Alboino, il terzo re d'Italia di origine barbarica


GRANDI PERSONAGGI STORICI - Ritengo che ripercorrere le vite dei maggiori personaggi della storia del pianeta, analizzando le loro virtù e i loro difetti, le loro vittorie e le loro sconfitte, i loro obiettivi, il rapporto con i più stretti collaboratori, la loro autorevolezza o empatia, possa essere un buon viatico per un imprenditore come per una qualsiasi persona.

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Alboino

Alboino (Pannonia, 530 circa – Verona, 28 giugno 572) è stato re dei Longobardi dal 560 circa e re d'Italia dal 568 al 572, anno del suo assassinio. Nel 568 guidò il suo popolo alla conquista dell'Italia, abbandonando la terra natia, la Pannonia. Riuscito nell'impresa che tutti i germani avevano sognato (conquistare l'Italia), diviene un personaggio leggendario. Esistevano diversi canti epici longobardi sulle sue imprese; Paolo Diacono vi si ispira per numerosi episodi da lui narrati nella sua Historia Langobardorum. La storia si confonde con la fantasia, a causa delle tradizionali gesta arricchite via via con il passare del tempo, e la sua figura sfocia pertanto nella leggenda.
Alboino era figlio di Audoino, reggente (540) e, successivamente re (546) dei longobardi, e di Rodelinda. Sappiamo da Procopio che Audoino sposò una principessa ostrogota, pronipote di Teodorico il Grande, re degli Ostrogoti. Alboino fu il terzo re d'Italia di origine "barbarica", dopo Odoacre re degli eruli e Teodorico re degli ostrogoti.
Alboino nacque tra il 510 e il 540, in Pannonia, dove all'epoca i longobardi erano stanziati. Guerriero, prese certamente parte alle vicende belliche del tempo. Paolo Diacono racconta le sue imprese in una battaglia, identificata in quella combattuta nel 551 contro i gepidi, in cui avrebbe ucciso Torrismondo, figlio del re Torisindo. Racconta Paolo che la sera della battaglia, il padre Audoino rifiuta di ricompensarlo con il posto d'onore al banchetto, poiché secondo "il costume del suo popolo" non poteva riconoscerne lo status in quanto non era stato armato da un principe straniero (probabile allusione alla pratica germanica del fosterage, l'educazione di giovani di sangue reale presso un'altra famiglia). Allora Alboino con quaranta giovani si reca dal re dei gepidi Torisindo, di cui aveva ucciso il figlio, a chiedergli di ricevere da lui le armi. Ricevuto con onore, si siede al posto del giovane appena morto. Ma il rammarico di Torisindo esplode e i principi dei gepidi iniziano a provocare i longobardi; questi ultimi rispondono con alterigia e solo l'intervento di Torisindo riesce a evitare che l'ospite venga ucciso nella stessa tenda del re. Torisindo alla fine del banchetto dona ad Alboino le armi del figlio morto e lo rimanda a suo padre incolume. Così Alboino può a buon diritto partecipare dei piaceri della tavola del re, mentre i longobardi lodano la perfetta lealtà del re dei gepidi. Tale racconto deriva certamente da una canzone epica fiorita intorno alla figura di Alboino e il suo fondamento storico va considerato con cautela.
Alboino salì al trono alla morte del padre, nel 560 o poco dopo, e dovette subito affrontare nuovi scontri con i gepidi, ora guidati da Cunimondo. Nel 565 i gepidi, sostenuti dai bizantini (preoccupati per il potere che i longobardi stavano conquistando), inflissero una sconfitta ad Alboino, che l'anno successivo cercò a sua volta un'alleanza. Strinse così un patto con gli avari, stanziati a est dei gepidi. I termini dell'accordo prevedevano che, in caso di vittoria, i longobardi avrebbero lasciato agli avari le terre occupate dai gepidi in Pannonia. Nel 567 longobardi e avari attaccarono contemporaneamente, da nordovest e da nordest, i gepidi. La vittoria andò ad Alboino, che uccise lo stesso re Cunimondo e sposò sua figlia Rosmunda. Secondo una leggenda molto diffusa, del cranio di Cunimondo aveva fatto una coppa. In realtà la credulità popolare aveva confuso la parola Kopf, che nell'antichità significava sia testa sia bicchiere.
Alboino ebbe due mogli. Intorno al 555 suo padre Audoino l'aveva sposato, infatti, a Clodosvinta, figlia del re dei franchi Clotario I; è sopravvissuta una lettera del vescovo Nicezio di Treviri a Clodosvinta, nella quale l'ecclesiastico chiede alla regina di allontanare Alboino dall'eresia ariana. Dopo la sconfitta dei gepidi, probabilmente per aggregare ai longobardi i guerrieri superstiti di quel popolo, Alboino sposò Rosmunda, figlia di Cunimondo, in base al concetto della trasmissione del carisma regale per via femminile, accettato dalla cultura longobarda.
La vittoria sui gepidi rafforzò il prestigio e il potere di Alboino, ma al tempo stesso gli creò non poche difficoltà: la voglia di bottino dei suoi guerrieri, esaltati dalle vittorie; l'accresciuta consistenza numerica del suo popolo, che ormai includeva una vasta schiera di alleati e tributari (avari e gepidi, ma anche sarmati, turingi, rugi, sassoni, alani, eruli, unni) e la pressione degli stessi alleati avari.
Il re uscì dalla stretta progettando una nuova migrazione-conquista: questa volta verso l'Italia appena tornata sotto controllo bizantino che, seppure impoverita dalla lunga guerra gotica, prometteva ricchezze e preda. Non è da escludere che il trasferimento in Italia fosse stato concordato con le autorità bizantine, che avrebbero chiesto ai longobardi di stanziarsi in Italia settentrionale come foederati per contenere gli attacchi dei franchi. La teoria, già avanzata in passato, è stata ripresa di recente, per esempio da Neil Christie e da Werner Pohl, pur essendo una congettura non supportata dalle fonti. Per garantirsi le spalle, Alboino strinse un nuovo accordo con gli avari offrendo loro le terre fin lì occupate in Pannonia; tuttavia, se l'invasione fosse fallita, i longobardi avrebbero riottenuto la Pannonia.

pannonia

La Pannonia era un'antica regione compresa tra i fiumi Danubio e Sava, che comprendeva la parte occidentale dell'attuale Ungheria, il Burgenland oggi Land austriaco, fino a Vienna, la parte nord della Croazia e parte della Slovenia.

Stretta l'alleanza, Alboino convocò per il giorno di Pasqua del 568 l'assemblea del popolo in armi, che deliberò la partenza. Nel maggio dello stesso anno la massa partì, composta da centomila-centocinquantamila persone; i guerrieri erano una minoranza (circa 30 000), perché il grosso era costituito dalle loro famiglie; alla spedizione parteciparono anche guerrieri sassoni. Più che strettamente militare, l'esodo aveva quindi caratteristiche migratorie, con masserizie e mandrie di bestiame al seguito.
Il percorso seguito dall'orda è incerto, ma probabilmente sfruttò le strade romane che dalla Pannonia la portò a varcare l'Isonzo. Una leggenda narra che, prima di entrare in Italia, Alboino salì su un monte, il Matajur, che da lui avrebbe preso il nome ("Monte Re"). Il monte si trova sulla valle del fiume Natisone, tuttavia è più probabile che i longobardi abbiano percorso la comoda strada romana che da Emona (l'odierna Lubiana) scendeva ad Aquileia, lungo la valle del fiume Vipacco.
I Bizantini non offrirono resistenza, rinchiudendosi nelle loro città fortificate, il che potrebbe avvalorare la teoria di un trasferimento concordato, anche se può spiegarsi altrimenti con la tattica usuale dell'esercito bizantino, che, piuttosto che affrontare l'invasore in una battaglia con il rischio di farsi annientare l'esercito, preferiva attendere che l'invasore si ritirasse con il bottino, cosa che i longobardi non fecero, occupando invece permanentemente le terre invase. La prima città di rilievo a cadere nelle mani di Alboino, all'inizio del 569, fu Forum Iulii (Cividale del Friuli), che il re assegnò al nipote Gisulfo, che divenne così il primo duca di Cividale con il compito di difendere l'avanzata longobarda da eventuali attacchi da est e di garantire una via di fuga.
La conquista delle principali città dell'Italia nordorientale procedette con rapidità nell'estate-autunno 569; caddero Aquileia, Vicenza e Verona, dove Alboino stabilì il suo primo quartier generale. La presa di Milano, il 3 settembre, concluse la migrazione. I longobardi si erano stanziati nella fascia pedemontana fra le Alpi e il Po, quasi a protezione del resto della penisola, ancora sotto governo bizantino. Paolo Diacono riferisce che solo Pavia si oppose ai nuovi venuti. L'assedio della città sul Ticino si sarebbe protratto per tre anni. Lo storico Aldo Settia ha peraltro messo in dubbio la realtà storica di tale assedio.
Narra Paolo Diacono, nel secondo libro della sua Historia Langobardorum, che Alboino fu ucciso in seguito a una congiura organizzata dalla moglie Rosmunda e da un nobile del suo seguito, Elmichi. Riferisce Paolo Diacono che Alboino, ormai saldamente re d'Italia, durante un banchetto a Verona offrì il teschio del suocero alla moglie, perché vi bevesse. Anche qui è possibile interpretare il gesto in modo simbolico (alcuni vi riconoscono addirittura una sorta di gesto di pacificazione), ma già per Paolo, che scrive circa duecento anni dopo i fatti, si trattava solo di un provocazione, forse causata dall'ubriachezza del re. La regina decise di vendicarsi dell'affronto e si accordò col suo (probabile) amante Elmichi, fratello di latte di Alboino, e Peredeo, fortissimo guerriero gepido, forse appartenente al seguito di Rosmunda.
Lo storico riferisce che Rosmunda, per coinvolgere Peredeo nonostante il suo iniziale rifiuto, lo attirò con un inganno nel suo letto e poi lo ricattò con la minaccia di denunciarlo al re. Organizzata così la congiura, Rosmunda legò la spada di Alboino alla testata del letto, in modo che il re non potesse sfoderarla, e introdusse l'assassino, Elmichi secondo alcuni, Peredeo secondo altri, nella camera. Alboino, afferrato uno sgabello, si difese come gli fu possibile prima di soccombere. I congiurati, che si aspettavano di mantenere il potere nelle loro mani, furono costretti a fuggire dalla furiosa reazione dei longobardi, fedelissimi al grande condottiero, e si rifugiarono a Ravenna col tesoro del re. Poco dopo, tra le manovre del prefetto di Ravenna, Longino, che cercò di sfruttarli come elemento di divisione tra gli invasori, tutti e tre i congiurati trovarono la morte, in circostanze che Paolo Diacono riferisce in forma epicamente romanzata.
Il racconto deriva da una saga epica, ancora diffusa ai tempi di Paolo Diacono e ripresa anche da Agnello Ravennate. Più prosaicamente, dietro alla leggenda Jörg Jarnut legge l'episodio come un tentativo di usurpazione da parte di Elmichi, appoggiato dalla regina, da alcuni guerrieri longobardi e gepidi aggregati all'esercito e appoggiato da Bisanzio. Il tentativo fallì per la resistenza della maggior parte del popolo longobardo; Rosmunda fuggì con Elmichi e la figlia di Alboino, Alpsuinda, a Ravenna e i longobardi elessero re Clefi. L'ipotesi è plausibile, ma lo è altrettanto quella di una morte naturale di Alboino. Secondo una prassi che si ripeterà ancora con Teodolinda e con Gundeperga, la regina vedova sceglieva il nuovo re, con l'assenso dell'aristocrazia, e lo legittimava sposandolo. La scelta di Elmichi, sostenuta, forse, solo dai gepidi e dalla fazione favorevole a un accordo con i bizantini, non incontrò il consenso generale. Un'assemblea dei guerrieri fu radunata a Pavia e fu contrapposto Clefi ad Elmichi. Dopo la vittoria di Clefi, fu elaborata la saga poetica per condannare la memoria di Rosmunda.
Alboino e Rosmunda furono usati come personaggi più volte nella letteratura italiana: in una tragedia di Giovanni Rucellai ("Rosmunda" 1516), in una tragedia di Vittorio Alfieri (Rosmunda, 1783), in una commedia di Sem Benelli del 1911 (anch'essa dal titolo Rosmunda) e in una parodia giovanile di Achille Campanile, che fece entrare nel linguaggio corrente la frase: Bevi Rosmunda dal teschio di tuo padre!, ripresa più volte da canzoni e parodie.
Percorso contrario ebbero gli scritti su Bertoldo, Bertoldino e Cacasenno di Giulio Cesare Croce, che nel XVI secolo ambientò le sue narrazioni alla corte di re Alboino a Verona, riprendendo scritti e canzoni popolari che ambientavano la vicenda tanto a Pavia quanto a Verona. Molte delle vicende del personaggio daranno spunto alla realizzazione di tre film che s'ispirano alla avventure scritte da Croce: il film del 1936, al secondo del 1954 e all'ultimo più conosciuto del 1984, diretto da Mario Monicelli. L'episodio della congiura ispirò anche almeno un film, diretto nel 1961 da Carlo Campogalliani: Rosmunda e Alboino.

Eugenio Caruso - 29 gennaio 2018

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