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Napoleone Bonaparte

GRANDI PERSONAGGI STORICI

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napoleone 1

Napoleone a 23 anni Tenente Colonnello della Guardia Nazionale

In questa sezione ho illustrato la vita di grandi personaggi del passato, allo scopo di tratteggiare le caratteristiche e i valori che hanno portato questi uomini al successo. Da ciascuna sfumatura dei comportamenti di questi uomini ciascuno di noi può trarre insegnamenti, stimoli, coraggio, intuizioni, entusiasmo per intraprendere un percorso che possa condurre al successo personale o della propria impresa. Con questo articolo illustro la vita di Napoleone Buonaparte. Di questo personaggio sono state scritte un gran numero di biografie; molte di esse tendevano a mettere in rilievo gli aspetti negativi del suo carattere e le sconfitte. Lentamente sta emergendo una rivalutazione dell'uomo sia per il suo carattere molto orientato alla cultura e al superamento degli stereotipi settecenteschi, sia per le sue doti strategiche come condottiero. Napoleone se, da un lato, incarnò il revival dell'imperatore eletto dal suo esercito, che affondava le radici nella Roma di Cesare, fu decisamente l'unico imperatore democratico, interprete di quei valori illuministici che alimentarono il processo che porrtò alla cancellazione dell'Ancien Régime. Nella trattazione storica mostro i generali di divisione napoleonici.

Napoleone di Buonaparte nacque ad Ajaccio, martedì 15 agosto 1769 poco prima di mezzogiorno. «Stava tornando a casa dalla chiesa quando avvertì le prime contrazioni», raccontò lui in seguito, riferendosi a sua madre Letizia, «ed ebbe appena il tempo di arrivare a casa che nacqui io, non a letto, ma su un mucchio di tappeti.» Il nome scelto dai suoi genitori era insolito ma non inaudito, poiché compariva nelle Istorie fiorentine di Machiavelli e, più semplicemente, era il nome di un suo prozio. In origine i Buona Parte erano proprietari terrieri che vivevano tra Firenze e Livorno: il primo a prendere il cognome fu un fiorentino nel 1261. Il ramo principale rimase in Italia, invece Francesco Buonaparte nel 1529 emigrò in Corsica, dove per i duecentocinquant’anni successivi i suoi discendenti seguirono in linea di massima le vocazioni della carriera legale, accademica ed ecclesiastica. All’epoca della nascita di Napoleone si può affermare che la sua famiglia era tra l’alta borghesia e la piccola nobiltà. Nelle rare occasioni in cui parlava dei suoi antenati italiani, diceva di essere erede degli antichi romani.
L’istruzione ricevuta da Napoleone in Francia fece di lui un francese; qualsiasi altro esito sarebbe stato sconcertante data la sua giovane età e la lunghezza del periodo che vi trascorse. Il documento di concessione della sua borsa di studio era datato 31 dicembe 1778, e il giorno dopo lui entrò nel seminario ecclesiastico diretto dal vescovo di Autun. Non avrebbe rivisto la Corsica per quasi otto anni. Il suo nome appariva nel registro scolastico come «M. Neapoleonne de Bonnaparte». Il suo preside, l’abate Chardon, lo rammentava come «un carattere riflessivo e cupo. Non aveva amici e se ne andava in giro da solo […] Era capace e imparava in fretta […] Se lo sgridavo rispondeva con un tono freddo, quasi imperioso: “Lo so, signore”». Il ragazzo era intelligente e deciso, determinato ad apprendere: Chardon ci mise soltanto tre mesi a insegnargli a parlare e leggere in francese, e persino a scrivere brevi brani. Avendo acquisito la conoscenza del francese ad Autun, nell’aprile 1779, a quattro mesi dal suo decimo compleanno, Napoleone fu ammesso alla scuola militare reale di Brienne-le-Château. Suo padre partì il giorno dopo e, non essendovi vacanze scolastiche, per tre anni non si videro più. Gli insegnanti di Napoleone erano francescani dell’ordine dei minimi, e lui era uno dei 50 borsisti della corona su 110 allievi. Pur essendo un’accademia militare, Brienne era amministrata dai monaci, ma la parte marziale degli studi era diretta da istruttori esterni. Gli studenti non subivano punizioni corporali, ma le condizioni erano spartane: un materasso di paglia e una coperta per ciascuno.
Napoleone primeggiava in matematica. «Per essere un buon generale si deve conoscere la matematica», osservò in seguito, «serve a orientare il pensiero in mille circostanze.» Era favorito dalla sua memoria prodigiosa. «La memoria è una mia peculiarità», si vantò una volta. Napoleone fu autorizzato a frequentare le lezioni di matematica prima dell’età prescritta, 12 anni, e ben presto conosceva bene geometria, algebra e trigonometria.
Nel 1781, Napoleone ricevette un’eccellente valutazione scolastica dal cavaliere di Kéralio, il sottintendente delle scuole militari che, due anni dopo, lo raccomandò per la prestigiosa École Militaire di Parigi con le parole: «Salute eccellente, espressione docile, gentile, diretto, riflessivo. Condotta oltremodo soddisfacente; si è sempre distinto per l’applicazione in matematica […] La sua palese superiorità intellettuale di certo non favorì la sua popolarità tra i compagni di scuola, che lo soprannominarono La paille-au-nez (paglia al naso), che faceva rima con la versione còrsa del suo nome, “Napoleoné”.
"Per un giovane la storia potrebbe diventare una scuola di moralità e virtù", diceva il prospetto scolastico di Brienne; Napoleone prese in prestito molte biografie e libri di storia alla biblioteca scolastica, divorò le storie di Plutarco, intrise di eroismo, patriottismo e virtù repubblicane. Lesse anche Cesare, Cicerone, Voltaire, Diderot, come pure Erasmo da Rotterdam, Eutropio, Livio, Fedro, Sallustio, Virgilio e le Vite dei massimi condottieri scritte da Cornelio Nepote nel I secolo a.C., che comprendevano capitoli su Temistocle, Lisandro, Alcibiade e Annibale. Uno dei suoi soprannomi scolastici, lo “spartano”, forse gli fu appioppato non tanto per l’ascetismo del carattere, quanto per la sua spiccata simpatia per Sparta. Sapeva recitare in francese interi passi di Virgilio, e in classe naturalmente prendeva le parti del suo eroe Cesare contro Pompeo. Anche i drammi che gli piacevano da adulto tendevano a essere incentrati sugli eroi dell’antichità, per esempio Alessandro Magno, Mitridate e Andromaca di Racine, Cinna, Orazio e Attila di Corneille.
Un contemporaneo ricordava Napoleone che si ritirava nella biblioteca scolastica per leggere Polibio, Plutarco, Arriano e Quinto Curzio Rufo. Le Storie di Polibio narravano la nascita della repubblica di Roma e offrivano una testimonianza di prima mano della sconfitta di Annibale e del sacco di Cartagine; le Vite Parallele di Plutarco riportavano brevi descrizioni dei due grandi eroi di Napoleone, Alessandro il Grande e Giulio Cesare. Così emerge un tema potente delle letture adolescenziali di Napoleone. Mentre i suoi contemporanei fuori facevano sport, lui leggeva tutto quello che poteva riguardo ai condottieri più ambiziosi del mondo antico. Per Napoleone, il desiderio di emulare Alessandro e Giulio Cesare non era strano. L’istruzione scolastica gli fece intravedere la possibilità, un giorno o l’altro, di porsi a fianco dei giganti del passato.
Gli insegnarono ad apprezzare i momenti più grandiosi della Francia sotto Carlomagno e Luigi XIV, ma seppe anche delle sue recenti sconfitte nella guerra dei sette anni alle battaglie di Quebec, Plassey, Minden e della baia di Quiberon, e delle «prodigiose conquiste degli inglesi in India». Si voleva creare una generazione di giovani ufficiali intimamente convinti della grandezza della Francia, ma anche intenzionati a umiliare la Gran Bretagna, che per la maggior parte del tempo trascorso da Napoleone a Brienne fu in guerra con la Francia in America. La virulenta opposizione di Napoleone al governo britannico è stata troppo spesso ascritta a un odio cieco, o allo spirito vendicativo di un còrso; sarebbe più rispondente al vero considerarla una reazione del tutto razionale al fatto che nel decennio della sua nascita il trattato di Parigi del 1763 aveva escluso la Francia dall’accesso ai grandi territori continentali (e ai mercati) dell’India e dell’America settentrionale, e che quando giunse all’adolescenza la Gran Bretagna stava colonizzando a grande velocità anche l’Australia. Alla fine dei suoi giorni Napoleone chiese due volte di vivere in Gran Bretagna, ed espresse ammirazione per il duca di Marlborough e Oliver Cromwell, ma era stato educato a pensare alla Gran Bretagna come a un nemico implacabile. Quando studiava a Brienne, il suo unico eroe vivente a quanto pare era l'irredentista corso Paoli, che si trovava in esilio.
Napoleone era anche grande amante della letteratura. Idolatrava Rousseau e a 17 anni scrisse un’apologia del Contratto sociale, abbracciando la convinzione di Rousseau che lo stato dovesse avere il potere di vita e di morte sui cittadini, il diritto di proibire lussi frivoli e il dovere di censurare il teatro e l’opera. La nuova Eloisa di Rousseau, uno dei più grandi bestseller del Settecento, che lo aveva influenzato così tanto quando era bambino, sosteneva che si dovrebbero seguire i propri sentimenti autentici e non le norme sociali, concetto attraente per qualsiasi adolescente, soprattutto un sognatore con ambizioni selvagge. L’abbozzo di costituzione liberale lasciato da Rousseau per la Corsica nel 1765 rifletteva la sua ammirazione per Paoli, che era pienamente ricambiata.
Napoleone lesse con evidente piacere Corneille, Racine e Voltaire. Il suo poeta favorito era il bardo Ossian, le cui storie sulle antiche conquiste gaeliche, infarcite di racconti di eroismo tra paludi nebbiose e battaglie epiche in mari tempestosi, lo appassionavano. Portò con sé il poema di Ossian Fingal nelle sue campagne, commissionò diversi dipinti di tema ossianico, e fu così colpito dall’opera Ossian di Jean-François Le Sueur, con le sue 12 arpe nell’orchestra, che alla prima, nel 1804, fregiò il compositore con il titolo di cavaliere della Legion d’onore.
Napoleone diede gli esami finali a Brienne il 15 settembre 1784. Passò senza difficoltà, e verso la fine del mese successivo entrò alla École royale militaire di Parigi. Si trattava di un istituto assai più esclusivo di Brienne. Anche se stranamente non si insegnavano storia della guerra e strategia, il programma copriva in larga parte gli stessi argomenti di Brienne, oltre che esercitazioni di tiro, esercitazioni militari ed equitazione. In realtà era una delle migliori scuole di equitazione di Europa.
Sul piano intellettuale, Napoleone continuava a eccellere. Nel 1784, su 202 candidati di tutte le scuole militari di Francia, solo 136 superarono gli esami finali, e 14 appena vennero invitati a entrare in artiglieria, quindi Napoleone era stato selezionato per un gruppo d’élite. Era il primo còrso iscritto a frequentare la École royale militaire. Dopo i cinque anni trascorsi a Brienne e un altro alla École militaire, Napoleone aveva assimilato a fondo l’etica militare che lo avrebbe accompagnato per il resto della vita e avrebbe influenzato profondamente le sue convinzioni e la sua visione. I princìpi rivoluzionari da lui accettati, l’eguaglianza di fronte alla legge, il governo razionale, la meritocrazia, l’efficienza e un nazionalismo aggressivo si accordavano bene con quest’etica, ma gli interessavano poco l’equità di giudizio, i diritti umani, la libertà di stampa o il parlamentarismo, tutte cose che a suo parere non corrispondevano alla sua morale. La formazione che Napoleone ricevette lo riempì di riverenza per la gerarchia sociale, la legge e l’ordine, e gli lasciò la salda convinzione che merito e coraggio andassero premiati, ma anche una repulsione per i politici, gli avvocati, i giornalisti e la Gran Bretagna.
Il 1° settembre 1785, Napoleone fu assegnato alla compagnia d’Autume di bombardieri della 5a brigata del 1° battaglione del reggimento della Fère, di stanza a Valence, sulla riva sinistra del Rodano. Era tra i cinque più antichi reggimenti di artiglieria, e godeva di grande prestigio. Con i suoi 16 anni, era uno degli ufficiali più giovani. Napoleone ricordò sempre quegli anni a Valence per la mancanza di denaro: nella sua stanza c’erano solo un letto, un tavolo e una poltrona, e talvolta doveva saltare i pasti per comprarsi i libri, che continuava a leggere con la stessa voracità di prima.
L’elenco dei libri da cui Napoleone aveva preso appunti dettagliati tra il 1786 e il 1791 è lungo, e comprende testi di storia degli arabi, di Venezia, delle Indie, dell’Inghilterra, della Turchia, della Svizzera e della Sorbona; i Saggi sui costumi di Voltaire, le Istorie fiorentine di Machiavelli, le Lettere segrete della Mirabeau e la Storia antica di Charles Rollin; c’erano libri di geografia moderna, opere politiche come la Histoire critique de la noblesse di Jacques Dulaure, contraria all’aristocrazia, e le pettegole Memoires secrets sur le règne del Louis XIV, la régence et le règne de Louis XV di Charles Duclos. Allo stesso tempo, imparava a memoria versi di Corneille, Racine e Voltaire.
Nel settembre 1786, dopo un’assenza di quasi otto anni, Napoleone tornò in Corsica, e incontrò per la prima volta i suoi tre fratelli più piccoli. Fu il primo di cinque viaggi a casa tra il 1786 e il 1793, alcuni durati molti mesi, soprattutto per risolvere molti problemi lasciati dalla tenuta di suo padre. Il 21 aprile 1787 scrisse al ministro della guerra chiedendo un congedo pagato di cinque mesi e mezzo per «recuperare la salute». O era un buon attore o aveva un medico condiscendente, perché anche se non era davvero malato allegava i necessari certificati medici. Non tornò per quasi un anno intero. Questa lunga assenza dal suo reggimento andrebbe vista nel contesto della vita militare in tempo di pace, in cui due terzi degli ufficiali di fanteria e tre quarti di quelli di cavalleria in inverno lasciavano i loro reggimenti. Nel frattempo Giuseppe, dovendo aiutare sua madre a occuparsi della famiglia, era stato costretto a rinunciare a qualsiasi speranza di entrare nell’esercito, ma nel 1788 prese la laurea in legge all’Università di Pisa. Tutti i fratelli più giovani erano ancora a scuola, e Luciano mostrava segni di intelligenza e ambizione.
Verso la fine di maggio del 1788 Napoleone fu assegnato alla scuola di artiglieria di Auxonne, nella Francia orientale, non lontano da Digione. Lì, come quando era acquartierato a Valence, mangiava soltanto una volta al giorno, risparmiando così abbastanza del suo salario di ufficiale da mandare qualcosa a casa per sua madre; il resto lo spendeva in libri. Era determinato a proseguire un ampio programma di letture, e i suoi voluminosi taccuini di Auxonne sono pieni di appunti sulla storia, la geografia, la religione e le tradizioni di tutti popoli del mondo antico, tra cui ateniesi, spartani, persiani, egiziani e cartaginesi.
La scuola di artiglieria era comandata da un generale, il barone Jean-Pierre du Teil, uomo all’avanguardia nelle più recenti tecniche di artiglieria. Napoleone seguiva corsi di teoria militare anche per nove ore alla settimana, e ogni martedì faceva matematica avanzata. L’artiglieria era considerata sempre più importante da quando i progressi in ambito metallurgico consentivano la creazione di cannoni pesanti la metà, ma con la stessa efficienza; le nuove armi pesanti, che era possibile spostare su un campo di battaglia senza perdere potenza di fuoco o precisione, potevano determinare la vittoria di una battaglia.

La rivoluzione
La rivoluzione francese, scoppiata il 14 luglio 1789 quando una folla parigina invase il carcere statale, la Bastiglia, fu preceduta da anni di crisi finanziarie e tumulti come un’insurrezione di poca importanza che Napoleone era stato inviato a sedare. I primi cenni di instabilità possono essere ravvisati nel 1783, ultimo anno della guerra di indipendenza americana, in cui la Francia aveva sostenuto i coloni ribelli contro la Gran Bretagna. Altre proteste per i salari bassi e la penuria alimentare vennero poste violentemente in atto nell’aprile 1789 e costarono 25 morti. «Napoleone diceva spesso che le nazioni avevano le loro malattie proprio come le persone, e che la loro storia non sarebbe meno interessante da descrivere delle malattie del corpo umano», avrebbe ricordato anni dopo uno dei suoi ministri. «La popolazione francese era stata ferita nei suoi interessi più cari. La nobiltà e il clero la umiliavano con il loro orgoglio e i loro privilegi. Il popolo soffrì a lungo sotto questo peso, ma alla fine volle scuotersi di dosso il giogo, e scoppiò la rivoluzione.»
Il 5 maggio, quando furono convocati gli stati generali di Francia per la prima volta dal 1614, ormai sembrava che il re potesse essere costretto a condividere almeno un po’ del suo potere con i rappresentanti del terzo stato. Ma in seguito gli eventi si mossero in fretta e in modo imprevedibile. Il 20 giugno i deputati del terzo stato, che si erano autonominati assemblea nazionale, fecero il giuramento di non decretare lo scioglimento del loro organo assembleare fino a quando non fosse stata ratificata una nuova costituzione. Tre giorni dopo due compagnie della guardia reale si ammutinarono pur di non sedare un disordine popolare. La notizia che Luigi XVI stava reclutando mercenari stranieri per soffocare quella che ormai era diventata un’insurrezione indusse il giornalista radicale Camille Desmoulins a chiedere l’invasione della Bastiglia, che provocò la morte del governatore di Parigi, del suo sindaco e del segretario di stato. Il 26 agosto l’assemblea nazionale approvò la Dichiarazione dei diritti dell’uomo, e il 6 ottobre il palazzo di Versailles venne invaso dalla folla.
Pur detestando le folle ed essendo tecnicamente un aristocratico, Napoleone accolse con favore la rivoluzione. Almeno nelle prime fasi, essa si combinava bene con gli ideali dell’Illuminismo che aveva assimilato leggendo Rousseau e Voltaire. Abbracciò l’anticlericalismo e non si curò dell’indebolimento di una monarchia per cui non aveva particolare rispetto. A parte questo, la rivoluzione sembrava offrire alla Corsica prospettive di maggior indipendenza, e opportunità di carriera assai migliori per un giovane ambizioso senza denaro né rapporti. Napoleone credeva che il nuovo ordine sociale promesso dalla rivoluzione avrebbe distrutto entrambi questi svantaggi e sarebbe stato fondato sulla logica e la ragione che i philosophes dell’Illuminismo consideravano le uniche autentiche basi per l’autorità.
L’8 agosto 1789, quando Parigi era in rivolta e una gran parte del corpo ufficiale francese nella confusione, Napoleone ottenne di nuovo un congedo per malattia per tornare in Corsica, dove rimase i 18 mesi successivi, gettandosi con energia nella politica isolana. Anche in questo caso non ci sono indicazioni che fosse davvero malato. Nella sua Relazione sulla Corsica Boswell descrisse come l’isola fosse politicamente divisa tra le sue città, le sue nove province e le sue molte pievi ecclesiastiche. Il potere del governatore, con base nella capitale, Corte, era limitato. C’erano tradizionali rivalità tra cittadine, paesi e clan, e forti attaccamenti alla chiesa cattolica e all’esiliato Paoli. Napoleone entrò in questo turbine con piacere, e nei quattro anni successivi si preoccupò assai più per la politica della Corsica che per la sua carriera come ufficiale francese.
Appena arrivato ad Ajaccio, Napoleone, sostenuto dai fratelli Giuseppe e Luciano, esortò i còrsi ad aderire alla causa rivoluzionaria, sventolare la nuova bandiera tricolore e portarla in forma di coccarda sul cappello, formare un circolo rivoluzionario di “patrioti” e organizzare un reggimento di volontari còrsi, una milizia della guardia nazionale che si sperava un giorno avrebbe battuto le forze del governatore. Quando il governatore chiuse il circolo e bandì i volontari, il nome di Napoleone era in cima alla petizione inviata per protestare all’assemblea nazionale a Parigi. In ottobre scrisse un libello denunciando il comandante francese in Corsica e criticando il governo dell’isola in quanto non abbastanza rivoluzionario. Mentre Napoleone guidava il partito rivoluzionario ad Ajaccio, Antoine-Christophe Saliceti, un deputato corso all’assemblea nazionale, si adoperava per radicalizzare la città più grande, Bastia.
Nel gennaio 1790, quando l’assemblea nazionale, per insistenza di Saliceti, approvò un decreto, facendo della Corsica un dipartimento della Francia, Napoleone sostenne la mozione. Da Londra, Paoli denunciò il fatto come un provvedimento concepito per imporre la volontà di Parigi. Dato che Napoleone e Saliceti ormai consideravano Parigi loro alleata nel compito di rendere la Corsica rivoluzionaria, se Paoli fosse tornato sull’isola probabilmente ci sarebbe stata una grave frattura. Nel mezzo di tutti questi intrighi politici, in marzo Giuseppe fu eletto sindaco di Ajaccio: Napoleone trascorreva le nottate a scrivere la sua storia della Corsica e a rileggere il De bello gallico di Giulio Cesare, imparandone a memoria pagine intere. Dato che il suo congedo per malattia stava terminando, chiese un prolungamento. Con così pochi ufficiali rimasti nel reggimento, il suo ufficiale in comando non poteva permettersi di rifiutarglielo.
Il 12 luglio 1790, l’assemblea nazionale approvò la costituzione civile del clero, consegnando al governo il controllo sulla chiesa e abolendo gli ordini monastici. La richiesta ai religiosi di giurare fedeltà costituzionale allo stato divise il primo stato tra preti giuranti (quelli che accettavano di giurare) e non giuranti, e fu denunciata da papa Pio VI nel marzo successivo. Molti rivoluzionari nutrivano ostilità per il cristianesimo in generale e la chiesa cattolica romana in particolare. Nel novembre 1793 la cattedrale di Notre-Dame fu riconsacrata al culto della ragione, e sei mesi dopo il dirigente giacobino Maximilien Robespierre fece approvare un decreto che istituiva il culto panteista dell’Essere supremo. Come decine di migliaia di aristocratici, che erano stati privati dei loro beni e furono costretti all’esilio all’estero, anche molte migliaia di preti lasciarono il paese.
Nel luglio 1790 il sessantacinquenne Paoli tornò in Corsica dopo 22 anni di esilio. Napoleone e Giuseppe facevano parte del comitato di accoglienza di Ajaccio che gli diede il benvenuto. Fu nominato subito e all’unanimità vicegovernatore della Corsica nonché presidente dell’assemblea della Corsica e della guardia nazionale appena fondata.
Anche se il suo congedo ufficialmente era terminato il 15 ottobre 1790, Napoleone partì dalla Corsica alla volta del suo reggimento solo il 1° febbraio del 1791, portando con sé il fratello dodicenne Luigi, cui intendeva pagare la scuola ad Auxonne. Luigi doveva dormire sul pavimento in uno sgabuzzino accanto al letto di Napoleone, la cui stanza era arredata soltanto con un tavolo e due sedie. «Sapete come ce l’ho fatta?» chiedeva in seguito Napoleone rammentando quel periodo della sua vita. «Non entrando mai in un caffè, né andando in società; mangiando pane senza companatico e spazzolandomi da solo gli abiti in modo che durassero di più. Vivevo come un orso, in una stanzetta, con i libri come unici amici. Erano queste le gioie e dissolutezze della mia gioventù.» Forse esagerava un po’, ma non molto. Non c’era nulla che apprezzasse quanto i libri e una buona istruzione.
Nel frattempo venne a sapere che in Corsica stavano per essere formati quattro battaglioni della guardia nazionale, e chiese una licenza per andarci. Il suo nuovo ufficiale in comando, il colonnello Compagnon, comprensibilmente rifiutò il permesso poiché Napoleone era stato assegnato al reggimento da due mesi appena.
Gli ultimi di giugno del 1791, i reali tentarono di fuggire dalla Francia ma la loro carrozza venne catturata a Varennes. Furono costretti a tornare alla loro semiprigionia nel palazzo delle Tuileries. Il 10 luglio, l’imperatore Leopoldo II d’Austria diffuse a tutte le altre case reali d’Europa la richiesta di andare in aiuto di suo cognato Luigi XVI.
Intanto Napoleone era diventato segretario della sezione di Valence della società degli amici della costituzione, e in un banchetto di festeggiamento in occasione del secondo anniversario della caduta della Bastiglia propose un brindisi «ai patrioti di Auxonne» che stavano presentando una petizione perché il re venisse sottoposto a processo.
Rifiutandosi di accettare il diniego del suo ufficiale in comando come risposta, il 30 agosto Napoleone si rivolse al generale du Teil. Gli fu concesso un congedo di quattro mesi per andare in Corsica, con l’intesa che se non fosse tornato sotto la sua bandiera entro il momento della parata di reggimento, il 10 gennaio 1792, sarebbe stato considerato un disertore. Napoleone trovò la Corsica in agitazione. Dall’inizio della rivoluzione c’erano stati 130 omicidi, e le imposte non venivano più versate. Le preoccupazioni economiche della sua famiglia, che negli ultimi sei anni, dopo la morte di suo padre, gli avevano richiesto tanto tempo e tanti sforzi, in un certo senso cessarono il 15 ottobre 1791 grazie alla morte del prozio, l’arcidiacono Luciano Bonaparte, che lasciò il suo patrimonio alla famiglia. Quel denaro senza dubbio tornò utile il 22 febbraio 1792, quando Napoleone si candidò per essere scelto come aiutante di campo con il rango di tenente colonnello, nel 2° battaglione della guardia nazionale còrsa. La corruzione ebbe un ruolo importante nella vicenda, e uno dei tre osservatori dell’elezione fu addirittura sequestrato il giorno dello spoglio, e trattenuto in casa Bonaparte fino a quando la vittoria non fu certa. Il principale avversario di Napoleone, Matteo Pozzo di Borgo, influente uomo politico còrso, fu cacciato dalla tribuna davanti alla chiesa di San Francesco dai sostenitori armati di Napoleone. La politica in Corsica non era mai stata condotta con i guanti bianchi, ma la tattica impiegata in quell’occasione rappresentava una grave infrazione alle pratiche generalmente accettate; Paoli, che sosteneva Matteo Pozzo di Borgo, reclamò un’inchiesta ufficiale per quello che definiva «corruzione e intrigo». Fu bloccato da Saliceti, rappresentante della convenzione di Parigi sull’isola, quindi l’esito non venne invalidato. Nel frattempo la scadenza di gennaio per il ritorno di Napoleone al suo reggimento era arrivata e trascorsa. Una nota nel suo fascicolo al ministero della guerra diceva semplicemente: «Ha rinunciato alla professione ed è stato sostituito il 6 febbraio 1792».
Tra gennaio e marzo la crisi politica a Parigi fu acuita da gravi insurrezioni per il cibo. Poi, all’inizio di febbraio, fu annunciata un’alleanza tra l’Austria e la Prussia la cui inconfessata ma per nulla segreta intenzione era di rovesciare il governo rivoluzionario in Francia e restaurare la monarchia. Anche se la Gran Bretagna non faceva parte di quella prima coalizione, appariva evidente che anch’essa era contraria alla rivoluzione. Con la guerra nell’aria, la rivoluzione in Corsica ebbe una brusca svolta. Il 28 febbraio Saliceti ordinò la soppressione degli antichi conventi e monasteri di Ajaccio, Bastia, Bonifacio e Corte, e ne destinò i proventi ai forzieri del governo centrale. Paoli e la grande maggioranza dei còrsi si opposero, e la domenica di Pasqua scoppiarono tafferugli tra la guardia nazionale di Napoleone e i cittadini locali cattolici che volevano proteggere il monastero. A un certo punto, durante quattro giorni e quattro notti di zuffe urbane e momenti di stallo tra la popolazione locale e la guardia nazionale, Napoleone tentò senza successo di strappare la roccaforte ben fortificata della cittadina alle truppe regolari francesi comandate dal colonnello Maillard, che scrisse un rapporto incriminante al ministro della guerra accusandolo nei fatti di tradimento.
Paoli si schierò dalla parte di Maillard, ordinò a Napoleone di lasciare Ajaccio e andare a rapporto da lui a Corte; Napoleone obbedì. Per sua fortuna, il rapporto di Maillard sulla spinosa faccenda rimase insabbiato sotto una montagna di documenti assai più urgenti al ministero della guerra. La Francia aveva preventivamente dichiarato guerra all’Austria e alla Prussia il 20 aprile, e otto giorni dopo invase i Paesi Bassi austriaci (l’attuale Belgio) per impedire la prevista invasione della Francia da nord-est, poiché gli eserciti austriaco e prussiano avevano il quartier generale a Coblenza. Dopo il pasticcio di Ajaccio Napoleone non poteva rimanere in Corsica, ma non poteva nemmeno tornare a Valence, dove ufficialmente era un disertore. Quindi partì per Parigi.
Quando arrivò al ministero della guerra in place Vendôme a Parigi, lo trovò nel caos: tra maggio e ottobre 1792 il nuovo governo rivoluzionario avrebbe cambiato sei ministri della guerra. Era chiaro che nessuno aveva avuto l’opportunità di leggere il rapporto di Maillard, o si preoccupava di quanto era accaduto in una lontana periferia come Ajaccio, e nessuno sembrava badare che il congedo di Napoleone fosse ufficialmente spirato in gennaio, prima della sua elezione alla guardia nazionale còrsa. Nel luglio 1792 Napoleone fu promosso capitano, con retrodatazione di un anno della nomina e della paga, ma senza che gli venisse assegnato un nuovo incarico. Sulla sua sfacciata richiesta di essere promosso tenente colonnello nell’esercito regolare con la motivazione di appartenere alla guardia, al ministero annotarono «SR» (sans réponse).
Napoleone non rimase impressionato da quanto trovò a Parigi. «Gli uomini alla guida della rivoluzione sono una banda di nullità», scrisse a Giuseppe. "Ciascuno fa i suoi interessi". Il 20 giugno 1792, quando la folla inferocita invase le Tuileries, catturò Luigi XVI e Maria Antonietta e costrinse il re a indossare il berretto rosso della libertà sul balcone del palazzo, Napoleone era a Parigi.
Dieci giorni dopo Austria e Prussia invasero la Francia, suscitando il giustificato sospetto che Luigi XVI e sua moglie, austriaca di nascita, fossero favorevoli all’invasione e collaborassero con i nemici della Francia, i quali ora affermavano pubblicamente la propria intenzione di restaurare in tutto e per tutto l’autorità del re. Il disprezzo di Napoleone per la pusillanimità dei Borboni fu esplicitato di nuovo il 10 agosto, quando la folla tornò per arrestare il re e la regina e massacrò le loro guardie svizzere.
Il 21 settembre 1792 la Francia si proclamò ufficialmente repubblicana, e l’assemblea annunciò che Luigi XVI sarebbe stato processato per collaborazionismo con il nemico e crimini contro il popolo francese. Il giorno prima i generali François Kellermann e Charles Dumouriez avevano salvato la rivoluzione sconfiggendo l'esercito prussiano a Valmy, nella regione Sciampagna-Ardenne, dimostrando così che la milizia civile francese poteva sconfiggere gli eserciti regolari delle potenze controrivoluzionarie.
A metà ottobre Napoleone era di nuovo ad Ajaccio per promuovere la causa giacobina, tornando al suo grado di tenente colonnello della guardia nazionale còrsa invece che capitano nel 4° reggimento di artiglieria nell’esercito regolare francese. Trovò l’isola assai più antifrancese di quanto l’aveva lasciata, soprattutto dopo i massacri di settembre e la proclamazione della repubblica. Ma, come disse lui, rimase «persuaso che la cosa migliore che potesse fare la Corsica era diventare una provincia della Francia». Paoli, il quale a un’alleanza con i Bonaparte preferiva l’amicizia di clan più grandi e più influenti, i Buttafuoco e i Pozzo di Borgo, si oppose alla repubblica, alla soppressione dei monasteri e a buona parte degli altri programmi rivoluzionari sostenuti dai Bonaparte. Non volle prendere Luciano nel suo stato maggiore, e cercò persino di impedire a Napoleone di riassumere servizio nella guardia nazionale. Era impossibile per Napoleone restare un patriota còrso quando l’uomo che rappresentava il nazionalismo isolano respingeva in modo così assoluto lui e la sua famiglia.
Il 1° febbraio la Francia dichiarò guerra alla Gran Bretagna e all’Olanda, poco dopo che Spagna, Portogallo e Regno di Piemonte avevano dichiarato guerra alla Francia. Le monarchie europee, ignorando il verdetto di Valmy, stavano unendosi per punire la repubblica regicida. Nel marzo 1793 la convenzione istituì il Comitato di salute pubblica, che in luglio era ormai diventato di fatto il governo esecutivo della Francia. Tra i suoi membri erano in primo piano i dirigenti giacobini Robespierre e Louis Saint-Just. Il 23 agosto la repubblica francese dichiarò la coscrizione di massa, in cui tutti gli uomini fisicamente abili tra i 18 e i 25 anni di età erano chiamati a difendere la rivoluzione e la patria, portando a oltre il doppio le dimensioni dell’esercito francese, che passò dai 645.000 effettivi a un milione e mezzo, e facendo stringere tutta la nazione intorno alla sua sorte.
Nell’aprile 1793, quando apparve chiaro che nella convenzione i giacobini di Robespierre avevano trionfato politicamente, il generale girondino Dumouriez, figura di primissimo piano nella vittoria di Valmy, defezionò passando alla coalizione austro-prussiana. Il tradimento di Dumouriez e altre crisi indussero Robespierre a ordinare l’arresto in massa dei girondini, a 22 dei quali, il 31 ottobre, nell’arco di 36 minuti, fu tagliata la testa. Era cominciato il regno del Terrore.
Il 23 maggio Casa Bonaparte ad Ajaccio fu saccheggiata da una folla paolista. A quel punto il parlamento còrso, dominato da Paoli, bandì ufficialmente la famiglia dei Bonaparte dall'isola. Il 31 maggio Napoleone e Saliceti, che come commissario per la Corsica rappresentava il governo giacobino a Parigi, parteciparono a un assalto fallito per riprendere Ajaccio. Il giorno dopo Napoleone scrisse un documento intitolato Memoriale sulla posizione politica e militare del Dipartimento della Corsica, in cui accusava Paoli di nutrire «odio e vendetta nel suo cuore». Fu un messaggio di addio alla sua patria. L’11 giugno 1793 i Bonaparte lasciarono Calvi a bordo del Prosélyte, e due giorni dopo sbarcarono a Tolone, concludendo così quasi due secoli e tre quarti di residenza sull’isola. Con il crollo del potere giacobino in Corsica, anche Saliceti fu costretto a fuggire in Provenza, e alla fine del mese Paoli riconobbe il sovrano britannico Giorgio III come re della Corsica.
I Bonaparte arrivarono a Tolone come rifugiati politici; Napoleone sistemò i suoi a La Valette, un paese nei dintorni di Tolone, e raggiunse il suo reggimento a Nizza, armato di un ennesimo certificato per spiegare la sua assenza, questa volta firmato da Saliceti. Per fortuna, dopo l’esecuzione capitale del re e l’esodo in massa degli aristocratici, il colonnello Compagnon aveva bisogno di qualsiasi ufficiale potesse scovare; nella sua unità, su 80 ufficiali solo 16 prestavano ancora servizio per la repubblica. Napoleone ricevette dal generale Jean du Teil, fratello minore del suo comandante di Auxonne, l’incarico di organizzare convogli di polvere da sparo per uno degli eserciti rivoluzionari della Francia, l’Armata d’Italia. A metà luglio fu trasferito all’Armata del Sud al comando del generale Jean-François Carteaux, che si accingeva ad assediare i federati (ribelli antigiacobini) ad Avignone, dove si trovava un importante deposito di munizioni. Anche se il 25 luglio Napoleone non era presente alla cattura di Avignone, il successo ottenuto in quell’occasione fece da sfondo per quello che probabilmente è il suo scritto più importante sino a quel momento, il libello politico La cena di Beaucaire.
Il 24 agosto Carteaux riconquistò Marsiglia praticando esecuzioni di massa. Quattro giorni dopo l’ammiraglio Alexander Hood, con 15.000 soldati britannici, spagnoli e napoletani, entrò nel porto di Tolone, importante base navale francese nel Mediterraneo, su invito dei federati che erano insorti il mese prima. Anche Lione era insorta in favore dei realisti, la Vandea si trovava in tumulto, gli eserciti spagnolo e piemontese operavano nella Francia meridionale mentre l’esercito prussiano e quello austriaco erano alle sue frontiere orientali, quindi riconquistare Tolone aveva un’importanza strategica fondamentale. Il 7 settembre Napoleone fu nominato chef de bataillon (maggiore) nel 2° reggimento di artiglieria, e la settimana dopo, forse per ordine del colonnello di origini còrse Jean-Baptiste Cervoni, si presentò al quartier generale di Carteaux a Ollioules, proprio a nord-ovest di Tolone.
Uno dei commissari politici di Carteaux non era altri che Saliceti. Carteaux sapeva poco di artiglieria, e cercava qualcuno che assumesse la responsabilità in quel settore sul fianco destro dell’esercito poiché il suo comandante, il colonnello Dommartin, e il suo secondo in comando, il maggiore Perrier, erano stati feriti. Saliceti e il suo collega, Thomas de Gasparin, convinsero Carteaux a nominare Napoleone alla carica, nonostante avesse 24 anni appena. Napoleone sospettava che la sua formazione alla École militaire fosse stata un fattore decisivo nel procurargli questa prima importante opportunità. In seguito disse che l’artiglieria aveva carenza di «uomini di scienza»: «il dipartimento era interamente diretto da sergenti e caporali. Io capivo il servizio». In un esercito così depauperato dall’emigrazione di massa e dalla decapitazione dell’aristocrazia, che in precedenza forniva la stragrande maggioranza degli ufficiali, si chiuse un occhio riguardo alla sua giovinezza. Ovviamente anche il fatto che a supervisionare le nomine di Carteaux fosse il suo alleato Saliceti ebbe un ruolo nella vicenda.
Carteaux, che secondo l’opinione espressa in privato da Saliceti e Gasparin a Parigi era «un incapace», disponeva di 8000 uomini sulle colline tra Tolone e Ollioules, e altri 3000 al comando del generale Jean Lapoype sul lato della città di La Valette. Ma non aveva un piano di attacco. Il 9 ottobre Saliceti e Gasparin avevano ormai ottenuto per Napoleone il comando di tutta l’artiglieria fuori Tolone. Poiché appariva chiaro che si sarebbe trattato di un’operazione guidata dall’artiglieria, quella carica gli conferiva un ruolo fondamentale. Nel corso del successivo assedio di tre mesi fu supportato da due aiutanti di campo, Auguste de Marmont e Andoche Junot.
Se si visita oggi il luogo delle batterie di Napoleone sopra Tolone, appare subito evidente che cosa si doveva fare. Ci sono un’insenatura esterna, un’insenatura interna e un alto promontorio a est chiamato L’Eguillette che domina entrambe. «Per impadronirsi della baia bisogna impadronirsi dell’Eguillette», riferì Napoleone al ministro della guerra, Jean-Baptiste Bouchotte. Per riversare palle da cannone arroventate sui vascelli della marina britannica all’ancora nell’insenatura interna era perciò necessario conquistare il forte prospiciente il promontorio, forte Mulgrave, che era stato costruito dal suo comandante, il primo conte di Mulgrave, e soprannominato “la piccola Gibilterra” per le sue massicce fortificazioni. Anche se l’importanza del porto appariva evidente a tutti, fu Napoleone che mise a punto il piano per conquistarlo. Il successo avrebbe sbloccato quasi istantaneamente la situazione strategica, poiché quando la Royal Navy fosse stata cacciata dal porto, i federati da soli non sarebbero riusciti a difendere la città con i suoi 28.000 abitanti.
Napoleone si buttò nel progetto di catturare il forte Mulgrave. Convincendo le cittadine limitrofe mise insieme 14 cannoni e quattro mortai, oltre a depositi, attrezzi e munizioni. Mandò ufficiali più lontano, a Lione, Briançon e Grenoble, e chiese che l’Armata d’Italia gli fornisse i cannoni che in quel momento non venivano utilizzati per difendere Antibes e Monaco. Istituì a Ollioules un arsenale di 80 uomini che costruivano cannoni e palle da cannone, requisì cavalli a Nizza, Valence e Montpellier, e instillò nei suoi uomini un’idea di attività incessante. Mandava dozzine di lettere non smettendo mai di implorare, lamentarsi e imperversare (non c’era abbastanza polvere da sparo, le cartucce erano della misura sbagliata, stavano requisendo per altri usi i cavalli addestrati per l’artiglieria eccetera) con richieste a Bouchotte, una volta persino allo stesso comitato di salute pubblica, scavalcando Carteaux e i suoi immediati superiori.
Lamentandosi con il suo amico Chauvet, l’ordinatore principale (quartiermastro), per «la confusione e lo spreco» oltre all’«evidente assurdità» delle disposizioni in corso, Napoleone affermava disperato: «L’approvvigionamento dell’esercito dipende solo dalla fortuna». In una tipica lettera a Saliceti e Gasparin scriveva: «Si può restare per 24 o se è necessario 36 ore senza mangiare, ma non si può rimanere nemmeno tre minuti senza polvere da sparo». Insieme alla sua energia e al suo dinamismo, le lettere evocano una meticolosa attenzione per i particolari in qualsiasi cosa, dal prezzo delle razioni a edifici e palizzate. Ma in fin dei conti il succo del suo messaggio era sempre lo stesso: avevano solo 600 libbre grosse di polvere da sparo, e se non riuscivano a procurargliene altra sarebbe stato impossibile avviare operazioni serie.
Il risultato di tutti i suoi maneggi fu che Napoleone riuscì a organizzare un potente treno di artiglieria in brevissimo tempo. Si impossessò di una fonderia dove venivano prodotti pallini e mortai e di un’officina dove si riparavano i moschetti. Ottenne dalle autorità di Marsiglia che fornissero migliaia di sacchi di sabbia. Per farlo ci voleva una notevole autorevolezza, unita al genere di minacce implicite che poteva fare un ufficiale dell’esercito giacobino durante il Terrore di Robespierre. Alla fine dell’assedio Napoleone comandava ormai 11 batterie con un totale di quasi 100 tra cannoni e mortai.
In tutto questo Napoleone ricevette poco sostegno da Carteaux, giungendo a disprezzarlo, mentre Saliceti e Gasparin cospirarono finché non riuscirono a farlo rimpiazzare, l’11 novembre, con il generale François Doppet. Doppet ebbe un’ottima impressione del suo comandante dell’artiglieria, e riferì a Parigi: «Lo trovavo sempre al suo posto; quando aveva bisogno di riposare si sdraiava per terra avvolto nel mantello; non lasciava mai le batterie». Tuttavia l’ammirazione non era ricambiata, e dopo un attacco a forte Mulgrave il 15 novembre, durante il quale Doppet suonò la ritirata troppo presto, Napoleone tornò alla ridotta e imprecò: «Il nostro colpo a Tolone è mancato perché un incapace ha suonato la ritirata!».
Il 17 novembre il competentissimo generale Jacques Dugommier prese il posto di Doppet, presto seguito da rinforzi che portarono il numero degli assedianti a 37.000 unità. Napoleone andava d’accordo con Dugommier. A metà novembre aveva circondato forte Mulgrave di batterie.

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Il generale Jacques François Dugommier, comandante dei francesi all'assedio di Tolone, capo di Napoleone.

All’una del mattino di martedì 17 dicembre 1793, Dugommier mise in atto il piano d’attacco approntato da Napoleone. Una colonna, comandata da Claude Victor-Perrin (in seguito maresciallo Victor), superò la prima linea di difesa al forte Mulgrave, ma esitò alla seconda. Verso le tre del mattino Dugommier sferrò l’assalto successivo di 2000 uomini nonostante una pioggia battente, venti forti e lampi. Quest’assalto, condotto da Napoleone e dal capitano Jean-Baptiste Muiron, alla fine consentì la presa del forte dopo pesanti corpo a corpo. Poi Napoleone passò a riversare in tutto il porto sottostante, sui vascelli della Royal Navy, palle da cannone roventi. Dugommier fece un rapporto eccellente su Napoleone, che definì "questo ufficiale raro".
Gli alleati evacuarono Tolone la mattina dopo, creando un'immane confusione dopo che il generale Lapoype conquistate le alture Faron cominciò a bombardare la città anche dalla parte orientale. Poco dopo Saliceti e Gasparin ordinarono l’esecuzione di circa 400 sospetti federati. La vittoria di Tolone fece piovere su Napoleone benefici grandi e meritati. Il 22 dicembre fu nominato brigadiere generale e ispettore delle difese costiere dal Rodano al Var. Saliceti lo indicò all’attenzione degli eminenti politici Paul Barras e Louis-Stanislas Fréron, ma soprattutto, come Napoleone affermò in seguito, Tolone gli «diede fiducia in se stesso». Aveva dimostrato che potevano affidargli un comando.

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Paul Barras, Presidente del Direttorio della Prima Repubblica Francese, che ebbe notevole influenza per la carriera di Napoleone

Di rado nella storia militare c’è stato un avvicendamento così alto di generali come in Francia nell’ultimo decennio del Settecento. Questo significava che giovani capaci potevano ascendere nei ranghi a incredibile velocità. Il Terrore, l’emigrazione, la guerra, le epurazioni politiche, la disgrazia dopo le sconfitte, il sospetto politico e l’impiego di capri espiatori, oltre ai normali casi di dimissioni e pensionamento, facevano sì che l’ascesa di Napoleone nella gerarchia quindi non era un caso unico, date le circostanze politiche e militari dell’epoca. Tuttavia i suoi progressi furono impressionanti: aveva trascorso cinque anni e mezzo come alfiere, un anno da tenente, 16 mesi da capitano, solo tre mesi da maggiore, e nemmeno un minuto da colonnello. Il 22 dicembre 1793, dopo essere stato in congedo per 58 mesi di servizio su 99, con o senza permesso, e dopo aver compiuto meno di quattro anni di servizio attivo, a 24 anni Napoleone era generale.
La decapitazione degli hébertisti, una fazione estremista, avvenuta il 5 maggio, e quella di Georges Danton e Camille Desmoulins il 5 aprile, entrambe ordinate dal comitato di salute pubblica di Robespierre, dimostravano che la rivoluzione divorava senza rimorsi i propri figli. Un contemporaneo osservò «migliaia di donne e bambini seduti sulle pietre davanti alle panetterie» e «più della metà di Parigi che viveva di patate. Il denaro di carta era senza valore». La città era matura per una reazione contro i giacobini, che non erano stati in grado di procurare né cibo né pace. Nel 1794, con la ritirata degli alleati in Spagna, Belgio e lungo il Reno, un gruppo di cospiratori girondini si sentiva abbastanza fiducioso di poter rovesciare i giacobini e porre fine una volta per tutte al regno del Terrore. A metà luglio Napoleone partecipò per sei giorni a una missione segreta a Genova affidatagli da Augustin Robespierre per riferire sulle sue fortificazioni, dirigere una riunione di cinque ore con l’incaricato d’affari francese Jean Tilly e persuadere il doge della necessità di migliorare i rapporti franco-genovesi. Questo lo avvicinava al circolo politico dei Robespierre proprio nel peggior momento possibile, poiché il 27 luglio la “reazione termidoriana” guidata da Barras e Fréron rovesciò Maximilien Robespierre.

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Maximilien de Robespierre

La protezione di Augustin Robespierre naturalmente faceva di Napoleone un sospetto. Il 9 agosto fu arrestato ai suoi alloggi di Nizza e condotto per un giorno alla fortezza della città, prima di essere incarcerato al Fort-Carré di Antibes, dove avrebbe trascorso i dieci giorni successivi. Saliceti, per un istinto di conservazione del tutto comprensibile, non fece nulla per proteggerlo e anzi mise sottosopra i documenti di Napoleone alla ricerca di prove del tradimento. «Si è degnato a malapena di guardarmi dalle eccelse altezze della sua grandezza», commentò Napoleone, risentito per il comportamento del suo compatriota còrso e compagno politico da cinque anni.
Nel 1794, l’innocenza non era una difesa contro la ghigliottina, e nemmeno il comprovato eroismo nei combattimenti in nome della repubblica, quindi Napoleone era davvero in pericolo. La ragione vera, naturalmente, era politica: aveva usufruito della protezione di Augustin Robespierre e aveva scritto un trattato giacobino, La cena di Beaucaire, che Robespierre aveva contribuito a far pubblicare. «Gli uomini possono essere ingiusti nei miei confronti, mio caro Junot», scrisse al fedele aiutante di campo, «ma basta essere innocenti: la mia coscienza è il tribunale innanzi al quale chiamo a testimoniare la mia condotta.»
Napoleone ebbe la fortuna che i termidoriani non perseguitavano i loro nemici in modo altrettanto spietato dei giacobini, né indulgevano in omicidi extragiudiziali in carcere come nei massacri di settembre. Fu rilasciato il 20 agosto per mancanza di prove. La sua cattività non era stata pesante sul piano fisico, e quando andò al potere nominò il suo secondino aiutante di palazzo. Quando fu liberato tornò a progettare una spedizione contro la Corsica e a tormentare il povero maggiore Berlier. Tecnicamente Napoleone era disoccupato, e solo al 139° posto nella graduatoria dei generali per anzianità. Il nuovo comandante dell’Armata d’Italia, il generale Barthélemy Schérer, non volle prenderlo, perché pur essendo un esperto di chiara fama in ambito di artiglieria, era considerato «troppo dedito a manovrare per ottenere promozioni». Era senza dubbio vero: Napoleone non vedeva linea di demarcazione tra la sfera militare e quella politica, proprio come i suoi eroi Cesare o Alessandro. Finalmente, gli fu ordinato di assumere il comando dell’artiglieria dell’Armata occidentale del generale Hoche, di stanza a Brest, che stava soffocando l’insurrezione realista in Vandea.
Il governo, in quel momento costituito in larga parte da girondini sopravvissuti al Terrore, stava conducendo una terribile guerra sporca nella Francia occidentale, dove morirono più francesi che nel corso di tutto il periodo del Terrore a Parigi. Napoleone sapeva che in quella posizione avrebbe ottenuto poca gloria, anche se fosse riuscito a vincere. Hoche aveva solo un anno più di lui, quindi le possibilità di avanzamento di Napoleone erano limitate. Avendo combattuto contro britannici e piemontesi, non gli piaceva la prospettiva di combattere contro altri francesi, quindi l’8 maggio si recò a Parigi per cercare di ottenere un’assegnazione migliore, e portò con sé il fratello sedicenne Luigi, per cui sperava di trovare un posto alla scuola di artiglieria di Châlons-sur-Marne, e due aiutanti di campo, Marmont e Junot (ora ne aveva un terzo, Muiron).
Il 25 maggio, Napoleone si rivolse a colui che fungeva da ministro della guerra, il capitano Aubry, che in realtà ridusse l’offerta al comando della fanteria in Vandea. «Questo a Napoleone parve un insulto», registrò suo fratello Luigi. «Rifiutò e rimase a vivere a Parigi senza incarico, godendosi la paga di generale disoccupato.» Si diede di nuovo malato, tirando avanti con mezzo stipendio, ma ciò nonostante mandò Luigi a Châlons. Continuava a ignorare le intimazioni del ministero della guerra a recarsi in Vandea o fornire prove della sua malattia, oppure licenziarsi del tutto. In realtà Napoleone era ben deciso a godersi le attrattive di Parigi. Si preparava ad affrontare per la prima volta la vita di società, pur non sentendosi a proprio agio in compagnia delle donne. Forse dipendeva anche dal suo aspetto: una donna che lo incontrò diverse volte quella primavera lo definì «l’essere più magro e più bizzarro che io abbia mai conosciuto […] così magro che ispirava pietà». Un’altra lo soprannominò «il gatto con gli stivali». Laure d’Abrantès, donna di mondo che conobbe Napoleone in quel periodo, anche se probabilmente non così bene come affermò in seguito nelle sue malevole memorie, lo ricordava «con un logoro cappello tondo tirato sulla fronte, e i capelli mal incipriati che gli pendevano sul colletto del pastrano grigio, senza guanti perché li considerava un lusso inutile, stivali malfatti e maltinti, con la sua magrezza e il colorito olivastro».
La situazione si risolse a metà agosto del 1795, quando il ministero della guerra chiese che Napoleone si presentasse alla sua commissione medica per accertare se fosse davvero malato. Lui ricorse a Barras, Fréron e i suoi altri contatti politici, uno dei quali riuscì a procurargli un comando all’Agenzia storica e topografica del ministero della guerra. Nonostante il nome, in realtà si trattava dell’unità di pianificazione che coordinava la strategia militare francese. Così, mentre il 17 agosto Napoleone scriveva a Simon Sucy de Clisson, l’ufficiale pagatore dell’Armata d’Italia a Nizza «Sono stato comandato a un posto di generale nell’Armata della Vandea: non accetterò», comunicò esultante a Giuseppe tre giorni dopo: «In questo momento sono assegnato al dipartimento topografico del comitato di salute pubblica per la direzione delle armate». L’agenzia era diretta dal generale Henri Clarke, un protetto del grande amministratore militare Lazare Carnot, noto come “l’organizzatore della vittoria”.
L’agenzia topografica era un’organizzazione piccola e alquanto efficiente all’interno del ministero della guerra, ed è stata definita «l’organizzazione di pianificazione più sofisticata dell’epoca». Era stata istituita da Carnot e rispondeva direttamente al comitato, raccoglieva informazioni dai comandanti in capo, progettava i movimenti delle truppe, preparava direttive operative dettagliate e coordinava la logistica. Sotto Clarke, facevano parte dello stato maggiore i generali Jean-Girard Lacuée, César-Gabriel Beethier e Pierre-Victor Houdon, tutti strateghi di talento e coscienziosi. Napoleone non avrebbe potuto trovare una collocazione migliore per imparare tutti gli elementi relativi a rifornimenti, supporto e logistica che costituiscono la strategia. Fu in quel periodo, tra metà agosto e l’inizio di ottobre del 1795, breve ma intellettualmente intenso, che Napoleone imparò tutti i particolari pratici della guerra strategica, diversa dal combattimento tattico in cui aveva dato eccellente prova a Tolone. L’agenzia topografica era anche il posto migliore per fare le sue valutazioni su quali generali fossero preziosi e quali sacrificabili.
Il curioso orario di lavoro dell’agenzia topografica (dalle 13 alle 17 e dalle 23 alle 3) lasciava a Napoleone molto tempo per scrivere un racconto romantico intitolato Clisson ed Eugénie, un canto del cigno per la sua relazione amorosa non ricambiata con Désirée. Utilizzava le frasi brevi, limpide, della tradizione eroica e e il suo riferimento era il romanzo scritto da Goethe nel 1774, I dolori del giovane Werther. Il Werther, il più importante romanzo in Europa dello Sturm und Drang e libro più diffuso in assoluto ai suoi tempi, influenzò profondamente il movimento letterario romantico, e anche lo stile letterario di Napoleone. Anche se il nome “Clisson” era preso in prestito da un suo amico dell’epoca, Sucy de Clisson, il personaggio è Napoleone allo stato puro, ha persino la stessa età, 26 anni.
Nella seconda metà del 1795 i dirigenti girondini ammisero che la Francia aveva bisogno di una nuova costituzione se voleva buttarsi alle spalle il Terrore giacobino. Il 23 agosto fu approvata dalla convenzione la terza costituzione dalla presa della Bastiglia, nota come la costituzione dell’anno terzo, che istituiva una legislatura bicamerale e un governo esecutivo di cinque uomini chiamato direttorio. Entrò in vigore alla fine di ottobre. La convenzione sarebbe stata rimpiazzata da un’assemblea nazionale, costituita da un consiglio dei cinquecento e da un consiglio degli anziani, e il direttorio avrebbe sostituito il comitato di salute pubblica, che era diventato sinonimo del Terrore. Per gli avversari della rivoluzione e della repubblica, questo momento di riforma rappresentava un’occasione per colpire i nemici. Il 20 settembre, con un importante contrattacco, l’Austria raggiunse di nuovo il Reno; l’economia francese era ancora molto debole, e la corruzione diffusa: fu in questo contesto che, la prima settimana di ottobre, i nemici della repubblica si coalizzarono per rovesciare il nuovo governo, facendo entrare grandi quantità di armi e munizioni a Parigi.
Anche se il Terrore era finito e il comitato di salute pubblica sarebbe stato abolito quando fosse entrato in vigore il nuovo direttorio, il rancore ispirato da tali istituzioni convergeva ora contro gli organi che le sostituivano. L’insurrezione fu concentrata nelle “sezioni”, 48 distretti istituiti a Parigi nel 1790 che controllavano le assemblee locali e le unità locali della guardia nazionale. In realtà a ribellarsi furono soltanto sette sezioni, ma aderirono alla rivolta anche uomini della guardia nazionale provenienti dalle altre.
Gli uomini delle sezioni non erano tutti realisti, e nemmeno per la maggioranza. Il generale veterano Mathieu Dumas scrisse nelle sue memorie: «Il desiderio più diffuso tra la popolazione di Parigi era di tornare alla costituzione del 1791»; non c’era grande entusiasmo per una guerra civile che avrebbe comportato la restaurazione dei Borboni. L’uomo su cui in origine contava la convenzione per soffocare l’insurrezione imminente, il generale Jacques-François Menou, comandante dell’Armata dell’interno, aveva tentato di trattare con le sezioni per evitare spargimenti di sangue. I dirigenti delle convenzione considerarono il suo gesto un principio di tradimento e lo fecero arrestare. Mentre il tempo che li divideva dal previsto attacco era agli sgoccioli, i girondini designarono uno dei loro capi, il presidente dell’assemblea nazionale Paul Barras, a dirigere l’Armata dell’interno, nonostante non avesse più avuto alcuna esperienza militare dal 1783. Il suo compito era di salvare la rivoluzione.
Il 13 vendemmiaio, Barras nominò Napoleone suo secondo in comando dell’Armata dell’interno, e gli ordinò di utilizzare tutti i mezzi necessari per sedare la rivolta. Napoleone aveva fatto colpo sugli uomini al comando più importanti della sua vita, tra gli altri Kéralio, i fratelli du Teil, Saliceti, Doppet, Dugommier, Augustin Robespierre e ora Barras, che ne aveva sentito parlare da Saliceti dopo la vittoria di Tolone. Avendo prestato servizio all’agenzia topografica, era noto a personaggi governativi di primo piano, come Carnot e Jean-Lambert Tallien. È incredibile che a Parigi vi fossero così pochi alti ufficiali per svolgere quella missione, o almeno così pochi disposti a sparare sui civili per le strade. Dalla reazione di Napoleone ai due attacchi a cui aveva assistito nel 1792 alle Tuileries, non vi furono dubbi su quello che avrebbe fatto.
Era l’esordio di Napoleone nella politica nazionale di alto livello e di primo piano, e lo trovò inebriante. Ordinò al capitano Joachim Murat del 21° cacciatori a cavallo di andare al galoppo con un centinaio di uomini fino al campo militare di Sablons, a circa tre chilometri di distanza, prendere possesso dei cannoni e portarli al centro di Parigi, abbattendo a sciabolate chiunque tentasse di impedirlo.
Tra le sei e le nove del mattino, dopo essersi accertato della fedeltà dei suoi ufficiali e dei suoi uomini, Napoleone piazzò due cannoni all’entrata di rue Saint-Nicaise, un altro di fronte alla chiesa di San Rocco, in fondo a rue Dauphine, altri due in rue Saint-Honoré, vicino a place Vendôme, e due di fronte al pont Royal sul quai Voltaire. Schierò la fanteria dietro ai cannoni, e mandò le sue riserve a difendere le Tuileries a place du Carrousel, dove risiedevano la convenzione e il quartier generale del governo. Posizionò la cavalleria in place de la Révolution (oggi place de la Concorde), quindi trascorse tre ore ispezionando uno dopo l’altro ciascuno dei suoi cannoni.
L’uso della mitraglia su civili era stato impensabile fino a quel momento a Parigi, e il fatto che Napoleone fosse disposto a contemplarlo attesta quanto fosse spietato. Non intendeva farsi prendere per un rammollito. «Se si tratta il popolino con gentilezza», disse in seguito a Giuseppe, «quelli immaginano di essere invulnerabili; se impicchi qualcuno si stancano del gioco e diventano sottomessi e umili come devono essere.»
Le forze di Napoleone erano costituite da 4500 soldati e circa 1500 “patrioti”, gendarmi e veterani degli Invalides. Si trovava di fronte una forza composita di ben 30.000 uomini delle sezioni, in teoria comandate dal generale Dancian, che perse la maggior parte della giornata a cercare di condurre delle trattative. Solo alle quattro del pomeriggio le colonne ribelli cominciarono ad affluire dalle strade secondarie a nord delle Tuileries. Napoleone non aprì il fuoco immediatamente, ma non appena si sentirono i primi spari di moschetto delle sezioni, tra le quattro e un quarto e le quattro e tre quarti, scatenò una reazione di artiglieria devastante. Sparò anche la mitraglia sugli uomini delle sezioni mentre tentavano di attraversare i ponti sulla Senna; gli insorti subirono gravi perdite e ben presto fuggirono. Nella maggior parte delle zone di Parigi, alle sei di sera l’assalto era finito, ma alla chiesa di San Rocco in rue Saint-Honoré, che divenne di fatto il quartier generale dell’insurrezione e il luogo in cui venivano portati i feriti, i cecchini continuavano a sparare dai tetti e da dietro le barricate. Il combattimento proseguì per molte ore, fino a quando Napoleone portò i suoi cannoni a 50 metri di distanza dalla chiesa, e non vi fu altra scelta che la resa. Quel giorno furono uccisi circa 300 insorti, a fronte di una mezza dozzina di uomini di Napoleone. La convenzione, con quella che in base ai criteri dell’epoca va considerata magnanimità, in seguito giustiziò soltanto due dirigenti delle sezioni. La “raffica di mitraglia”, come venne chiamata, ebbe come conseguenza che nei tre decenni successivi i tumulti cittadini di Parigi non ebbero più alcun ruolo nella politica francese.
La notte del 13 vendemmiaio delle forti piogge lavarono in fretta il sangue dalle strade, ma il ricordo persistette. Persino il Registro annuale fondato da Edmund Burke, violentemente antigiacobino, sottolineava: «Fu in questo conflitto che Napoleone comparve per la prima volta sul teatro dei combattimenti e con il suo coraggio e il suo comportamento gettò le basi di quella sicurezza nei suoi poteri che così poco tempo dopo lo portò alle promozioni e alla gloria». Date le urgenti necessità politiche, al ministero della guerra non opponevano più cose assurde come graduatorie di anzianità, commissioni mediche, diserzioni eccetera. Prima della fine di vendemmiaio, Napoleone era stato promosso generale di divisione da Barras, e poco dopo comandante dell’Armata dell’interno in riconoscimento del suo servizio per il salvataggio della repubblica e per aver evitato una possibile guerra civile. Era paradossale che avesse rifiutato l’assegnazione in Vandea perché non voleva uccidere francesi, e poi avesse ottenuto la sua promozione più vertiginosa proprio facendolo. Ma nella sua mente c’era una differenza tra un combattimento legittimo e la plebaglia.
Subito dopo il vendemmiaio, Napoleone sovrintese alla chiusura del circolo dell’opposizione Pantheon e all’espulsione di criptorealisti dal ministero della guerra, come pure al pattugliamento delle produzioni teatrali. Un altro suo compito era di sovrintendere alla confisca di tutti gli armamenti appartenenti a civili, che secondo la leggenda familiare lo portò a conoscere una donna di cui forse aveva sentito parlare in società, ma che non aveva mai incontrato: la viscontessa Marie-Josèphe-Rose Tascher de la Pagerie, vedova de Beauharnais, che Napoleone avrebbe chiamato “Giuseppina”.
Il nonno di Giuseppina, un nobile di nome Gaspard Tascher, si era trasferito dalla Francia in Martinica nel 1726, nella speranza di fare fortuna con una piantagione di canna da zucchero, ma gli uragani, la sfortuna e la sua stessa indolenza glielo avevano impedito; a Santo Domingo (la moderna Haiti) la famiglia possedeva una tenuta chiamata La pagerie. Giuseppina era nata in Martinica il 23 giugno 1763, anche se anni dopo sosteneva che fosse il 1767. Arrivò a Parigi nel 1780, a 17 anni, così poco istruita che il suo primo marito, un cugino con cui si era fidanzata a 15 anni, il generale e visconte Alexandre de Beauharnais, non riusciva a nascondere il proprio disprezzo per l’ignoranza di lei. I denti di Giuseppina erano solo monconi anneriti, e si riteneva questo fosse dovuto alla sua consuetudine di masticare zucchero di canna della Martinica quando era bambina, ma imparò a sorridere senza farli vedere.
Anche se Beauharnais era stato un marito violento (una volta aveva rapito il figlioletto di tre anni Eugenio dal convento in cui Giuseppina si era rifugiata per salvarsi dalle sue percosse), tuttavia nel 1794, quando lo arrestarono, lei cercò coraggiosamente di salvarlo dalla ghigliottina. Suo marito fu giustiziato appena quattro giorni prima della caduta di Robespierre. Se questi fosse sopravvissuto più a lungo, probabilmente Giuseppina lo avrebbe seguito. C’era una simmetria paradossale nel modo in cui il colpo di mano di termidoro liberò Giuseppina da una prigione e contemporaneamente mise Napoleone in un’altra.
Giuseppina, dopo la prigionia, soffrì di una forma di quella che oggi viene chiamata sindrome da stress post traumatico. Se in seguito fu sessualmente indulgente con se stessa, se si lasciava coinvolgere in affari sordidi e amava il lusso e se si sposò per avere stabilità e sicurezza finanziaria più che per amore, è difficile fargliene una colpa dopo quanto aveva passato. Giuseppina è stata spesso considerata una sgualdrina seducente, superficiale, stravagante, ma di certo non era superficiale sul piano culturale, avendo buon gusto in ambito musicale e nelle arti figurative; si deve anche a lei la nascita del movimento che va sotto il nome di "stile impero". Era anche generosa, e uno dei diplomatici più abili dell’epoca, Clemens von Metternich, parlava del suo «tatto sociale unico». Inoltre era una brava arpista, anche se qualcuno diceva che suonava sempre sulla stessa tonalità, e a letto faceva una cosa nota come “zigzag”; quando Napoleone la conobbe era l'amante di Barras. Alla fine del 1795 questa femme fatale innegabilmente attraente sui 35 anni (con un impareggiabile sorriso a labbra chiuse) aveva bisogno di un uomo che la proteggesse e la mantenesse. La decisione di Giuseppina di prendersi amanti potenti dopo il Terrore, come tante altre cose nella sua vita, era à la mode. La sua educazione sessuale era assai più avanzata di quella del suo quasi vergine secondo marito. Giuseppina colse l’opportunità della confisca delle armi dopo il vendemmiaio per mandare il figlio quattordicenne, Eugène de Beauharnais, al quartier generale di Napoleone, a chiedere se la famiglia poteva conservare la spada di suo padre per motivi sentimentali. Napoleone la interpretò come l’apertura a relazioni sociali che di fatto era, Barras li fece conoscere, e nel giro di qualche settimana Napoleone si era innamorato sinceramente e profondamente di lei; la sua infatuazione non fece che crescere fino al loro matrimonio, avvenuto cinque mesi dopo. Come altri parvenu, immigrati, isolani ed ex prigionieri politici, avevano diverse cose in comune. Lei non era attratta dalla sua carnagione leggermente giallastra, dai capelli smorti e dall’aspetto trasandato, né presumibilmente dalla sua scabbia, e di sicuro non era innamorata di lui, ma in fondo anche lei cominciava ad avere le rughe, la sua bellezza sbiadiva, era indebitata e doveva mantenere due figli, Eugenio e Ortensia. Giuseppina passò, pertanto, dal letto di Barras a quello di Napoleone, ma questi l'amò profondamente, sempre.

giuseppina

Giuseppina quando divenne imperatrice dei francesi. Ritratto di François Gérard (1808).

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