiunturale dello 0,7% e una diminuzione tendenziale dello 0,5%. Il quarto trimestre del 2011 ha avuto tre giornate lavorative in meno del trimestre precedente e due giornate lavorative in meno rispetto al quarto trimestre del 2010. Nel quarto trimestre del 2011 tutte le componenti della domanda interna sono risultate in diminuzione su base congiunturale. Le importazioni si sono ridotte del 2,5% e le esportazioni sono rimaste stazionarie. La domanda nazionale al netto delle scorte ha sottratto un punto percentuale alla crescita del Pil (-0,4 i consumi delle famiglie, -0,1 la spesa della PA e -0,5 gli investimenti fissi lordi). Anche la variazione delle scorte ha contribuito negativamente alla crescita del Pil (-0,4 punti percentuali), mentre il contributo della domanda estera netta è stato positivo per 0,7 punti percentuali. Dal lato dell'offerta, si rilevano andamenti congiunturali negativi per il valore aggiunto dell'industria (-1,7%) e dei servizi (-0,1%), mentre il valore aggiunto dell'agricoltura è aumentato dello 0,5%. L'Istat ha rivisto al rialzo il Pil del 2011 dal +0,4% al +0,5%. Lo riferisce l'Istituto di statistica sottolineando che per quest'anno la crescita acquisita dovrebbe attestarsi al -0,5%.

Un altro marchio sta per andarsene (13 marzo 2012).
La tedesca Audi, controllata dalla Volkswagen, è a un passo dalla conquista delle moto Ducati. Il passaggio dovrebbe avvenire per circa 850 milioni di euro. Vari fondi di private equity ne controllano la maggioranza alla ricerca di un acquirente che si possa prendere tutto il pacchetto. Potrebbe essere la volta buona. Il presidente della Volkswagen, Ferdinand Piëch, è un patito della Ducati. E il suo amministratore delegato, Martin Winterkorn, proprio ieri, ha sussurrato: «Amo tutto ciò che è rosso (esclusi i conti)», come la Ferrari,l’Alfa Romeo e la Ducati. E sempre il colosso automobilistico tedesco si è portato a casa un capo del marketing e un capo del design italiani, oltre ad altri manager. Insomma, quando un pezzo storico dell’Italia viene a caro prezzo comprato da uno straniero, si levano le grida sul Paese in declino. Il caso Ducati ci insegna:
1. Il primo problema, se tale lo dobbiamo considerare, non sta nelle imprese che passano di mano. Ma nelle intelligenze che vanno all’estero. Le imprese sono fatte dagli uomini che le sanno rendere grandi. Ci stracciamo le vesti per una griffe che viene venduta, per un’impresa che viene comprata da uno straniero, ma non ci rendiamo conto che il Paese è in vendita quando i loro uomini migliori decidono di andare a lavorare fuori di casa.
2. L’Italia non è solo moda. Nel mondo la nostra meccanica è ancora considerata un’eccellenza. E se essa si coniuga con un grande marchio (Ducati, Ferrari, Brembo, Maserati, Alfa Romeo, Piaggio e così via) il suo appeal è favoloso. Gli stessi tedeschi dovettero rinunciare ad alcune loro eccellenze ( si pensi al campo della fotografia e alla rivoluzione elettronica giapponese), ma hanno saputo reinventarsi. Un’impresa che si perde non è un dramma. Lo diventa se oltre a essa non si vede altro. Cosa c’è dopo Ducati? Quali marchi sono nati negli ultimi anni? Chi sono gli imprenditori che hanno lanciato prodotti di meccanica di successo?
3. La domanda corretta da fare, in questi casi, non è quella più facile. E cioè: cosa ci resta della vecchia e gloriosa meccanica italiana? La domanda sana è: in quale settore si sta ora esprimendo il genio italico, una volta persa la meccanica? Questo è il punto. Rimanere attaccati al passato, anche glorioso, è romantico. Ma pensare al futuro è ciò che ci serve.
4. Il caso Ducati è diverso da quello Parmalat. In questo secondo caso i francesi hanno comprato un bel po’ di cassa e un pezzo del mercato italiano. Nel caso di Ducati i tedeschi hanno comprato un sogno, un avviamento immateriale. E come nel caso Lamborghini, c’è la speranza che lo mettano in sesto anche dal punto di vista industriale. L’Italia non ha venduto un pezzo del suo Paese. L’ha venduto tutto: nel senso dei nostri colori, della nostra abilità, della nostra storia. L’unica lezione che si può trarre è che abbiamo ancora un valore. Un grande valore.

La pressione fiscale reale (13 marzo 2012).
Il peso delle tasse punta a superare il 45% «un livello che ha pochi confronti nel mondo». A lanciare l'allarme è il presidente della Corte dei Conti Luigi Giampaolino, in un'audizione alla Camera. Secondo Giampaolino «il nostro sistema è disegnato in modo da far gravare un carico sui contribuenti fedeli eccessivo». Sotto la lente ci sarebbe dunque una strategia, quella di puntare sull'aumento del prelievo fiscale piuttosto che dare la priorità al taglio della spesa. Le manovre di aggiustamento 2011, infatti, «sulla spinte dell'emergenza hanno operato soprattutto sul lato dell'aumento della pressione fiscale piuttosto che, come sarebbe stato desiderabile, dal lato della riduzione della spesa». Giampaolino ha delineato un percorso che potrebbe condurre ad abbattere il rapporto tra debito e Pil. Con una crescita dell'1% e il bilancio in pareggio in vent'anni, ha infatti ricordato il presidente della Corte dei conti, il debito pubblico scenderebbe al 65% del Pil, raggiungendo sostanzialmente gli obiettivi europei. A rincarare la dose, le parole di Giampaolino inducono l'Associazione Artigiani Piccole Imprese di Mestre (Cgia) a puntare il dito contro la pressione fiscale reale, ovvero quella che effettivamente si riflette sui cittadini. Se in autunno verrà confermato l'ulteriore aumento dell'Iva, spiega l'associazione, «la pressione fiscale effettiva dovrebbe toccare il 54,5%. Un record che, purtroppo, non ha eguali al mondo». Per il segretario Cgia, Giuseppe Bortolussi, «una cosa è la pressione fiscale ufficiale e un'altra cosa è quella reale».La prima è data dal rapporto tra le entrate fiscali/contributive ed il Pil prodotto in un anno. Se però si storna dalla ricchezza prodotta la quota addebitabile al sommerso economico che non produce gettito per l'Erario, «il Pil - sottolinea la Cgia - diminuisce (quindi si contrae « il denominatore e, pertanto, aumenta il rapporto ». Quindi, la pressione fiscale "reale" che grava su coloro che pagano correttamente le tasse è molto superiore a quella ufficiale che viene calcolata dall'Istat». Se nel 2011 la pressione fiscale «reale» che pesa sui contribuenti italiani ha sfiorato una ipotesi massima del 52%, con gli effetti delle manovre estive di Berlusconi e gli interventi del Governo Monti, il raggiungimento del pareggio di bilancio nel 2013 farà impennare il carico fiscale sui contribuenti onesti sino a una ipotesi massima del 54,5%.

Allarme contro lo Stato, grande fratello (14 marzo 2012).
Diopo l'allarme del Presidente della Cortedei Conti sull'eccesso di tassazione è ora il del garante per la privacy a far risuonare un grido di allarme. «La massa di dati che il Fisco si prepara a chiederci per contrastare l'evasione non può non preoccupare». Anche perché quelle informazioni dovranno essere acquisite «indipendentemente da ogni indagine» nei confronti dei contribuenti. Così facendo, però, si agisce trattando i cittadini da sudditi, perché «è proprio dei sudditi essere considerati dei potenziali mariuoli. È proprio dello Stato non democratico pensare che i propri cittadini siano tutti possibili violatori delle leggi. In uno Stato democratico, il cittadino ha diritto di essere rispettato fino a che non vìoli le leggi, non di essere sospettato a priori».
A puntare il dito contro le nuove forme di controllo preventivo è stato ieri il Garante della privacy, Francesco Pizzetti, che ha illustrato il bilancio dei sette anni di attività del collegio, il quale lascerà l'incarico entro il prossimo 18 aprile. Pur comprendendo le ragioni che hanno indotto il Governo a contrastare la piaga dell'evasione fiscale con il potenziamento del sistema Serpico, in grado di passare al setaccio i più piccoli movimenti finanziari dei contribuenti, Pizzetti ha però sottolineato «che questo significa produrre strappi forti allo Stato di diritto e al concetto di cittadino che ne è alla radice». Si tratta, ha aggiunto, «di una fase di emergenza dalla quale uscire al più presto», se non si vuole che «anche lo spread fra democrazia italiana e democrazie occidentali» sia destinato a crescere. La china intrapresa è rischiosa, perché «può condurre a fenomeni di controllo sociale di dimensioni spaventose». D'altra parte, «le vie dell'inferno – ha ammonito il Garante – sono lastricate di buone intenzioni». Dunque, «attenzione alle liste dei buoni e dei cattivi. Attenzione ai bollini di qualunque colore siano». Il riferimento è alla proposta del direttore dell'agenzia delle Entrate, Attilio Befera, di assegnare agli esercizi commerciali in regola con il Fisco un "certificato" visibile di buona condotta. Una sorta di bollino, appunto. Il problema di super-cervelloni sempre più potenti è anche quello della sicurezza. Sotto questo punto di vista la pubblica amministrazione, per quanto ora più sensibile al problema della privacy, non è affidabile. Si pensi alla grande quantità di dati personali utilizzati dal sistema giudiziario e, ha affermato Pizzetti, «alla facilità con la quale spesso possono essere conosciuti anche da chi non ne ha nessun diritto». Problema che riguarda, in particolare, i tabulati delle intercettazioni, questione irrisolta e sulla quale Pizzetti ha chiesto una «parola chiara» da parte del legislatore. Falle di sicurezza analoghe, però, presentano gli archivi di polizia, che «non si può dire siano protetti adeguatamente da accessi illegittimi».
Accanto ai problemi a cui mettere mano e alle sfide future (quella della rete è la principale), il bilancio di sette anni riserva anche aspetti confortanti: la cultura della privacy «si va radicando nel nostro Paese» e il Garante non è più visto solo come un peso. In particolare, dalla pubblica amministrazione, mentre le imprese restano diffidenti. Ne sono la prova le pressioni, ha spiegato Pizzetti, per ottenere pesanti esenzioni dalla protezione dei dati o per attuare strategie di telemarketing sempre più aggressivo, grazie anche al totale insuccesso del registro delle opposizioni. Un comportamento che finisce per trasformarsi «in prepotenza e danneggia anche le imprese».

Il piano della Fornero (14 marzo 2012).
Arrivano i fondi per «incentivare l'esodo dei lavoratori anziani» e spunta il «contributo di licenziamento». Sono le principali novità contenute nel documento che il ministro del Lavoro, Elsa Fornero, ha inviato riservatamente ieri sera tardi ai vertici delle associazioni sindacali e imprenditoriali. Titolo: «Ammortizzatori sociali. Proposta di riforma». Le ultime due pagine sono appunto dedicate alla «Protezione dei lavoratori anziani». Una mossa per rispondere alla pressante richiesta delle parti sociali di rendere gestibili le ristrutturazioni aziendali (che poggiano sull'espulsione dei lavoratori più vecchi) anche dopo la riforma delle previdenza, che ha abolito le pensioni di anzianità e spostato quelle di vecchiaia a 66 anni.
Fondo esodi
La proposta Fornero prevede la «facoltà» delle imprese di stipulare accordi con i sindacati per favorire i prepensionamenti, sul modello del fondo del settore bancario. Vi potranno accedere i lavoratori «che raggiungano i requisiti di pensionamento nei successivi 4 anni». Le imprese dovranno «versare mensilmente all'Inps la provvista per la prestazione e per la contribuzione figurativa» e disporre di una fideiussione bancaria. Le domande per mandare in pensione anticipata i lavoratori dovranno essere presentate allo stesso Inps che verificherà la sussistenza dei requisiti. La prestazione sarà «di importo pari al trattamento di pensione che spetterebbe in base alle regole vigenti». Nella fase di transizione, cioè per gli esodi fino al 2015, «il primo periodo può essere coperto» per i lavoratori messi in mobilità dalla stessa indennità di mobilità.
I nuovi fondi di solidarietà
Un'altra novità del documento è la previsione di istituire obbligatoriamente un «fondo di solidarietà» per tutti i settori e tutte le imprese sopra i 15 dipendenti non coperte dalla cassa integrazione. Anche questi fondi saranno creati con accordi tra sindacati e imprese o, in mancanza, da un decreto interministeriale. Gli accordi stabiliranno «l'ambito di applicazione del fondo», l'aliquota di contribuzione, che sarà anche in questo caso a carico dell'impresa». Al finanziamento potrà concorrere anche lo 0,30% attualmente versato ai fondi per la formazione. Entro il 30 giugno 2013 dovranno essere istituiti specifici fondi di solidarietà «per i settori del trasporto aereo e del sistema aeroportuale».
Il nuovo sistema di ammortizzatori
Nella premessa Fornero spiega che i nuovi ammortizzatori poggeranno su tre pilastri: una assicurazione sociale per l'impiego (Aspi) a carattere universale, una serie di tutele in costanza di rapporti di lavoro (Cassa integrazione ordinaria, straordinaria e fondi di solidarietà) e «strumenti di gestione degli esuberi strutturali». Il nuovo sistema, si spiega, dovrebbe superare l'anomalia italiana che vede la tutela assicurata finora - per durata e importo - molto al di sotto della media europea, mentre in alcuni casi è «uno scivolo estremamente lungo», trasformando il sussidio in uno strumento puramente assistenziale.
L'Aspi
L'assicurazione sociale per l'impiego sostituirà l'indennità di mobilità e l'indennità di disoccupazione in tutte le sue forme. Dal 2015 ci saranno due strumenti in tutto: da una parte la cassa integrazione (però senza mobilità e senza la straordinaria nel caso di cessazione di attività) e dall'altra il nuovo sussidio (Aspi) che può arrivare per tutti fino al massimo di 1.119,32 euro lordi al mese e per un periodo non superiore a 12 mesi, allungabile a 18 mesi nel caso di disoccupati con oltre 55 anni di età. L'importo, fermo restando il tetto, sarebbe pari al 70% per le retribuzioni fino a 1.250 euro e al 30% per la parte eccedente. L'assegno verrebbe tagliato del 15% dopo i primi sei mesi e di un altro 15 dopo il semestre successivo. Per pagare questo nuovo sussidio Fornero propone di introdurre un contributo uguale per tutti dell'1,3% sulla retribuzione lorda. Questo prelievo esiste già per l'industria ma per gli artigiani è dello 0,40% e per alcuni settori come i bar e ristoranti è dello 0,18%. Ora dovranno gradualmente adeguarsi verso l'alto. La riforma prevede anche una aliquota aggiuntiva dell'1,4% (portando il totale al 2,7%) per i lavoratori con contratto a tempo determinato, che verrebbe recuperata dall'impresa se poi il lavoratore è assunto a tempo indeterminato. L'Aspi entra in azione con gli stessi requisiti di oggi per l'indennità di disoccupazione: 2 anni di anzianità assicurativa e almeno 52 settimane di lavoro nell'ultimo biennio.
Via l'indennità di mobilità
Nel dossier c'è anche una tabellina che spiega come evolverà nel tempo questo nuovo ordine di tutele. Facciamo il caso di un lavoratore del Centro Nord di 55 anni e oltre che nel 2012 entra in mobilità con le attuali regole cioè fino a un massimo di tre anni. Nel 2013 scendono a 30 mesi, nel 2014 scendono a 24 (due anni) e dal 2015 (cioè a regime) entra in funzione il regime Aspi con il massimale di 18 mesi.
Il contributo di licenziamento
Anche questa è una novità, probabilmente proposta in vista della revisione dell'articolo 18 che dovrebbe rendere più facili i licenziamenti. Il «contributo di licenziamento» dovrà essere versato all'Inps «all'atto del licenziamento (solo per i rapporti a tempo indeterminato)» e sarà pari a mezza mensilità di indennità «per ogni 12 mensilità di anzianità aziendale negli ultimi 3 anni (compresi i periodi di lavoro a termine)». Si applica anche agli apprendisti. Il contributo di licenziamento sostituirà i contributi oggi versati dalle imprese per la disoccupazione e la mobilità.

Ritorna di attualità la Tobin Tax (14 marzo 2012).
Ieri l’Ecofin non ha raggiunto un accordo sulla Tobin tax. Mario Monti si è detto favorevole, ma a patto che si «proceda ad una valutazione più approfondita di questa misura sul costo del capitale per le famiglie e le imprese». Se ne riparlerà a fine mese, all’Ecofin di Copenhagen, ma l’Europa sembra irrimediabilmente divisa. Che cos’è la Tobin tax?
È una tassa sulle transazioni finanziarie inventata nel 1972 dall’economista keynesiano James Tobin, tra i maggiori studiosi di politica monetaria del secolo scorso e vincitore del premio Nobel nel 1981 per «le sue analisi dei mercati finanziari e i loro rapporti con le politiche che riguardano la spesa, l’occupazione e prezzi». L’economista propose la tassa poco dopo la decisione del presidente americano Richard Nixon, a Ferragosto del ‘71, di abolire la convertibilità in oro del dollaro. Per scongiurare oscillazioni troppo violente delle valute, Tobin suggerì di tassare i cambi. A sua volta si ispirava a una proposta del grande economista britannico John Maynard Keynes che aveva suggerito nel lontano 1936 di tassare gli scambi in Borsa, a Wall Street, per ridurre la speculazione.
Qual è la proposta europea sulla Tobin tax?
Si discute ormai da mesi attorno a una proposta adottata già a novembre del 2011 dalla Commissione europea e che non c’entra in senso stretto con la tassa proposta in origine da Tobin. Dovrebbe entrare in vigore dal 1 gennaio 2014. Bruxelles ha bisogno tuttavia dell’accordo politico tra i partner europei per essere adottata in tutta la Ue, ma se ne discute ormai da cinque mesi a vuoto. L’alternativa, in mancanza di un accordo, potrebbe essere che la introduca un gruppo di Paesi oppure che il numero delle transazioni colpite venga limitato.
Cosa prevede nel dettaglio?
La tassa approvata dalla Commissione Ue e in discussione tra i governi europei si chiama Financial Transaction Tax (Ftt) e si applica a tutte le transazioni finanziarie, cioè ad acquisti o vendite di obbligazioni o azioni ma anche di opzioni, futures o derivati, quando almeno una delle parti - banca, assicurazione, fondo, società-veicolo - abbia sede nella Ue o nel Paese che adotti la tassa. Non è insomma una tassa che vale solo per le operazioni di borsa; vale anche per i contratti bilaterali come i derivati. Ogni Paese dovrebbe poter fissare il tasso, una volta firmato l’accordo europeo, ma di solito si parte da un minimo dello 0,1 per cento su ogni transazione (meno per i derivati).
Quanto vale? Come viene pagata?
Secondo la Commissione europea potrebbe fruttare tra i 16 e i 43 miliardi di euro. Dovrebbe essere riscossa al momento della transazione. Nei Paesi in cui ci sono già delle imposte di bollo finanziarie la Ftt dovrebbe sostituirle. Ma, contrariamente alle imposte di bollo, non ci sarebbe alcuna possibilità di approfittare di esenzioni, neanche tra imprese appartenenti agli stessi gruppi.
Può avere degli effetti negativi sui mercati?
È quello che temono i Paesi che si oppongono al Ftt. Lo stesso «padre» dell’aliquota finanziaria, Tobin, la definiva «sabbia nell’ingranaggio» dei mercati e potrebbe avvantaggiare i Paesi che non la adottano, favoriti da eventuali fughe di capitali e di imprese provenienti dai Paesi che la introducono. La Commissione europea, ad esempio, prevede un calo delle operazioni dei derivati enorme, tra il 70 e il 90 per cento.
Perché non si trova l’accordo in Europa sulla Tobin tax?
Perché la Gran Bretagna si oppone sin dall’inizio, sin da quando la proposta è stata avanzata seriamente in sede europea, nel 2008. Londra ha un’economia fortemente finanziarizzata e teme un’emorragia di denaro e di investitori, se introduce una tassa di questo genere. A dicembre, uno dei motivi per cui il premier David Cameron non aveva firmato il nuovo patto di stabilità europeo, il Fiscal compact, era proprio il fatto che i proponenti della Tobin tax, la Germania in primis, avevano insistito sulla volontà di intervenire sulle transazioni. Tra i contrari, comunque, figurano anche i Paesi Bassi. Il ministro delle Finanze olandese, Jan Kees de Jager, ha mostrato ieri ai colleghi europei due studi internazionali che dimostrerebbero che una tassa sulle transazioni finanziarie rischia anche di frenare la crescita. E al fronte del «no» si è aggiunto un altro Paese dalla ricca tradizione bancaria e finanziaria, il Lussemburgo. Questo significa che a prescindere dalla contrarietà della Gran Bretagna, ci sono ostacoli enormi a introdurla anche nell’Eurozona. la stampa.it

Auto: immatricolazioni in calo (15 marzo 2012)
A febbraio, le immatricolazioni di auto nuove nell'Unione Europea sono scese del 9,7% rispetto allo stesso mese del 2011 per un totale di 888.878 unitá, nonostante un giorno lavorativo in più. Il totale dei primi due mesi del 2012 vede così 1.858.066 immatricolazioni, l' 8,3% in meno rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente. A febbraio, informa l'Acea, l'associazione europea dei costruttori automobilistici, la domanda di auto nuove è scesa in tutti i principali mercati, ad eccezione della Germania dove le registrazioni sono rimaste stabili. Per gli altri grandi mercati si va dal -2,1% della Spagna al -20,2% della Francia. Più modesto il calo del Regno Unito(-2,5%), mentre l'Italia come è noto la discesa del mercato a febbraio è stata del 18,9%. Vendite quasi dimezzate, inoltre, nelle due economie in maggiore crisi, Grecia (-45,2% e appena 3.827 auto nuove vendute) e Portogallo (-48,4% e 6.932 immatricolazioni). Le vendite di nuove auto di Fiat Group Automobiles in Europa (Ue a 27 più Efta) a febbraio è calata del 16,5% rispetto allo stesso mese del 2011 a 66.249 unità. La quota di mercato in Europa del gruppo è scesa a febbraio al 7,2% dal 7,8% del febbraio 2011 ed è migliorata rispetto al 6,9% di gennaio. A livello deglia ltri marchi si conferma il primato del gruppo Volkswagen che pur perdendo il 2,6% con 211.018 immatricolazioni, vede la sua quota salire da 22 al 23,7%. Forti cali per tutti gli altri gruppi (Psa -16,8%), Renault (-24,0%), Ford (-7,9%), Gm (-13,8%) e Fiat (-16,7%). In salita solo Daimler (+4,2%) e i costruttori coreani (Hyundai +5,8% e Kia +30,8%). Intanto, le fabbriche italiane della Fiat rischiano di fermarsi tutte per lo sciopero delle bisarche, in corso da venti giorni contro le liberalizzazioni: lo stop della produzione e’ gia’ annunciato per oggi a Melfi, dove nei piazzali sono ferme migliaia di auto. La casa torinese parla di una perdita di circa 20.000 vetture dall’inizio della protesta dei padroncini.
Domani si incontreranno il presidente del Consiglio Mario Monti e l’amministratore delegato della Fiat Sergio Marchionne previsto. Un vertice importante durante il quale verranno chiariti diversi punti sulla presenza e sul futuro del Lingotto in Italia. "Il governo ha avuto dalla Fiat rassicurazioni sul mantenimento dell’attuale piano di investimenti e sulla permanenza in Italia", ha ribadito il ministro del Lavoro, Elsa Fornero nel corso di una informativa a Palazzo Madama replicando così a chi, negli ultimi giorni ha chiesto un intervento dell'esecutivo.. Nell'informativa al Senato, la Fornero ha voluto mettere un punto fermo su una polemica che va avanti da diversi giorni. Nelle scorse settimane il governo ha avuto ripetuti contatti con la dirigenza del colosso torinese per vagliare la possibile chiusura di stabilimenti industriali ipotizzata da diversi organi di stampa. "Abbiamo raccolto le rassicurazioni dei vertici", ha spiegato la Fornero rassicurando sul mantenimento del piano industriale annunciato tempo fa dallo stesso Marchionne. Domani il Professore incontrerà nuovamente i vertici della Fiat. Subito dopo si terrà un incontro con i ministri dello Sviluppo economico e del Lavoro. "La richiesta di informativa sulla materia - ha voluto, però, sottolineare il ministro del Lavoro - sottende un’idea che non attiene a questo governo". La Fornero ha, infatti, ribadito chiaramente che, "sebbene le imprese siano vitali per il Paese", non spetta al governo "dire alle imprese cosa devono o non devono fare. Non spetta al Governo - ha continuato - aiutare le imprese a tirare avanti magari galleggiando, non è conveniente per l’economia, per l’occupazione e per la sostenibilità e economicità delle prestazioni". Viceversa il governo si pone come primo obiettivo quello di creare "un ambiente favorevole alle imprese", non solo per quelle che ci sono ma anche per quelle che se ne sono andate e quelle che potrebbero investire. "A questi principi è ispirata la riforma del mercato lavoro - ha concluso la Fornero - un prerequisito per il buon funzionamento dell’economia".

Portogallo: rischio default (15 marzo 2012).
Leggendo i dati dei mercati la Grecia potrebbe non essere l'unico Paese insolvente dell'Eurozona. La strada che ha intrapreso il Portogallo, purtroppo, è piena di spine. Oggi lo spread tra i titoli a 10 anni di Lisbona e i rispettivi titoli tedeschi (Bund) si è ulteriormente impennato e ormani da settimane viaggia a 1.200 punti. In questo momento il governo di Lisbona è costretto a pagare il 14% sui titoli a 10 anni. Non va meglio se si guardano le scadenze più brevi dove spread e rendimenti decollano. Lo spread tra i titoli portoghesi a 5 anni e i corrispettivi Bund tedeschi si attesta a 1.590 punti. Con il rendimento dei titoli a 5 anni al 17% e quello dei titoli a 2 anni al 13%. Altri dati, questi, non confortanti dato che le difficoltà di un Paese a sostenere il peso del suo debito si denotano proprio quando si impennano i tassi a breve (fenomeno noto anche ai possessori di BTp a 3 anni che lo scorso dicembre sono decollati oltre quelli a 10 anni in una spettacolare inversione della curva dei rendimenti). Segnale che i mercati non hanno più fiducia che quello Stato sia in grado di onorare i debiti a imminente scadenza. Le cose non vanno meglio se si guardano i Cds (Credit default swap),le polizze che coprono contro il rischio di fallimento del titolo sottostante. Titoli finiti nell'occhio del ciclone proprio in occasione del fallimento della Grecia (i rimborsi ai titoli di cds sulla Grecia sono scattati in forte ritardo) che, in ogni caso, al netto di fenomeni speculativi, danno comunque la dimensione di quanto un Paese sia ritenuto a rischio dagli investitori. Oggi i cds sul Portogallo sono risaliti a 1.347 punti. Due anni fa, quando non c'erano ancora le avvisaglie del contagio al Portogallo e quando solo la Grecia aveva fatto ricorso al (primo) piano di aiuti europeo i cds sul Portogallo quotavano "appena" a 112,94 punti. Il Portogallo è, con Irlanda e Grecia, uno dei tre Paesi dell'Eurozona ad aver fatto ricorso agli aiuti forzosi della troika (Ue-Fmi-Bce) con un prestito triennale a tassi ageevolati da 78 miliardi di euro. Un finanziamento necessario per provare ad alleggerire la più grande recessione che ha colpito il Paese da quando, nel 1970, è passato alla democrazia. Lo scorso anno il PIl è diminuito del 2,8%, il tasso di disoccupazione ha toccato il picco del 14% con punte oltre il 35% fra i giovani. Nelle ultime settimane le autorità politiche lusitane hanno più volte negato di aver intenzione rinegoziare gli aiuti ma i numeri non sono confortanti. I tassi a cui è in questo momento aggrappato lo Stato sono insostenibili per qualsiasi economia del mondo nel lungo periodo. Il monito è arrivato anche oggi dalle autorità europee. Il vice presidente della Commissione europea, Olli Rehn, responsabile di Affari economici e euro ha avvertito Lisbona delle sfide che bisogna ancora superare. Pur confermando che «il programma di risanamento procede a buon ritmo» hanno indicato che la situazione economica generale e l'accesso al credito per imprese e famiglie, restano «difficili». Del resto, che il quadro sia difficile lo indica anche il fatto che il Portogallo stia chiedendo aiuto alle ex-colonie Brasile e Angola. Il piano di austerity a cui è vincolato il piano di aiuti della Troika comporta anche una serie di privatizzazioni di imprese portoghesi. Tra gli acquirenti internazionali c'è anche l'Angola che sta investendo massicciamente nelle imprese dell'ex colonizzatrice. Le compagnie di Luanda, infatti, possiedono circa il 4% delle società portoghesi quotate in Borsa. Una quota destinata a crescere al pari degli investimenti del governo del presidente angolano José Eduardo Dos Santos in favore delle società dello Stato guidato dal primo ministro portoghese Pedro Passo Coelho. Gli aiuti delle ex colonie portoghesi all'ex colonizzatore Portogallo non sono solo finanziari. Vista la crescente richiesta di manodopera in Angola e Brasile è in atto un forte processo di emigrazione di giovani portoghesi nei due Paesi. Dai dati forniti dall'ambasciata del Brasile a Lisbona il numero di portoghesi con un permesso di lavoro in Brasile è balzato dai 52mila del 2010 a 328.860 di metà 2011. Secondo i mezzi di informazioni locali il numero di portoghesi in Angola è più che quadruplicato raggiungendo quota 100mila, quattro volte il numero degli angolani emigrati a Lisbona. Se questa non è crisi.

Il debito sale (15 marzo 2012).
Come era già stato anticipato dall'Istat, a gennaio il debito pubblico è aumentato di 37,9 miliardi rispetto al mese precedente, portandosi a 1.935,8 miliardi, rispetto ai 1.897,946 registrati a dicembre 2011. Il dato emerge dal supplemento al bollettino statistico di finanza pubblica della Banca d'italia. L'incremento del debito - spiegano gli esperti di Via Nazionale - riflette principalmente l'accumulo delle disponibilità del Tesoro per i servizi di tesoreria presso l'Istituto (32,6 miliardi), che sono aumentate come avviene regolarmente in questo periodo dell'anno. A tale aumento si aggiunge il fabbisogno del mese (4 miliardi). Il fabbisogno a gennaio, però, è stato superiore di 1,5 miliardi rispetto allo stesso periodo del 2011. La variazione è dovuta principalmente all'incremento della spesa per interessi e al pagamento della quota di competenza dell'italia dei prestiti erogati dall'Efsf (il Fondo Salva Stati temporaneo), parzialmente controbilanciato dall'incremento delle entrate fiscali e dalla flessione della spesa primaria. A gennaio, inoltre, le entrate tributarie, contabilizzate secondo il criterio della cassa, sono diminuite di 100 milioni (-0,5 per cento) rispetto allo stesso mese del 2011, attestandosi nel mese a 30,5 miliardi.

Rete imprese Italia in disaccordo (16 marzo 2012).
Marco Venturi il massimo rappresentante di commercianti e artigiani ha ricevuto ampie rassicurazioni dai partiti ma a Rete Imprese Italia non si fanno illusioni. Il negoziato sul lavoro ha obbedito ancora una volta al vecchio format triangolare governo-Confindustria-sindacati, quello che ha dominato il nostro Novecento e che si pensava dovesse andare in soffitta. Come Venturi la pensano anche le associazioni delle partite Iva. Quel triangolo le ha escluse persino dal tavolo e Anna Soru, presidente di Acta (l'associazione dei consulenti del terziario avanzato) sostiene che tutti coloro che nel governo o nei partiti si occupano della riforma continuano «a pensare solo dentro gli schemi del lavoro dipendente e non sanno niente di quello autonomo». È chiaro che dovendo affrontare lo spinosissimo tema dell'articolo 18 il governo Monti non potesse pensare di depotenziare il confronto con i sindacati confederali e la Confindustria ma artigiani, commercianti e partite Iva si aspettavano comunque qualche segnale di novità in chiave universalistica e non concertativa. Delusi, ora sfogano il loro mugugno. Raccontano come Cgil-Cisl-Uil e industriali comunque siano riusciti a negoziare con il governo e a ottenere partite di scambio mentre Rete Imprese è partita con un documento ed è arrivata alla fine sostanzialmente con il medesimo testo senza che nel mezzo ci fossero avvicinamenti, compromessi e mezzi risultati. In termini calcistici si direbbe che Venturi è uscito dal campo con la maglia intonsa perché non ha visto palla e non ha dovuto nemmeno correre. Già in sede di decreto Salva Italia e di completamento della riforma previdenziale artigiani e commercianti avevano dovuto mandar giù qualche boccone amaro. In primis l'aumento dei contributi pensionistici che entro il 2014 comporterà per i loro associati un maggior esborso di 2,7 miliardi. L'aumento dell'Imu e tutta un'altra serie di piccoli balzelli sono stati un altro dispiacere e secondo i conti di rete Imprese graveranno per circa 5 mila euro aggiuntivi su ciascuna impresa. Venturi e gli altri speravano che i rospi finissero qui. E invece l'introduzione dell'Aspi, la nuova indennità di disoccupazione comporterà per le Pmi un aggravio di 1,2 miliardi di cui almeno la metà aggiuntivi ai contributi versati oggi. Non è tutto. Rete Imprese aveva chiesto che le risorse aggiuntive per allargare le tutele degli ammortizzatori sociali fossero compensate da una diminuzione dei soldi che le imprese versano per Inail e malattia. Due gestioni che sono fortemente e, sostengono gli artigiani, "inutilmente" in attivo. Non se n'è fatto nulla. Il quaderno delle doglianze dei Piccoli si chiude con le maggiorazioni di costo sui contratti a tempo determinato che comunque renderanno più rigida la flessibilità in entrata, un ossimoro. Lo stesso vale per Confindustria ma le grandi imprese porteranno comunque a casa la revisione dell'articolo 18 e certamente non è poca cosa dal punto di vista simbolico. Tra le partite Iva i mugugni sono ancora più forti. L'impressione è di essere rimasti "figli di un Dio minore" anche in un contesto politico che si era prefissato l'obiettivo di allargare la platea dei rappresentati. E invece, ad esempio, l'intervento sulle finte partite Iva riguarderà solo le professioni non ordinistiche, ricalcando quindi una vecchia bipartizione che ha mandato da sempre in bestia consulenti e knowledge worker. In più i criteri per individuare la finzione sono la monocommittenza e la fruizione di una postazione di lavoro presso il committente. «Ma ciò richiede l'azione degli ispettori del lavoro. E allora se entrano in gioco gli ispettori sono molte le cose che vorremo far verificare» dicono ad Acta. La considerazione più amara riguarda però l'aumento dei contributi previdenziali: c'è il fondato sospetto che li si voglia far salire, per parasubordinati e partite Iva, dall'attuale 28% fino al 33% e quest'operazione per Soru è «inaccettabile.

CONFINDUSTRIA: basta chiacchiere (17 marzo 2012).
Sono quasi 3.300 le sedie schierate di fronte al grande palco allestito a Fiera Milano City, che ieri e oggi ospita il convegno di Confindustria «Cambia Italia. Riforme per crescere». Sono attesi imprenditori da tutta Italia per ascoltare Passera e Monti, massime voci del governo tecnico; nonché la presidente Marcegaglia, all’ultima uscita pubblica dopo 4 anni di regno; mentre in prima fila siedono Giorgio Squinzi e Alberto Bombassei, i duellanti per la successione, che verrà decisa dalla giunta dell’associazione tra soli 6 giorni. Il tutto nel pieno del dibattito sulla riforma del lavoro. Eppure, nonostante la coincidenza più unica che rara di tanti motivi d’interesse, ieri non c’era grande entusiasmo. «Un convegno low profile», lo ha definito un veterano di Assolombarda, sottolineando la scarsa partecipazione e in generale la poca passione degli imprenditori presenti, testimoniata da tiepidi applausi e dall’attenzione quantomeno volatile a quello che accadeva sul palco. Ed è forse questa la grande verità che si respira in questa due giorni milanese: «Di fronte alla fervente attività di convegni, incontri e dibattiti di Confindustria la base dell’associazione è sempre più insofferente. Costano e non servono a niente». A parlare non è esattamente uno della base. Ma il concetto che esprime è largamente condiviso e non è che la prova della grande stanchezza che esce da una categoria, quella degli imprenditori, messa alle corde da tre anni di crisi economica e dal credit crunch. Dopodiché, pur senza spellarsi le mani, l’opera di Passera e del suo governo incontra larghi consensi in platea: il dna prevalentemente di centro destra dell’imprenditore ha trovato nell’esecutivo tecnico molte risposte alle esigenze del «fare». Mentre l’ultima fase del governo Berlusconi aveva deluso più di uno. Anche se non mancava di dovuta rappresentanza, ieri a Milano, il partito degli scettici, dei sospettosi. Ma in generale ciò che viene diffusamente apprezzato in questa fase crepuscolare dell’era Marcegaglia è il passo indietro della politica. Non è più e non è tanto una questione di destra e sinistra, che pure aveva caratterizzato altri convegnoni del passato. Quanto la stanchezza per una politica inconcludente. Sia a destra, sia a sinistra. In questa chiave non è stato però facile raccogliere pareri sul tema del giorno: l’elezione del prossimo presidente, che sarà decisa giovedì dal voto dei 187 membri di Giunta. In teoria qui gioca in casa Squinzi, che sta in Assolombarda e come tale dovrebbe avere il sostegno di Milano. Mentre Bombassei, che sulla carta è indietro rispetto al concorrente, ha colto l’occasione per convocare una sessantina di imprenditori tra i quali molti membri di giunta all’hotel Radisson: operazione di grande successo per i sostenitori del patron della Brembo. Un flop per la parte opposta, che ha contato solo 25 presenti. Tra l’altro, nella bozza di documento che Bembassei indirizzerà ai membri di giunta di Confindustria compare una accenno proprio al Centro Studi di Confindustria, che ha organizzato il convegno di ieri, in cui si parla dell’esigenza di una maggiore autorevolezza e indipendenza: un motivo in più di contrasto evidente con l’attuale gestione. Quello che è sicuro è ciò che la platea chiede alla prossima Confindustria: una rappresentanza in grado di interpretare le mutate condizioni politiche ed economiche del Paese. Il governo tecnico ha mostrato che la forza dell’associazione non è più data dal «posto» al tavolo delle trattative governo-parti sociali. Monti-Passera-Fornero hanno superato questo modello, concordando le riforme (è stato il caso delle pensioni) con il Parlamento e andando solo in un secondo momento da Confindustria e sindacati. In questa chiave la forza della categoria è data esclusivamente da quella delle proprie imprese e dalla capacità di proporre riforme. Il tavolo conterà sempre di meno. Se a questa domanda di cambiamento siano in grado di rispondere più compiutamente Squinzi o Bombassei è difficile dire: entrambi i sostenitori dell’una e dell’altra parte si attribuivano, ieri, i requisiti ideali. In realtà quella che si sta osservando in questi due giorni milanesi è una Confindustria molto divisa, forse come mai nel recente passato. E la domanda da porsi è come potrà essere gestita questa situazione da venerdì prossimo in poi.

Il parere di Luca Ricolfi sul peso delle tasse in Italia (19 marzo 2012).
Pubblichiamo questo articolo di Luca Ricolfi apparso oggi su lastampa.it perchè esso riflòetto l'opinione che IMPRESA OGGI sostiene da molto tempo.
"""""Ogni tanto se ne riparla. La settimana scorsa, poi, è stato un profluvio: quasi simultaneamente, Corte dei Conti, Banca d’Italia, Garante per la privacy l’hanno ripetuto: in Italia le tasse sono troppo alte, mentre le garanzie a tutela del cittadino onesto sono insufficienti, nonché in preoccupante declino.
Poi però, come è appena successo nei giorni scorsi, il tema rientra e si torna a dibattere delle solite cose, rimandando al futuro ogni intervento di riduzione delle aliquote. Insomma, possiamo anche rallegrarci che ogni tanto se ne riparli, ma dovremmo essere coscienti che sono parole al vento. I governi hanno altre priorità, e i cittadini probabilmente anche.
Perciò, anziché lodare l’ennesimo effimero sussulto anti-tasse, vorrei cercare di rispondere alla domanda: perché, verosimilmente, non se ne farà nulla nemmeno questa volta? Una prima ragione, a mio parere, è che il tema delle tasse ha un sapore ideologico troppo forte. Diciamolo brutalmente: se chiedi meno tasse sei bollato come uno «di destra», nella migliore delle ipotesi come un «vecchio liberale». Sì, certo, c’è stato anche un tempo - dopo i successi delle rivoluzioni liberiste di Reagan e della Thatcher - in cui lo slogan «meno tasse» si era fatto strada nella cultura progressista, quantomeno nei paesi in cui la sinistra non era troppo conservatrice. Ma quel tempo ora è finito, e la sinistra di oggi è completamente rientrata nei ranghi: ridurre le tasse non è una sua priorità, e persino la destra - spaventata dalla crescita del debito pubblico - preferisce dedicarsi a temi meno scottanti. Ridurre le tasse è tornato ad essere uno slogan di destra, che - tuttavia - la destra stessa ha paura di agitare. C’è però un’altra ragione, molto più importante perché più concreta, per cui i governi riescono solo a parlare di riduzione delle tasse, raramente passando dalle parole ai fatti: ed è che tutti i governi, quale che sia il loro colore politico, letteralmente vivono di tasse. È grazie alle tasse che possono spendere, ed è spendendo che si procacciano i voti degli elettori, ossia la base stessa del proprio potere. La macchina dei favori elettorali richiede sempre più soldi, e i soldi si possono trovare solo in due modi: facendo debiti e mettendo più tasse. Finita l’era dei debiti - perché i mercati hanno detto basta - restano solo le tasse. Ma la ragione più insidiosa che rende permanentemente inattuale il programma della riduzione delle aliquote è, a mio parere, di natura culturale, per non dire teorica. Ed è che la teoria che dovrebbe stare alla base di un programma politico di riduzione delle tasse è oggi minoritaria, non solo in Italia ma nella maggior parte delle società avanzate. Non saprei dire perché sia così, ma è così. L’unico argomento veramente forte a favore della riduzione delle tasse è che aliquote troppo alte soffocano la crescita e noi - con il debito pubblico che ci ritroviamo - non possiamo permetterci un altro decennio di stagnazione. Il problema è che questo tipo di analisi, che sarebbe parsa semplicemente ovvia anche solo una decina di anni fa, oggi non è più tale. Oggi il senso comune di osservatori, studiosi e analisti è completamente cambiato. Per molti vale l’ingenuo corto-circuito che collega le minori tasse alla rivoluzione liberista, e la rivoluzione liberista alla crisi degli ultimi anni: se il liberismo ci ha portati all’attuale disastro, pensano costoro, non è ripristinandolo che ne usciremo. Ma anche fra gli studiosi, che non si basano su impressioni ma su ricerche, le cose sono molto cambiate da allora. Oggi la teoria della crescita snobba le tasse, e punta tutte le sue carte su leve come capitale umano, innovazione, tecnologie informatiche, investimenti in ricerca e sviluppo, liberalizzazioni, concorrenza. Tutte cose che o non costano nulla (liberalizzazioni), o comportano più spese (capitale umano), non certo un minore prelievo fiscale.
Si potrebbe dire, semplificando un po’ per chiarire, che il pendolo ideologico della teoria della crescita si è spostato. La teoria della crescita ha avuto quasi sempre un’anima liberale, perché non ha mai smesso di credere nel ruolo cruciale del mercato, della concorrenza, del libero scambio, fino alla recente totale adesione al paradigma della globalizzazione. Ma accanto a questo nucleo teorico liberale (di cui molti esponenti dell’attuale governo italiano sono convinti assertori) nel dibattito sulla crescita degli ultimi cinquant’anni sono sempre stati presenti almeno due altri elementi portanti: l’idea della basse aliquote, e l’idea degli investimenti in capitale umano. Insomma un’anima che i più considererebbero di destra (meno entrate fiscali) e un’anima che considererebbero di sinistra (più spese per l’istruzione). Negli Anni 90 il pendolo della teoria oscillava verso destra, oggi oscilla verso sinistra. Io penso però che sia sbagliato, in questo campo, scegliere secondo parametri ideologici. Non solo perché l’evidenza empirica disponibile suggerisce che tutti e tre i gruppi di fattori - istituzioni economiche efficienti, alta qualità dell’istruzione, basse aliquote sui produttori - hanno un impatto elevato (e di entità comparabile) sul tasso di crescita, ma perché un paese che vuole tornare a crescere dovrebbe partire - innanzitutto da un’analisi spietata dei propri ritardi. La prima cosa che un Paese dovrebbe chiedersi non è se preferisce una politica di destra o di sinistra, ma qual è la leva più potente che ha a disposizione, e quanto tempo ha di fronte a sé. Nel caso dell’Italia la risposta è che, se come termine di paragone si prendono le economie avanzate (Paesi Ocse), i suoi due ritardi fondamentali - e dunque le leve su cui ha maggiori margini di miglioramento - sono le mancate liberalizzazioni e l’elevatissima pressione fiscale sui produttori. Con un’importante differenza, tuttavia: che le liberalizzazioni non potranno produrre effetti apprezzabili prima di 5-10 anni, mentre una riduzione incisiva delle aliquote sui produttori può darci un 1% di crescita in più nel giro di 1-2 anni. In breve, vorrei dire che sulla crescita sarebbe bello che si cominciasse a ragionare in termini più empirici e pragmatici. Si può essere di destra o di sinistra, ma si dovrebbero preferire le politiche di cui il proprio paese ha bisogno in un dato momento storico. Essere europei, forse, significa anche questo. Un cittadino europeo, oggi, dovrebbe preferire politiche «di sinistra» dove e quando la crescita è frenata dalla bassa qualità del capitale umano, politiche «di destra» dove e quando la crescita è soffocata dalle tasse che gravano su chi produce ricchezza. E l’Italia, che piaccia o no, non ha (ancora) il record dell’ignoranza, ma detiene saldamente quello delle tasse. Luca Ricolfi""""" A completamento dei concetti espressi da Ricolfi vorrei esprimere un principio prettamente liberale. Come è possibile ridurre le tasse? Abbattendo drasticamente i costi della politica, abbattendo i costi della PA, privatizzando parte del patrimonio dello Stato.

Nuove regole per la goden share (19 marzo 2012).
Come abbiamo più volte sottolineato in IMPRESA OGGI l'UE ha spesso inviato procedura d'infrazione per l'uso che il Paese fa della Golden Share; ancora una volta all'ennesima procedura di infrazione il governo è intervenuto. Infatti, in ottemperanza alle richieste provenienti dall’Unione europea, il Governo Monti è intervenuto con un decreto legge diretto a modificare la struttura della golden share. Si tratta del D.L. 15 marzo 2012, n. 21, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 15 marzo 2012, n. 63, con cui si provvede a riscrivere la disciplina normativa in materia di poteri speciali attribuiti allo Stato nell’ambito delle società privatizzate a seguito dell’ultimato di Bruxelles che, con la procedura di infrazione n. 2009/2255, ha bocciato la normativa italiana, in quanto lesiva della libertà di stabilimento e della libera circolazione dei capitali garantite dal Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE). Quando si parla di golden share, ci si riferisce a quella serie di poteri speciali di intervento e di veto esercitati dallo Stato in veste di azionista di grandi società ex-pubbliche, ormai privatizzate, in quanto miranti a tutelare l’interesse della collettività in quelle società che si occupano di settori di rilevante importanza (cd. public utilities). Detto istituto giuridico, nato all’inizio degli anni ’90 per tutelare quel che rimaneva delle imprese pubbliche con l’avvio di un massiccio processo di privatizzazioni, nella sua versione originale prevedeva un forte intervento dello Stato anche senza il possesso del 50% + 1 delle quote di partecipazione, attraverso poteri di veto su operazioni rilevanti quali ad esempio l’ingresso di nuovi soci con un numero di azioni superiore ad una certa soglia percentuale, ovvero su decisioni relative alla gestione straordinaria della società, come fusioni, scissioni, trasferimento all’estero, mutamento dell’oggetto sociale, nonché attraverso la previsione della possibilità di nominare la maggioranza del consiglio di amministrazione, l’amministratore delegato e il presidente in tutte quelle società che ancora rivestono un prevalente interesse pubblico, come Eni, Enel, Finmeccanica. Il quadro normativo di riferimento della golden share era rappresentato, in particolare, dall’art. 2 del D.L. 332/1994, conv. in L. 474/1994, successivamente modificato ad opera della L. 250/2003 e dal D.P.C.M. 10 giugno 2004, intervenuto a definire i criteri di esercizio dei poteri speciali. Tale normativa, in sede europea, è stata tuttavia ritenuta inadeguata, sottolineandosi soprattutto la vaghezza e la portata indeterminata dei criteri per l’esercizio degli speciali poteri demandati allo Stato, con la conseguenza di conferire alle Autorità una discrezionalità eccessivamente ampia nel valutare i rischi per gli interessi vitali dello Stato. Secondo Bruxelles la inadeguatezza dei criteri di esercizio dei poteri speciali si traduce, unitamente alla circostanza per cui la golden share, come disciplinata dal D.L. 332/1994, non prevede una percentuale minima del capitale sociale che lo Stato deve detenere in una società per poter esercitare detti poteri, si traduce in una restrizione ingiustificata alla libera circolazione dei capitali e al diritto di stabilimento, rendendo meno attraenti gli investimenti nelle società coinvolte. La nuova normativa di cui al D.L. 21/2012 comporta poteri speciali del Governo sugli assetti societari nei settori nevralgici della difesa e della sicurezza nazionale e in quelli dell’energia, dei trasporti e delle comunicazioni. Nei primi due settori il Governo potrà agire in caso di «minaccia effettiva» di grave pregiudizio per gli interessi essenziali della difesa e della sicurezza sociale, mediante la previsione di tre poteri speciali di intervento, quali: a) l’imposizione di specifiche condizioni nel caso di acquisto, a qualsiasi titolo, di partecipazioni in imprese che svolgono attività di rilevanza strategica per il sistema di difesa e sicurezza nazionale; b) il veto all’adozione di delibere dell’assemblea o degli organi di amministrazione di un’impresa che svolge la predetta attività, aventi ad oggetto modifiche all’assetto societario, il mutamento dell’oggetto sociale, lo scioglimento delle società, le cessioni di diritti reali o di utilizzo relativi a beni materiali o immateriali o l’assunzione di vincoli che ne condizionino l’impiego; c) l’opposizione all’acquisto, a qualsiasi titolo, di partecipazioni in un’impresa che svolge attività di rilevanza strategica nel sistema della difesa e della sicurezza nazionale, da parte di un soggetto diverso dallo Stato italiano, o da enti pubblici italiani, qualora l’acquirente venga a detenere, direttamente o indirettamente, una partecipazione al capitale con diritto di voto in grado di compromettere nel caso specifico gli interessi della difesa e della sicurezza nazionale. Invece per i settori dell’energia, dei trasporti e delle comunicazioni, è prevista anzitutto una notifica al Governo delle delibere adottate da una società che abbia per effetto modifiche della titolarità, la fusione o la scissione. È poi prevista la possibilità per il Governo di sottoporre a specifiche condizioni delibere, atti od operazioni che diano luogo ad una situazione di eccezionale minaccia effettiva di grave pregiudizio per gli interessi pubblici relativi alla sicurezza e al funzionamento delle reti e degli impianti e alla continuità degli approvvigionamenti. Infine, si prevede che il Governo possa esercitare il potere di veto nel caso in cui il soggetto acquirente originario di un Paese extra-europeo si stabilisca all’interno dell’Unione attraverso l’acquisto di un’impresa del settore «protetto» o di un suo ramo. In questi casi sono però necessari due presupposti supplementari: la presenza di legami tra gli operatori coinvolti e organizzazioni criminali o con soggetti o enti ad esse collegati; l’intervento sulla società deve essere idoneo a garantire la continuità degli approvvigionamenti, il mantenimento, la sicurezza e l’operatività delle reti e degli impianti, nonché il libero accesso al mercato. Le nuove norme sulla golden share realizzano un cambiamento nella relativa disciplina che mira a chiudere la procedura d’infrazione aperta nel 2009 dalla Commissione europea, uniformandola alla regola europea per la quale anche quando delle quote azionarie in un’impresa privata siano detenute da un soggetto pubblico, questo deve comunque comportarsi alla stregua di un normale investitore privato, senza poter esercitare indiscriminati diritti speciali che rischiano di alterare le regole della concorrenza.

Riforma del lavoro (21 marzo 2012).
La riforma del mercato del lavoro va avanti con il consenso di tutte le parti sociali tranne la Cgil, che conferma il suo dissenso dalla soluzione trovata per la riforma dell'articolo 18. «Per il Governo la questione è chiusa» ha scandito il presidente del Consiglio, Mario Monti, che ha poi annunciato per domani, alle 16, l'incontro finale con tutti i partecipanti al negoziato per la chiusura del testo. «Né oggi né giovedì ci sarà un accordo firmato dal Governo con le parti sociali» ha aggiunto Monti, perché dopo una consultazione che ha dato contributi «nel merito» ora l'interlocutore diventa il Parlamento: «Il dialogo è importantissimo ma non riflettiamo una cultura consociativa di un passato lontano». Le nuove regole sui licenziamenti individuali sono state illustrate nel dettaglio dal ministro Elsa Fornero e confermano le anticipazioni degli ultimi giorni. Restano nulli i licenziamenti discriminatori per tutti i lavoratori, viene previsto solo l'indennizzo (da 15 a 27 mensilità) per i licenziamenti per motivi economici (o ragioni oggettive), mentre per i licenziamenti disciplinari (o ragioni soggettive) la scelta tra l'indennizzo o il reintegro spetterà al giudice. Il ministro ha poi confermato l'impegno a introdurre misure per rendere certi i tempi delle cause lavoristiche e ha ribadito che le nuove regole varranno per tutti i lavoratori, non solo per i neo-assunti. «Si tratta di una soluzione che non va contro nessuno – ha sottolineato il ministro – ma si inserisce in un ridisegno complessivo del nostro mercato del lavoro. Si rendono meno blindati i contratti a tempo indeterminato e si rende più oneroso il ricorso ai contratti flessibili». Lo schema riformatore illustrato al termine della lunga riunione cui hanno partecipato anche il ministro Corrado Passera, il viceministro Vittorio Grilli e il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Antonio Catricalà, conferma la centralità dei rapporti di lavoro subordinato a tempo indeterminato. A questa forma contrattuale «dominante», ha spiegato Fornero, si dovrà arrivare principalmente tramite i contratti a causa mista di apprendistato, che dovranno assicurare una formazione «certificata» e per il cui rilancio il Governo lavorerà d'intesa con le regioni. Nessun contratto flessibile viene cancellato, tranne il forte ridimensionamento dell'associazione in partecipazione (valido solo per i casi di aziende familiari) ma su tutti arriverà una «bonifica» per evitare gli abusi. Dopo 36 mesi per i contratti a termine reiterati scatterà l'assunzione definitiva, regole più stringenti sulle collaborazioni a progetto, i contratti di inserimento e le somministrazioni. Stretta anche sulle partite Iva: se si lavora per più di sei mesi con lo stesso committente scatta la sanzione, ancora da definire ma che potrebbe tradursi in un obbligo di assunzione: «Le associazioni datoriali hanno accettato» ha detto Fornero «e il contrasto sarà secco e severo». Su questo fronte d'intervento il confronto all'interno del Governo è ancora aperto e alcuni ministri vogliono attenuare i nuovi oneri amministrativi ipotizzati. Giro di vite anche sugli stage gratuiti dopo un primo periodo di formazione e confermate le norme «inclusive» mirate a elevare in quantità e qualità il tasso di occupazione femminile. Si spazia da misure sulla conciliazione, con i congedi di paternità obbligatori, per arrivare alle norme annunciate sulla partecipazione delle donne ai consigli di amministrazione (con estensione alle partecipate); infine la misura «riscritta» contro l'odiosa pratica delle dimissioni in bianco. La riforma si completa con la transizione ai nuovi ammortizzatori sociali universali (si veda altro articolo a pagina 6), che funzioneranno a regime dal 2017 e che il Governo finanzierà con una «dote» strutturale di 1,7-1,8 miliardi. Elsa Fornero ha sottolineato la complementarietà tra la riforma delle pensioni e quella del lavoro: «Se con la prima abbiamo detto ai lavoratori che pagheranno le loro pensioni con i contributi versati, con la seconda diciamo che avranno un sistema che li protegge nella ricerca di un nuovo lavoro e non li tiene più attaccati a un posto di lavoro che non ha più futuro». L'Esecutivo deciderà oggi quale veicolo normativo scegliere per il varo della riforma: l'orientamento è per una legge delega ma Monti ha spiegato che ne parlerà con il Capo dello Stato. Le due ipotesi alternative restano decreti delegati, possibili in virtù di deleghe aperte fino a fine novembre, o un decreto legge. Monti ha informato Giorgio Napolitano del «buon esito della riforma» e in chiusura della conferenza stampa ha ribadito di aver ricercato fino alla fine la possibilità di un accordo con tutte le sigle sindacali. «Avevamo deciso di chiudere entro marzo e abbiamo chiuso».

Modifiche all'articolo 18 (22 marzo 2012).
Modello tedesco per l'articolo 18. Alla fine il governo è andato per la sua strada: Mario Monti, ieri sera è stato perentorio: «Per il governo la questione sull'articolo 18 è chiusa». Lo schema scelto sui licenziamenti innova per quanto riguarda quelli disciplinari ed economici, lascia invariata la disciplina dei discriminatori. Le novità riguardano tutti i lavoratori, anche quelli attualmente assunti, con decorso dal momento in cui entrerà in vigore la legge. Riepilogando, sui licenziamenti ci saranno tre casi.
La prima è quella dei licenziamenti per motivi discriminatori: in qualsiasi tipo di azienda, sotto o sopra i 15 dipendenti, i licenziamenti determinati da ragioni di credo politico o fede religiosa, dall'appartenenza a un sindacato e dalla partecipazione ad attività sindacali già oggi sono nulli, indipendentemente dalla motivazione. In ogni caso c'è il reintegro del lavoratore sul posto di lavoro.
Oggi poi, un lavoratore può essere licenziato anche per motivi disciplinari o economici. In questi casi alle imprese che occupano alle proprie dipendenze più di 15 lavoratori si applica l'articolo 18 della legge 300/1970, meglio nota come Statuto dei Lavoratori, marginalmente modificata dalla legge 108/1990, che assicura la tutela della stabilità del posto di lavoro. Il giudice allorquando ritenga che il licenziamento non è assistito da giusta causa o giustificato motivo, deve ordinare la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro senza la possibilità di un'alternativa di tipo risarcitorio ovvero senza alcuna possibilità di monetizzare la stabilità del rapporto. Non solo. Oltre alla reintegrazione, il giudice condanna il datore di lavoro al risarcimento del danno subito dal lavoratore, pari alla retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento sino alla effettiva reintegrazione (e comunque non inferiore a 5 mensilità di retribuzione). In sostanza il datore di lavoro potrebbe non reintegrare effettivamente il lavoratore ingiustamente licenziato nel posto di lavoro, ma dovrebbe continuare a pagargli ininterrottamente un'indennità pari alle retribuzioni correnti. Solo il lavoratore può liberare il datore di lavoro dalla prosecuzione di tale obbligo risarcitorio chiedendo (in base alla legge 108 /1990) un'indennità pari a 15 mensilità. La sentenza di reintegrazione comporta anche l'obbligo di pagare le contribuzioni previdenziali e assistenziali sulla retribuzione globale dal momento del licenziamento al momento dell'effettiva reintegrazione. Fin qui i licenziamenti individuali. E' noto che le imprese che occupano più di 15 lavoratori possono anche licenziare per riduzione o trasformazione di attività. Se il provvedimento riguarda da 5 lavoratori in su, si applica un'altra normativa, quella dei licenziamenti collettivi «per riduzione di personale», regolata dalla legge 223/1991, che dalla riforma non viene toccata.
Tornando ai licenziamenti individuali, la novità introdotta dal governo Monti prevede che, in caso di licenziamenti disciplinari, per il lavoratore che vada dal giudice, il reintegro è previsto solo se il motivo è inesistente perché il fatto non è stato commesso o se il motivo non è riconducibile al novero delle ipotesi punibili ai sensi dei contratti collettivi nazionali. In tutti gli altri casi di inesistenza dei motivi addotti dal datore di lavoro, il giudice dispone soltanto un indennizzo da 15 a 27 mensilità e mai il reintegro. L'altra novità riguarda i licenziamenti per motivi economici. Una volta finiti in tribunale, il giudice non potrà vagliare le motivazioni economiche alla base del provvedimento e non avrà la possibilità di reintegrare il lavoratore ma potrà soltanto stabilire un indennizzo tra le 15 e le 27 mensilità. Il ministro del Lavoro, Elsa Fornero ha poi spiegato che ci saranno anche altre novità per «accorciare la durata del processo», la cui attuale, eccessiva lunghezza viene considerata penalizzante dalle aziende.
Il parere di Pietro Ichino al Corriere della Sera, sulla riforma del Lavoro.
Caro direttore,
del progetto di riforma che il governo ha presentato al Paese una cosa è indiscutibile: esso tende ad allineare il nostro sistema di protezione del lavoro a quelli dei nostri maggiori partner europei.
L'allineamento riguarda sia la disciplina dei licenziamenti, sia il riassetto dei cosiddetti ammortizzatori sociali; ed entrambi questi capitoli presentano qualche difetto, dovuto anche alle asperità e ai tempi stretti del confronto svoltosi nelle ultime settimane con le parti sociali, che possono e devono essere corretti. È importante però distinguere bene il dissenso sui dettagli dal dissenso sull'ispirazione di fondo della riforma. In materia di licenziamenti, il progetto propone di riservare la sanzione della reintegrazione nel posto di lavoro, cioè l'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, ai casi nei quali è in gioco un diritto assoluto del lavoratore: quello alla pari dignità e alla libertà morale. Dove invece siano in gioco soltanto interessi professionali ed economici delle persone coinvolte, propone una tecnica protettiva diversa, pacificamente praticata in tutti gli altri ordinamenti europei, fatta di indennizzo economico e sostegno del reddito: in questo, oltre che nel superamento del dualismo fra protetti e non protetti, sta essenzialmente il senso della riforma. Se fosse ben chiaro il consenso su questa scelta da parte di tutte le forze politiche che sostengono il governo, non sarebbe affatto difficile trovare nelle prossime settimane l'accordo sulla correzione di alcuni aspetti del progetto che appaiono un po' troppo tagliati a colpi di accetta. Vediamone alcuni. Innanzitutto, l'indennità prevista nel caso di licenziamento per motivi economici dovrebbe essere garantita al lavoratore sempre e automaticamente, per evitare l'alea della controversia in tribunale e al tempo stesso per farne un efficace filtro automatico delle scelte imprenditoriali; per altro verso, in coerenza con l'idea di una tutela della stabilità che cresca col crescere dell'anzianità di servizio, si potrebbe rimodulare l'indennità di licenziamento in modo che essa consenta una maggiore facilità di recesso nella prima fase del rapporto e protegga invece di più il lavoratore che è da più tempo in azienda. Quanto al trattamento riservato al lavoratore disoccupato, occorrerebbe valutare attentamente la possibilità di arricchirne il contenuto in termini di assistenza intensiva secondo le tecniche più progredite, responsabilizzando in proposito le imprese che licenziano e stimolando le Regioni a farsi carico della maggior parte del relativo costo, anche con il contributo del Fondo sociale europeo. Una volta stabilita l'entità complessiva dell'onere a carico dell'impresa che licenzia, sarebbe bene che solo una parte di esso consistesse nell'indennità dovuta immediatamente al lavoratore licenziato, mentre un'altra parte dovrebbe consistere in un trattamento complementare di disoccupazione che incentivi l'impresa stessa ad attivare i servizi migliori di outplacement, capaci di accelerare al massimo il percorso verso la nuova occupazione. Questi potrebbero essere alcuni dei contributi positivi del Parlamento al miglioramento del progetto governativo. Si profila invece una discussione di tutt'altro genere tra le parti politiche. Con la Lega - del tutto dimentica della propria politica del lavoro negli ultimi dieci anni - che si incaricherà della difesa «senza se e senza ma» del vecchio assetto dell'articolo 18, in contrapposizione frontale con il PdL, suo alleato di ieri, schierato con la stessa determinazione nel senso opposto. Quanto al Pd, esso dovrà innanzitutto chiarire a se stesso e all'opinione pubblica se condivide la scelta di fondo di armonizzare il nostro ordinamento del lavoro rispetto al resto d'Europa, cercando in particolare di allinearsi agli standard dei Paesi più avanzati. L'incertezza del Pd su questo terreno è tanto più incomprensibile, se si considera che questo progetto del Governo è in gran parte costruito con materiali programmatici prodotti proprio dal dibattito interno di questo stesso partito. È stato soprattutto il Pd, in questi ultimi anni, a denunciare il regime di apartheid fra lavoratori protetti e non protetti nel tessuto produttivo italiano. È frutto di una elaborazione proposta in quattro disegni di legge democratici di questi anni la tecnica normativa adottata nel progetto del Governo per contrastare l'abuso delle collaborazioni autonome in posizioni di lavoro sostanzialmente dipendente. È stata lanciata nell'assemblea programmatica di Genova del 2010 la proposta di far costare il lavoro a tempo indeterminato un po' meno di quello a termine. Infine, non ultima per importanza, è enunciata nel manifesto di politica del lavoro del Pd del marzo 2008 la parola d'ordine «coniugare il massimo possibile di flessibilità delle strutture produttive con il massimo possibile di sicurezza di tutti i lavoratori nel mercato». La riforma proposta dal governo non realizzerà quella coniugazione nella misura «massima possibile»; così come non supererà del tutto il dualismo fra protetti e non protetti, ma per la prima volta nella storia della Repubblica muoverà un passo molto deciso in entrambe le direzioni. Il Pd è nato anche per promuovere questo cambiamento, questo spostamento di equilibrio complessivo del sistema; sarebbe curioso che ora rinnegasse la propria vocazione originaria. Pietro Ichino da Corriere.it
Un giudizio di Roberto Maroni e Maurizio Sacconi al Corriere.
Caro direttore,
la prossima presentazione di un ulteriore atto di riforma del lavoro induce in noi una prima amara considerazione sul tempo perduto.
Ben undici anni or sono, Marco Biagi ha disegnato, attraverso il Libro Bianco che gli chiedemmo di redigere, un percorso riformatore fondato sulla preveggente analisi delle nuove, sregolate, pressioni competitive globali e delle caratteristiche sempre più mobili del mercato del lavoro. Per la prima volta si introduceva esplicitamente nel confronto politico e sociale la necessità di coniugare profili di flessibilità delle imprese e di sicurezza dei lavoratori trasferendo il cuore delle relative tutele dal singolo posto di lavoro all'insieme del mercato del lavoro. Furono ipotizzate, in via cautamente sperimentale, modifiche al poi noto art. 18. La reazione di alcuni ambienti politici, sindacali e accademici, nonostante il metodo della preliminare, pubblica consultazione e poi del dialogo sociale, fu violenta. Si parlò di «libro limaccioso» e di «macelleria sociale», fu criminalizzato l'autore di quelle proposte, furono organizzate mobilitazioni di piazza anche successivamente al suo assassinio a opera di terroristi. L'esito fu un Patto Sociale non unanime, una riforma con cui si definirono nuove modalità di ingresso nel lavoro e più efficaci servizi di collocamento, un primo significativo incremento della indennità di disoccupazione. Di più non fu consentito dalla esasperata conflittualità.
Eppure, da allora e fino al tempo della grande crisi, si generarono oltre un milione e mezzo di posti di lavoro. Negli anni del precedente governo altri passi sono stati compiuti nella medesima direzione come quell'ampliamento della capacità contrattuale nelle aziende e nei territori, anche in materia di licenziamenti, che corrispondeva ancora alle intuizioni federaliste di Marco Biagi. Ma, permanendo un anomalo, accesissimo, contrasto politico non fu possibile chiedere di più agli interlocutori sociali che oggi, nel mutato contesto, hanno consentito al varo di interventi destinati a modificare anche il simbolo delle resistenze ideologiche al nuovo mondo. Ora la responsabilità delle decisioni passa al Parlamento il cui compito sarà quello di considerare non solo l'equilibrio complessivo della riforma ma anche la concretezza dei suoi singoli atti in modo che, al di là dei simboli e senza scambi astratti, possa effettivamente prodursi una maggiore propensione delle imprese a intraprendere e assumere in un tempo carico di incognite e di variabili imponderabili.
A tutti vogliamo, al di là della nostra diversa collocazione parlamentare e delle specifiche valutazioni di merito che daremo, ricordare il tempo vissuto perché non si riproducano modalità conflittuali che, nel linguaggio o nei comportamenti, possano sollecitare quelle attitudini alla violenza sempre latenti in un Paese nel quale sono stati copiosamente diffusi i germi dell'intolleranza ideologica. Abbiamo, come comunità, già pagato molto in termini di vite spezzate e di prezioso tempo perduto. Gli imprenditori, soprattutto piccoli e medio-piccoli, e i lavoratori condividono oggi la terribile insicurezza del reddito e di una stessa vita attiva. A essi la politica, la buona politica, dovrà saper offrire con la sobrietà delle decisioni e la lucidità della visione che le ispira quella speranza che mobilita la responsabilità di ciascuno. Roberto Maroni e Maurizio Sacconi da Corriere.it
Il blog di Nicola Porro.
Mario Monti lo aveva detto: chiederemo a tutti di rinunciare a qualcosa. E in effetti la bozza di riforma del lavoro che circola non accontenta pienamente nessuno. Il Pd si spacca tra l’ala sinistra (con la mezz’ala Bersani) e i montiani: non va giù, soprattutto pensando alle prossime campagne elettorali, la rottura del tabù articolo 18. Il Pdl si dice soddisfatto, ma l’anima più tecnica e vicina all’ex ministro Sacconi conosce bene alcune conseguenze pesanti che deriveranno per l’elettorato moderato. Confindustria perde sui contratti flessibili, le piccole imprese sul costo del lavoro e i sindacati sulla loro centralità. D’altronde una riforma che accontenti tutti che riforma è? Cerchiamo, nei limiti di una bozza ancora da definire nei suoi aspetti tecnici, di fare un decalogo del nuovo lavoro in Italia. Ricordando che sono due le questioni affrontate dal governo: la licenziabilità per le imprese con più di 15 dipendenti e la tutela dei disoccupati. Quattro aspetti positivi e altrettanti negativi. Partiamo dai primi.
1. Monti ha detto, come sa ben fare chi ha studiato dai gesuiti, che la concertazione è finita. Inventata dal tecnico Ciampi, essa muore con il tecnico Monti. I sindacati si consultano, ma alla fine la decisione spetta al governo e al Parlamento. Questo è il primo vero tabù che si cancella. Non c’è un potere di veto dei sindacati e men che mai della Cgil. Rompere la concertazione vuole anche dire ridurre il ruolo politico di Sindacati e di Confindustria. Se il loro giudizio ha solo valore consultivo sulla materia che più riguarda loro (come appunto il lavoro) c’è da immaginarsi quanto poco peseranno sulle scelte di politica economica che il governo farà in futuro. La politica debole cercava una stampella nelle forze sociali, un governo forte se ne può infischiare.
2. L’articolo 18 era diventato un feticcio politico, al di là della sua reale efficacia. Il governo cancellando l’obbligo di reintegro per quelle imprese che vogliano licenziare fino a 4 dipendenti per motivi economici, affonda la barca dello Statuto dei lavoratori. Si è toccato un simbolo del centralismo sindacale e il combinato disposto con la fine della concertazione riequilibria i pesi dei poteri in Italia. In quale Paese al mondo una dichiarazione di un leader sindacale o di un leader confindustriale aveva l’eco dell’Italia? Nessuno. Ci avviamo anche noi per questa strada.
3. Concretamente l’articolo 18 si cambia davvero solo per i licenziamenti che riguardino motivi economici. In questi casi non ci sono giudici di mezzo e non ci sono lentezze burocratiche. L’eventuale sanzione per un licenziamento che è considerato illegittimo dal punto di vista economico (su ricorso del lavoratore) non è più il reintegro sul posto di lavoro, ma la corresponsione di un’indennità all’ex dipendente. Non c’è dubbio che per le medie e grandi imprese rappresenti un aiuto. Fino a ieri potevano fare solo licenziamenti collettivi. Da domani potranno intervenire con molta maggiore libertà. E solo se dovessero abusare di questa libertà verrebbero sanzionati: ma solo economicamente.
4. Il nuovo sistema di ammortizzatori sociali, tutto da vedere ancora nel dettaglio, parte da un principio sacrosanto e che la Fornero ha spiegato bene: non si intende difendere più il posto di lavoro, ma il lavoratore. Insomma basta con aiuti che tengano in piedi posti di lavoro in aziende decotte e in prospettiva improduttive. La Fornero ha anche stabilito un altro principio di buon senso: al lavoratore sussidiato che non accetti un nuova soluzione di lavoro si toglieranno i benefici dell’assistenza. Bene. L’assegno passa (a regime) da un massimo di 4 anni a 1 anno (estendibile a 18 mesi) e da una platea di 4 milioni di lavoratori a una di 12 milioni. Una tutela unica e universalistica sembrerebbe in linea di principio più moderna.
A questi aspetti decisamente positivi se ne contrappongono però altrettanti potenzialmente molto negativi.
1. Il primo è, per così dire, ideologico. La Fornero (ma Monti è d’accordo?) ha sostenuto che il suo modello di riferimento è il lavoro subordinato e a tempo indeterminato. In un Paese che è fatto da milioni di piccole imprese, da autonomi e rapporti di lavoro inevitabilmente flessibili, l’affermazione è decisiva. Insomma il modello che ha in testa la Fornero è più simile alla Torino operaista (ben mantenuta e modernizzata) che all’America delle newco. In un Paese in cui un giovane su tre è disoccupato e il tasso di attività è di dieci punti inferiore al resto d’Europa (meno persone che cercano occupazione) forse sarebbe stato meglio pensare a come migliorare la flessibilità e non a come trasformarla con una camicia di forza in nuova rigidità.
2. Conseguenza inevitabile di questo approccio ideologico è la riduzione e l’irrigidimento di tutte quelle forme contrattuali pensate dalla legge Biagi. Per colpire gli abusi si fa un passo indietro nella flessibilità contrattuale. Le norme sembrano scritte più da un ispettore del lavoro che da un economista attento alla creazione di nuove opportunità di impiego. Maggiori controlli, più oneri burocratici, limitazioni più stringenti per tutti i contratti flessibili. Con il paradosso che sarà più facile licenziare, ma i nuovi licenziati avranno maggiore difficoltà a trovare una soluzione temporanea o flessibile, che è il tipico cuscinetto dopo la fuoriuscita dal mondo delle imprese.
3. Se una riforma del lavoro si fa, il motivo è rendere il mercato più funzionante: far incontrare meglio domanda e offerta. Ridurre i bassi tassi di occupazione. Ebbene: una delle chiavi della nostra arretratezza risiede nella differenza tra quanto un lavoratore prende (poco) in busta paga e quanto il suo principale paga (tanto) e cioè il cosiddetto cuneo fiscale. La riforma Fornero aumenta contributi e costi per i datori di lavoro. I contratti flessibili saranno più onerosi. I precari invece di essere pagati di più, costeranno di più: una follia che ridurrà forse il numero dei precari, ma incrementerà il lavoro nero. Invece di ridurre il cuneo fiscale lo si aumenta.
4. Il mondo delle piccole imprese (artigiani e commercianti) pagherà il conto. Verranno smontati i loro sistemi di welfare (i cosiddetti enti bilaterali che venivano pagati dagli autonomi) a beneficio del nuovo assegno di disoccupazione. Centralismo statuale e democratico. Ma molto poco adatto al nostro variegato tessuto di pmi: la tutela della disoccupazione se la sono sempre pagata con i loro contratti collettivi. Perché buttare a mare questa sussidiarietà virtuosa? A ciò si aggiunga che queste imprese non avranno alcun vantaggio dallo spacchettamento dell’articolo 18: potranno licenziare così come hanno sempre fatto (con giudizio) nel passato. E non potranno farlo per licenziamenti discriminatori esattamente come avviene dal 1990.
Al di là di tutti questi aspetti, ciò che insegna il diritto del lavoro dallo Statuto in poi, è che la prassi è quel che conta. Se, ad esempio, non ci fossero stati i pretori del lavoro degli anni ’70 e ’80, probabilmente oggi l’articolo 18 sarebbe molto meno potente. Solo con il tempo capiremo dove penderà al bilancia: verso più regole, rigidità e tasse o verso meno cavilli, flessibilità e oneri. Ilgiornale.it.

Il nuovo Presidente di Confindustria (22 marzo 2012).
La giunta di Confindustria ha designato presidente Giorgio Squinzi per i quattro anni del dopo-Marcegaglia. Con il voto segreto la giunta di Confindustria ha dato 93 voti favorevoli a Giorgio Squinzi e 82 a Alberto Bombassei, indicando così l'amministratore di Mapei come presidente designato. Squinzi, presidente designato dalla giunta, è nato a Cisano Bergamasco il 18 maggio 1943. Nel 1970, dopo una laurea in chimica industriale, fonda con il padre la Mapei. Il gruppo industriale è il maggior produttore mondiale di adesivi e prodotti chimici per l'edilizia. Impiega 7.500 persone, ha 59 stabilimenti produttivi, 9 in Italia e 50 nel resto del mondo. "Confindustria sa che la sua forza é l'unita", sottolinea l'ad di Ferrovie, Mauro Moretti, dopo la designazione di Giorgio Squinzi alla presidenza degli industriali con pochi voti di scarto su Alberto Bombassei. "Con il contributo di tutti, anche di Bombassei , - dice Moretti - ci saranno tutte le condizioni per ritrovare un lavoro unitario". Il voto della giunta indica una spaccatura? "No, con due candidati di grande personalità era ragionevole aspettarsi consenso per l'uno e per l'altro". La designazione di Giorgio Squinzi alla presidenza di Confindustria è "una buona nomina, è un grande imprenditore e sarà un grande presidente". E' il commento del presidente di Mediaset, Fedele Confalonieri, che aggiunge: "Nessuna spaccatura in Confindustria: hanno corso in due e uno ha vinto, ora lavoreranno insieme". Confindustria "si può ricompattare su un programma, che credo sia simile per entrambi. Ha vinto una persona di alto valore, così come lo è anche il suo concorrente". E' quanto ha affermato l'amministratore delegato di Enel, Fulvio Conti, a margine della giunta che ha indicato Giorgio Squinzi presidente designato. "Siamo fiduciosi che Confindustria si compatterà e porterà avanti il suo compito" ha aggiunto. Alle domande dei cronisti, Conti ha risposto: "Non c'é spaccatura. Squinzi farà il necessario per mantenere Confindustria compatta". "Come sempre stato tutti si ricompatteranno intorno al nuovo presidente, che sarà il presidente di tutti, di chi lo ha votato e di chi non lo ha votato". Emma Marcegaglia commenta così la designazione di Giorgio Squinzi alla presidenza di Confindustria "Solo una Confindustria unita, compatta, forte, indipendente, può continuare a agire per il bene degli imprenditori e per l'interesse generale in uno scenario difficile", sottolinea. Al termine del voto di oggi in giunta, aggiunge, "c'era un clima molto bello, di grande volontà di compattezza e unità da parte di tutti. Lo stesso Alberto Bombassei a fatto un discorso molto costruttivo, ammettendo che Giorgio Squinzi ha vinto". "Questa presidenza di Confindustria per me è una missione", dice Giorgio Squinzi, dopo la designazione a presidente di Confindustria. "Il mio obiettivo é essere il presidente di tutti", dice. "Darò una spinta importante nella direzione di trovare la crescita, questo paese ha bisogno di trovare la crescita". "Non è chiarissimo come sarà la formulazione definitiva del governo, prima di dare giudizi aspetterei un attimo e comunque i giudizi li esprimerà Emma Marcegaglia". Così il presidente designato dalla giunta di Confidustria, Giorgio Squinzi, ha risposto alle domande sulla riforma dell'art 18 e sulle sue possibili conseguenze. "Il risultato della giunta di oggi dimostra quanto sia ampia la realtà degli imprenditori italiani che spinge per un profondo cambiamento di Confindustria". "Squinzi ha oggi il compito di tenere unita l'associazione, di ascoltare le istanze di cambiamento, di dare voce e ruolo a questa nuova realtà". Lo afferma Alberto Bombassei. "Sono contento. in termini sportivi: ce l'ho messa tutta", dice Giorgio Squinzi. Appassionato di ciclismo, si paragona al ciclista "della mia squadra" (la Mapei) Oscar Freire: "Veniva sempre fuori negli ultimi 50 metri e batteva tutti".
Risale al 2000 l’ultimo vero duello, in Giunta, per la prima carica degli industriali. La sfida, in quel caso, fu tra Antonio D’Amato e Carlo Callieri (il candidato della Fiat). Vinse D'Amato con 96 voti, contro i 58 del suo rivale. Da allora si è arrivati al voto sempre con una sola candidatura. Nel 2004 Luca Cordero di Montezemolo fu designato con 125 preferenze su 156. Nel 2008 Emma Marcegaglia ottenne un plebiscito quasi bulgaro (125 sì su 132 voti). Uno scarto di voti così piccolo come quest'anno di voto non si era mai verificato nella storia di Confindustria.

CDM: riforma del lavoro (23 marzo 2012).
Sul tavolo del Consiglio dei ministri sono approdati la riforma del mercato del lavoro e la delega fiscale, che conterrà le linee guida della riforma complessiva del fisco. Per le norme tributarie sarà un primo giro di tavolo: non saranno modificate le aliquote Irpef, ma ci saranno novità di rilievo come la riforma del catasto con i nuovi parametri di calcolo dell'Imu. Sul tavolo anche la delicata riforma del mercato del lavoro illustrata ieri sera dal ministro del Welfare, Elsa Fornero al termine dell'incontro con le parti sociali a Palazzo Chigi. Bonanni (Cisl): i licenziamenti economici vanno certificati Gli Uffici territoriali del lavoro potrebbero certificare che un licenziamento è stato effettivamente deciso da un'impresa per motivi economici. A proporlo è il segretario generale della Cisl, Raffaele Bonanni, a Cernobbio per la due giorni della Confcommercio. «Bisogna capire - ha detto Bonanni - se il licenziamento è economico oppure è una millanteria dell'azienda. Allora, l'unica tecnica da usare è prevenire a monte, attraverso qualcuno che lo certifichi. Lo può certificare l'Ufficio del lavoro, aiutando il giudice a dare la sentenza. Il problema è che non può passare per economico qualcos'altro». Matteoli (Pdl): senza decreto riforma a rischio. «Tutto il rispetto per l'appello del presidente del Senato, Renato Schifani, che ha chiesto l'impegno dei partiti per varare la riforma del mercato del lavoro entro l'estate, ma per riuscirci è indispensabile il varo di un decreto legge nel Consiglio dei ministri in corso». Lo ha dichiarato il senatore del Pdl Altero Matteoli. «Senza decreto - ha detto Matteoli - c'è il rischio concreto che la riforma non si faccia nè entro l'estate nè entro la fine della legislatura». Angeletti (Uil): sui licenziamenti vanno evitati gli abusi. «Vedremo cosa uscirà dal Consiglio dei ministri e poi saremo tutti nelle condizioni di dare dei giudizi», ha detto Luigi Angeletti, segretario della Uil. «In Italia le leggi che prevedono i licenziamenti dei dipendenti pubblici esistono, il fatto che poi non vengano applicate é un altro conto. Spero che venga recepita la richiesta che la struttura della riforma debba evitare possibilità di abuso di strumentalizzazioni. Poi sarebbe importante che il governo desse la dimostrazione di saper governare. Governare significa saper prendere decisioni che siano efficaci e in grado di risolvere i problemi. Per Angeletti la preoccupazione é che, «attraverso le ragioni economiche, vengano fatti licenziamenti che invece nascondono altri motivi».

Buste paga più leggere a fine marzo (26 marzo 2012).
Brutte sorprese in busta paga per dipendenti e pensionati: l'assegno di marzo sarà più leggero. I cittadini dovranno fare i conti con lo sblocco delle addizionali regionali e comunali. I due casi però sono differenti. La cosa certa è che con il cedolino di marzo in busta paga verrà trattenuto l'acconto comunale per il 2012, per 9 rate. La seconda addizionale riguarda inceve il saldo comunale 2011 e regionale 2011. La legge prevede che incida su un massimo di 11 rate mensili a partire dal mese successivo all'effettuazione dei conguagli. Conguagli che le aziende possono aver già effettuato a dicembre 2011 (nel qual caso già dalla busta paga di gennaio i dipendenti hanno visto l'aumento), oppure a gennaio e febbraio 2012. Irpef regionale, stangatina per tutti. L'aumento del prelievo scatterà (o è già scattato, a seconda delle tempistiche delle aziende, come spiegato sopra) per tutti sulle addizionali regionali e sarà dello 0,33%, con un effetto che varierà dai 51 euro all'anno per un salario da 1.200 euro mese ai 137 per uno stipendio da 3.200 euro per l'Irpef Regionale. Pagheranno invece 73 euro i contribuenti con 1.700 euro di stipendio e 94 euro quelli che con una busta paga mensile di 2.200 euro. Irpef comunale, solo per chi ha già deliberato. C'è però l'incognita Irpef Comunale. L'aumento in questo caso va deciso dalle singole amministrazioni comunali che, se non lo hanno ancora deliberato, farà scattare l'eventuale aumento solo dopo. Qualche Comune ha però già deciso di utilizzare questa leva per aumentare i propri introiti tanto che, in questo caso, l'impatto annuale sulle buste paga potrà salire fino a a 193 euro. Pochi i Comuni che hanno già deliberato. Fortunatamente i Comuni che hanno deliberato aumenti allo stato non sono molti. La manovra di Ferragosto firmata Tremonti-Berlusconi ha riconosciuto ai Comuni la possibilità di deliberare, a partire dal 2012, aumenti dell'addizionale comunale fino a raggiungere un'aliquota massima complessiva pari allo 0,8%, possibilità che era stata "congelata" nel 2008 dallo stesso Tremonti. Ma nei casi in cui l'aumento sia già stato deliberato il conto arriverà con la prossima busta paga (altrimenti scatterà successivamente): si andrà, ad esempio, da un aumento (comunale) di 47 euro a Catanzaro (+51 euro per l'addizionale regionale, in tutto 98 euro in più) per un pensionato o lavoratore dipendente con 1.200 euro mensili (lordi) fino ad arrivare ai 193 euro di un pensionato/dipendente con 3.200 euro lordi mensili di Chieti (+137 euro di addizionale regionale e 56 euro per quella comunale). Insomma non un vero e proprio salasso ma una mini-stangata che si aggiungerà a tutte le altre in attesa del temuto arrivo dell'Imu a giugno e del temuto rincaro di 2 punti delle aliquota Iva da ottobre prossimo, anche se in quest'ultimo caso il Governo sembra stia cercando vie alternative. Niente prelievo per i redditi bassissimi. Ad essere salvaguardati saranno solo i pensionati e i dipendenti con i redditi più bassi, che hanno redditi talmente sottili non dover pagare nemmeno l'Irpef principale. In particolare non dovranno alcuna addizionale i pensionati fino a 75 anni che guadagnano fino a 7.535 euro l'anno e quelli oltre 75 anni che guadagnano fino a 7.785 euro. I lavoratori, invece, saranno esenti fino a 8.030 euro. Imu e iva, stangate in arrivo. Ma il vero salasso per le tasche degli italiani arriverà a giugno con l'Imu. La nuova imposta municipale è una nuova Ici che si pagherà anche sulle prime case e che sarà ancora più alta sulle seconde. La chiamata alla cassa, per il debutto di questa nuova tassa, è per il 20 di giugno. Ad ottobre, poi, è in arrivo l'aumento dell'Iva dal 21 al 23%. Introdotto come norma di «salvaguardia» per raggiungere il pareggio di bilancio potrà essere sostituito da altre fonti di entrata come la riduzione delle agevolazioni o il taglio delle spese con la spending review.

La spending review (27 marzo 2012).
Ieri abbiamo sottolineato che le buste paga degli italiani, questo fine marzo, saranno più leggere; in questi giorni abbiamo, anche, assistito ad un piccolo scontro all'interno della coalizione del governo Monnti sulla necessità di procedere celermente alla spending review. La spending review dovrebbe cominciare a diventare realtà: la revisione di spesa, voluta da Monti, sta per essere attuata ai principali sprechi della nostra politica e sono già noti i primi ministeri che verranno interessati dal provvedimento. Si tratta dei dicasteri dell’Interno, quello dell’Istruzione e quello degli Affari Regionali. Ma cosa succederà di preciso? Davvero vedremo i nostri politici tenersi alla larga dalle spese più inutili come avvenuto finora? Rivedere la spesa pubblica, vale a dire il denaro che viene speso dallo Stato per fini pubblici, non è certo una cosa semplice e non durerà certamente poco tempo. Per ottenere questo risultato, il governo ha predisposto un apposito comitato, il quale avrà il compito di monitorare con la massima attenzione queste attività: Piero Giarda, ministro per i rapporti con il Parlamento, ne sarà il titolare, ma saranno presenti al suo interno anche Vittorio Grilli, numero due del Tesoro, e Filippo Patroni Griffi, ministro della Pubblica Amministrazione. Le inefficienze, le spese poco utili e le cosiddette micro-norme non saranno più consentite, ma il fatto che per il momento la revisione sarà realizzata in via sperimentale fa sorgere qualche perplessità. Il nostro paese, infatti, ha bisogno di misure efficienti ed efficaci sin da subito, senza tergiversare troppo. Lo stesso Giarda è il massimo esperto in materia e non è un caso il suo insediamento: il ministro ha approfondito gli interventi immediati e quelli per il futuro, ma tanto per cominciare bisognerà “razionalizzare” Palazzo Chigi, eliminando un buon numero di uffici e unendo alcune direzioni generali.

Passera: siamo in recessione (28 marzo 2012).
«Da troppo tempo non cresciamo in modo adeguato e siamo nel pieno di una seconda recessione e questo trend, se dobbiamo prendere per buone le previsioni, durerà tutto l'anno». Lo ha detto il ministro dello Sviluppo economico, Corrado Passera, durante un'audizione in commissione Bilancio della Camera.
Passera ha aggiunto che «nostro compito è invertire questa tendenza». Il ministro ha sottolineato che «si è creato un vero e proprio credit crunch» e «dobbiamo agire subito». Ha spiegato che nei mesi scorsi «il tema del credito è diventato un super-tema perchè si è concentrata una serie di cause gravi: mancanza di liquidità, aumento delle sofferenze, regole bancarie che hanno tolto altro capitale alle banche».
Per il beauty contest, ha ribadito Passera, «ho espresso più volte la mia opinione, che non é una cosa buona cedere gratuitamente beni dello Stato. Ho chiesto tempo per interloquire con tutti, ci siamo dati un mese di tempo per formulare la proposta. La proposta sarà in linea con quello che ho detto fin dall'inizio».
«Il rischio che Snam Rete Gas possa essere venduto a stranieri - ha detto Passera nel corso dell'audizione - é un rischio, con il meccanismo che abbiamo in mente, é abbastanza gestibile, cioé evitabile».
Sulle semplificazioni «l'idea è di presentare ogni 2-3 mesi un pacchettone che tocchi la vita delle famiglie ma soprattutto delle imprese, e in particolare delle Pmi».
Il governo spera di riuscire a restituire nei prossimi 12 mesi almeno metà dei debiti che la pubblica amministrazione deve alle imprese, ha detto il ministro Passera, ricordando che i debiti scaduti da parte della Pubblica amministrazione ammontano a circa 50-60 miliardi di euro.
Il governo vuole spingere sugli investimenti in infrastrutture. L'idea, ha spiegato il ministro dello Sviluppo economico , è quella di «vedere nei prossimi 12 mesi 40-50 mld di lavori indirizzati e il più possibile avviati»

Né privatizzatori né tagliatori di spesa. Allora, ristrutturazione straordinaria del debito (31 marzo 2012).
Oscar Giannino
Il peggio deve ancora  venire”. Così si è espresso lo scorso 22 marzo, parlando dell’eurocrisi, non proprio l’ultimo degli sprovveduti. E’ infatti l’opinione di Willem Buiter, chief economist di Citigroup. Ma soprattutto economista, visto che per anni ha servito Bank of England nel suo Monetary Commitee,  e non proprio un banchiere d’assalto, visto che pochi mesi prima di assumere l’incarico in Citi nel suo blog l’aveva descritto come “un conglomerato dedito alle peggiori pratiche lungo l’intero spettro dell’intermediazione finaziaria”. Perché Buiter ha questa opinione, mentre gli spread sono scesi di centiniaia di punti rispetto al picco della crisi, tre mesi fa? Perché stiamo tirando il fiato illudendoci di esser tornati a guardar le stelle, ma in realtà non stiamo traendo la giusta lezione dalla crisi greca.
Penso che Buiter abbia ragione. E aggiungo: la lezione greca dovrebbe valere proprio per i Paesi non tripla A, ad altissimo debito, bassa crescita, altissima spesa pubblica e tasse. In altre parole: de te Ausonia loquitur. Sono due, le considerazioni essenziali di uno scenario che non va considerato pessimista, ma al contrario prettamente realista. La prima è che risulta evidente proprio in queste settimane post controlled default greco, che le tensioni di finanza pubblica degli euromembri restano forti. Non è escluso che Atene non ce la faccia comunque e abbia bisogno di nuovi aiuti. Si è aggiunta la nuova crisi spagnola, troppo lontana dagli obiettivi di rientro dichiarati, e a serio rischio di diventare assai presto a propria volta un Trojka country. Poi il Portogallo. L’Irlanda. Persino l’Olanda, alle prese con tagli assai superiori alle sue attese, se vuole stare negli obiettivi del fiscal compact.
La seconda è quella strettamente collegata al default controllato greco. Non è saltata nessuna banca né alcun hedge fund. Non c’è stato alcun effetto contagio. Anzi, si è diffuso un eccessivo ottimismo malgrado 160 miliardi di haircut ai detentori di titoli pubblici greci, in grazioso cambio di circa 60 miliardi di carta a bassissimo rendimento e a lunghissima scadenza.
Se però questo effetto si è prodotto, tanto varrebbe approfittarne. Degli oltre 500 miliardi di eurotitoli pubblici in scadenza per Paesi non tripla A nei tre trimestri residui del 2012, oltre 300 miliardi è costituita da titoli italiani. Il 50% dei quasi due trilioni di euro di debito pubblico italiano va in scadenza nei prossimi due anni. Ora è vero che negli ultimi tre mesi il rendimento del  Btp decennale è sceso  di 250 punti base sino a sotto la soglia del 5%, prima di risalire ora verso quota 320. E che al Tesoro, la direzione preposta al debito pubblico guidata da Maria Cannata sta esaminando tutte le possibili strategie per tornare ad allungare la duration del nostro debito pubblico senza chiamare i bondholders ad alcuna perdita di valore.
Tuttavia, per l’Italia sarebbe il caso di fare di più. La penso in questo come Georges Ugeux, CEO di Galileo Global Advisors, che ne ha scritto il 25 marzo sull’Huffington Post. L’Italia  potrebbe – meglio: dovrebbe  – pensare a una vera e propria ristrutturazione straordinaria del proprio debito pubblico. Certo, con un haircut assai inferiore al quasi 70% inflitto ai bondholder greci. Ma comunque di una notevole consistenza.
Si comprende al volo che anche solo ventilare la remota ipotesi di una ristrutturazione straordinaria del debito di un Paese sovrano provochi reazioni di immediato e sdegnato rigetto da parte del suo governo. Ne va del prestigio nazionale, inevitabilmente legato alla piena garanzia di solvibilità. Purtuttavia, seguitemi nel ragionamento.
Primo: il governo Monti è quello più adatto a potersi sobbarcare una simile operazione, stante la sua natura tecnica e d’emergenza. So bene che è nato sulla base di un’idea diversa, che bastasse cioè a garantire la piena e ordinaria solvibilità il fare i compiti a casa raccomandatici dall’Europa e da troppi anni smentiti e denegati da una politica inetta e imbelle. Ma nell’emergenza è un governo d’emergenza meglio che politico, a poter trattare le migliori condizioni con mercati e Trojka.
Secondo: il governo Monti sinora si è mosso sulla stessa linea che l’Italia segue da vent’anni a questa parte quando la sua finanza pubblica finisce alle corde e nei guai. Avanzi primari di 5-6 punti di Pil, realizzati per la più gran parte con nuovi aggravi fiscali. Senza nessuna cessione di asset per abbattere più rapidamente e non recessivamente il debito. E senza toccare la spesa corrente che continua inerzialmente a crescere, anche se a un tasso meno rapido dopo le quattro manovre assunte nel 2011 e dopo l’unica vera riforma salvifica – quanto a finanza pubblica – sin qui assunta: quella delle pensioni.
Terzo: la conseguenza è che famiglie e imprese italiane, alla luce del peggioramento del Pil figlio sia dell’eurocrisi sia della quindicennale e pre esistente tendenza italiana alla bassa crescita, continueranno a trovarsi esposti a nuovi aggravi fiscali ulteriori, visto che le ipotesi macro assunte a base del salva-Italia nel dicembre scorso non sono più coerenti con l’azzeramento del deficit, a cui siamo comunque tenuti nel 2013.
Quarto e conclusione: almeno, se ristrutturiamo volontariamente e con la debita assistenza internazionale la montagna di debito pubblico in scadenza, ancoriamo a un beneficio certo e quantificabile il salasso a cui stiamo sottoponendo l’Italia legale e produttiva. Altrimenti, lo Stato si piglierà per sé sempre di più ma il debito continuerà a crescere, l’Europa e i mercati a sospettarci e tenerci nel mirino. Chi la pensa come me farebbe diversamente. Cederebbe i 500 miliardi di mattoni di Stato per l’abbattimento del debito in conto patrimoniale. E in conto economico ridurrebbe perimetro e piante organiche pubbliche a ogni livello, aprendo a colpi d’ariete punti e punti di Pil a meno tasse e più crescita. Ma se fare tutto ciò  è davvero così impensabile e impossibile anche a un governo dei tecnici, se è vero come è vero che in consiglio dei ministri  Giarda ha accusato Grilli di tenersi la delega fiscale in tasca e Grilli ha replicato di aspettarsi poco o nulla dalla spending review di Giarda, allora almeno si ristrutturi il debito pubblico. Altrimenti, l’Italia legale sarà sempre più condannata all’anossia.
da cicagoblog.it

Disoccupazione in aumento (2 aprile 2012).
Il tasso di disoccupazione a febbraio è al 9,3%, in rialzo di 0,2 punti percentuali su gennaio e di 1,2 punti su base annua. Si tratta del tasso più alto da gennaio 2004 (inizio serie storiche mensili). Mentre, guardando alle serie trimestrali, è il dato iù alto dal IV trimestre 2000. Sempre a febbraio. su base annua, il numero di disoccupati aumenta del 16,6%, ovvero di 335 mila unità. Lo stato dell'occupazione rilevato dall'Istat non lascia spazio all'ottimismo. In crescita anche il tasso di disoccupazione giovanile (15-24 anni). A febbraio è al 31,9%, in aumento di 0,9 punti percentuali rispetto a gennaio e di 4,1 punti su base annua. Anche in questo caso si tratta del tasso più alto da gennaio 2004. Nel quarto trimestre del 2011, il tasso di disoccupazione dei 15-24enni è salito al 32,6% dal 29,8% dello stesso periodo del 2010 con un picco del 49,2% per le giovani donne del mezzogiorno. Nella media del 2011, il tasso di disoccupazione è pari all'8,4%, invariato rispetto al 2010. Anche se l'istat ricorda che "la disoccupazione è cresciuta nella seconda parte dell'anno". Per quanto riguarda i giovani, il tasso di disoccupazione è cresciuto di 1,3 punti percentuali, portandosi nella media del 2011, al 29,1%, con un massimo del 44,6% per le giovani donne residenti nel mezzogiorno. A febbraio gli occupati sono 22.918mila, in diminuzione dello 0,1% (-29 mila unità) rispetto a gennaio. Il calo riguarda la sola componente femminile. Nel confronto con lo stesso mese dell'anno precedente l'occupazione segna un aumento dello 0,1% (16 mila unità). Il tasso di occupazione si attesta al 56,9%, in diminuzione di 0,1 punti percentuali nel confronto congiunturale e in aumento 0,1 punti in termini tendenziali. Il numero degli inattivi tra 15 e 64 anni rimane sostanzialmente stabile su base annua, a sintesi del calo della componente italiana (-84.000 unità) e dell'ulteriore crescita di quella straniera (+105.000 unità). Tra gli inattivi, cresce il numero di quanti non cercano lavoro ma disponibili (+5,5%, pari a 73.000 unità) e di quanti cercano non attivamente (+4,3%, pari a 63.000 unità) mentre si riduce quello degli inattivi che non cercano e non disponibili a lavorare (-0,8%, pari a -100.000 unità). Il tasso di inattività si attesta al 37,8%, un decimo di punto in meno rispetto a un anno prima. Alla crescita del Centro si contrappone la contenuta flessione del Nord e del Mezzogiorno. In tale area, il tasso di inattività raggiunge nella media 2011 il 34,5% per gli uomini e il 63,2% per le donne. La disoccupazione nell'Eurozona sale al 10,8% a febbraio, il massimo da quasi 15 anni. A gennaio era al 10,7%. Nell'Ue a 27 paesi la disoccupazione avanza dal 10,1% al 102% e in Italia si attesta al 9,3%, contro il 23,6% della Spagna e il 21% della Grecia. Nell'Eurozona la disoccupazione torna ai livelli di maggio-giugno 1997 e sotto al 10.9% di aprile 1997.

Moody's: banche usa sotto osservazione (3 aprile 2012).
Sarà pure tornato un certo ottimismo fra i consumatori statunitensi ma fra le big bank usa del credito non tira buona aria. Tanto che entro metà maggio l'agenzia di rating Moody's potrebbe annunciare una raffica di downgrade. Nel mirino ci sono 17 istituti di credito, fra cui i big Bank of America, Citigroup, Morgan Stanley, Goldman Sachs e Jp Morgan Chase. Segnale che la crisi del credito non è esaurita. Del resto, anche Standard and Poor's non ha usato mezzi termini sulle banche italiane indicando che potrebbero navigare ancora per diverso tempo in regime di bassa redditività, con politiche di dividendo molto prudenziali. Il taglio più consistente potrebbe riguardare Morgan Stanley che rischia una caduta di tre gradini nella scala del rating (da A2 a Baa2). Rischia di uscire dal club delle A anche Citigroup su cui incombe la spada di Damocle di un taglio di due "notch" (da A3 a Baa2). Stesso rating a cui potrebbe essere declassata anche Bank of America, dall'attuale Baa1. Dovrebbero conservare la A, invece, Goldman Sachs e Lehman Brothers nonostante un possibile taglio di due gradini (rispettivamente ad A3 e A2). Insomma, le banche americane – da cui nel 2007 è partita la crisi subprime, poi sfociata nel credit crunch internazionale e a sua volta dilagato nell'attuale crisi dei debiti sovrani dell'Eurozona – non scoppiano di salute. Un'eventuale raffica di downgrade preoccupa gli ambienti vicini a Wall Street. Sia per l'impatto che avrebbe sul costo delle obbligazioni emesse dalle stesse banche (che sarebbero costrette a pagare tassi più alti in cambio della maggiore rischiosità dei loro titoli). Senza considerare l'impatto che avrebbe sul mercato multi-milionario dei derivati. Molti contratti, infatti, contengono come fattori scatenanti proprio il taglio di rating sotto livelli predeterminati. In caso di downgrade prevedono che un cliente possa recedere dal contratto stipulato con l'istituto declassato spostandolo presso un altro che presenta garanzie migliori. Secondo le previsioni degli analisti interpellati dal New York Times i contratti derivati più vulnerabili a un taglio di downgrade sarebbero quelli con un orizzonte temporale superiore ai cinque anni, i più redditizi per una banca che li emette. E poi ci sono i fondi di investimento. Anche in questo caso una bocciatura da parte delle agenzie di rating potrebbe impattare sulle banche colpite. I grandi fondi, infatti, prevedono policy per cui è possibile effettuare operazioni di trading solo su titoli finanziari al di sopra di un certo rating.

UE: problemi in vista per l'Italia (3 aprile 2012)
Per il premier Mario Monti l'Italia è solida e l'Eurozona è uscita dalla crisi???? E pertanto non ha bisogno di nuove austerity. Ma intanto con uno spread a quota 330 e una recessione stimata da più parti per il 2012 i rischi non sono finiti. È quanto emerge da un documento riservato elaborato dalla Commissione Ue e circolato all'ultimo vertice di Copenhagen che è stato rivelato stamane dal Financial Times. Nel rapporto di quattro pagine, intitolato «la situazione di bilancio in Italia» si apprende che l'Italia ha ottenuto risultati «chiaramente di rilievo» con misure di risanamento finanziario che dal maggio 2010 sono ammontate a 100 miliardi di euro, pari al 7% del Pil contribuendo a ristabilire la fiducia dei mercati del Paese che ora è in rotta verso l'obiettivo del pareggio di bilancio nel 2013. Ma «l'obiettivo dell'Italia di centrare gli obiettivi di bilancio potrebbe essere messo a rischio dallo scenario di crescita depressa e da tassi d'interesse relativamente alti». Il rapporto affronta inoltre il tema della riforma del mercato del lavoro, avvertendo che «non deve perdere impulso». Giudicando «molto positivo che la proposta di riforma sia basata su un dialogo costruttivo con le parti sociali», il documento sottolinea quanto sia «cruciale che l'obiettivo e il livello di ambizione della riforma resti commisurato alle problematiche da risolvere nel mercato del lavoro italiano, in linea con le raccomandazioni del Consiglio». In mattinata fonti di Palazzo Chigiri hanno però ribadito che l'Europa e l'Italia hanno bisogno di riforme strutturali per avviare e consolidare la crescita ma, come ha rimarcato il premier Monti, non c'è bisogno in Italia di manovre correttive per far fronte alla crisi. «Con l'austerità non si cresce, al contrario, dobbiamo mettere in moto tutte quelle operazioni per fare in modo che dopo aver messo in ordine i conti ci sia anche crescita dell'economia e dell'occupazione». Così il ministro dello Sviluppo, Corrado Passera, ha commenta il rapporto confidenziale del Ft che ipotizza nuove misure di austerity.

Intervista di Monti alla Stampa (4 aprile 2012).
L’Italia deve diventare un Paese «prevedibile». Per Mario Monti, appena rientrato dal lungo viaggio asiatico, questa è la chiave della nostra ripresa e del recupero di credibilità. Essere prevedibili non è solitamente considerato un complimento ma, per l’uomo che ha fatto della normalità una bandiera, proprio di questo abbiamo bisogno per attrarre investimenti e capitali.
La scrivania di Monti a Palazzo Chigi è coperta di dossier economici e da tutte le classifiche esistenti sulla competitività: la sua missione è quella di cambiare la nostra immagine nel mondo. Per questo ripartirà già questo fine settimana, non prima però di aver portato al Quirinale il testo del disegno di legge sul lavoro, che non potrà «discostarsi significativamente» da quello varato. Il premier, che indossa una cravatta rossa, appare sereno e spera di farcela in tempi brevi.
Lei è appena tornato dall’Asia, dopo essere stato negli Stati Uniti e nelle maggiori capitali europee, che percezione ha trovato dei cambiamenti dell’Italia?
«La cosa che mi ha colpito di più è stata proprio l'intensità di questa percezione e la sua diffusione, in qualche modo me l'aspettavo da quando le cose hanno cominciato a girare bene, ma non che interlocutori come il presidente cinese, il primo ministro indiano o quello pakistano fossero così informati sulla nostra azione di contenimento del disavanzo e sulla velocità con cui abbiamo approvato la prima parte delle riforme. C'è la chiara sensazione che l'Italia possa fare la differenza ai fini della salute finanziaria dell’Eurozona».
Ci sono state critiche per la lunghezza del suo viaggio in Asia.
«In Italia ho sentito dire che la Cina è la fonte di tutti i problemi, ma queste reazioni mi sembrano non solo sottovalutare l'importanza che ha oggi, ma anche quanto sia utile per l'Italia. Ho fatto questo viaggio sia perché credo che l'attenzione verso questi Paesi sia nei nostri interessi, sia per abituare gli italiani a considerare questi Paesi cruciali per la crescita economica e a non ragionare più soltanto in ottica di decisioni europee. E' tempo di cambiare i giudizi che diamo un po’ superficialmente e in base ai vecchi tabù. Non mi riferisco qui alla questione dei diritti umani, che è estremamente seria e che ho sollevato con gli interlocutori cinesi, ma al fatto che consideriamo i cinesi dei pubblici disturbatori di un mondo del passato che crediamo esista ancora e del quale siamo convinti di fare tuttora parte».
In questo mondo nuovo e in evoluzione cosa ci manca per essere competitivi e attrarre investimenti stranieri?
«Direi che ci manca una coltivazione sistematica e di lungo periodo dell’immagine del Paese. Non tanto in senso superficiale quanto nel fare in modo che i principali Paesi investitori e le loro imprese possano capire come ragiona l'Italia e considerino quindi prevedibile e stabile la sua politica economica nel tempo. Questo richiede un’opera pedagogica sia all’esterno sia all’interno: è importante che le élite economico-politiche internazionali sentano che l'Italia è un’entità comprensibile, prevedibile e che, pur con le sue particolarità, è come uno di loro».
Ma cosa dobbiamo fare nel concreto?
«Per creare un ambiente favorevole agli investimenti ci sono ancora progressi da fare sulla sicurezza e sulla lotta alla criminalità, motivo per cui domani andrò a Napoli e prossimamente a Palermo. Ci sono poi l'alleggerimento della burocrazia, la tempestività della giustizia per le imprese e una carenza di infrastrutture e c’è l’aspetto cruciale della prevedibilità delle regole».
Lei insiste molto su questo concetto di prevedibilità, cosa significa?
«Le confesso che quando alla fine di dicembre abbiamo visto scattare, per un automatismo delle convenzioni, oltre ai tanti aumenti da noi determinati per esigenze di bilancio, anche quello abbastanza cospicuo dei pedaggi autostradali, abbiamo avuto la tentazione di bloccarli o di differirli. Ma quella sarebbe stata una modifica di contratti in essere e sarebbe stato un argomento in più per dire che gli italiani sono quelli che cambiano le carte in tavola. Se vogliamo invece avere investimenti dobbiamo essere prevedibili».
Lei sembra usare i viaggi come termometro della sua azione di governo.
«Oltre all’Asia per me è stato molto significativo il viaggio a Belgrado dove ho incontrato parecchi imprenditori italiani che si sono stabiliti anche in Serbia, come ha fatto da ultimo la Fiat, e mi sono chiesto se la loro sia o no una delocalizzazione perversa. Perché non sia perversa bisogna poterla vedere come una internazionalizzazione di imprese che mantengono il loro baricentro in Italia. Ma se le condizioni di accoglienza in Italia non sono competitive e attraenti allora gli imprenditori non ci penseranno troppo prima di spostarsi del tutto all’estero. Il caso della Serbia mostra che la battaglia per rendere più attraente l'Italia come luogo di produzione è una battaglia importante sia per attrarre investimenti all'estero sia per far sì che una buona parte degli investimenti delle nostre imprese avvenga in Italia. E questo naturalmente ci riporta al mercato del lavoro».
Questo ci riporta al centro del dibattito italiano, Bersani chiede di vedere cambiamenti alla riforma del lavoro, fino a che punto possiamo aspettarceli?
«Io credo che dovremmo cercare tutti di ragionare meno in termini brevi per essere capaci di orientarci al medio-lungo periodo, soprattutto quando si ragiona di politiche pubbliche. Non si può fare la quotazione oraria delle probabilità che una riforma vada in porto, purtroppo o per fortuna la natura, le persone, i documenti, le carte e le idee hanno dei tempi di evoluzione e di maturazione. È curioso che l’altroieri, mentre volavo sui cieli dell’Asia, o forse proprio per quello..., c’era ottimismo sulla possibilità di un accordo sulla riforma del mercato del lavoro e poi invece ieri meno».
Che tipo di modifiche è disposto ad apportare?
«Il disegno di legge che è in corso di finalizzazione da parte del governo non si discosterà significativamente da quanto è stato tratteggiato nel documento che varammo al Consiglio dei ministri».
Quando sarà sottoposto al capo dello Stato?
«Al più presto».
In che tempi pensa possa essere approvato?
«Molto rilevanti per l’impatto complessivo della riforma non sono soltanto i suoi contenuti ma anche la velocità con la quale il Parlamento svolgerà il suo doveroso e attento esame. Se, anche senza il decreto legge, i tempi saranno rapidi allora questo gioverà molto e servirà a mostrare all'Italia e al resto del mondo che il processo di riforme non ha subito un momento di arresto. È importante non perdere il “momentum”».
Cosa chiederà ai leader politici nei suoi incontri?
«Nelle prossime ore cercheremo di avere un alto grado di consenso delle tre principali forze politiche in modo da avere la fondata attesa di un percorso rapido e non tale da mutare la fisionomia del disegno di legge».
Ma come è possibile conciliare l’alto grado di consenso con la scelta di non modificare significativamente il disegno di legge?
«Noi consideriamo esaurita la fase di consultazione con le parti sociali, sappiamo che ogni partito ha il suo retroterra in termini di parti sociali e di culture, ma penso che ogni leader dovrà esercitare capacità di leadership, senza aspettare che il cento per cento del suo mondo di riferimento sia d'accordo con lui. Ma quando parlo di alto grado di consenso mi riferisco al rapporto tra i tre partiti e il governo, un accordo per dare una fiduciosa speranza che il percorso sia abbastanza scorrevole, pur tenendo conto che di mezzo ci sono le elezioni amministrative e che questo non semplifica né il calendario né la serenità dei lavori».
Pensa che questo obiettivo potrà essere raggiunto?
«Se riusciremo in questo, facendo appello ancora una volta a quel notevole grado di responsabilità di cui hanno dato prova i partiti che ci sostengono, allora non solo avremo portato a casa in tempi ragionevoli la quarta e cruciale riforma ma lanceremo un ulteriore segnale di fiducia anche all’estero. E questo significherebbe che l'Italia sta davvero cambiando, al di là di questo particolare e breve governo».
E’ necessario un nuovo vertice con i partiti di maggioranza su questi temi?
«Vertici ce ne sono stati e ce ne saranno, il fatto che mi incontri con i tre leader di partito non deve essere considerato un segnale di emergenza, è assolutamente naturale».
In questa intervista ha sottolineato come il mondo chieda all’Italia di essere «prevedibile» e insieme ha parlato di governo breve, anche lei sa che il grande interrogativo è proprio legato a questa incertezza su cosa succederà tra un anno. Chi garantisce che questi comportamenti virtuosi non verranno abbandonati?
«La garanzia non la può dare nessuno. Io però sono fiducioso che questo avverrà perché se questi partiti hanno avuto la capacità di intesa e di trovare un terreno comune pur senza avere il beneficio del protagonismo diretto, allora anche in una nuova fase di governi politici, in cui si assumeranno in prima persona la responsabilità di governare con i loro leader, l'interesse al buon esito sarà ancora maggiore».
Ma in che quadro politico immagina tutto ciò?
«Se la situazione del Paese lo richiederà ancora, allora immagino che saranno anche disposti a mettere a frutto l’acquisita capacità di dialogo tra loro per pensare a soluzioni larghe, a grandi coalizioni. Penso a quelle formule che in passato venivano auspicate ma subito fatte oggetto di sorriso benevolo, in quanto dichiaratamente impossibili, ma che proprio l'esperienza attuale mostra come possibili. Già in un’intervista a La Stampa nel 2005 avevo detto che ci sarebbe voluta una grande coalizione per fare le riforme: mi attirai solo critiche o giudizi di irrealizzabilità ma alla fine mi pare che proprio questo sia successo».
Lei insiste anche sulla necessità di cambi culturali nel Paese.
«In questa fase abbiamo visto come reagiscono gli italiani a sentirsi dire, anche con linguaggio schietto, che occorre fare certe cose che pesano. Per cui ogni volta che penso ai cambiamenti nella società e nella politica mi convinco ancor di più che i comportamenti virtuosi non saranno abbandonati. E sarà bello guardare tutto questo dal di fuori».
La Commissione europea, in un documento circolato a margine dell’Eurogruppo riportato ieri da «La Stampa» e dal «Financial Times», sostiene anche che gli sforzi dell’Italia «potrebbero essere minacciati da un profilo di bassa crescita e tassi di interesse relativamente alti» tanto che il suo governo «deve essere pronto a prendere eventuali altre iniziative di bilancio».
«Abbiamo assunto tutte le misure per centrare gli obiettivi e ci siamo anche presi dei margini di sicurezza che consentirebbero il risultato del bilancio in pareggio anche con ipotesi più sfavorevoli di quelle previste a dicembre. Prima di tutto non abbiamo calcolato nessun provento dalla lotta all’evasione, che pure abbiamo molto potenziato, e poi abbiamo tenuto un'ipotesi di tassi di interesse sul debito pubblico per tutto il 2012 al livello di fine novembre (il 7 per cento sui titolo decennali), un'ipotesi che si è rivelata, almeno per ora, effettivamente pessimistica. «Abbiamo un obiettivo molto ambizioso ma ci siamo lasciati dei margini e per questo non crediamo proprio che un eventuale andamento più negativo dell’economia reale imponga una nuova manovra».
Ma perché l’Italia deve avere un obiettivo così impegnativo?
«Non ho scelto io l'obiettivo del bilancio in pareggio nel 2013 ma è stato stabilito dal presidente Berlusconi, durante la scorsa tumultuosa estate, per dare il senso dell’intensità dell’impegno dell’Italia. Quando sono arrivato qui ero ben consapevole che era un obiettivo più ambizioso di quello di gran parte dei Paesi europei, ma abbiamo valutato che non sarebbe stato opportuno rimetterlo in discussione, pena una perdita di credibilità».
Lo spread lo guarda spesso?
«Sì, sì, ma meno di altri. Nei vari incontri avuti con la signora Merkel mi sono sentito dire che negli ultimi dieci minuti c'era stato un miglioramento…».
Sotto che soglia siamo al sicuro?
«Si potrebbe dire zero, ma è meglio guardarsi dalle affermazioni temerarie. Sono giudizi relativi, l'importante è che lo spread con il bund continui a scendere».
Non la preoccupa un Paese che non cresce?
«Abbiamo lavorato per evitare la soluzione peggiore: le misure prese stanno avendo e avranno un effetto recessivo ma che va comparato con lo scenario greco, non con uno scenario di crescita che non era dato. Abbiamo evitato di finire come la Grecia, ora i provvedimenti di crescita richiedono più tempo. Mi rendo conto che sarebbe bello avere un maggiore tasso di crescita economica, non solo per il benessere dei cittadini italiani e per avere più occupazione ma anche perché questo renderebbe il nostro mercato interno più appetibile per le imprese straniere. Questo siamo convinti che verrà, grazie alle riforme, ma non è purtroppo una cosa realizzabile nel brevissimo periodo, dove semmai avremo effetti opposti dovuti alle misure di contenimento del disavanzo».
La disoccupazione aumenta, soprattutto quella giovanile, e c’è un effetto di calo dei consumi dettato dall’aumento delle tasse e dall’inflazione, quando si vedranno gli effetti positivi delle manovre?
«La crescita in Italia è da 12 anni almeno pari alla metà di quella dell’eurozona: ho spesso elogiato l’attenzione prestata dal governo precedente alla tutela dei conti pubblici ma ho anche criticato la tardiva presa di consapevolezza, dopo una lunga sottovalutazione del problema, dell’inadeguatezza della crescita italiana. Per lungo tempo non sono state fatte le riforme strutturali necessarie e tutto quello che riguardava le liberalizzazioni veniva ritenuto impossibile o poco realistico a meno che si modificasse l'articolo 41 della Costituzione. Per inciso, noi ne abbiamo fatte molte ma la Costituzione non l'abbiamo toccata. Ciò che abbiamo cercato di fare è stato conseguire gli obiettivi di consolidamento mettendo però dosi di rispetto della crescita e con la riforma delle pensioni abbiamo tolto un elemento di squilibrio grave e di lungo termine».
Non c'è niente che si può fare nel breve periodo?
«Certo non possiamo disinteressarci degli aspetti sociali di sofferenza e per questo stiamo pensando a degli interventi, ma i margini sono effettivamente ristretti e saranno molto selettivi perché non sono più possibili iniezioni di spesa pubblica in disavanzo. È però vero che la riduzione dei tassi di interesse sul debito pubblico dà un po’ di respiro e che se riprendono afflussi di capitali finanziari e investimenti industriali dall’estero tutto questo comincerà a avere effetti e cambierà non solo la situazione ma anche il vissuto psicologico».
Intanto assistiamo anche a fatti terribili come i suicidi di imprenditori e artigiani.
«Sono cose drammatiche, anche in Grecia i suicidi sono molto aumentati, l’unica risposta adeguata e seria che possiamo dare è quella di risanare e rilanciare il Paese».
Da chi si sente più sostenuto nell’azione di governo?
«Sinceramente molto più di quanto immaginassi dai governi esteri, ma sostanzialmente dai due estremi: dall’opinione internazionale e da coloro che sulla carta avrebbero dovuto essere i più sofferenti, cioè i tre leader della maggioranza».
Com'è il rapporto con Silvio Berlusconi?
«Superata una fase iniziale di normale adattamento a una situazione nuova, il mio predecessore ha manifestato un importante e continuo sostegno. Sulle grandi questioni internazionali lo tengo informato e partecipe e gli chiedo suggerimenti».
Qual è stato il momento personale più positivo di questi mesi?
«È stato un momento non negativo: quando sono andato in Parlamento per la prima volta a presentare il programma e ho visto che reggevo a questa situazione per me totalmente nuova, allora ho capito che, pur da estraneo, avrei potuto cercare di operare in questo mondo, pro tempore».
da lastampa.it

Gennaio - marzo 2012

Eugenio Caruso


Per un approfondimento su come l'Italia sia arrivata al limite del baratro si rimanda al successo editoriale
E. Caruso, L'estinzione dei dinosauri di stato.

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Tratto da

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www.impresaoggi.com