Caligola, odiato dall'oligarchia senatoriale e amato dal popolo.


GRANDI PERSONAGGI STORICI - Ritengo che ripercorrere le vite dei maggiori personaggi della storia del pianeta, analizzando le loro virtù e i loro difetti, le loro vittorie e le loro sconfitte, i loro obiettivi, il rapporto con i più stretti collaboratori, la loro autorevolezza o empatia, possa essere un buon viatico per un imprenditore come per una qualsiasi persona.

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Caligola

Gaio Giulio Cesare Augusto Germanico ( Anzio, 31 agosto 12 – Roma, 24 gennaio 41), regnante con il nome di Gaio Cesare e meglio conosciuto con il soprannome di Caligola, è stato il terzo imperatore romano, appartenente alla dinastia giulio-claudia (dopo Ottaviano, e Tiberio). Regnò per meno di quattro anni dal 37 al 41, anno della sua morte.

GC
Dinastia Giulio Claudia

Le fonti storiche antiche hanno tramandato di Caligola un'immagine di despota, sottolineandone stravaganze, eccentricità e depravazione. Lo si accusa di aver dilapidato il patrimonio accumulato da Tiberio, per quanto ciò avvenne anche per ottemperare ai lasciti testamentari stabiliti da Tiberio stesso e per offrire al popolo giochi, denaro e cibo. Le sue stravaganze, ispirate all'autocrazia dei monarchi orientali ellenistici e al disprezzo per la classe senatoria, non furono molto diverse da quelle che Tiberio stesso mise in atto negli ultimi anni del suo principato. D'altra parte ci sono aspetti che dimostrano che la sua amministrazione iniziale ebbe anche dei lati positivi, come la riduzione della tassa sulle vendite (centesima rerum venalium), la realizzazione e ristrutturazione di alcune opere pubbliche. Negli ultimi tempi diede segni di squilibrio mentale, tanto da indurre a credere che soffrisse di una malattia degenerativa. Fu assassinato a soli 28 anni da alcuni soldati della guardia pretoriana. Giova sottolineare che i successori di Ottaviano Augusto sono passati alla storia come degenerati e privi di scrupoli, ma la storia la faceva ancora la classe senatoria che non aveva ancora accettato il passaggio dalla Repubblica all'Impero.
Le fonti storiografiche contemporanee a Caligola pervenute in epoca moderna sono scarse e questo fa sì che sia uno degli imperatori giulio-claudi meno conosciuti. Suoi contemporanei furono Lucio Anneo Seneca, che ne narra alcuni aneddoti, e Filone di Alessandria, che descrive le vicissitudini degli ebrei di quel periodo. Furono scritte altre opere a lui contemporanee, andate perdute. Le fonti storiografiche di maggiore importanza sono le Vite dei Cesari di Svetonio e la Historia romana di Cassio Dione, che vissero molti anni dopo la morte di Caligola. Entrambi facevano parte della classe senatoria, avversa a questo princeps, tanto che le loro opere vengono ancora oggi messe in discussione per la loro faziosità. Giova ricordare che se i senatori avevano bevuto l'amaro calice della lenta trasformazione della repubblica in principato, da parte di Augusto che temevano, non erano altrettanto disposti ad accettare Tiberio e Caligola contro i quali gettarono calunnie e discredito. Lo scopo era ovviamente quello di ridare al Senato l'antico potere. Tutto quello che sappiamo di Tiberio e Caligola dobbiamo accettarlo con un certo scetticismo.
Caligola ("piccola caliga", la calzatura dei legionari, affettuoso soprannome datogli in giovane età dai soldati del padre, ma che lui non voleva che si usasse), nato come Gaio Giulio Cesare Germanico, era il terzo figlio di Agrippina maggiore e di Germanico Giulio Cesare, generale molto amato dal popolo romano. La madre era figlia di Marco Vipsanio Agrippa (amico fraterno di Augusto) e di Giulia maggiore (figlia di primo letto di Augusto). Il padre era figlio di Druso maggiore (fratello di Tiberio e figlio di Livia, moglie di Augusto) e di Antonia Minore (figlia di Marco Antonio e Ottavia, sorella di Augusto).
Suo padre Germanico era stato, inoltre, adottato da Tiberio su richiesta di Augusto. Questa particolare situazione familiare (che attraverso Cesare e il nipote Augusto, ne faceva un discendente di Venere ed Enea), rendevano Caligola il più probabile successore del prozio Tiberio.
I suoi fratelli erano Nerone Cesare, Druso Cesare, Agrippina minore (la madre del futuro imperatore Nerone), Drusilla e Giulia Livilla. I primi due, più anziani di lui, si presume che vennero mandati a morte da Tiberio, la sorella Drusilla, la più amata, morì durante il suo regno, mentre le altre due furono da lui esiliate e tornarono a Roma solo dopo la sua morte. Caligola ebbe anche altri due fratelli maschi, Tiberio Cesare (nato nel 10), Gaio Cesare (nato nell'11), e una femmina (nata tra il 13 e il 14), che però morirono tutti prematuramente.
Nato, probabilmente, ad Anzio il 31 agosto del 12, fu allevato nei primi anni di vita a Roma, tra gli affetti dello stesso Augusto, della bisnonna Livia, della nonna Antonia e della madre Agrippina. Nell'estate del 14, all'età di quasi due anni, Gaio partì insieme ai genitori per il fronte germanico-gallico, dove rimase fino a quando il padre non ebbe portato a termine le spedizioni militari in Germania (14 - 16). Durante questi tre anni, rimase insieme alla madre nei pressi del Reno (ad Ara Ubiorum, l'attuale Colonia), lontani dal teatro di guerra. Qui nacquero le prime due sorelle: Drusilla e Agrippina.
Tornati a Roma nel 17, dopo aver assistito al trionfo paterno, partì nuovamente con la famiglia per l'Oriente. La difficile situazione orientale aveva reso necessario un nuovo intervento romano, e Tiberio nel 18 aveva deciso di inviare il proprio figlio adottivo, Germanico, a cui fu concesso l'imperium proconsulare maius su tutte le province orientali. Il princeps, tuttavia, diffidava di Germanico e decise di affiancargli un uomo di sua provata fiducia: la scelta cadde su Gneo Calpurnio Pisone, che fu nominato governatore della provincia di Siria. Il 10 ottobre del 19 il padre morì dopo lunghe sofferenze. Prima di spirare, lo stesso Germanico confessò la propria convinzione di essere stato avvelenato da Pisone, e rivolse un'ultima preghiera ad Agrippina affinché vendicasse la sua morte.
Subito si manifestò il sospetto che fosse stato Pisone a causarne la morte avvelenandolo; si diffuse anche la diceria di un coinvolgimento dello stesso Tiberio, quasi fosse il mandante del delitto di Germanico, avendo lo stesso scelto personalmente di inviare Pisone in Siria. Pisone fu, pertanto, richiamato a Roma per essere processato e fu accusato anche di aver commesso numerosi altri reati in precedenza. L'imperatore tenne un discorso particolarmente moderato, evitando di schierarsi a favore o contro la condanna del governatore. A Pisone non poté comunque essere imputata l'accusa di veneficio, che appariva, anche agli accusatori, impossibile da dimostrare; il governatore, tuttavia, certo di dover essere condannato per gli altri reati, preferì suicidarsi prima che venisse emesso il verdetto. Le macchie sul corpo del padre, la bava nera che colava dalla bocca, il cuore rimasto indenne alla cremazione, perché, come si credeva, sembra fosse impregnato di veleno, costituirono per il piccolo Caligola i primi segni, orribili e traumatici, della fine di un'infanzia serena, ora che era stato messo di fronte alla morte paterna, agli intrighi e alle congiure di palazzo.
Quando Gaio e la madre tornarono a Roma, Tiberio non sembrò felice del loro rientro: il princeps e la nuora si sospettavano vicendevolmente di aver avvelenato Germanico. Frattanto Seiano, il prefetto del pretorio, amico e confidente dell'imperatore, iniziò ad architettare la fine di Agrippina, facendole giungere voci che la si volesse avvelenare. Fu così che, quando durante un banchetto Tiberio le offrì del cibo, la stessa, respingendolo in modo plateale, provocò l'ira dell'imperatore che di lì a poco l'accusò di lesa maestà in Senato, assieme al figlio Nerone Cesare, imputato a sua volta di immoralità. Nel 29 Agrippina fu esiliata a Ventotene, dove nel 33 si lasciò morire di fame, mentre il figlio Nerone, relegato a Ponza, era già morto due anni prima, nel 31.
In seguito all'esilio della madre, Gaio andò a vivere dalla bisavola paterna, Livia, sul Palatino, fino alla sua morte, quando ne pronunciò l'elogio funebre. Costretto a trasferirsi nella dimora della nonna Antonia, qui incontrò numerosi principi orientali vassalli di Roma, che ne influenzarono il modo di fare politica: i tre giovani principi traci, Polemone (a cui diede in seguito il regno del Ponto e del Bosforo), Remetalce (a cui più tardi affidò metà dell'antico regno di Tracia) e Cotys (a cui omaggiò quello dell'Armenia minore). Conobbe anche Erode Agrippa (discendente dai Re di Giudea della dinastia erodiana), a cui rimase profondamente legato negli anni a venire da profonda amicizia, e il cugino Tolomeo di Mauretania (figlio di Cleopatra Selene, a sua volta figlia di Cleopatra e Marco Antonio, nonché sorellastra di sua nonna Antonia).
Frattanto la corte imperiale andava riducendosi in numero, poiché Tiberio, temendo di essere al centro di continue congiure, ordinava spesso esecuzioni ed esilii. Quando anche Seiano fu sospettato di voler aspirare al trono imperiale, Caligola entrò in maniera più attiva nella vita di corte. Poco dopo la caduta di Seiano (nel 31), si riaprì la questione della successione. Fu in questa circostanza che Tiberio, ormai ritiratosi a Capri dal 26, volle che a fargli compagnia fosse il nipote Caligola. Giunto sull'isola, Gaio ricevette la toga virilis, senza che però gli fosse riservato alcun onore aggiuntivo. Svetonio racconta che, già in questo periodo, Gaio mostrò i primi segnali della sua natura "crudele e viziosa", assistendo spesso e volentieri alle esecuzioni capitali, oltre a frequentare taverne e bordelli, mascherandosi per non farsi riconoscere. Tiberio che conosceva i vizi del nipote ne tollerava la condotta, e in lui cercava la sua vendetta personale nei confronti del popolo romano, che ormai lo odiava, tanto da fargli pronunciare la frase: «Gaio vive per la rovina sua e di tutti; io educo una vipera per il popolo romano, un Fetonte per il mondo».
Nel 33 Caligola sposò Giunia Claudia, figlia di Marco Giunio Silano, un personaggio di spicco dell'aristocrazia romana. Sempre in quell'anno Druso Cesare, il secondogenito di Germanico, era morto dopo essere stato condannato al confino nel 30 con l'accusa di aver cospirato contro Tiberio. Alla morte del fratello, Gaio lo sostituì prima come augure, poi come pontefice.
Quando Tiberio, nel 35, depositò il suo testamento, potendo scegliere fra tre possibili eredi, vi incluse il nipote Tiberio Gemello, figlio di Druso minore, e il nipote Gaio, figlio di Germanico. Restò dunque escluso il fratello dello stesso Germanico, Claudio, che era considerato del tutto inadatto al ruolo di princeps, in quanto debole nel fisico e di dubbia sanità mentale. Il favorito nella successione apparve da subito il giovane Gaio di venticinque anni, poiché Tiberio Gemello, peraltro sospettato di essere in realtà figlio di Seiano (per le relazioni adulterine con la moglie di Druso minore, Claudia Livilla), aveva dieci anni di meno: due ragioni sufficienti per non lasciargli il Principato. Alla fine del 36 la moglie di Gaio, Giunia, morì di parto, ma Silano, il suocero di Caligola, mantenne per il genero un affetto profondamente filiale. Intanto, il prefetto del pretorio Macrone dimostrò da subito la sua simpatia per Gaio, erede designato, guadagnandosene con ogni mezzo la fiducia, compreso il fatto di permettere che lo stesso avesse una relazione adulterina con sua moglie, Ennia Trasilla.
Il 16 marzo del 37 le condizioni di salute di Tiberio si aggravarono, tanto che Caligola scese in piazza già acclamato imperatore dal popolo. Tiberio, però, poco dopo si riprese ancora una volta, suscitando scompiglio tra coloro che avevano già acclamato il nuovo imperatore; il prefetto Macrone, tuttavia, mantenendo la necessaria lucidità, ordinò che Tiberio fosse soffocato tra le coperte. Il vecchio imperatore, debole e incapace di reagire, spirò all'età di settantasette anni. Secondo Svetonio fu lo stesso Caligola ad uccidere Tiberio somministrandogli un veleno oppure soffocandolo sul letto di morte. Secondo i contemporanei di Tiberio, però, il Principe morì per cause naturali.
Alla morte di Tiberio, gli eredi designati erano Caligola e Tiberio Gemello. Quest'ultimo però non aveva ancora raggiunto l'età adulta (15 anni), mentre Gaio era il più amato dal popolo romano. Soldati e provinciali lo ricordavano quando, ancora bambino, aveva accompagnato il padre Germanico durante le campagne militari e la plebe romana lo acclamava come unico figlio dell'amato generale.
« [Si avveravano] i voti del popolo romano ed anzi del genere umano, perché era il principe sognato dalla maggior parte dei provinciali, dei soldati, molti dei quali lo avevano conosciuto da bambino, e dalla plebe romana, che era commossa dal ricordo di suo padre Germanico e di tutta la sua famiglia» (Svetonio, Vite dei Cesari, Gaio Cesare, XIII; Aurelio Vittore, De Caesaribus, III, 2).
Caligola tornò a Roma seguendo il corteo funebre di Tiberio e, entrato in città, ne pronunciò l'elogio funebre. Subito dopo partì per le isole di Ventotene e Ponza, per riportare a Roma le ceneri della madre e del fratello Nerone. Poi salpò per Ostia e proseguì fino a Roma dove le posò nel mausoleo di Augusto. La folla al suo passaggio lo acclamò, definendolo "nostra stella" e "nostro bambino". Il Senato allora, su pressione del popolo, annullò il testamento di Tiberio, con la scusa che l'imperatore prima di morire fosse uscito di senno, e proclamò nuovo princeps Caligola. Era il 18 marzo del 37.
Il re dei Parti, Artabano III, che da sempre aveva dichiarato il suo odio nei confronti di Tiberio, rese omaggio al nuovo princeps offrendogli un'alleanza tra i due popoli. Nel periodo che seguì l'inizio del suo principato vennero spesso organizzate feste e banchetti gratuiti per l'intera cittadinanza di Roma (congiaria): Svetonio aggiunge che, nei tre mesi successivi alla proclamazione di Caligola, furono sacrificati oltre 160.000 animali, mentre Filone ricorda che durante i primi sette mesi del suo regno tutti i cittadini furono costantemente in festa.
« Quando Gaio, dopo la morte di Tiberio Cesare, assunse il potere [...] tutto il mondo, dall'alba al tramonto del sole, tutti i paesi da questa parte ed al di là dell'Oceano, tutte le persone romane e tutta l'Italia e anche tutte le nazioni asiatiche ed europee se ne rallegrarono. » (Filone di Alessandria, De Legatione ad Gaium)
Per compiacere il popolo, uno dei suoi primi atti ufficiali fu concedere l'amnistia ai condannati, agli esiliati da Tiberio e a tutti coloro che erano imputati in un processo. Per tranquillizzare i testimoni nel processo di sua madre e dei suoi fratelli, fece portare nel Foro tutti gli incartamenti processuali e li bruciò. Dichiarò che i pervertiti sessuali, inventori di accoppiamenti mostruosi, fossero espulsi dall'Urbe e mandati in esilio; permise di ricercare, diffondere e leggere gli scritti, una volta banditi, di Tito Labieno, Cassio Severo e Cremuzio Cordo (che denunciavano in molti casi la classe senatoria). Attuò altre riforme per migliorare le condizioni della Repubblica, aumentare la libertà dei cittadini e combattere la corruzione.
Organizzò banchetti pubblici e prolungò la festività dei Saturnalia di un giorno. Organizzò spesso spettacoli e giochi gratuiti per farsi benvolere dalla popolazione. Escogitò inoltre un nuovo tipo di spettacolo: tra Baia e Pozzuoli fece costruire un ponte, lungo più di due chilometri e mezzo, composto da due file di navi ancorate e ricoperte di terra, a somiglianza della Via Appia. A causa dell'enorme quantità di navi utilizzate per alcuni giorni il cibo scarseggiò in tutta Roma, poiché insufficienti erano i mezzi addetti al rifornimento della città, che lungo il Tevere conducevano le derrate alimentari dalle province al porto di Ostia e da qui all'Urbe. Non solo nell'Urbe organizzò questo genere di manifestazioni, anche in Sicilia (in particolare a Siracusa) e in Gallia (a Lugdunum).
Portò a termine alcune opere pubbliche, iniziate dal suo predecessore, come il Tempio di Augusto, oltre a ristrutturarne altre come il Teatro di Pompeo. Iniziò la costruzione dell'Acquedotto Claudio (finito dal suo successore e dal quale prese il nome), dell'Acquedotto Anio novus e di un nuovo anfiteatro presso il luogo in cui si tenevano le elezioni (che fu però abbandonato alla sua morte). Ricostruì molti edifici e templi a Siracusa. Progettò la ristrutturazione del palazzo di Policrate a Samo, il Tempio di Apollo a Mileto, la fondazione di una città sulle Alpi e il taglio dell'Istmo di Corinto. Fece portare a Roma l'obelisco che si trovava nel foro di Eliopoli e lo pose al centro di un circo che iniziò a costruire, ma che fu portato a termine da Nerone e che prese da quest'ultimo il nome. Rinnovò, infine, i porti di Reggio Calabria e della Sicilia, al fine di aumentare l'importazione di grano dal'Egitto.
Nel 37, il primo anno del suo regno, Caligola dovette affrontare un disastro naturale ad Antiochia di Siria: il 9 aprile si verificò un terremoto che distrusse la città. L'imperatore, usando il denaro lasciatogli dal principato di Tiberio, provvide immediatamente a iniziare i lavori di ricostruzione e inviò a soprintendere e verificare un legato, un certo Salviano, e due senatori, Lurio Vario e Ponzio. I tre fecero inoltre molte offerte alla città, costruendo delle terme e un Trinymphon per i matrimoni.
Nel 38 Caligola inviò un suo amico, Erode Agrippa, contro il prefetto d'Egitto, Aulo Avilio Flacco, un presunto cospiratore alla porpora imperiale che aveva legami con i separatisti egizi. La popolazione greca di Alessandria non vide di buon occhio Agrippa, poiché era un re giudeo. Flacco allora provò a placare sia l'imperatore sia i Greci, facendo erigere sue statue nelle sinagoghe. Fu tutto inutile, poiché la rivoltà scoppiò ugualmente in città; Flacco venne pertanto rimosso dal suo incarico e poco dopo fu giustiziato.
Nel 40 scoppiò una nuova rivolta ad Alessandria d'Egitto, tra Greci ed Ebrei: questi ultimi erano accusati di empietà contro l'imperatore, poiché avevano distrutto le sue statue nei luoghi di culto. La reazione di Caligola fu quella di far erigere una sua statua colossale all'interno dello stesso tempio di Gerusalemme, cosa che si scontrava contro la credenza monoteistica ebraica. Al governatore della Siria, Publio Petronio, fu dato l'ordine di intervenire con l'esercito, ma Agrippa riuscì a convincerlo che non era necessario e l'imperatore acconsentì a non usare la forza contro il popolo ebraico.
Alla morte di Tiberio nelle casse del fiscus romano c'erano ben 2.700.000.000 di sesterzi, che Caligola riuscì a dilapidare in meno di un anno. Questo enorme fondo che ereditò dal suo predecessore venne dilapidato tra la fine del 38 e l'inizio del 39. Numerose furono infatti le elargizioni distribuite al popolo di Roma (congiaria), agli eserciti provinciali e alla guardia pretoriana (a cui distribuì un donativo doppio rispetto a quello promesso da Tiberio, pari a 2.000 sesterzi ciascuno, ai regni vassalli di Roma (il solo Antioco IV di Commagene ricevette 100.000.000 di sesterzi), oltre a spese ad uso personale e della corte.
In generale la politica giudiziaria di Caligola si può dividere in due periodi: il primo, molto liberale e filo-popolare, nel quale egli cercò anche il favore dell'ordine senatorio; il secondo, nel quale il princeps fece di tutto per accrescere il proprio potere, in una sorta di assolutismo monarchico, che egli sfruttò per accumulare ricchezze e per disporre del destino dei cittadini romani a suo piacimento.
Dato che l'ordine equestre si stava riducendo di numero, convocò da tutto l'impero, anche al di fuori d'Italia, gli uomini più importanti per stirpe e ricchezza e li iscrisse all'ordine; ad alcuni di loro, per assecondare l'aspettativa di diventare senatori, concesse di vestire l'abito senatoriale ancor prima di aver assunto cariche in quelle magistrature che davano accesso al Senato. Cercò di ristabilire, almeno formalmente, i poteri delle assemblee popolari, permettendo alla plebe di convocare nuovamente i comizi.
Il fatto che Caligola appartenesse ad una famiglia di importanti comandanti militari che si erano guadagnati gloria e onore con imprese belliche potrebbe aver destato in lui il desiderio di emularne le gesta. Se Druso maggiore, il nonno paterno, e Germanico, il padre, si erano concentrati in Germania, egli, per superare le loro gesta, credette di dover non solo conquistare in modo definitivo i territori compresi tra Danubio e Reno, ma anche varcare l'oceano e sbarcare in Britannia. A tal scopo, per prima cosa creò due nuove legioni, la XV Primigenia e la XXII Primigenia.
Lasciata Roma all'inizio di settembre del 39, condusse il suo esercito lungo il Reno, ammassandovi numerose legioni, insieme ai relativi reparti ausiliari e un ingente quantitativo di vettovagliamenti. A ottobre, dopo aver passato in rassegna le truppe, fece uccidere Gneo Cornelio Lentulo Getulico, che era stato il governatore della Germania superiore per dieci anni, poiché ne invidiava l'ottimo rapporto che aveva con le proprie truppe.
La sua impresa risultò quasi del tutto inutile, se non per il fatto che Adminio, figlio di Cunobelino re dei Britanni, scacciato dal padre, giunse nell'accampamento dell'imperatore e fece atto di sottomissione. Caligola rimase sul Reno senza però portare a termine alcuna operazione militare e rimproverò ai senatori di vivere tra i lussi mentre lui rischiava la vita in battaglia. Decise quindi di muovere le truppe verso l'Oceano, portando con sé numerose macchine da guerra.
In oriente, Caligola insediò come re clienti i tre giovani principi traci che aveva avuto modo di frequentare in gioventù, a casa della nonna Antonia: a Polemone II il regno del Ponto e del Bosforo (nel 38), a Remetalce III metà dell'antico regno di Tracia e a Cotys IX l'Armenia minore. L'imperatore non seguì un'identica linea politica con i regni alleati orientali: si basò molto sulla simpatia e sulla fiducia personale che ogni singolo sovrano fu in grado di trasmettergli. Esiliò Mitridate, re d'Armenia; nominò Antioco re di Commagene, regione ridotta a provincia nel 17, al quale regalò 100 milioni di sesterzi; elesse governatore dei territori di Batanea e Traconitide l'amico di infanzia, Erode Agrippa, donandogli in seguito anche il regno di Giudea dopo aver esiliato lo zio Erode Antipa (nel 39), accusato di volersi impadronire dei territori di Agrippa e di aver ordito una congiura contro l'imperatore, oltre alla Palestina nord-occidentale, che dalla morte di Erode Filippo II (34) era sotto il controllo diretto di Roma.
La Mauretania era ormai da lungo tempo un regno cliente fedele a Roma, governato da Tolomeo di Mauretania, discendente di Antonio e Cleopatra e cugino di secondo grado del principe. Nel 40 Caligola invitò Tolomeo a Roma, e «quando venne a sapere che era ricco», lo mandò a morte. Dopo l'uccisione del re di Mauritania scoppiò una rivolta guidata da un suo liberto, Edemone, che amministrava gli affari reali già dal 37, e che ebbe termine grazie all'intervento militare romano di Marco Licinio Crasso Frugi (41). La Mauretania fu quindi annessa e successivamente divisa in due province, Mauretania Tingitana e Mauretania Cesariensis, separate dal fiume Mulucha (oggi Muluia). Se Plinio sostiene che la divisione fu operata da Caligola, Cassio Dione al contrario afferma che solo in seguito alla rivolta del 42, soffocata nel sangue dalle truppe romane poste sotto il comando di Gaio Svetonio Paolino e Gneo Osidio Geta, fu operata la scissione in due province indipendenti; questa confusione potrebbe essere stata generata dal fatto che fu Caligola a prendere la decisione di dividere la provincia, ma che la sua realizzazione venne rinviata a causa della successiva ribellione. Il primo governatore equestre delle due province fu un certo Marco Fadio Celere Flaviano Massimo (44).
I dettagli della conquista della Mauretania non sono chiari sebbene Cassio Dione vi avesse dedicato un intero capitolo, purtroppo andato perduto. L'annessione operata da Caligola sembra avesse un movente strettamente personale, vale a dire il timore e la gelosia del cugino del princeps, Tolomeo. L'espansione non sarebbe stata quindi determinata, almeno inizialmente, da esigenze economiche o strategico-militari. Tuttavia la ribellione di Tacfarinas aveva mostrato quanto l'Africa proconsolare fosse debole lungo i suoi confini occidentali e di come i re clienti di Mauretania fossero importanti nel fornire la loro protezione alla provincia, ed è quindi possibile che l'annessione operata da Caligola rappresentasse una risposta strategica alle potenziali minacce future.
Nell'ottobre del 37 l'imperatore fu colpito da una grave malattia, notizia che turbò profondamente il popolo romano che lo amava e che fece voti per la salvezza del proprio princeps; Svetonio e Cassio Dione riportano il caso di un cavaliere, Atanio Secondo, che promise di combattere nell'arena come gladiatore in caso di sua guarigione: egli mantenne la promessa, combattendo, vincendo lo scontro e salvandosi la vita.
Caligola si riprese dalla malattia, anche se da questo momento in poi vi fu un netto peggioramento della sua condotta morale. Sulla malattia e sulle cause gli storici non concordano, ma tutti considerano questo evento come lo spartiacque tra il suo primo periodo di governo e il successivo, caratterizzato da una condotta folle. Osserva Filone di Alessandria:
« ...non passò molto tempo e l'uomo che era stato considerato benefattore e salvatore...si trasformò in essere selvaggio o piuttosto mise a nudo il carattere bestiale che aveva nascosto sotto una finta maschera » (Filone di Alessandria, De Legatione ad Gaium, 22).
Per Filone, Dio si servì di Caligola, trasformandolo dopo la malattia da ottimo principe e fortunato erede di Tiberio in un pazzo carnefice destinato a compiere la vendetta divina contro i giudei e i romani, quella stessa che avrebbe poi punito il suo persecutore, liberando alla fine gli stessi israeliti.
La malattia fu attribuita agli eccessi compiuti all'inizio del principato; in particolare Giovenale e Svetonio indicano come causa della malattia di Caligola l'aver usato un afrodisiaco (poculum amatorium) a lui offerto dalla moglie Milonia Cesonia. Sono state ipotizzate dagli studiosi moderni, come cause degli sbalzi d'umore, delle allucinazioni, dell'insonnia e delle paranoie di cui soffriva l'imperatore, oltre a disturbi mentali veri e propri, patologie come l'epilessia, l'ipertiroidismo e il saturnismo.
Fu in questo periodo che Gaio comprese quali fossero i rischi a cui andava incontro, poiché la carica di imperatore era ambita da molti. Anche se si ristabilì completamente dalla malattia, il suo modo di governare mutò profondamente. Le fonti antiche lo definirono «pazzo». Il suo breve principato fu, infatti, caratterizzato da ripetuti massacri degli oppositori, e da atti di governo che miravano a umiliare la classe senatoria e l'intera nobiltà romana. Celeberrimo è l'episodio del cavallo chiamato Incitatus che, secondo quanto tramandano Svetonio e Cassio Dione, sarebbe stato dallo stesso nominato senatore, come atto estremo di denigrazione nei confronti dell'assemblea senatoria. Il suo comportamento dispotico determinò numerose congiure, tutte sventate tranne l'ultima.
Se gli imperatori prima di lui avevano scelto, almeno nella parte occidentale dell'impero, di mantenere i legami con le tradizioni repubblicane, egli virò sensibilmente verso Oriente: non solo aveva in mente di trasferire la capitale imperiale ad Alessandria d'Egitto (come voleva il suo bisnonno Marco Antonio), ma anche di instaurare una forma di monarchia assoluta, a quel tempo ancora sconosciuta in Italia ma che di fatto fu posta in atto da Domiziano, Commodo e da tutti gli imperatori romani dal III secolo in poi. Adottò, pertanto, una politica volta a diventare un sovrano a cui si rendevano onori divini sul modello delle monarchie orientali, esasperando il noto processo di divinizzazione degli imperatori defunti.
Ossessionato dall'idea di regalità, la vedeva impersonata in Giove, il re di tutti gli dei, del quale Caligola riprese gli epiteti nei cognomina: Optimus Maximus Caesar. Con Giove Capitolino l'imperatore manteneva un rapporto confidenziale, quasi di fratellanza e complicità. Riferisce Svetonio:
« Di giorno... parlava in segreto con Giove Capitolino, ora sussurrando e porgendo a sua volta l'orecchio. Ora a alta voce e senza risparmiargli rimproveri. Infatti si sentirono le sue parole di minaccia. o tu elimini me o io te, finché non si lasciò persuadere - a sentir lui - dall'invito a condividere la sede e collegò i palazzi imperiali del Palatino al Campidoglio con un ponte che passava sopra il tempio del Divino Augusto » (Svetonio, Vite dei Cesari, Gaio Cesare, XXII)
Questo, che può apparire un comportamento bizzarro, in realtà faceva parte delle consuetudini religiose romane, come riferiscono altre fonti antiche a proposito di Scipione l'Africano che abitualmente aveva dialoghi mistici con Giove Capitolino. La frase blasfema di Caligola rivolta a Giove («o tu elimini me o io te»), racconta Cassio Dione, va riferita alla stizza dell'imperatore nei confronti di Giove Tonante, che con i tuoni e i fulmini, dei quali aveva peraltro paura, gli aveva impedito di assistere tranquillamente agli spettacoli dei pantomimi, e per rispondere e contrapporsi al dio: « [Caligola] Aveva anche escogitato un'invenzione con cui rispondeva con tuoni ai tuoni e mandava lampi in risposta ai lampi: e quando cadeva un fulmine lanciava a sua volta un sasso come se fosse un dardo ripetendo ogni volta il verso d'Omero, o tu elimini me o io te » (Cassio Dione, LIX, 28,6)
Fu inaugurato un luogo sacro predisposto all'adorazione dell'imperatore a Mileto, nella provincia d'Asia, e altri due templi furono eretti a Roma. Il tempio di Castore e Polluce fu annesso da Caligola nel palazzo imperiale del Palatino e fu dedicato al princeps. Fece rimuovere le teste di svariate statue di divinità e le fece rimpiazzare con quelle sue. Si diceva che volesse essere adorato come Neos Helios, il "Nuovo Sole"; infatti fu rappresentato come questa divinità sulle monete egiziane.
La politica religiosa di Caligola fu molto diversa da quella degli altri imperatori romani: infatti gli imperatori in vita erano adorati come dèi solo in Oriente, mentre a Roma si adoravano dopo la morte. Caligola cominciò a farsi adorare dai cittadini di Roma, compresi i senatori, come un dio vivente.
In onore della madre Agrippina fece istituire dei nuovi giochi circensi, durante i quali una statua della donna veniva portata in processione al pari degli dèi. In memoria del padre cambiò il nome del mese di settembre in Germanico, proclamò un giorno di sacrifici annuale in onore dei fratelli e per senatoconsulto fece attribuire a sua nonna Antonia tutti gli onori di cui aveva goduto in passato Livia Augusta. Prese suo zio Claudio come collega durante il suo primo consolato, adottò Tiberio Gemello il giorno che raggiunse l'età adulta e lo nominò Princeps Iuventis. Fece includere in ogni giuramento una formula che ricordasse le sue sorelle: «Non avrò più cari me stesso ed i miei figli di quanto non siano Gaio Cesare e le sue sorelle», e così pure nelle relazioni tra consoli: «Per la prosperità e la fortuna di Gaio e delle sue sorelle». Fu inoltre stabilito che il giorno in cui aveva assunto il potere fosse chiamato Parilia (21 aprile, data della fondazione di Roma), come se lo Stato fosse nato una seconda volta.
Se Caligola all'iniziò del regno onorò i suoi familiari, con il tempo il rapporto che ebbe con loro andò peggiorando. Svetonio racconta che preferì nascondere di essere nipote di Agrippa, poiché gli erano attribuite umili origini, affermando invece che sua madre fosse nata da un incesto tra Giulia maggiore e Augusto stesso, gettando pertanto discredito sull'immagine del primo imperatore romano. Si fece spesso beffe della sua bisavola Livia Drusilla, definendola un «Ulisse in gonnella» e rimproverandole che suo nonno, Alfidio Lurcone, fosse un semplice decurione di Fundi. L'unico suo antenato di cui avesse rispetto fu Marco Antonio: Cassio Dione ci tramanda che, quando i due consoli in carica festeggiarono la vittoria di Augusto su Antonio, Caligola li rimosse dal loro incarico. Questo apprezzamento nei confronti di Antonio fu dovuto probabilmente ai racconti della nonna Antonia, figlia del triumviro, da cui prese anche la comune passione per l'ellenismo.
Con le tre sorelle ebbe un rapporto molto intimo, seppure complicato, in particolar modo con Drusilla. Egli fu infatti geloso di suo marito, Lucio Cassio Longino, costringendoli a divorziare; la trattò come se fosse sua moglie e quando si ammalò la nominò erede al trono imperiale. Intratteneva rapporti incestuosi con tutte e tre e non lo nascondeva pubblicamente.
Quando Drusilla morì, sospese ogni genere di attività e le organizzò dei funerali pubblici, divinizzandola il giorno 23 settembre del 38 con un senatoconsulto. In seguito a questo lutto, il princeps rimase particolarmente addolorato tanto che le sue condizioni di salute peggiorarono. Riguardo invece alle altre due sorelle, non ebbe la stessa complicità che invece tenne con Drusilla. In occasione del processo di Marco Emilio Lepido, al quale aveva precedentemente promesso la successione, le condannò per adulterio e le mandò in esilio sulle Isole Ponziane.
« Quanto ai matrimoni non è facile stabilire se sia stato più turpe nel contrarli oppure nello scioglierli o nel farli durare. » (Svetonio, Gaio Cesare, 25.)
Dopo la morte della prima moglie, avvenuta intorno al 36, Caligola iniziò una relazione intima con Ennia Trasilla, moglie del fedele prefetto del Pretorio Quinto Nevio Sutorio Macrone. Verso la fine del 37, durante la festa di matrimonio di Gaio Calpurnio Pisone e Livia Orestilla, ordinò al marito di ripudiare la sposa per poterla risposare il giorno stesso. Accadde però che dopo pochi giorni la ripudiò, mandandola in esilio due mesi più tardi per non permetterle di risposarsi con Pisone. L'anno seguente (nel 38), si maritò con Lollia Paolina, moglie del consolare e governatore provinciale Publio Memmio Regolo. Caligola, che aveva sentito dire che sua nonna Aurelia era stata in gioventù una donna bellissima, fece chiamare Paolina dalla provincia, la fece divorziare dal marito e la risposò. Divorziò presto anche da lei dichiarando che fosse sterile[189] e la rimandò indietro, ordinandole però di non avere rapporti carnali con nessun altro. Sempre nel 38, quando Macrone fu nominato Prefetto d'Egitto, anche Ennia fu costretta a partire insieme al marito e ai figli. Poco prima di salpare per la nuova destinazione, Caligola, evidentemente addolorato per essersi sentito abbandonato dall'amante, ordinò a lei, al marito e ai loro figli di suicidarsi.
Nel 39, infine, iniziò una relazione con Milonia Cesonia, che divenne sua concubina; dopo aver divorziato da Paolina, la sposò poiché era incinta. Milonia Cesonia non era né giovane né bella, ma Caligola provò per lei una vera passione. Dopo un mese di matrimonio nacque una bambina, alla quale venne dato il nome di Giulia Drusilla, in ricordo della sorella scomparsa e divinizzata alla sua morte.
« Mentre tiranneggiava su tutto con la più grande avidità, licenziosità e crudeltà, fu assassinato nel Palazzo, nel ventinovesimo anno di età, nel terzo anno, decimo mese e ottavo giorno del suo regno. » (Eutropio, Breviarium ab Urbe condita, VII, 12)
Svetonio riporta nella "Vita di Gaio" che molti eventi avevano anticipato la morte di Caligola: alcuni fulmini si abbatterono sul Campidoglio di Capua e sul Tempio di Apollo Palatino a Roma il giorno delle idi di marzo, e l'astrologo Silla gli predisse di essere prossimo alla morte. Le Fortune di Anzio lo ammonirono circa l'esistenza di un Cassio pronto ad assassinarlo; egli allora, credendo che si trattasse del proconsole d'Asia Cassio Longino, lo fece richiamare e assassinare (secondo il racconto di Svetonio) o forse solo imprigionare (secondo quanto tramanda Cassio Dione). Dimenticò tuttavia che vi era un altro Cassio, il tribuno della guardia pretoriana Cassio Cherea.
L'assassinio dell'imperatore fu organizzato principalmente da tre persone (tra cui il tribuno Cherea), anche se molti cavalieri, senatori e militari ne erano a conoscenza, come pure il potente consigliere imperiale Callisto e il prefetto del pretorio. Cherea aveva motivazioni personali per uccidere il suo princeps: Caligola sembra che spesso lo sbeffeggiasse, sostenendo che fosse effeminato e chiamandolo "Amore" o "Venere". Vi sarebbero state però anche ragioni politiche. Altri importanti cospiratori furono Lucio Annio Viniciano, che si unì alla congiura per vendicare l'amico Lepido, e il senatore Marco Cluvio Rufo.
Il 24 gennaio del 41 un gruppo di pretoriani, guidati dai due tribuni Cassio Cherea e Cornelio Sabino, misero in atto il loro piano per assassinare il princeps. Caligola fu pugnalato a morte durante un scontro tra i congiurati e la sua guardia personale germanica; persero la vita anche sua moglie Milonia Cesonia, pugnalata da un centurione, e la figlia piccola, Giulia Drusilla, che fu scaraventata contro un muro. Il cadavere di Caligola fu portato negli Horti Lamiani, semi-bruciato e frettolosamente ricoperto di terra. Quando le sorelle tornarono dall'esilio, disseppellirono il corpo del fratello e posero le sue ceneri nel Mausoleo di Augusto.
Al momento della diffusione della notizia che Caligola era morto nessuno osò festeggiare, poiché i più credevano che l'imperatore avesse messo in giro la voce per capire di chi potesse fidarsi. Quando questa comunicazione fu però confermata, non avendo i congiurati nominato alcun altro imperatore, il Senato si riunì e dichiarò di voler ripristinare la Repubblica, cancellando di fatto il governo dei precedenti principes a partire da Augusto. Cherea provò a convincere l'esercito ad appoggiare i padri coscritti, ma senza successo. Alla fine i senatori si resero conto di dover nominare un nuovo successore, che Lucio Annio Viniciano, importante senatore e cospiratore, indicò in Marco Vinicio, suo parente e marito di Giulia Livilla.
Alla morte di Caligola, i membri della famiglia imperiale rimasti ancora in vita erano pochi. Tra questi vi era il cinquantenne Claudio che, appena saputo della morte del nipote Gaio, corse a nascondersi nelle sue stanze; rintracciato da alcuni pretoriani, fu condotto nel loro accampamento per essere acclamato imperatore mentre il Senato era occupato tra Foro e Campidoglio. Claudio venne invitato a presentarsi davanti al popolo, ma prima decise di comprarsi la fedeltà della guardia pretoriana promettendo la somma di quindicimila sesterzi per ciascun pretoriano. Fu così che Claudio venne elevato alla porpora imperiale e divenne il quarto imperatore di Roma. Il nuovo princeps pose, quindi, il proprio veto a quanto il Senato aveva appena deliberato: condannare Caligola alla damnatio memoriae. Poi, su invito del popolo romano, che era rimasto affezionato a Caligola, fece imprigionare e condannare a morte tutti i congiurati, compreso Cassio Cherea.
Di Caligola non cionosceremo mai la vera storia, quello che sappiamo, per certo, è che era odiato dall'oligarcghia senatoriale e amato dal popolo.
Quasi sicuramente Caligola fu sepolto nel mausoleo di Augusto, dove furono inumati la maggiore parte dei membri della dinastia giulio-claudia. Tuttavia, il 17 gennaio 2011 la polizia di Nemi, un paese dove Caligola risiedette, annunciò di aver scoperto un possibile luogo di sepoltura dell'imperatore Caligola, dopo aver arrestato un ladro che cercava di portare via una statua attribuita proprio a questo imperatore. La notizia, riportata principalmente dalla stampa britannica, fu però accolta con grande scetticismo dalla storica dell'Università di Cambridge Mary Beard che ritenne tale ipotesi infondata. Secondo il National Geographic il fatto non proverebbe che Nemi fosse il luogo di sepoltura di Caligola poiché l'oggetto del furto, la grande statua a pezzi, raffigurante Caligola seduto sul trono, potrebbe essere stata situata un tempo nella stiva delle navi di Nemi affondate nell'omonimo lago.


Eugenio Caruso - 06 febbraio 2018

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