Edmund Spenser e il suo capolavoro, La regina delle fate.

"Il destino della farfalla" di Edmund Spenser
Di qual maggior felicità potrebbe godere una creatura
se non del piacere della libertà
e l’essere signora delle opere della natura.
Regnare sull’aria dalla terra al più alto dei cieli.
Sorvolare fiori ed erbe del glorioso creato.
Catturare ogni qualcosa possa appagare l’occhio.


GRANDI PERSONAGGI Ritengo che ripercorrere le vite dei maggiori personaggi della storia del pianeta, analizzando le loro virtù e i loro difetti, le loro vittorie e le loro sconfitte, i loro obiettivi, il rapporto con i più stretti collaboratori, la loro autorevolezza o empatia, possa essere un buon viatico per un imprenditore come per una qualsiasi persona. In questa sottosezione figurano i più grandi poeti e letterati che ci hanno donato momenti di grande felicità ed emozioni. Io associo a questi grandi letterati una nuova stella che nasce nell'universo.

I BRITANNICI

Beckett - Blake - Byron - Chaucer - Coleridge - Dickens - Donne - Dryden - Eliot - Keats - Kipling - Marlowe - Milton - Russell - Scott - Shakespeare - Shaw - Shelley - Spenser - Wyatt- Wilde -Wordsworth - Yeats -



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Edmund Spenser (Londra, 1552 circa – Londra, 13 gennaio 1599) è stato un importaqnte poeta . È stato Poet Laureate (poeta di Stato) sotto il regno di Elisabetta I d'Inghilterra.
Figura controversa a causa del suo zelo nella distruzione della cultura irlandese, Edmund Spenser nacque intorno al 1552. Studiò nella Merchant Taylors School e in seguito si laureò all'Università di Cambridge. Iniziò come militare andando negli anni settanta in Irlanda, al servizio di Arthur Grey, nuovo Lord Luogotenente d'Irlanda. Nel 1579-80 combatté nella seconda ribellione di Desmond, vinta dagli inglesi. In questo modo gli furono assegnate delle terre a Cork confiscate alla piantagione di Munster.
Attraverso la poesia Spenser sperava di assicurarsi un posto a corte, dove presentò la sua opera più famosa, The Faerie Queene; ebbe dei contrasti con William Cecil (lord Burghley) ma nonostante ciò ricevette una "pensione" nel 1591.

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Nel 1596 scrisse un pamphlet intitolato A View of the Present State of Ireland, che venne pubblicato soltanto a metà del XVII secolo. Probabilmente fu pubblicato postumo a causa del contenuto "scottante": in esso si sostiene che l'Irlanda non avrebbe potuto essere "pacificata" dagli inglesi finché fossero rimaste la lingua e i costumi locali; bisognava fare terra bruciata per causare una carestia che avrebbe decimato il popolo (era una strategia che aveva visto mettere in pratica durante la sua carriera militare).
Il paradosso proposto da Spenser era che solo non rispettando la legge essa poteva essere stabilita in Irlanda. Dopo la pubblicazione l'opera è stata vista come una prosa polemica e fonte storica per l'Irlanda del XVI secolo, ma oggi si ritiene che l'intento di Spenser fosse il genocidio. Malgrado faccia alcuni elogi alla tradizione poetica in gaelico, Spenser tenta di dimostrare che gli irlandesi discendano dai barbari celti.
Spenser fu cacciato dalla sua casa dai ribelli irlandesi durante la guerra dei nove anni nel 1598; il suo castello a Kilcolman fu bruciato e nell'incendio morì uno dei suoi figli. Ritornò a Londra nel 1598, dove morì nella depressione nel 1599 a 47 anni.
Poesia
La prima opera che portò fama a Spenser fu una collezione di egloghe chiamata The Shepheards Calendar; essa è un'opera allegorica scritta dal punto di vista di vari pastori attraverso i mesi dell'anno, suddivisa in 12 ecloghe (brevi poesie pastorali nella forma di un soliloquio o di un dialogo tra pastori). Chiaramente ispirata alle Bucoliche di Virgilio. La più nota delle ecloghe è la quarta, April, dedicata a Elisabetta.
The Faerie Queene un poema allegorico cavalleresco.
Dei 12 libri progettati, riuscì a completarne soltanto 6 prima della sua morte. L'opera resta tuttavia il più lungo poema epico scritto in lingua inglese e ha ispirato diversi autori (John Milton, John Keats, James Joyce, Ezra Pound).
Inventò un tipo di verso che divenne poi noto come "Strofa spenseriana" (Spenserian stanza) e fu ripreso nelle poesie di poeti come William Wordsworth, John Keats, Lord Byron e Alfred Tennyson. Il linguaggio che usa nelle sue poesie è volutamente arcaico; richiama opere precedenti come I racconti di Canterbury di Geoffrey Chaucer, che Spenser ammirava molto. Epithalamion è l'opera più apprezzata, nel suo genere, in lingua inglese. Fu scritta in occasione del matrimonio per la sua giovane moglie Elizabeth Boyle e fu pubblicato contemporaneamente agli Amoretti nel 1595.

Blatant Beast (Bestia palese)

Blatant Beast è un epiteto con cui Spenser si riferiva agli schiamazzi ignoranti e diffamatori della plebe. Comunque l'espressione usata in The Faerie Queene indica la maldicenza in generale e Spenser mostra come essa rovini il mondo, nascendo dapprima dalla Corte (non dai villaggi o dai bassifondi) e causando rovina dovunque essa vada, finché addirittura penetra nei monasteri. Soltanto Calidoro, il più cortese dei cavalieri, è in grado di domare, incatenare e imprigionare la Blatant Beast, che alla fine riesce però a liberarsi e tuttora causa rovina nel mondo.

    Faerie Queene. Book v. Proem. St. 3.
Let none then blame me, if in discipline
Of vertue and of civill uses lore,
I doe not forme them to the common line
Of present dayes, which are corrupted sore,
But to the antique use which was of yore,
When good was onely for it selfe desyred,
And all men sought their owne, and none no more;
When Justice was not for most meed out-hyred,
But simple Truth did rayne, and was of all admyred.
    Faerie Queene. Book iii. Canto xi. St. 54.
And as she lookt about, she did behold,
How over that same dore was likewise writ,
Be bold, be bold, and every where be bold,
That much she muz'd, yet could not construe it
By any ridling skill, or commune wit.
At last she spyde at that roomes upper end,
Another yron dore, on which was writ,
Be not too bold; whereto though she did bend
Her earnest mind, yet wist not what it might intend.


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Edmund Spenser nacque a Londra nel 1552. Nel 1576 si laureò all’università di Cambridge e fu al servizio di uomini autorevoli, come il vescovo di Rochester. Partecipò alla colonizzazione di una parte dell’isola ma fu poi allontanato dai ribelli che incendiarono la sua dimora. Nelle sue opere cantò la supremazia del governo inglese su quello feudale irlandese. Si ispirò a Virgilio e alle sue “Bucoliche”, componendo dodici ecloghe che perlopiù descrivono il mondo di corte. Tutte le ecloghe comprendono una “glossa”, cioè un commento a margine (di Spencer o di un suo anonimo amico) che serve a chiarire parti oscure dovute al lessico arcaico. “The Faerie Queen” (il capolavoro di Spenser) è dedicato alla regina, designata “Regina delle fate”. L’epica è quel genere che rievoca le imprese fondatrici della cultura di un popolo: proprio per questo possiamo affermare che “The Faerie Queen” costituisce il primo poema epico inglese. L’opera doveva essere composta da dodici libri suddivisi a loro volta in dodici canti. Il “dodici” rappresentava sia il numero delle virtù istituite da Aristotele nell’ “Etica Nicomachea”, sia il numero dei giorni di festeggiamento per l’ascesa al trono di Elisabetta (impersonata da Gloriana, regina delle fate). Il ritmo melodioso è accompagnato dalla rima ABABBCBC più un esametro finale. Il poema è all’altezza non solo di prodotti epici come l’ “Eneide”, ma anche di opere come l’ “Orlando Furioso” o la “Gerusalemme Liberata”. Per questo “The Faerie Queen” può essere considerata insieme epica e romanzo, dove il nucleo centrale è costituito da Gloriana-Elisabetta, attorno al quale agiscono i cavalieri. Nel VI libro Calidore si arrampica sul monte Acidale, dove ha l’occasione di assistere, non visto, alla danza di cento ninfe che si muovono al suono del piffero di Colin Clout. Tra le cento fanciulle vi sono tre donne, le tre Grazie, che offrono i doni del corpo e della mente e rappresentano l’offerta, il gradimento e la restituzione dei benefici. Tali donne possono essere evocate solo attraverso il suono allettante della poesia, qui trasfigurata nella musica del piffero. Al centro delle tre Grazie vi è un’altra donna, che rappresenta l’amore o probabilmente il potere di Elisabetta. Gli sfondi di Spenser sono perlopiù scenari fantastici, come castelli incantati e foreste fatate. Nelle dimore incantate i cavalieri incontrano fate ed affrontano streghe e draghi. In questi luoghi nulla indica una cosa sola e per vincere un cavaliere deve interpretare bene i “segni” che incontra lungo il suo cammino. “Amoretti” è una raccolta di ottantanove sonetti dedicata da Spenser alla seconda moglie, Elizabeth Boyle. L’omonimia con il nome della regina consentiva all’autore di parlare contemporaneamente di amore privato e amore politico. Nel Sonetto 73 egli loda addirittura le tre Elisabetta che hanno valorizzato la sua vita: la moglie, la madre e la regina. Nell’opera si sviluppa una storia d’amore che trabocca di desiderio ardente. “Epithalamion” è un’opera che esalta la felicità coniugale raggiunta attraverso il matrimonio. Secondo l’etimologia greca, infatti, l’ “epithalamion” è una canzone cantata davanti la porta d’ingresso della camera nuziale. (Claudia Mercia)


Elenco delle opere

  • The Shepheardes Calender (1579)
  • The Faerie Queene (1590, 1596, 1609)
  • Complaints (1591)
  • Daphnaïda (1594)
  • Colin Clouts Come home againe (1595)
  • Astrophel (1595)
  • Amoretti (1595)
  • Epithalamion (1595)
  • Four Hymns (1596)
  • Prothalamion (1596)
  • A View of the Present State of Ireland (circa 1598)

POESIE

One day I wrote her name

One day I wrote her name upon the strand,
But came the waves and washèd it away:
Again I wrote it with a second hand,
But came the tide and made my pains his prey.
Vain man (said she) that dost in vain assay
A mortal thing so to immortalise;
For I myself shall like to this decay,
And eke my name be wipèd out likewise.
Not so (quod I); let baser things devise
To die in dust, but you shall live by fame;
My verse your virtues rare shall eternise,
And in the heavens write your glorious name:
Where, when as Death shall all the world subdue,
Our love shall live, and later life renew.


Traduzione

Un giorno scrissi il suo nome sulla sabbia,
ma vennero le onde e lo cancellarono:
lo scrissi con un'altra mano (di nuovo),
ma venne la marea e fece dei miei sforzi le sue preghiere.

Uomo stolto, disse lei, che fai cose stupide,
che cerchi di rendere immortale quello che è mortale,
perchè io stessa farò la medesima fine,
e anche il mio nome sarà spazzato via nello stesso modo.

Non sarà così, (dissi io), lascerai le cose più vili
morire nella polvere, ma tu vivrai di fama:
i miei versi renderanno eterne le tue virtù,
e scriverò il tuo glorioso nome nell'eterno.

Quando la morte sottometterà tutto il mondo,
il nostro amore vivrà e più tardi sarà rinnovata la vita.

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Amoretti N. 65

Traduzione Letterale
(Carmelo Mangano)

The doubt which you misdeem, fair love, is vain,
Il dubbio che tu giudichi male, bell’amore, è vano,
That fondly fear to lose your liberty,
Quella ingenua paura di perdere la tua libertà,
When losing one, two liberties you gain,
Quando perdendone una, tu acquisisci due libertà,
And make him bond that bondage erst did fly.
E la leghi con quel legame (che) una volta volò.
Sweet be the bands, the which true love doth tie,
Dolci siano i legami, che il vero amore lega,
Without constraint or dread of any ill:
Senza restrizione o timore di nessun male:
The gentle bird feels no captivity
Il delicato uccello non sente nessuna cattività
Within her cage, but sings and feeds her fill.
Dentro la sua gabbia, ma canta e si sazia di cibo.
There pride dare not approach, nor discord spill
Lì l’orgoglio non osa avvicinarsi, nè versa discordia
The league 'twixt them, that loyal love hath bound: between
Il legame fra di loro, che leale amore ha legato:
But simple truth and mutual good will,
Ma la semplice verità e mutua buona volontà,
Seeks with sweet peace to salve each others' wound:
Cerca con dolce pace di salvare la ferita di entrambi:
There faith doth fearless dwell in brazen tower,
Lì la fede abita impavida (senza paura) in una sfrontata torre,
And spotless pleasure builds her sacred bower.
Ed un piacere senza macchia costruisce la sua sacra alcova.

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The Shepheardes Calender

To his book

⁠Goe little booke: thy selfe present
As child whose parent is vnkent:
To him that is the president
Of noblesse and of cheualree,
And if that Enuie barke at thee,
As sure it will, for succoure flee
⁠Vnder the shadow of his wing,
And asked, who thee forth did bring,
A shepheards swaine saye did thee sing,
All as his straying flocke he fedde:
And when his honor has thee redde,
Craue pardon for my hardyhedde.
⁠But if that any aske thy name,
Say thou wert base begot with blame:
For thy thereof thou takest shame.
And when thou art past ieopardee,
Come tell me, what was sayd of mee:
And J will send more after thee.

Prima egloga. Gennaio

Shepeheards boye (no better doe him call)⁠
when Winters wastful spight was almost spent,
All in a sunneshine day, as did befall,
Led forth his flock, that had bene long ypent.
So faynt they woxe, and feeble in the folde,
That now vnnethes their feete could them vphold.

All as the Sheepe, such was the shepeheards looke,
For pale and wanne he was, (alas the while,)
May seeme he loud, or els some care he tooke:
Well couth he tune his pipe, and frame his stile.
Tho to a hill his faynting flocke he ledde,
And thus him playnd, the while his shepe there fedde.

Ye Gods of loue, that pitie louers payne,
(If any gods the paine of louers pitie:)
Looke from aboue, where you in ioyes remaine,
And bowe your eares vnto my dolefull dittie.
And Pan thou shepheards God, that once didst loue,
Pitie the paines, that thou thy selfe didst proue.

Thou barrein ground, whome winters wrath hath wasted,
Art made a myrrhour, to behold my plight:
Whilome thy fresh spring flowrd, and after hasted
Thy sommer prowde with Daffadillies dight.
And now is come thy wynters stormy state,
Thy mantle mard, wherein thou mas-kedst late.

Such rage as winters, reigneth in my heart,
My life bloud friesing with vnkindly cold:
Such stormy stoures do breede my balefull smart,
As if my yeare were wast, and woxen old.
And yet alas, but now my spring begonne,
And yet alas, yt is already donne.

You naked trees, whose shady leaues are lost,
Wherein the byrds were wont to build their bowre:
And now are clothd with mosse and hoary frost,
Instede of bloosmes, wherwith your buds did flowre:
I see your teares, that from your boughes doe raine,
Whose drops in drery ysicles remaine.

All so my lustfull leafe is drye and sere,
My timely buds with wayling all are wasted:
The blossome, which my braunch of youth did beare,
With breathed sighes is blowne away, & blasted,
And from mine eyes the drizling teares descend,
As on your boughes the ysicles depend.

Thou feeble flocke, whose fleece is rough and rent,
Whose knees are weake through fast and euill fare:
ayst witnesse well by thy ill gouernement,
Thy maysters mind is ouercome with care.
Thou weake, I wanne: thou leane, I quite forlorne:
With mourning pyne I, you with pyning mourne.

A thousand sithes I curse that carefull hower.
Wherein I longd the neighbour towne to see:
And eke tenne thousand sithes I blesse the stoure,
Wherein I sawe so fayre a sight, as shee.
Yet all for naught: such sight hath bred my bane.
Ah God, that loue should breede both ioy and payne.

It is not Hobbinol, wherefore I plaine,
Albee my loue he seeke with dayly suit:
His clownish gifts and curtsies I disdaine,
His kiddes, his cracknelles, and his early fruit.
Ah foolish Hobbinol, thy gyfts bene vayne:
Colin them giues to Rosalind againe.

I loue thilke lasse, (alas why doe I loue?)
And am forlorne, (alas why am I lorne?)
Shee deignes not my good will, but doth reproue,
And of my rurall musick holdeth scorne.
Shepheards deuise she hateth as the snake,
And laughes the songes, that Colin Clout doth make.

Wherefore my pype, albee rude Pan thou please,
Yet for thou pleasest not, where most I would:
And thou vnlucky Muse, that wontst to ease
My musing mynd, yet canst not, when thou should:
Both pype and Muse, shall sore the while abye.
So broke his oaten pype, and downe dydlye.

By that, the welked Phœbus gan availe,
His weary waine, and nowe the frosty Night
Her mantle black through heauen gan ouerhaile.
Which seene, the pensife boy halfe in despight
Arose, and homeward droue his sonned sheepe,
Whose hanging heads did seeme his carefull case to weepe.

 


21 dicembre 2023 - Eugenio Caruso


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