Rudolf Diesel e il suo motore


INVENTORI E GRANDI IMPRENDITORI

In questa sottosezione illustrerò la vita di quei capitani d'industria e/o inventori che hanno sostanzialente contribuito al progresso industriale del mondo occidentale con particolare riguardo dell'Italia.

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Rudolf Diesel

Rudolf Diesel, nato a Parigi nel 1858 da genitori tedeschi ed in seguito sballottato tra diverse città europee a causa delle tensioni tra Francia e Germania a partire dal 1870, rivelò fin da giovinetto grandissima attitudine per la meccanica e il calcolo. Frequentando la Scuola Industriale di Augusta, dove l’aveva accolto uno zio sollevando così i genitori da un peso economico per loro insosten ibile, assistette alla dimostrazione di una macchina che lo colpì enormemente. Si trattava di un modesto acciarino pneumatico: grazie al suo funzionamento i ragazzi dovevano capire che per compressione dell’aria si può produrre calore, e addirittura il fuoco, se si introduce una particolare sostanza combustibile.
Ai suoi solidi e quadrati compagni di scuola, figli di commercianti e di professionisti, la dimostrazione non lasciò impressioni durature. Al piccolo Rudolf si aprì un orizzonte vastissimo, in cui ogni cosa al mondo poteva essere azionata da potenti macchinari. Quella macchina, costata alla scuola 11 fiorini venti anni prima, costituì come uno squarcio sull’affascinante mondo della tecnica che, nell’ottocento, significava essenzialmente produzione d i energia tramite vapore.
Le macchine a vapore, di cui iniziatore fu il geniale Watt, erano le uniche a riuscire allora a generare forza, tramite appunto il vapore; e questo era ottenuto quasi esclusivamente per mezzo del calore ottenuto dal carbone. La ci viltà moderna si reggeva sul carbone: gli esperimenti di Otto, Langen, Daimler e Benz su motori il cui combustibile era ricavato dal petrolio erano ancora ben lontani da una qualche realizzabilità pratica, soprattutto per usi industriali.
Cominciava però a farsi strada anche la consapevolezza che le migliori macchine a vapore riuscivano a trasformare in energia praticamente utilizzabile non più del dieci per cento della quantità di calore ottenuta dal carbone. Nove decimi del calore si perdevano nell’aria. Se il novanta per cento dell’energia termica presente nel carbone era inutilizzabile, aveva senso utilizzare per la produzione industriale macchine dal rendimento così scarso? Questa fu la domanda fondamentale che pose il professor Linde nel suo corso del 1878 al Politecnico di Monaco sulle macchine ad energia termica.
Una domanda che la maggior parte dei suoi studenti considerò oziosa: non il più meditabondo e attento di tutti, Rudolf Diesel, allora ventenne. Questi nei suoi appunti di allora scrisse: “ La teoria meccanica del calore insegna che solo una parte del calore contenuto in una sostanza può essere ottenuto di nuovo sotto forma di lavoro; se quindi con un chilo di carbone diamo al vapore 7.500 calorie possiamo per principio riottenerne solo una piccola parte sotto forma di lavoro; da ciò non deriva che l’impiego del vapore o in genere di una sostanza intermedia sia errato come principio, ma fa nascere l’idea di trasformare direttamente quelle 7.500 calorie senza ricorrere a corpi intermedi; ma come si può eseguire ciò praticamente? E’ questo appunto che si deve trovare ”.
E fu questo che trovò, infatti, e che divenne la ragione prima della sua esistenza. Anche i geni però devono mangiare, e la prima occupazione dopo la laurea Diesel la trovò grazie proprio al professor Linde, uno dei massimi geni dell'ingegneria, che gli propose di lavorare per la sua fabbrica di macchine per il ghiaccio. Così, paradossalmente, i primi passi di colui che doveva rivoluzionare il funzionamento delle macchine termiche si mossero nel campo del freddo.
Diesel doveva occuparsi della macchina per la produzione del ghiaccio e di quelle per il raffreddamento dei liquidi, aria e gas. Nonostante la giovane età, svolgeva contemporaneamente mansioni di ingegnere, costruttore, inventore, direttore di fabbrica, consigliere, organizzatore, commerciante. Lo si trovava al tavolo da disegno, ma anche in officina presso le macchine o nelle fabbriche dai clienti, instancabile persuasore della bontà dei suoi prodotti. A voler essere precisi, non vi è questo gran contrasto tra motore termico e macchina frigorifera. In fisica a partire da meno 273° centigradi, che è lo zero assoluto, la temperatura alla quale tutti i gas diventano inerti, fino alla temperatura solare ed oltre, tutto è calore.
Per il giovane Diesel, comunque, l’importante era occuparsi di macchine, comunque funzionassero. Nel settembre del 1881 ottenne il suo primo brevetto, su un processo per la preparazione del ghiaccio cristallino in bottiglie. Il secondo, conseguito poco tempo dopo, riguardava la fabbricazione di ghiaccio cristallino in blocchi. Non aveva però mai smesso di pensare a come risolvere l’interrogativo postogli dal professor Linde: il suo rovello su come migliorare il rendimento termico delle macchine a vapore e arrivare a consumare meno combustibile continuava a tormentarlo. Per sei anni, nei ritagli di tempo, il che voleva dire sostanzialmente di notte, lavorò a un motore funzionante a gas ammoniaco, che lo lasciava stordito e preda di lancinanti dolori di testa. La sua idea fondamentale era sempre quella di produrre del lavoro senza ricorrere al vapore. Vi erano già motori a gas, fin dal 1878, ma presentavano troppi inconvenienti, gli stessi del suo motore a gas d’ammoniaca che finalmente si decise ad abbandonare, cancellando il lavoro di anni. Gli si presentò insistente l’idea di impiegare nel suo motore l’aria sia come mezzo che fornisse del lavoro, sia come mezzo per bruciare il combustibile. Se la combustione e la produzione del lavoro avvenivano entrambe nel cilindro del motore, la caldaia a vapore non sarebbe più servita. Era l’intuizione che l’aveva colto di fronte all’acciarino pneumatico, con la differenza che nel suo motore il combustibile, finemente polverizzato, sarebbe stato soffiato nell’aria compressa arroventata, si sarebbe acceso spontaneamente e prodotto energia.
Diesel, in piena solitudine, stava seguendo una strada diversissima da quella intrapresa, per esempio, da Otto e Langen, con il loro motore a quattro tempi a benzina. Per il giovane tedesco la via da seguire era quella di un motore termico a combustione interna, il quale si basasswe sul principio che l’aria si riscalda se viene compressa e si raffredda quando torna ad espandersi. In sostanza, mentre nel motore a benzina, nel cilindro viene aspirata una miscela di aria e benzina e vi è l’accensione provocata da una scintilla elettrica emessa dalla candela, nel motore di Diesel (non ancora Dieselmotor) viene aspirata aria pura resa caldissima dalla compressione da quattro a otto volte superiore a quella del motore Otto; iniettando del combustibile nell’aria arroventata (ad oltre 600°) l’accensione avviene senza il ricorso a dispositivi elettrici.
L’enorme vantaggio che presentava questo motore era di poter funzionare con un combustibile molto meno raffinato, e perciò meno costoso, della benzina: ma questo Diesel non lo sapeva ancora. Diesel si differenziava dagli altri innovatori non soltanto nella direzione intrapresa, ma persino nel metodo. Egli non partì da tentativi empirici sui quali basarsi per formulare principi scientifici, come Otto; egli mosse dall’idea, fondata scientificamente, che una compressione molto forte del mezzo che produce lavoro, cioè dell’aria, sia la condizione necessaria per l’economia del lavoro stesso e per una combustione completa della sostanza.
Otto aveva proprio cercato all’inizio di evitare la compressione; Diesel optò invece per una compressione così eccezionale da essere preso sovente per pazzo. Otto non si basò su alcuna teoria scientifica; nella testa di Diesel vi era spazio soltanto per la teoria, e la sua vita si consumò nello sforzo immane di costringere la pratica a dimostrarla.
Il 28 febbraio 1892 depositò la richiesta di un brevetto per il suo motore che gli fu accordato l’anno dopo con il numero 67.207. In Germania allora un brevetto durava soltanto quindici anni: non c’era tempo da perdere, se si voleva trarne qualcosa. Con il suo progetto sotto il braccio Diesel partì alla conquista delle maggiori industrie del momento: la Maschinenfabrik di Augusta, la Krupp, la Deutz...ottenendo una serie di cortesi ma fermi rifiuti. Nessuno era disposto a finanziare la progettazione e la realizzazione di un motore così rivoluzionario, e soprattutto era chiaro che il brevetto riguardava un prototipo funzionante solo in teoria, per il quale ci sarebbero voluti parecchi anni prima di poter essere messo sul mercato.
Amareggiato e deluso, ma certamente non arreso, Diesel decise allora di pubblicare in un volume i suoi studi teorici, e nel gennaio 1893 comparve il suo “Teoria e costruzione di un motore termico razionale in sostituzione della macchina a vapore e dei motori a combustione oggi noti”. Voleva che fin dal titolo non vi fossero dubbi sulle sue intenzioni! Di colpo il suo nome cominciò a essere noto, e le sue idee a circolare. Si formarono correnti favorevoli e contrarie, sebbene il motore non fosse neanche ancora stato costruito: insomma, il mondo accademico si mosse, ed era proprio quel che voleva Diesel.
Quello che invece non poteva prevedere fu che le infinite sperimentazioni degli anni successivi lo portarono a realizzare un motore alquanto diverso dal previsto; e di questa divergenza con l’iniziale sua teoria i suoi detrattori e nemici ne approfittarono largamente, fino ad affermare che ciò che aveva fatto non presentava alcuna delle novità rivoluzionarie presentate in teoria.
In ogni modo, la pubblicazione delle sue idee servì a smuovere le acque; difatti nel 1893 la Maschinenfabrik di Augusta e la Krupp di Magdeburgo decisero, insieme, di condurre le ricerche in un laboratorio a spese comuni, e di tradurre in pratica la scoperta. Il contratto prevedeva anche che Diesel non dovesse occuparsi di altro che del suo motore, fino a quando non si fosse arrivati a poterlo offrire sul mercato.
Durante questo periodo avrebbe ricevuto 30.000 marchi da Krupp. Il laboratorio sarebbe sorto ad Augusta, altri esperimenti su problemi particolari sarebbero stati fatti ad Essen. Ora il problema per Diesel, che nello stesso anno aveva conseguito un secondo brevetto tedesco, il n. 82.168, diventava costringere il suo motore a funzionare.
Passarono alcune settimane di sperimentazioni incessanti, poi le settimane divennero mesi, i mesi anni, tra tensioni terribili, aspettative frenetiche, delusioni cocenti. Intanto il numero di industrie che aspettavano il risultato del lavoro di laboratorio aumentava di giorno in giorno, perché Diesel non cessava di coinvolgere uomini e imprese, vendendo i suoi brevetti in tutto il mondo industriale. Ogni volta sembrava si fosse al traguardo: ogni volta ci si rendeva conto con disperazione crescente di dover ricominciare da capo. Enormi difficoltà poneva la scelta del materiale, in quanto la notevolissima compressione suscitava attriti insostenibili, e altrettanti ne poneva la scelta del combustibile, che fu individuato prima nel gas, poi nella polvere di carbone, poi nella benzina e in vari tipi di olio, tra cui l’olio di paraffina, l’olio solare, oli greggi della Galizia e della Romania, oli di catrame di carbon fossile, oli di creosoto...Le spese salivano a dismisura, coloro che non avevano mai creduto in Diesel avevano buon gioco nel farsi beffe di chi ci aveva investito.
Se Diesel resistette a questa pressione insostenibile fu soprattutto grazie al grande amico e sostenitore Heinrich Buz, direttore della Maschinenfabrik, che non lo abbandonò mai ed era sempre pronto a perorare la sua causa di fronte al numero crescente di increduli. Fu solamente nel 1897 (quattro anni dopo) che si arrivò a un prototipo di motore Diesel a quattro tempi in grado di funzionare.
Le prove continuarono in realtà fino al 30 giugno 1900, con una spesa totale, sostenuta da Augusta e da Krupp, di quasi quattrocentocinquantamila marchi. A questi vanno aggiunte le indennità annue di trentamila marchi versate a Diesel, e si raggiunge perciò la cifra di seicentomila. Si trattò comunque di una somma coperta in pochi anni dalla vendita delle licenze di fabbricazione, in quanto le due ditte si erano riservate tutti i diritti per la Germania e alcuni diritti per altri paesi. Ora a Diesel non restava che cercare di vendere il suo brevetto nei paesi restanti, e sovrintendere all’avvio della fabbricazione, che si presentava sempre molto difficoltosa. Sembra cosa da poco, fu un martirio. Gli ingegneri incaricati non capivano come procedere; le guarnizioni non tenevano, lo stantuffo si corrodeva oppure il motore esplodeva, o si inceppava, o non partiva neanche... La stessa Deutz era passata per una serie di esperienze disastrose. Che la fabbrica più accreditata del mondo intero non riuscisse a venire a capo della costruzione del motore parve arrecare un colpo mortale.
Intanto però Diesel accumulava contratti, girava il mondo sia per propugnare il suo motore sia per risolverne i problemi legati alla effettiva costruzione, rivendicava l’inattaccabilità dei suoi brevetti, scriveva, teneva conferenze, conduceva vita mondana, manteneva relazioni importanti, si occupava di questioni sociali, con una dedizione alla causa che lo portò allo sfinimento mentale e fisico. Non trascurava neanche di continuare nelle ricerche: per esempio tentando di applicarsi alle automobili, una idea che l’aveva affascinato fin dagli inizi. Rimase però insormontabile la difficoltà legata alla progettazione di una pompa del carburante in grado di iniettare la giusta quantità di combustibile al momento giusto alla pressione giusta: un equilibrio difficilissimo.
Non esisteva nulla sul mercato che lo potesse aiutare. Fu soltanto nel 1923 che Robert Bosch fu in grado di escogitare una pompa a iniezione di precisione, così da risolvere il problema: dunque un tempo quattro volte superiore a quello che impiegò Diesel ad arrivare al suo motore definitivo, e che naturalmente ne ritardò molto la sua adozione sulle automobili. Fu questa forse la sua vera, grande sconfitta: non essere riuscito al momento a realizzare un motore utilizzabile dalle automobili come dalla piccola industria.
In questo obiettivo il suo genio di inventore si saldava al suo anelito di benefattore sociale, in quanto era consapevole delle difficoltà della piccola industria, e a maggior ragione dei singoli artigiani, di sostenere il costo di acquisto e di esercizio delle macchine a vapore, che hanno la caratteristica di consumare tanto più combustibile quanto più sono di dimensioni ridotte. Come conseguenza, le enormi macchine a vapore della grande industria potevano lavorare per cavallo di potenza prodotta sicuramente più a buon mercato che non quelle piccole, di cui si servivano gli artigiani. Arrivò anche a scrivere un libro sulla questione sociale, intitolata “Solidarismus”. Stampato in diecimila copie, ne vendette solo alcune decine, e fu uno dei più grandi dolori della sua vita.
Intanto, il 1° gennaio 1898, Rudolf Diesel aveva fondato ad Augusta la Dieselmotorenfabrik Augsburg A.G.: un altro tassello di una costruzione gigantesca sotto il cui peso la sua mente cominciò a vacillare. E questo, paradossalmente, tra il plauso generale: la stessa fondazione fu un successo, la gente si strappava di mano le azioni, facendone alzare vertiginosamente il valore, nonostante si trattasse di una fabbrica che non funzionava ancora. Tutto era sulla carta: il motore stesso, ancora in lentissima fase sperimentale, la fabbrica, le applicazioni industriali...ma intanto un meccanismo spaventoso di vendite e licenze, di industrie e diritti, di denaro ed investimenti si era messo in moto, e si andava espandendo ogni giorno di più.
Lo stesso Diesel era a capo di questo perverso meccanismo. Il 17 settembre dello stesso anno fondò un’altra società ancora, l’Allegemeine Gesellschaft fur Dieselmotoren AG, che doveva occuparsi esclusivamente dello sfruttamento dei brevetti. Un altro tassello del mosaico...le cui azioni non ebbero mai grande valore, e di cui non furono mai pagati dividendi.
Con il senno di poi, ci si può chiedere perché Diesel non avesse previsto tutte queste difficoltà, perché si sia occupato del lato finanziario prima che il motore fosse perfezionato. Una ragione sta nel fatto che egli era un teorico, per ciò stesso incapace di credere sul serio che qualcosa di teoricamente fondato non avesse un'immediata applicabilità pratica; lo spinse a questa fatale imprudenza anche il plauso così entusiasticamente suscitato dai suoi studi, l’appoggio che gli diede l’intero mondo industriale, la possibilità di diventare enormemente ricco, addirittura milionario, di potersi permettere la costruzione della più bella casa di Monaco...
Il 1900 portò un nuovo trionfo con cui ubriacarsi temporaneamente: il motore Diesel ottenne all’Esposizione mondiale di Parigi il Grand Prix. Una rivista francese passò in rassegna i progressi scientifici che avrebbero maggiormente colpito un visitatore dell’Esposizione 1889 che avesse ora visitato quella del 1900: tra i primi, oltre la bicicletta, l’automobile, le ferrovie elettriche, i raggi X, la fotografia a colori, la lampadina a luminiscenza, campeggiava il motore Diesel “il pezzo d’eccellenza del reparto motori dell’Esposizione”.
Nel maggio 1902, appena due anni dopo, esistevano complessivamente nel mondo 359 motori diesel eroganti 12.367 CV, parte già in funzione, parte in esecuzione; dieci anni dopo, nel 1912, in tutto il mondo lavoravano o erano in costruzione motori diesel per una forza di 1.720.000 CV, diventati due milioni prima della fine dell’anno.
Era pur sempre una diffusione troppo lenta, che non dava, non poteva dare, gli esiti economici sperati. Per compensare questi mancati introiti Diesel investiva in giacimenti di petrolio in Galizia, in acquisti fondiari, in società diverse: un’operazione più fallimentare dell’altra. Compì anche dei viaggi negli Stati Uniti, da cui tornò non particolarmente entusiasta dell’”american way of life”. Eppure la sua fama si spingeva, fin dal 1906, persino in Giappone, il primo grande transatlantico del mondo, il danese “Sealand”, aveva adottato il suo motore, e così la marina francese che cominciava a introdurlo come propulsore nei sottomarini.
All’Esposizione mondiale di Torino per il cinquantennio del Regno d’Italia, nel 1911, lo si chiamò a far parte della giuria. Quando fece il suo ingresso nella sala, fu accolto da un applauso scrosciante e fu annunciato come “la più grande personalità vivente del mondo tecnico”.
Sembrava quasi che più Diesel veniva riconosciuto e omaggiato, più cedeva sotto il peso della sua fama, divorato dall’ansia e dalla frenesia di arricchirsi e vendere il suo brevetto dappertutto.
La svolta drammatica si ebbe nell’estate del 1913. In quei mesi tormentosi, senza mai farne parola con nessuno e anzi mantenendo un’apparente inalterabile serenità, Diesel si convinse di aver perso l’intero suo patrimonio di cinque milioni di marchi e di essere prossimo all’indigenza più completa. Ma a spingerlo nel buio di una depressione senza ritorno fu soprattutto la sensazione di aver esaurito il suo compito, di aver smarrito la carica inventiva e progettuale che l’aveva fino a quel momento sostenuto. Questo non era sopportabile per un animo come il suo. Finse di organizzare un viaggio in mare alla volta di Ipswich, in Inghilterra, dove sorgeva una grande fabbrica di motori Diesel e durante la navigazione, nella notte tra il 29 e il 30 settembre 1913, scomparve dalla nave senza lasciare traccia. Nessuno vide o sentì niente. La mattina dopo, sul parapetto, furono ritrovati il suo cappello e il suo mantello, accuratamente ripiegato: nessun biglietto, o riga di spiegazione. Solamente dieci giorni dopo fu avvistato da un’altra imbarcazione un cadavere irriconoscibile, che però presentava addosso alcuni oggetti che il figlio riconobbe come appartenenti al padre.
Si chiuse così l’intensa, geniale, tormentata vita di Rudolf Diesel, capace di suscitare discussioni ben oltre la sua morte. Perché, in mancanza di un vero e proprio riconoscimento, di un indizio qualsiasi che potesse provare in maniera inconfutabile il suicidio, si scatenò una ridda di ipotesi una più rocambolesca dell’altra. Qualche giornale insinuò il sospetto che Diesel avesse intrapreso il suo viaggio in Inghilterra solo apparentemente per i suoi fatti privati, ma in realtà per cedere a Sua Maestà la Regina importanti brevetti per sommergibili (perché poi avrebbe dovuto tradire il suo paese non è chiaro). Un quotidiano di New York affermò addirittura che l’inventore era stato ucciso come traditore perché si disponeva a vendere a una nazione nemica il segreto degli U - Boot (da traditore a reo confesso e giustiziato); e un giornale inglese, nel 1914, scrisse che il governo tedesco, per assicurarsi importanti segreti relativi ai sottomarini, aveva fatto scomparire Diesel facendolo gettare in mare dai suoi emissari.
La realtà è meno fantasiosa. E soprattutto è beffarda: se solo Diesel avesse aspettato un anno, avrebbe visto annullati i suoi debiti dallo scoppio della prima guerra mondiale, che accelerò la prodigiosa diffusione del suo motore su sommergibili, navi, aerei, veicoli corazzati e pesanti, trattori, ridiede valore ai suoi investimenti in giacimenti e terreni...
Donatella Biffignandi
Centro di Documentazione del Museo Nazionale dell’Automobile di Torino (2002)
“IL MOTORE DIESEL” (tecnica e funzionamento)
Nella sua concezione di base, il motore cosiddetto Diesel è un apparato motore a combustione interna, quindi una macchina termica, caratterizzato da alimentazione con aria pura portata a compressione tale da raggiungere una temperatura superiore a quella di autoaccensione del combustibile. Quest’ultimo è rappresentato da nafta che viene iniettata nel motore alla fine della corsa di compressione dello stantuffo e quindi nel momento in cui avviene l’accensione e combustione. In genere tutti i motori a combustione interna sono caratterizzati dalla formazione, prima dell’inizio della combustione, di una miscela aria - carburante , dall’accensione di tale miscela e dalla successiva propagazione della fiamma a tutta la miscela contenuta nella camera a scoppio. Il ciclo ideale di questo genere di motori, nel loro funzionamento normale, è quello teorizzato da Otto e da Beau de Rochas e che è riassunto nelle seguenti fasi: aspirazione, compressione, combustione, espansione dei gas combusti, scarico di questi, espulsione dei residui della combustione. Nel motore Diesel si ha una combustione iniziale a volume costante (prevista nel dimensionamento degli organi resistenti del motore) e una fase successiva di completamento della combustione pure a pressione costante. Per il resto il ciclo è sostanzialmente identico a quello di Otto. Nella fase di aspirazione del Diesel, lo stantuffo scende e richiama nel cilindro una corrente d’aria pura. Quindi lo stantuffo risale (compressione) a valvole chiuse e l’aria compressa ha un forte aumento di temperatura nello spazio morto del cilindro. In prossimità del punto morto superiore (con cilindro verti cale) il polverizzatore si apre e la nafta, finemente polverizzata, incontra l’aria fortemente riscaldata dalla compressione, e si accende bruciando man mano che entra. Lo stantuffo, nella fase di espansione, ridiscende, permettendo l’espansione dei gas combusti. Nella successiva corsa di salita (espulsione) lo stantuffo espelle dalla stessa valvola i residui della combustione. Il motore Diesel, fin dall’inizio, presentava dei vantaggi rispetto ad altri apparati termici ed ai motori a gas o benzina: poteva utilizzare la nafta, meno costosa della benzina e meno infiammabile, quindi meno pericolosa; aveva un maggior rendimento del motore a carburazione per i maggiori rapporti di compressione ed i minori rapporti di combustione; infine si prestava bene per il funzionamento in 2 tempi, data l’assenza del combustibile nell’aria di lavaggio. Per contro, aveva gli inconvenienti di un maggior peso a parità di cilindrata, date le maggiori pressioni massime a cui adeguare i suoi organi. Ed inoltre, una minore pressione media effettiva, una regolazione più delicata specie per le piccole cilindrate, un maggior pericolo d’inquinamento del lubrificante da parte di quelle frazioni di nafta che passano incombuste nel carter attraverso i segmenti degli stantuffi. Mentre per i motori a benzina, quest’ultima trova nel numero di ottano (No) la sua indicazione di potere indetonante, nel motore Diesel si è ricorsi al numero di cetano e, successivamente, al numero di cetene. Il numero di cetano è quindi l’indice dell’attitudine di un combustibile a essere impiegato nei Diesel ed è definito come la percentuale di cetano contenuta nel miscuglio con alfa - metilnaftalene, che da’ un ritardo all’accensione. Poiché tale ritardo è in stretta relazione con la temperatura di accensione spontanea, si rende opportuno un valore di riferimento del combustibile. L’idrocarburo liquido denominato cetene è più infiammabile del cetano e brucia immediatamente appena iniettato, dando un funzionamento più elastico e regolare al motore Diesel, sebbene risulti più instabile del cetano. Un motore Diesel ha un buon funzionamento e perciò una buona combustione quando lo scarico dei gas è praticamente invisibile. La colorazione nera significa combustione difettosa per scarsità d’aria mentre la colorazione bianca opaca del fumo rimanda a una accensione difettosa per insufficiente temperatura. L’evoluzione del motore Diesel ha conosciuto un vero e proprio boom dalla metà degli anni novanta. Di conseguenza è enormemente cresciuto il numero di automobili Diesel anche in conseguenza delle normative europee. La Fiat, nel 1987, è stata la prima casa ad avere introdotto l’iniezione diretta. Dieci anni dopo ha lanciato i propulsori Jtd, dotati del rivoluzionario sistema d’iniezione common rail Unijet, ideato e sviluppato dal Gruppo Fiat e in seguito ceduto alla Bosch per la fase finale dello sviluppo e dell’industrializzazione.

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museoauto.it - 22 marzo 2017



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