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Charles-Louis di Montesquieu ha teorizzato la separazione dei poteri

«Siccome tutte le cose umane hanno una fine lo Stato di cui parliamo perderà la sua libertà, perirà. Roma, Sparta e Cartagine sono pur perite. Perirà quando il potere legislativo sarà più corrotto di quello esecutivo. Non sta a me esaminare se gli Inglesi godano attualmente di questa libertà o no. Mi basta dire che essa è stabilita dalle loro leggi, e non chiedo di più. Non pretendo con ciò di avvilire gli altri governi, né dichiarare che questa libertà politica estrema debba mortificare quelli che ne hanno soltanto una moderata. Come potrei dirlo io, che credo che non sia sempre desiderabile nemmeno l'eccesso della ragione; e che gli uomini si adattino quasi sempre meglio alle istituzioni di mezzo che a quelle estreme?» (libro XI di Lo spirito delle leggi, Montesquieu)


GRANDI PERSONAGGI STORICI Ritengo che ripercorrere le vite dei maggiori personaggi della storia del pianeta, analizzando le loro virtù e i loro difetti, le loro vittorie e le loro sconfitte, i loro obiettivi, il rapporto con i più stretti collaboratori, la loro autorevolezza o empatia, possa essere un buon viatico per un imprenditore come per una qualsiasi persona. In questa sottosezione figurano i più grandi poeti e letterati che ci hanno donato momenti di grande felicità ed emozioni. Io associo a questi grandi personaggi una nuova stella che nasce nell'universo.

FRANCESI

Balzac - Baudelaire - Camus - Corneille - Eluard - Flaubert - France - Gide - Mauriac - Molière - Proust - Montesquieu - Rabelais - Racine - Rousseau - Villon - Voltaire -

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«Il grande ideale liberale di Montesquieu è una vita umana ricca, multiforme, sfaccettata, complessa, in cui il potere politico e l'ordine giudiziario mettano i cittadini al riparo da qualunque prevaricazione.» (Prefazione di Giuseppe Bedeschi a Pensieri, RCS MediaGroup, 2011)

Charles-Louis de Secondat, barone di La Brède e di Montesquieu, meglio noto solamente come Montesquieu (La Brède, 18 gennaio 1689 – Parigi, 10 febbraio 1755), è stato un filosofo, giurista, storico e pensatore politico. È considerato il fondatore della teoria politica della separazione dei poteri.
Charles-Louis de Secondat nacque da un'illustre famiglia di giuristi appartenente alla nobiltà di toga aquitana, in particolare della provincia della Gironda. Figlio di Jacques de Secondat, barone di Montesquieu, e di Marie-Françoise de Pesnel, baronessa di la Brède, venne alla luce nel castello di La Brède, nell'allora circondario di Bordeaux.
Dopo avere studiato nel famoso collegio dei padri oratoriani di Juilly venne indirizzato agli studi giuridici, che completò nel 1708. Nel 1714 era già consigliere del parlamento di Bordeaux. Nel 1715 il matrimonio con Jeanne de Lartigue, proveniente da una ricca famiglia ugonotta neo-nobiliare, gli consentì di ricevere una notevole dote. Nel 1716 morì lo zio paterno, da cui ereditò il titolo nobiliare, il patrimonio e la carica di presidente dello stesso Parlamento.
Studioso, tanto appassionato di problemi giuridici quanto di scienze naturali e di fisica, venne accolto all'Accademia delle Scienze di Bordeaux, dove presentò e discusse interessanti memorie dedicate ad argomenti scientifici e filosofici. Scrisse memorie di anatomia, botanica, fisica, etc., tra cui Les causes de l'écho, Les glandes rénales et La cause de la pesanteur des corps.
Con schietto atteggiamento illuminista considerò la religione come instrumentum regni e all'Accademia lesse persino una Dissertation sur la politique des Romains en matière de religion 1716 assumendo quell'atteggiamento critico nei confronti della Chiesa che lo portò a condannare ogni forma di acquiescenza dell'uomo sia verso essa sia verso lo Stato.
La sua fama, ancora ristretta all'ambito provinciale, si accrebbe enormemente con la pubblicazione delle Lettres Persanes (1721; Lettere Persiane). Pubblicate anonime (ma ben presto si seppe il nome dell'autore), le Lettere Persiane, il suo primo capolavoro, offrono il pretesto all'autore, nel descrivere l'immaginario viaggio in Europa di due persiani, Usbek e Rica, di fare un'acuta analisi dei costumi e della società del tempo (l'arco temporale delle lettere va dal 1711 al 1720) con profonde riflessioni filosofiche unite a uno spirito irriverente e spesso ironico e satirico. Il libro si conclude con una doppia catastrofe: in occidente, a Parigi, con il crollo del sistema politico e finanziario di John Law; in Oriente con la rivolta del serraglio, ovvero dell'harem che Usbek, grande signore, manteneva a Ispahan (la capitale, allora, del Regno di Persia). Nell'ultima celeberrima lettera, indirizzata al marito Usbek, la moglie favorita, Roxane, gli confessa il suo tradimento e descrive il suo suicidio "in tempo reale", come diremmo oggi.
A causa dei debiti nel 1726 mise in vendita la sua carica, pur conservando il diritto ereditario su di essa. In seguito all'elezione nell'Académie française (1728) intraprese numerosi viaggi in Europa: Austria, Ungheria, Italia (1728), Germania (1729), Paesi Bassi e Inghilterra (1730), il cui soggiorno si dilungò per circa un anno. In questi viaggi si occupò attentamente della geografia, dell'economia, della politica e dei costumi dei Paesi che visitava.
Il 12 maggio 1730 fu iniziato alla Massoneria nella Loggia della "Horn Tavern" di Londra[3]. Secondo un'altra fonte, invece, fu iniziato nel 1720 e nel 1725 fu tra i fondatori della prima loggia parigina.
Di ritorno al castello De la Brède, nel 1734, pubblicò una riflessione storica intitolata Considérations sur les causes de la grandeur des Romains et de leur décadence (Considerazioni sulle cause della grandezza dei romani e della loro decadenza), coronamento dei suoi viaggi, e raccolse numerosi documenti per preparare l'opera della sua vita: De l'esprit des lois (Lo spirito delle leggi). Pubblicato anonimo nel 1748 grazie anche all'aiuto di Mme de Tencin, tale capolavoro ebbe un successo enorme, soprattutto in Gran Bretagna. Esso stabilisce i principi fondamentali delle scienze economiche e sociali e concentra tutta la sostanza del pensiero liberale. A seguito degli attacchi che il suo libro subì, Montesquieu pubblicò nel 1750 la Défense de l'Esprit des lois (Difesa dello spirito delle leggi).
Dopo la pubblicazione di Lo spirito delle leggi Montesquieu fu circondato da un vero e proprio culto. Egli continuò i suoi viaggi in Ungheria, in Austria e in Italia, dove soggiornò un anno e nel Regno Unito, in cui si fermò per un anno e mezzo. Afflitto dalla quasi totale perdita della vista, riuscì a partecipare comunque alla stesura dell'Encyclopédie. Morì nel 1755 a causa di una forte infiammazione.

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Il castello di La Brède, dove Montesquieu scrisse la maggior parte delle sue opere e che ospita la sua biblioteca


Le Lettere persiane
Le Lettere persiane è un romanzo epistolare scritto nel 1721, che presenta i caratteri consueti a molte opere appartenenti al primo illuminismo. È una pungente satira dei costumi francesi, analizzati dal punto di vista di due viaggiatori persiani, Usbek e Rica, due giovani colti e ricchi, appartenenti all'alta società. I sarcasmi delle lettere non risparmiano né le istituzioni, né gli uomini del tempo. I personaggi, essendo stranieri, vedono la Francia in modo distaccato, criticando vita e costumi di una società cattolica e assolutistica. Con la figura di Luigi XIV Montesquieu vuole colpire il regime monarchico, delineando la sua concezione politica in netto contrasto con l'assolutismo di Thomas Hobbes (1588 - 1679).
Per ciò che trattano le lettere preannunciano lo spirito critico proprio dello "Spirito delle leggi", volto ad analizzare le caratteristiche, appunto, dello "spirito" che accomuna tutte le leggi umane. Da qui parte la forte critica al dispotismo di tipo orientale basato sulla paura (crainte, terreur), sia del despota (Usbek) di venire disobbedito e tradito sia dei sudditi (mogli, eunuchi) di essere puniti, sorretta da leggi religiose che rendono questo sistema sociale auto-perpetuantesi, seppur con l'importante eccezione del tradimento e del suicidio di Roxane, con il quale si conclude il libro. Tutta l'analisi verrà ripresa e articolata nello "Spirito delle leggi".
Lo stile di quest'opera è contraddistinto da due mode letterarie allora in voga: la descrizione di tipo documentaristico dei paesi stranieri e le impressioni di stranieri 'stupiti' degli usi e costumi della società occidentale, così differenti da quelli orientali, con i quali vengono costantemente comparati. Montesquieu fa una critica feroce alla società europea (ma anche orientale), senza risparmiare la Chiesa, i dogmi cristiani (ma anche quelli islamici), le istituzioni politiche e il loro funzionamento. Nello stesso tempo, Montesquieu afferma i valori della libertà e della tolleranza.

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Lo spirito delle leggi
Montesquieu pubblica la sua opera più importante e monumentale, Lo spirito delle leggi (L'esprit des lois), frutto di quattordici anni di lavoro, anonimamente nella Ginevra di Jean-Jacques Rousseau, nel 1748. Due volumi, trentuno libri, un lavoro tra i maggiori della storia del pensiero politico. Una vera e propria enciclopedia del sapere politico e giuridico del Settecento.
L'opera venne attaccata da gesuiti e giansenisti e messa all'Indice (Index Librorum Prohibitorum) nel 1751, dopo il giudizio negativo della Sorbona. Nel libro XI di Lo spirito delle leggi Montesquieu traccia la teoria della separazione dei poteri. Partendo dalla considerazione che il "potere assoluto corrompe assolutamente", l'autore analizza i tre generi di poteri che vi sono in ogni Stato: il potere legislativo (fare le leggi), il potere esecutivo (farle eseguire) e il potere giudiziario (giudicarne i trasgressori). Condizione oggettiva per l'esercizio della libertà del cittadino, è che questi tre poteri restino nettamente separati.
Montesquieu cercò di dimostrare come, sotto la diversità degli eventi, la storia abbia un ordine e manifesti l'azione di leggi costanti. Ogni ente ha le proprie leggi. Le istituzioni e le leggi dei vari popoli non costituiscono qualcosa di casuale e arbitrario, ma sono strettamente condizionate dalla natura dei popoli stessi, dai loro costumi, dalla loro religione e sicuramente anche dal clima. Al pari di ogni essere vivente anche gli uomini, e quindi le società, sono sottoposte a regole fondamentali che scaturiscono dall'intreccio stesso delle cose.
Queste regole non debbono considerarsi assolute, cioè indipendenti dallo spazio e dal tempo; esse al contrario, variano al mutare delle situazioni; come i vari tipi di governo e delle diverse specie di società. Ma, posta una società di un determinato tipo, sono dati i principi ai quali essa non può derogare, pena la sua rovina. Ma quali sono i tipi fondamentali in cui si può organizzare il governo degli uomini?
Montesquieu ritiene che i modi di governo degli uomini siano essenzialmente tre: la repubblica, la monarchia e il dispotismo. Ciascuno di questi tre tipi ha propri princìpi e proprie regole da non confondersi tra loro.

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Frontespizio del secondo volume del De l'esprit des loix in un'edizione del 1749


Il principio che è alla base della repubblica è, secondo Montesquieu, la virtù, cioè l'amor di patria e dell'uguaglianza; il principio della monarchia è l'onore ossia l'ambizione personale; il principio del dispotismo, la paura che infonde nei cuori dei sudditi.

«Tali sono i principi dei tre governi; ciò non significa che in una certa repubblica si sia virtuosi, ma che si deve esserlo. Ciò non prova neppure che in una certa monarchia si tenga in conto l’onore e che in uno Stato dispotico particolare domini il timore; ma solo che bisognerebbe che così fosse, senza di che il governo sarà imperfetto.»

La repubblica è la forma di governo in cui il popolo è al tempo stesso monarca e suddito; il popolo fa le leggi e elegge i magistrati, detenendo sia la sovranità legislativa sia quella esecutiva.
Al polo opposto della repubblica vi è il dispotismo, nel quale una singola persona accentra in sé tutti i poteri e di conseguenza lede la libertà dei cittadini. Montesquieu fa trasparire profonda avversione per ogni forma di dispotismo, poiché sono le leggi a doversi conformare alla vita dei popoli e non viceversa.
Montesquieu fu grande ammiratore del sistema inglese. Infatti in Gran Bretagna regnava un sistema di separazione dei poteri che garantiva il più alto livello di libertà al mondo. A differenza di come spesso si dice, Montesquieu non aspira a traghettare in Francia il modello rappresentativo inglese. Egli si oppone all'assolutismo auspicando la riconquista di uno spazio per quei poteri intermedi di origine feudale, come i parlamenti, che detenevano il potere giudiziario in Francia e che l'avanzare dell'assolutismo aveva progressivamente svuotato. Il filosofo si pone così come difensore di istituzioni che avevano fatto il loro tempo, ma pur con uno sguardo nostalgico verso il passato egli apre la strada alla politica moderna perfezionando la teoria della separazione dei poteri già presente in Locke.
La tesi fondamentale - secondo Montesquieu - è che può dirsi libera solo quella costituzione in cui nessun governante possa abusare del potere a lui affidato. Per contrastare tale abuso bisogna fare sì che "il potere arresti il potere", cioè che i tre poteri fondamentali siano affidati a mani diverse, in modo che ciascuno di essi possa impedire all'altro di esorbitare dai suoi limiti e degenerare in tirannia. La riunione di questi poteri nelle stesse mani, siano esse quelle del popolo o del despota, annullerebbe la libertà perché annullerebbe quella "bilancia dei poteri" che costituisce l'unica salvaguardia o "garanzia" costituzionale in cui risiede la libertà effettiva. "Una sovranità indivisibile e illimitata è sempre tirannica".
L'argomento della libertà è sicuramente molto importante, però questa parola, secondo il filosofo, è spesso confusa con altri concetti, come, per esempio, quello dell'indipendenza. Nella democrazia sembra che il popolo possa fare quello che vuole, il potere del popolo è confuso così con la libertà del popolo; la libertà è infatti il diritto di fare ciò che le leggi permettono. Se un cittadino potesse fare ciò che le leggi proibiscono non ci sarebbe più libertà.
La libertà politica è quella tranquillità di spirito che la coscienza della propria sicurezza dà a ciascun cittadino; e condizione di tale libertà è un governo organizzato in modo che nessun cittadino possa temere un altro.

«Una costituzione può essere tale che nessuno sia costretto a fare le cose alle quali la legge non lo obbliga, e a non fare quello che la legge permette...»

In ogni Stato vi sono due poteri: il potere legislativo, il potere esecutivo.
In forza al primo, il popolo o la nobiltà hanno il diritto di fare le leggi o fare abrogare quelle fatte dalla controparte. In forza al secondo, il monarca fa eseguire rapidamente il potere legislativo e amministra la giustizia.

"Il potere corrompe, il potere assoluto corrompe assolutamente":

partendo da questa considerazione Montesquieu traccia la teoria della separazione dei poteri, analizzando in particolare il modello costituzionale inglese. Tale teoria, divenne, grazie all'opera di Montesquieu, una delle pietre miliari di tutte le costituzioni degli Stati sorti dopo il 1789.
Montesquieu nei suoi scritti fa notare ai lettori i casi in cui si calpesta la libertà dei cittadini; il potere legislativo e quello esecutivo non possono mai essere accomunati sotto un'unica persona o corpo di magistratura, perché in tale caso potrebbe succedere che il monarca oppure il senato facciano leggi tiranniche e le eseguano di conseguenza tirannicamente. Neanche il potere giudiziario può essere unito agli altri due poteri: i magistrati non possono essere contemporaneamente legislatori e coloro che applicano – in qualità di magistrati – le leggi. Così, ovviamente i legislatori non possono essere contemporaneamente giudici: avrebbero un immenso potere che minaccerebbe la libertà dei cittadini.

«Tutto sarebbe perduto se lo stesso uomo, o lo stesso corpo di maggiorenti, o di nobili, o di popolo, esercitasse questi tre poteri: quello di fare le leggi, quello di eseguire le decisioni pubbliche, e quello di giudicare i delitti o le controversie dei privati.»

Montesquieu sostiene la validità del sistema giudiziario francese, affidato ai parlamenti. Un'unica classe sociale, la nobiltà di Toga, detiene questo potere attraverso la venalità delle cariche che ne garantisce l'autonomia.
Montesquieu riflette inoltre sui rappresentanti del popolo.

«Poiché, in uno Stato libero, qualunque individuo che si presume abbia lo spirito libero deve governarsi da sé medesimo, bisognerebbe che il corpo del popolo avesse il potere legislativo. Ma siccome ciò è impossibile nei grandi Stati, e soggetto a molti inconvenienti nei piccoli, bisogna che il popolo faccia per mezzo dei suoi rappresentanti tutto quello che non può fare da sé».

Conviene quindi che gli abitanti si scelgano un rappresentante, capace di discutere gli affari, che possa dare voce al popolo nell'ambito del potere legislativo. La nazione è quindi espressa dai suoi rappresentanti, cittadini più interessati alla cosa pubblica, che devono informare sui bisogni dello Stato, sugli abusi che si riscontrano e sui possibili rimedi. Sicuramente sarebbe molto più democratico dare la parola a ogni cittadino, ma si incapperebbe in lungaggini e tutta la forza della nazione rischierebbe di essere arrestata per il capriccio di un singolo.
Inoltre è necessario che i rappresentanti siano eletti periodicamente e che ogni cittadino nei vari distretti abbia il diritto di esprimere il suo voto per eleggere il deputato. Montesquieu però prefigura una limitazione del diritto di voto, nega tale diritto a chi non è proprietario o in una situazione assimilabile a quella di proprietario, dotato di averi, quindi si basa su una marcata differenziazione di stratificazione sociale.
Tutto questo sembra limitativo, ma in seguito lo sviluppo del reddito reso possibile dalla società industriale, dai commerci, dall'artigianato imprenditoriale, farà aumentare il numero di cittadini rappresentanti interessati alla stabilità dello Stato, permettendo gradualmente l'estensione del voto sino al suffragio universale.
Così Montesquieu spiega la divisione dei poteri e definisce le rispettive sfere di attribuzioni:

«Il potere legislativo verrà affidato e al corpo dei nobili e al corpo che sarà scelto per rappresentare il popolo, ciascuno dei quali avrà le proprie assemblee e le proprie deliberazioni a parte, e vedute e interessi distinti. Dei tre poteri di cui abbiamo parlato, quello giudiziario è in qualche senso nullo. Non ne restano che due; e siccome hanno bisogno di un potere regolatore per temperarli, la parte del corpo legislativo composta di nobili è adattissima a produrre questo effetto.»

«Il potere esecutivo deve essere nelle mani d'un monarca perché questa parte del governo, che ha bisogno quasi sempre d'una azione istantanea, è amministrata meglio da uno che da parecchi; mentre ciò che dipende dal potere legislativo è spesso ordinato meglio da parecchi anziché da uno solo. Infatti, se non vi fosse monarca, e il potere esecutivo fosse affidato a un certo numero di persone tratte dal corpo legislativo, non vi sarebbe più libertà, perché i due poteri sarebbero uniti, le stesse persone avendo talvolta parte, e sempre potendola avere, nell'uno e nell'altro. Se il corpo legislativo rimanesse per un tempo considerevole senza riunirsi, non vi sarebbe più libertà. Infatti vi si verificherebbe l'una cosa o l'altra: o non vi sarebbero più risoluzioni legislative, e lo Stato cadrebbe nell'anarchia; o queste risoluzioni verrebbero prese dal potere esecutivo, il quale diventerebbe assoluto.»

«Se il corpo legislativo fosse riunito in permanenza, potrebbe capitare che non si facesse che sostituire nuovi deputati a quelli che muoiono; e in questo caso, una volta che il corpo legislativo fosse corrotto, il male sarebbe senza rimedio. Quando diversi corpi legislativi si susseguono gli uni agli altri, il popolo, che ha cattiva opinione del corpo legislativo attuale, trasferisce, con ragione, le proprie speranze su quello che succederà. Ma se si trattasse sempre dello stesso corpo, il popolo, una volta vistolo corrotto, non spererebbe più niente dalle sue leggi, si infurierebbe o cadrebbe nell'apatia.»
«Il potere esecutivo, come dicemmo, deve prendere parte alla legislazione con la sua facoltà d'impedire di spogliarsi delle sue prerogative. Ma se il potere legislativo prende parte all'esecuzione, il potere esecutivo sarà ugualmente perduto. Se il monarca prendesse parte alla legislazione con la facoltà di statuire, non vi sarebbe più libertà. Ma siccome è necessario che abbia parte nella legislazione per difendersi, bisogna che vi partecipi con la sua facoltà d'impedire. La causa del cambiamento del governo a Roma fu che il senato, il quale aveva una parte del potere esecutivo, e i magistrati, i quali avevano l'altra, non avevano, come il popolo, la facoltà d'impedire. Ecco dunque la costituzione fondamentale del governo di cui stiamo parlando. Il corpo legislativo essendo composto di due parti, l'una terrà legata l'altra con la mutua facoltà d'impedire. Tutte e due saranno vincolate dal potere esecutivo, che lo sarà a sua volta da quello legislativo. Questi tre poteri dovrebbero rimanere in stato di riposo, o di inazione. Ma siccome, per il necessario movimento delle cose, sono costretti ad andare avanti, saranno costretti ad andare avanti di concerto.»


In questo modo Montesquieu conclude il suo libro:

«Siccome tutte le cose umane hanno una fine lo Stato di cui parliamo perderà la sua libertà, perirà. Roma, Sparta e Cartagine sono pur perite. Perirà quando il potere legislativo sarà più corrotto di quello esecutivo. Non sta a me esaminare se gli Inglesi godano attualmente di questa libertà o no. Mi basta dire che essa è stabilita dalle loro leggi, e non chiedo di più. Non pretendo con ciò di avvilire gli altri governi, né dichiarare che questa libertà politica estrema debba mortificare quelli che ne hanno soltanto una moderata. Come potrei dirlo io, che credo che non sia sempre desiderabile nemmeno l'eccesso della ragione; e che gli uomini si adattino quasi sempre meglio alle istituzioni di mezzo che a quelle estreme?» (libro XI di Lo spirito delle leggi, Montesquieu)

Possiamo dire che lo studio che il giurista lascia delle istituzioni di popoli diversi e lontani nel tempo e nello spazio ha come intento fondamentale quello di identificare i fini in base ai quali gli uomini si organizzano in forme politiche e sociali originali. Esiste per l'autore un senso per ogni istituzione. Montesquieu vede lo Stato come un organismo che tende alla propria autoconservazione, nel quale le leggi riescono a mediare tra le diverse tendenze individuali in vista del perseguimento di un obiettivo comune.
L'arte di creare una società e di organizzarla compiutamente è per Montesquieu l'arte più alta e necessaria, in quanto da essa dipende il benessere necessario allo sviluppo di tutte le altre arti.
Montesquieu e l'economia politica
Secondo la studiosa francese Céline Spector, Montesquieu può essere visto come il fondatore dell'economia politica come scienza. Lo storico italiano Paolo Prodi, nel suo studio "Settimo non rubare" dedicato al concetto di "Mercato" come tratto costitutivo profondo della storia europea, cita la ricerca della Spector, definendola innovativa, inserendo alcuni aspetti della figura di Montesquieu nella sua trattazione relativa alla "repubblica internazionale del denaro" (concetto con il quale si indica "non una vaga rete di mercanti-viaggiatori e di fiere, ma un potere immateriale estremamente forte, anche se non territorialmente radicato, che condiziona i nuovi principati e le monarchie fra XVI e XVII secolo, quella che è stata chiamata la repubblica internazionale del denaro che caratterizza in modo particolare l'ultima fase del medioevo e la prima età moderna)[8]. Per spiegare meglio il ruolo di Montesquieu rispetto ai concetti di "mercato" e di "economia politica" Prodi cita la famosa espressione posta all'inizio del libro XX di "Lo spirito delle leggi" ("ovunque vi sono costumi miti v'è commercio e ovunque v'è commercio vi sono costumi miti") e la sua affermazione sulla superiorità inglese rispetto all'antico impero romano, dovuta al maggior peso dell'economia rispetto alla politica (teoria del doux commerce):

«Altre nazioni hanno sottomesso gli interessi commerciali a quelli politici; questa ha sempre sottomesso gli interessi politici a quelli commerciali. È il popolo che meglio al mondo ha saputo valersi di queste tre grandi cose: la religione, il commercio e la libertà.»

Nella sua analisi in "Settimo non rubare", dunque, Prodi ricorda che nello schema divulgato della teoria della divisione dei poteri di Montesquieu non viene di solito ricordata la sua affermazione circa la necessaria divisione fra il potere economico e quello politico. Non è bene che il potere politico e il potere economico appartengano a un'unica persona, quella del monarca.

«Porle (le ricchezze) nei paesi governati da uno solo è presupporre da un lato tutto il denaro, e dall'altro la potenza; vale a dire da una parte la facoltà di avere tutto senza alcun potere e dall'altra il potere senza alcuna facoltà d'acquisto. In un governo simile soltanto il principe ha avuto o potuto avere un tesoro, e, ovunque ne esiste uno, non appena è eccessivo, diviene subito il tesoro del principe. Per la medesima ragione le compagnie di commercianti che si associano per un certo commercio, convengono raramente al governo di un solo. La natura di queste compagnie è di dare alle ricchezze private la forza delle ricchezze pubbliche. Ma in questi Stati, simile forza non può trovarsi che nelle mani del principe.»

Eppure in quegli anni, nota Prodi, persino la monarchia inglese, vero modello di Montesquieu, assiste al rischio di una sovrapposizione totale della politica sull'economia, per via dell'uso spregiudicato della banca pubblica e delle concessioni monopolistiche. Secondo l'interpretazione fornita dalla Spector, quelle che all'epoca di Montesquieu sono le nuove ricchezze mobiliari, capaci per loro natura di superare ogni frontiera, sono considerabili come le uniche forze che possono fare fallire la pratica della tirannide. La ragion di Stato e anche il mercantilismo devono lasciare il posto all'etica commerciante, i grandi finanzieri in virtù dell'indipendenza dei loro circuiti internazionali possono sostenere la libertà politica e limitare il potere, dunque la proprietà mobiliare favorisce in definitiva la libertà e il diritto, mentre la proprietà fondiaria favorisce la servitù.
In conclusione la lucidità di Montesquieu nel porre il fenomeno della territorializzazione delle ricchezze al cuore della sua riflessione sulla modernità commerciante è il punto cruciale che lo rende ancora interessante oggi, nell'ambito degli studi relativi alla nascita dell'economia politica.

OPERE

  • Montesquieu, Considerazioni sulle cause della grandezza dei Romani e della loro decadenza e Dialogo tra Silla ed Eucrate, a cura di D. Felice, Milano, Feltrinelli, 2021.
  • Montesquieu, Pensieri Riflessioni Massime, a cura di D. Felice, Milano, Edizioni Società Aperta, 2021,
  • Tutte le opere (1721-1754). Lettere persiane, Tempio di Cnido, Considerazioni sulle cause della grandezza dei Romani e della loro decadenza, Dialogo tra Silla ed Eucrate, Lo spirito delle leggi, Difesa dello Spirito delle leggi, Lisimaco, a cura di Domenico Felice, Milano, Bompiani, 2014.
  • Scritti postumi (1757-2006). I miei pensieri - I miei viaggi - Saggi - Romanzi filosofici - Memorie e discorsi accademici - Poesie, Firenze-Milano, Giunti-Bompiani ("Il pensiero occidentale"), a cura di Domenico Felice, 2017.
  • Lettere persiane, a cura di Domenico Felice, Milano, Feltrinelli, 2020
  • De l'esprit des lois (1748), ttrad. it. a cura di S. Cotta, Torino, Utet, 1952 (rist.: 2004).
  • Lettere persiane (Lettres persanes) (1721): trad. it. di G. Alfieri Todaro-Faranda, Milano, Rizzoli, 1952 (nona ediz. con Introduzione e Note di Jean Starobinski, 2009); trad. it. di Vincenzo Papa, Milano, Frassinelli, 1995; trad. it. di Vincenzo Papa, MIlano, Oscar Mondadori, 2010; trad. it. di L. Binni, Milano, Garzanti, 2012.
  • Considerazioni sulle cause della grandezza dei Romani e della loro decadenza. Lausanne, (1734), trad. it. a cura di D. Monda, Milano, Rizzoli, 2004.
  • Défense de l'Esprit des lois (1750)
  • Essai sur les causes qui peuvent affecter les esprits et les caractères, trad. it. a cura di D. Felice, Pisa, ETS, 2004.
  • Geographica
  • Mes pensées (trad. it. I miei pensieri, in Montesquieu, a cura di D. Felice, Firenze-Milano, Giunti-Bompiani, 2017)
  • Réflexions sur la monarchie universelle en Europe (1734) (tr. it. in Montesquieu, cura di D. Felice, Firenze-Milano, Giunti-Bompiani, 2017)
  • Réflexions sur le caractère de quelques princes et sur queleques événements de leur vie (tr. it. in Montesquieu, a cura di D. Felice, Firenze-Milano, Giunti-Bompiani, 2017)
  • Considérations sur les richesses de l'Espagne (tr. it. in Montesquieu, a cura di D. Felice, Firenze-Milano, Giunti-Bompiani, 2017)
  • Spicilège
  • Dialogue de Sylla et d'Eucrate (tr. it. in Montesquieu, Tutte le opere], a cura di D. Felice,Milano, Bompiani, 2014)
  • Essai sur le goût (1753) pubblicato nel tomo VII dell'Enciclopedia (1757) (tr. it. in Montesquieu, Scritti postumi, a cura di D. Felice, Firenze-Milano, Giunti-Bompiani, 2017)
  • Le Temple de Gnide (tr. it. in Montesquieu, Tutte le opere, a cura di D. Felice,Milano, Bompiani, 2014)
  • Lettres familieres a divers amis d'Italie, 1767.
  • Mes voyages (tr. it. I miei viaggi, in Montesquieu, Scritti postumi, a cura di D. Felice, Firenze-Milano, Giunti-Bompiani, 2017)

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Lettres familieres a divers amis d'Italie, 1767. Da BEIC, biblioteca digitale

LE LETTERE PERSIANE

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Interno dell'harem o donna moresca che emerge dal bagno nel serraglio di Théodore Chassériau

Lettres persanes è un romanzo epistolare che riunisce la corrispondenza fittizia scambiata tra due viaggiatori persiani, Usbek e Rica, e i loro rispettivi amici rimasti in Persia. Il loro soggiorno all'estero dura nove anni. Nel XVIIIsecolo, l' Oriente e l'amore per i viaggi sono di moda. Tuttavia, il romanzo fu pubblicato nella primavera del 1721 ad Amsterdam e Montesquieu, per prudenza, non ammise di esserne l'autore. Secondo lui la raccolta era anonima, e lui si presentava come un semplice editore, il che gli permetteva di criticare la società francese senza rischiare la censura. Usbek, un ricco nobile persiano, lascia Isfahan sotto costrizione per intraprendere, accompagnato dal suo amico Rica, un lungo viaggio verso Parigi. Lascia dietro di sé le cinque mogli del suo serraglio (Zachi, Zéphis, Fatmé, Zélis e Roxane) alle cure di un certo numero di eunuchi neri e di eunuchi bianchi. Mantenendo, durante il suo viaggio e la sua prolungata permanenza a Parigi (1712-1720), una corrispondenza epistolare con gli amici incontrati nei paesi attraversati e con i mullah, ritrasse un occhio ingannevolmente ingenuo - quello che una civiltà lontana poteva puntare sul ovest, quindi, si riduce ad alcuni paesi esotici - i costumi, le condizioni e la vita della società francese del XVIII secolo, in particolare la politica, per finire con una satira pungente del sistema di legge. Nel tempo, nel serraglio emergono vari disordini e, dal 1717 (lettera 139), la situazione peggiora: quando Usbek ordina al capo dei suoi eunuchi di reprimere i disordini, il suo messaggio arriva troppo tardi e una rivolta provoca la morte delle sue mogli, compresa e il suicidio di Rossana, la sua preferita e, a quanto pare, la maggior parte degli eunuchi.
Sebbene Usbek apprezzi la libertà dei rapporti tra uomini e donne in Occidente, rimane, come padrone di un serraglio, prigioniero del suo passato. Le sue mogli recitano la parte dell'amante languido e solitario, e lui quella del padrone e dell'amante, senza una vera comunicazione e senza rivelare molto del loro vero io. Il linguaggio di Usbek con loro è limitato quanto il loro con lui. Sapendo, inoltre, dalla sua partenza, che non è garantito che tornerà in Persia, Usbek è anche già deluso dal loro atteggiamento (lettere 6 e 19 ). Il serraglio è un focolaio da cui si è sempre più allontanato, diffidando tanto delle sue mogli quanto dei suoi eunuchi (lettera 6).
Tutto accelera bruscamente nelle ultime lettere (139-150), grazie a un brusco passo indietro di oltre tre anni rispetto alle lettere precedenti. Dalla lettera 69 alla lettera 139 - cronologicamente: dal 1714 al 1720 - non una sola lettera dell'Usbek riguarda il serraglio, trascurato nelle lettere 94-143 (e anche nell'edizione del 1758, dell'ulteriore lettere 8 (97)-145). A proposito, tutte le lettere dalla 126 (132) alla 137 (148) provengono dalla Rica, il che significa che per circa quindici mesi (dalla4 agosto 1719 a 22 ottobre 1720), Usbek è completamente silenzioso. Bien qu'il ait reçu des lettres pendant ce temps, le lecteur n'en prend connaissance qu'à la dernière série, qui est plus développée après l'ajout des lettres supplémentaires 9-11 (157, 158, 160) de 1758. Delleottobre 1714, Usbek è stato informato che "il serraglio è in disordine" (lettera 63), ma non è diffuso. Quando il progresso dello spirito di ribellione decide di agire, è troppo tardi: il ritardo nella trasmissione delle lettere, alcune delle quali perdute, rende il male senza rimedio.
Depresso, Usbek sembra rassegnarsi, con poche speranze, alla necessità di tornare in Persia. il4 ottobre 1719, si lamenta: "Riporterò la testa ai miei nemici" (147). Tuttavia, alla fine del 1720 era ancora a Parigi, poiché le lettere 134-137 (140-145), che contenevano l'intera storia dell'ordinamento giuridico, erano di fatto successive all'ultima missiva di Rossana (datata8 maggio 1720), che deve aver già ricevuto - il tempo di consegna abituale è di circa cinque mesi - quando scrive la sua ultima lettera (lettera aggiuntiva 8 e lettera 138), in ottobre e novembre 1720.
Il testo è così suddiviso:
- Lettere 1-21 [1-23]: il viaggio da Isfahan a Parigi, che dura 13 mesi (da 19 marzo 1711 a 4 maggio 1712).
- Lettere 22-89 [24 -92]: Parigi sotto il regno di Luigi XIV, 3 anni in tutto (da maggio 1712 a settembre 1715).
- Lettere 90-137 [93 -143] o [lettera aggiuntiva 8 = 145]: la Reggenza di Philippe d'Orléans , che copre cinque anni (dallasettembre 1715 a novembre 1720).
- Lettere 138-150 [146 -161]: il crollo del Serraglio di Isfahan, 3 anni (1717-1720).

Lo "sguardo straniero", che Montesquieu dà qui uno dei primi esempi chiari, e contribuisce ad alimentare il relativismo culturale, dovremmo vedere poi mostrato in altri autori del XVIII secolo. Ma questo romanzo per lettere è valido anche in sé, oltretutto per la sua pittura delle contraddizioni che lacerano il personaggio centrale di Usbek: diviso tra le sue idee moderniste e la sua fede musulmana, si vede severamente condannato dalla rivolta delle donne del suo serraglio e il suicidio della sua preferita, Roxane.
Il lettore che legge questo romanzo epistolare si prende gioco del persiano, mostrando un'ingenuità nei confronti delle mode occidentali. Ma non ride a lungo, perché continuando a leggere si accorge di essere deriso. Perché, in particolare nella “Lettera 100 - Rica a Rhédi a Venezia”, Montesquieu critica i modi di vestire dei francesi, soprattutto parigini, utilizzando iperboli, antitesi, metafore, accumuli di esempi... Ma la moda non è il suo interesse; non gli interessa. Se si legge tra le righe, Montesquieu critica chiaramente e implicitamente il sistema monarchico in cui vive. Questa "arma fatale" creata da Richelieu consiste nel riunire i tre poteri (legislativo, giudiziario ed esecutivo) sul capo di una stessa persona: il Re. In questo testo, Montesquieu mostra la vulnerabilità dei francesi di fronte al loro sovrano.
Montesquieu non ha mai parlato delle Lettere Persiane come di un romanzo prima di Alcune riflessioni sulle Lettere Persiane, che inizia così:

"Niente è piaciuto di più nelle Lettere Persiane che trovarvi, senza pensarci, una specie di romanzo. Vediamo l'inizio, il progresso, la fine: i vari personaggi sono posti in una catena che li lega. In origine, per la maggior parte dei suoi primi lettori, così come per il loro autore, Persian Letters non era considerato principalmente un romanzo, tanto meno un " romanzo epistolare ", genere sotto il quale è spesso classificato. oggi, perché a quel tempo, questo genere non era ancora un genere affermato. In effetti, le Lettere persiane hanno poco in comune con l'unico modello dell'epoca, le Lettere portoghesi di Guilleragues , datate 1669. Nel 1721, una raccolta di "lettere" avrebbe probabilmente evocato la recente tradizione soprattutto polemica e politica di periodici, come le Lettere storiche (1692-1728), le famose Lettere edificanti e curiose dei Gesuiti (1703-1776), per non parlare delle Lettere storiche e galanti di Anne-Marguerite Dunoyer (1707-1717) che prevede, nella forma di una corrispondenza tra due donne, una cronaca della fine del regno di Luigi XIV e l'inizio della Reggenza. Le Lettere Persiane consentirono così di confermare la voga di un formato già consolidato. È invece, con le sue numerose imitazioni, come le Lettere ebraiche (1738) e le Lettere cinesi (1739) di Boyer d'Argens , le Lettere di Turque a Parigi, scritte alla sorella (1730) di Poullain de Saint-Foix (ripubblicato più volte insieme alle Lettere persiane ), e forse soprattutto le Lettere di un Péruvienne di Françoise de Graffigny (1747) - per non parlare dei romanzi letterali di Richardson - che hanno per effetto di trasformare tra il 1721 e il 1754 il Lettere persiane in "romanzo epistolare", da qui l'osservazione di Montesquieu in I miei pensieri "Le mie lettere persiane imparate ai romanzi per lettera" ( n o 1621).

«Siccome tutte le cose umane hanno una fine lo Stato di cui parliamo perderà la sua libertà, perirà. Roma, Sparta e Cartagine sono pur perite. Perirà quando il potere legislativo sarà più corrotto di quello esecutivo. Non sta a me esaminare se gli Inglesi godano attualmente di questa libertà o no. Mi basta dire che essa è stabilita dalle loro leggi, e non chiedo di più. Non pretendo con ciò di avvilire gli altri governi, né dichiarare che questa libertà politica estrema debba mortificare quelli che ne hanno soltanto una moderata. Come potrei dirlo io, che credo che non sia sempre desiderabile nemmeno l'eccesso della ragione; e che gli uomini si adattino quasi sempre meglio alle istituzioni di mezzo che a quelle estreme?» (libro XI di Lo spirito delle leggi, Montesquieu)

Le lettere sembrano tutte datate secondo un calendario lunare che, come dimostrò Robert Shackleton nel 1954, corrisponde in realtà al nostro, per semplice sostituzione di nomi musulmani, come segue: Zilcadé (gennaio), Zilhagé (febbraio), Maharram (marzo), Saphar (aprile), Rebiab (maggio), Rebiab II (giugno), Gemmadi I (luglio), Gemmadi II (agosto), Rhégeb (settembre), Chahban (ottobre), Rhamazan (novembre), Chalval (dicembre).
La struttura della scrittura delle lettere è molto flessibile: diciannove corrispondenti in tutto, con almeno ventidue destinatari diversi. Usbek e Rica, dominano di gran lunga con 66 lettere per la prima e 47 per la seconda (sulle 150 lettere originali). Ibben, che funge più da destinatario che da corrispondente, scrive solo due lettere, ma ne riceve 42. Allo stesso modo, una persona non designata per nome e designata solo come *** - se è sempre la stessa - riceve diciotto lettere e non ne ha scritta nessuna. C'è anche una perfetta anomalia con una lettera di Hagi Ibbi a Ben Joshua (lettera 37), nessuna delle quali è menzionata altrove nel romanzo.
A Parigi, i persiani parlano di un'ampia varietà di argomenti che vanno dalle istituzioni governative ai cartoni animati da salotto. La differenza di temperamento tra i due amici è notevole, Usbek è più esperto e fa molte domande, mentre Rica è meno coinvolta, pur essendo più libera e più attratta dalla vita parigina. Sebbene l'azione si svolga negli anni del declino di Luigi XIV, ammiriamo ancora molto ciò che ha realizzato in una Parigi dove gli Invalides sono in via di completamento e dove i caffè e i teatri stanno proliferando.
I Persiani osservano la funzione dei parlamenti, dei tribunali, delle organizzazioni religiose (cappuccini, gesuiti, ecc.), dei luoghi pubblici e della loro frequentazione (le Tuileries, il Palazzo Reale), le fondamenta dello Stato (il Quinze-Venti per i ciechi, il Invalides per i feriti di guerra). Descrivono una cultura fiorente, dove la presenza di due persiani diventa rapidamente un fenomeno popolare, grazie alla proliferazione di stampe (lettera 28). Il caffè - dove si svolgono i dibattiti: lettera 34 - si è affermato come istituzione pubblica, come il teatro e l'opera. Ci sono ancora persone abbastanza stupide da cercare la Pietra Filosofale a proprie spese mentre il venditore ambulante di pettegolezzi e la stampa periodica iniziano a svolgere un ruolo nella vita di tutti i giorni. Vengono descritte anche istituzioni (università, Accademia di Francia , scienze, la bolla Unigenitus), gruppi sociali (i dandy, le civette) e personaggi archetipici (il cantante d'opera, il vecchio guerriero, il roué, ecc.).
Da parte sua, Usbek è turbato dai contrasti religiosi. Sebbene non pensi mai di ritrattare l'Islam e alcuni aspetti del cristianesimo, come la Trinità o la Comunione, lo turbano, scrive ad autorità austere per chiedere, ad esempio, perché certi cibi siano considerati impuri (lettere 15-17). Assimila anche le due religioni, e anche tutte le religioni, vista la loro utilità sociale.
Alcune sequenze di lettere dovute a un singolo autore consentono di sviluppare in modo più dettagliato un determinato argomento. Così, le lettere da Usbek 11-14 a Mirza sui trogloditi, le lettere 109-118 (113-122) da Usbek a Rhedi sulla demografia, le lettere 128 a 132 (134-138) da Rica sulla sua visita al Santo -Biblioteca Vittorio. Vi sono abbozzate analisi che verranno sviluppate in seguito nel De esprit des lois su molti argomenti come i tipi di potere, l'influenza del clima e la critica della colonizzazione.
Fonti
Le fonti di Montesquieu sono innumerevoli, perché non c'è dubbio che includono anche le sue letture e conversazioni, che vengono modificate durante la stesura dell'opera. Montesquieu trae la maggior parte delle sue conoscenze - tutt'altro che superficiali - sulla Persia dall'opera Voyages en Perse di Jean Chardin , di cui ebbe l'edizione in due volumi del 1707 e di cui acquisì l'edizione completa in 10 volumi nel 1720. Ha anche attinto, in misura minore, dalle numerose opere che hanno fornito la sua vasta biblioteca, tra cui i viaggi di Jean-Baptiste Tavernier e Paul Rycaut . Per la Francia il XVIII secolo a Parigi, le sue uniche fonti sono le proprie esperienze con le conversazioni (tra cui conversazione con un cinese di nome Hoange che teneva note) e le storie su di esso.
Vari aspetti delle Lettere sono indubbiamente debitori a modelli particolari, il più importante dei quali è la famosissima, all'epoca, Spia del Gran Signore, e le sue segrete relazioni inviate al divano di Costantinopoli, e scoperte a Parigi, durante il regno, di Ludovico Magno (1684) di Giovanni Paolo Marana, anche se i personaggi di Montesquieu sono persiani e non turchi. Le lettere persiane, tuttavia, si distinguono nettamente dalla maggior parte degli altri scritti di carattere orientale per la scarsa influenza che hanno su di esse dalle Mille e una notte di Antoine Galland e dal Corano.
Per evitare censure o procedimenti giudiziari, il romanzo di 150 lettere viene pubblicato senza il nome dell'autore in maggio 1721 ad Amsterdam dall'editore Jacques Desbordes, la cui attività era poi gestita dalla vedova, Susanne de Caux, con lo pseudonimo di " Pierre Marteau " e il falso luogo di pubblicazione di Colonia. Chiamato edizione A, questo testo funge da riferimento per l'edizione critica del 2004 delle Opere complete di Montesquieu della Fondazione Voltaire. Una seconda edizione (B) viene stampata dallo stesso editore, più tardi nello stesso anno, senza una ragione ovvia, per la quale non esiste finora una spiegazione pienamente soddisfacente, comprendente curiosamente tre nuove lettere e tredici originali tagliati. Le edizioni successive durante la vita dell'autore (cioè fino al 1755) derivano tutte dalle edizioni A e B.
L'edizione del 1758, preparata dal figlio di Montesquieu, comprende otto nuove lettere (per un totale di 161 all'epoca) e il breve saggio dell'autore Alcuni pensieri sulle lettere persiane. Viene utilizzato per le edizioni successive fino alle Opere Complete del 2004, che ritornano all'edizione originale includendo le nuove lettere contrassegnate come "addizionali" e, tra parentesi, il sistema di numerazione del 1758.
Le lettere persiane ebbero un successo immediato e furono spesso imitate, ma furono interpretate variamente nel tempo. Il libro fu rapidamente tradotto in inglese (1722) e tedesco (1759) e adattato o plagiato. Così apparvero le Lettere ebraiche nel 1738 e le Lettere cinesi nel 1739 di Boyer d'Argens, le Lettere di un peruviano nel 1747 di Françoise de Graffigny .
Una nuova era di studi basati su testi migliori e prospettive rinnovate si apre negli anni 50. L'edizione riccamente annotata di Paul Vernière e la ricerca di Robert Shackleton sulla cronologia musulmana giocano un ruolo particolarmente importante; anche gli studi di Roger Laufer, Pauline Kra e Roger Mercier sottolineano la nuova unità dell'opera e integrano il serraglio nella sua accezione globale. Ne seguono altri che guardano alle ramificazioni della forma epistolare, alla struttura e al significato del serraglio, alle contraddizioni di Usbek. A partire dal 1970 circa, fu la religione (Kra) e soprattutto la politica (Ehrard, Goulemot , Benrekassa) a prevalere negli studi delle lettere persiane, con un graduale ritorno al ruolo del serraglio con tutte le sue donne ed eunuchi (Delon, Grosrichard , Singerman, Spector, Véquaud) e il divario culturale tra Oriente e Occidente.

Ricordo che il signor Mantovani, responsabile della biblioteca comunale di Porta Venezia a Milano e che mi introdusse alla lettura dei grandi classici, specialmente russi, all'epoca della mia laurea mi suggerì la lettura delle Lettere persiane; da ollora per anni fu uno dei libri destinati allo scaffale dei favoriti.

16 aprile 2024 - Eugenio Caruso

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