Galba e il disastro finanziario lasciato da Nerone

I GRANDI PERSONAGGI STORICI


Ritengo che ripercorrere le vite dei maggiori personaggi della storia del pianeta, analizzando le loro virtù e i loro difetti, le loro vittorie e le loro sconfitte, i loro obiettivi, il rapporto con i più stretti collaboratori, la loro autorevolezza o empatia, possa essere un buon viatico per un imprenditore come per una qualsiasi persona.

ARTICOLI PRECEDENTI. Sun Tzu - Alessandro Magno - Marco Aurelio- Nabucodonosor - Elisabetta I - Carlo Magno - Hammurabi - Gilgames - Sargon - San Benedetto - Cesare - Saladino - Nerone - Carlo V - Attila - Pietro il grande - Caterina di Russia - Adriano - Gengis Khan - Napoleone Bonaparte - Akhenaton - Tutanchamon - Ramsete II - Ciro il Grande - Chandragupta Maurya - Augusto - Qin Shi Huang - Traiano - Barbarossa - Kanishka I - Antonino Pio - Lucio Vero - Costantino - Diocleziano - Settimio Severo - Cocceo Nerva - Aureliano - Valeriano - Gallieno - Giustiniano - Romolo Augusto - Teodorico - Alboino - Tiberio - Caligola - Claudio I - Cosroe I - Giuliano - Vespasiano - Tito - Domiziano - Valente -

Galba

Servio Sulpicio Galba Cesare Augusto ( Terracina, 24 dicembre 3 a.C. – Roma, 15 gennaio 69) percorse l'intero cursus honorum fino al consolato e agli incarichi di governatore in Germania superiore, Africa proconsolare e nella Hispania Tarraconensis. Sostenne la rivolta di Giulio Vindice e alla morte di questi e di Nerone ascese al trono, primo a regnare durante l'Anno dei quattro imperatori. Dopo appena sette mesi di governo, il 15 gennaio del 69 fu deposto e assassinato dai pretoriani che elevarono Otone; fu il primo dell'era dei quattro imperatori in 18 mesi.
Servio Sulpicio Galba nacque a Terracina da Gaio Sulpicio Galba e Mummia Acaica, entrambi discendenti da famiglie di antica nobiltà. Dal lato paterno, infatti, era erede dell'antica Gens Sulpicia, di cui occorre ricordare il consolare Servio Suplicio Galba, uno dei più grandi oratori del tempi ed il pretore Servio Sulpicio Galba, uno dei cesaricidi.
Il figlio di quest'ultimo, Servio Sulpicio Galba, nonno dell'imperatore, fu più insigne per gli studi di storia che per gli uffici conseguiti non essendo andato oltre il grado di pretore. Il figlio, Gaio Suplicio Galba, fu un avvocato assai stimato e divenne consul suffectus nel 5 a.C.
Si sposò due volte: dalla prima moglie, Mummia Acaica, pronipote di Lucio Mummio Acaico, conquistatore di Corinto, ebbe due figli Gaio e appunto Servio mentre non sono noti altri eredi dalla seconda, Livia Occellina. A seguito della morte della madre, Servio fu adottato dalla matrigna, prese il nome gentilizio di Livio ed il cognome di Ocella mutando il prenome da Servio a Lucio.
Come il fratello Gaio prima di lui, intraprese l'attività politica ma con maggior fortuna. Se il fratello riuscì a raggiungere il rango consolare nel 22, si suicidò quando Tiberio gli impedì di sorteggiare il consolato che legalmente gli spettava; l'ascesa di Servio Galba fu profetizzata da Augusto e da Tiberio, il quale gli disse "Anche tu, Galba, assaggerai l'impero".
Sposò Emilia Lepida, identificata come la figlia di Manio Emilio Lepido, console nell'11 da cui ebbe due figli che sarebbero morti, insieme alla madre, a seguito di un'epidemia; non si lasciò attirare, da sposato o da vedovo da alcun partito, neppure da Agrippina che gli aveva prodigato ogni sorta di profferte quando Lepida era ancora in vita,tanto che in una riunione di matrone la madre di Lepida l'aveva coperta di ingiurie ed era arrivata perfino a metterle le mani addosso.
Grazie anche al favore di Livia Augusta, che gli lasciò anche un legato di 50 milioni di sesterzi - in realtà mai pagati da Tiberio - sin dalla giovinezza esercitò il cursus honorum. In qualità di pretore, attorno al 30, diede nella celebrazione dei Ludi Floreali lo spettacolo degli elefanti funamboli, fu console nel 33; nell'intervallo tra le due cariche divenne Legatus Augusti pro praetore in Gallia Aquitania e Germania superiore dove divenne noto per la sua imparziale severità. Infatti, nel comando in Germania, interdisse le domande dei congedi, ritemprò veterani e reclute con assidue esercitazioni, respinse gli assalti dei Germani e ottenne tali successi che nessuno ottenne elogi e premi maggiori di lui.
Alla morte di Caligola rifiutò l'invito dei suoi amici di farsi avanti per l'impero e servì lealmente Claudio che, in riconoscenza di ciò, lo accolse nella sua cerchia più ristretta di amici e lo tenne in così grande considerazione da rimandare la spedizione britannica avendo saputo di una sua malattia. Nel biennio 44-46 resse l'Africa proconsolare che, turbata da disordini, discordie intestine ed incursioni dei barbari, con lui trovò un periodo di pace; per i suoi successi ottenne le insegne trionfali e il sacerdozio ai collegi dei Quindicemviri, dei Tizii e degli Augustali.
Con l'ascesa al trono di Nerone, visse in disparte nelle sue proprietà a Fondi e a Terracina spostandosi raramente e mai senza portare con sé la propria fortuna privata di 1 milione di sesterzi; poi, nel 61, ricevette dall'imperatore il comando della Spagna Tarraconese. Resse per otto anni questa provincia ma in modo discontinuo: nei primi anni fu attivo, impetuoso se non eccessivo nella repressione delle colpe tanto da far amputare le mani ad un usuraio e condannando alla crocifissione un cittadino romano (fatto assai inusuale in quanto, per la sua natura infamante, la crocifissione era riservata agli schiavi), colpevole per aver ucciso il suo pupillo. In seguito tenne un atteggiamento più cauto e dimesso essendo solito affermare "perché nessuno è costretto a rendere conto di ciò che non fa".
« Non si turbò Nerone, nell'udire
il vaticinio delfico:
"Dei settantatré anni abbia paura".
Ha trent'anni. Assai lunga
è la scadenza che concede il dio,
per angosciarsi dei rischi futuri.
Ora ritornerà a Roma, un poco stanco,
divinamente stanco di quel viaggio,
che fu tutto giornate di piacere,
nei giardini, ai teatri, nei ginnasi...
Sere delle città d'Acaia... Oh, gusto,
gusto dei corpi nudi, innanzi tutto...
Così Nerone. Nella Spagna, Galba
segretamente aduna le sue truppe
e le tempra, il vegliardo d'anni settantatré. »

(da La scadenza di Nerone di Costantino Kavafis)
Nella primavera del 68, mentre teneva un'assemblea provinciale a Cartago Nova, Galba fu informato delle rivolte in Gallia e ben presto ricevette numerose lettere da Giulio Vindice che lo esortava a "farsi difensore e condottiero del genere umano" e della conseguente intenzione di Nerone di metterlo a morte.
Incoraggiato anche dai numerosi auspici e presagi, uno dei quali affermava chiaramente che "Un giorno dalla Spagna sorgerà un principe e signore del mondo", si schierò con i ribelli; in un discorso deplorò ufficialmente il malgoverno neroniano, rifiutò il titolo di imperator, preferendo quello di Legato del senato e del popolo romano ed infine arruolò nuove legioni e milizie ausiliari.
Il suicidio di Vindice, avvenuto a seguito di uno scontro con i soldati di Lucio Virginio Rufo, governatore della Germania Superiore e un tentativo di assassino ai suoi danni compiuto da alcuni servi al servizio di Nerone, lo gettarono nella più cupa disperazione e per poco non giunse a togliersi la vita. La situazione si capovolse quando la guardia pretoriana, sotto il comando di Ninfidio Sabino, abbandonò Nerone che lasciò Roma; a tal punto il senato lo depose e inviò soldati per metterlo a morte; vistosi perduto Nerone si suicidò il 9 giugno del 68. Subito Galba, ricevuta la notizia della morte di Nerone e l'investitura del senato, abbandonò il titolo di Legato del senato e del popolo romano, assunse quello di "Cesare Augusto" e radunò le proprie forze per marciare su Roma.
Il suo potere, tuttavia, ben presto apparve estremamente debole e precario dal momento che di colpo si era svelata la segreta possibilità di eleggere l'imperatore anche distante da Roma. Infatti, ben presto il governatore della Germania Inferiore, Fonteio Capitone e quello dell'Africa Lucio Clodio Macro, indispensabile per i rifornimenti di grano a Roma, iniziarono a cospirare contro il nuovo sovrano.
A Roma, inoltre, approfittando della lentezza di Galba, Ninfidio Sabino, iniziò anch'egli a sobillare i pretoriani per preparare in proprio un colpo di Stato ma il suo tentativo fu scoperto ed egli assassinato. Il viaggio di Galba per raggiungere Roma fu assai lento e segnato dal sangue e dai tumulti poiché l'imperatore aveva punito con dure contribuzioni le città e le popolazioni che avevano esitato a sostenerlo e condannato a morte per alto tradimento e senza processo il console designato Cingonio Varrone e il consolare Petronio Turpilliano.
Giunto a Roma nell'ottobre del 68, impose ai marinai reclutati da Nerone in una legione di ritornare alla condizione originaria e quando questi si ribellarono, fece reprimere la rivolta con estrema ferocia facendoli caricare dalla cavalleria per poi decimarli. Poco tempo dopo, giunsero a Roma le notizie della morte di Clodio Macro e Fonteio Capitone: il primo, assassinato da Trebonio Garuziano su ordine di Galba, il secondo per mano dei propri legati Cornelio Acquino e Fabio Valente, nell'indifferenza dell'imperatore.
Queste notizie e il sempre più grande ascendente dei liberti e dei cortigiani, tra i quali spiccavano quelli che il popolo definiva, per la loro influenza, i "tre pedagoghi": Tito Vinio, già legato in Spagna, Cornelio Lacone, nuovo prefetto del pretorio e il liberto personale Icelo Marciano e la loro avidità ed inefficienza, indebolirono ancor di più il prestigio del sovrano.
La situazione era resa ancor più compromessa dallo stato disastroso delle pubbliche finanze, stremate dai 2 miliardi e 200 milioni di sesterzi elargiti da Nerone e, per risanare il bilancio, l'imperatore adottò misure assai impopolari: rifiutò di pagare il donativo ai pretoriani, promesso da Ninfidio Sabino al momento della deposizione di Nerone e, tramite una commissione di equites, fece in modo che i beneficiari delle elargizioni restituissero quanto ricevuto salvo il 10% chiamando ad adempiere anche coloro i quali avevano acquisito i doni dai beneficiari originari.
In conseguenza di tutto ciò, Galba, già inviso ai soldati, perse anche l'appoggio di gran parte della popolazione cittadina e molti, soprattutto i più poveri iniziarono a rimpiangere Nerone.
Nel frattempo, la situazione nelle province della Gallia Belgica e della Germania superiore ed inferiore, precipitava dal momento che, a seguito dell'allontanamento del popolare Virginio Rufo, Galba non solo non aveva adempiuto alla promessa del predecessore di ricompensare le truppe per la repressione della rivolta di Vindice ma aveva anche tardato a nominare il successore, alimentando malcontento tra le truppe che temevano di essere sembrati favorevoli alla parte avversa. Dopo alcuni mesi di stasi in cui l'esercito fu praticamente lasciato a se stesso, Galba si decise a inviare un nuovo legato nella Germania inferiore scegliendo, tra lo stupore generale e su impulso di Tito Vinio, Aulo Vitellio, il cui unico merito era di essere figlio di Lucio Vitellio il Vecchio, censore e per tre volte console. Il nuovo generale, tuttavia, al di là del prestigio paterno, era praticamente sprovvisto di ogni attitudine al comando, debole di carattere giunse perfino al punto di baciare lungo tutta la strada i soldati ai quali condonò le note infamanti.
Grazie a tali atti divenne assai impopolare finché il 1º gennaio 69, due legioni dislocate nella provincia di confine della Germania Superiore, ruppero il giuramento di fedeltà nei confronti di Galba ed inviarono messi al senato e al popolo romano affinché scegliessero un nuovo imperatore. Scoppiata l'insurrezione non solo Vitellio non fu capace di reprimerla ma, debole qual era, fu accerchiato dai soldati nella sua tenda e indotto ad accettare la porpora imperiale. Il giorno seguente, anche le legioni della Germania Inferiore si ribellarono e il loro comandante Ordeonio Flacco, anziano e malato di gotta, pur deplorando l'insurrezione, accettò di porsi al servizio di Vitellio.
Nei primi di gennaio del 69, tramite una missiva del procuratore della Gallia Belgica Pompeo Propinquo, la notizia della rivolta raggiunse Roma e fece maturare in Galba la decisione a lungo meditata di adottare un coadiutore e successore. Sin dall'inizio la scelta apparve contrastata dal momento che Tito Vinio appoggiava apertamente Marco Salvio Otone, già governatore della Lusitania e uno dei più antichi sostenitori di Galba ma ben noto per la sua condotta cupida, dissoluta e viziosa mentre Icelo ed il prefetto del pretorio Cornelio Lacone erano concordi nell'opporsi alla candidatura di Otone. Inoltre, la scelta di Otone era sfavorita dal fatto che questi era stato tra i più vicini cortigiani di Nerone fino a quando fu esiliato in Lusitania a seguito del matrimonio con l'allora amante dell'imperatore, Poppea Sabina. Per tali motivi, Galba si oppose e gli antepose, probabilmente su consiglio di Cornelio Lacone, Lucio Calpurnio Pisone Liciniano, austero, onesto, integerrimo, nipote di Gaio Calpurnio Pisone, promotore e capo della Congiura dei Pisoni contro il regime neroniano.
Ciò non bastò: infatti, Pisone, esule, era privo di esperienza amministrativa né era conosciuto presso i soldati e il 10 gennaio, quando l'adozione fu annunciata davanti ai pretoriani, ben pochi l'accolsero con favore dato che Galba si era rigidamente rifiutato di disporre l'usuale donativo e così lo storico Tacito commentò tale decisione:
« Alle sue parole non seguirono né doni né lusinghe. Tuttavia i tribuni, i centurioni e i soldati più vicini risposero acclamandolo. Gli altri, però, erano mesti e silenziosi perché avevano perso, con la guerra alle porte, dei donativi che si davano perfino in tempo di pace. Eppure quel vecchio troppo parsimonioso avrebbe potuto conciliarsi gli animi anche con una gratifica di minima entità. Gli fu fatale il severo rigore di stampo antico, che ormai male si concilia con la nostra epoca. » (Tacito, Historiae, I)
Con tale adozione, Galba finì per perdere uno dei suoi più antichi alleati, Otone, il governatore della Lusitania. Questi sapeva che se si fosse attardato a reagire sarebbe stato esiliato, poiché ogni regnante sospetta ed odia il più favorito successore. Conveniva quindi agire proprio nel periodo in cui l'autorità di Galba sarebbe stata instabile o quella di Pisone non ancora consolidata. Quindi Otone cercava di guadagnarsi l'appoggio dei soldati devolvendo grandi elargizioni, chiamandoli come pari e parlando male di Galba, ed era facile, poiché ai soldati la dottrina militare risultava particolarmente gravosa, costretti come furono ad attraversare i Pirenei e le Alpi, con estenuanti marce forzate, nel viaggio dalla Tarraconense.
Confidò a pochi i propri disegni, aizzando gli animi degli altri e ben presto il "morbo" si diffuse in tutto l'esercito, perché ognuno era a conoscenza della precarietà della situazione in Germania. I soldati avrebbero scatenato la rivolta il 14 gennaio, mentre Otone tornava a casa da un banchetto, se non fossero stati scoraggiati dai rischi delle tenebre, dalla dispersione delle truppe su tutta la città e dall'ubriachezza della folla attorno, che avrebbe impedito loro un'azione organizzata. Si temeva che qualche altro soldato si sarebbe proclamato Otone, che era sconosciuto ai più.
Le poche informazioni che giunsero a Galba che avrebbero potuto far intuire i pensieri dei soldati, venivano minimizzati dal prefetto Lacone, completamente all'oscuro di quanto stesse accadendo. Il 15 gennaio invece Otone, mentre stava assistendo ai sacrifici compiuti da Galba, fu informato da Onomasto (messo da lui a capo della congiura), che i soldati erano pronti. Andandosene con una scusa, fu salutato davanti al tempio di Saturno da 23 guardie del corpo, che lo trasportarono al campo dei pretoriani. I tribuni e i centurioni non opposero resistenza perché erano convinti che ci fossero troppi corrotti per uscirne vivi.
Chi fu mandato da parte di Pisone a richiamare i distaccamenti illirici fu cacciato via e due primipili mandati a far venire quelli germanici li trovarono incerti, ben disposti ad aiutare Galba che si era preso cura di loro, ma in pessime condizioni fisiche dopo una lunga traversata. Si diffidava invece della legio I Adiutrix, che era stata trucidata da Galba appena insediato a Roma, la quale appunto supportò subito Otone. Furono inviati inoltre nel campo dei pretoriani, per sedare la rivolta fin dal principio, tre tribuni, che però fallirono nel tentativo.
Galba, che era nel Palazzo, decise di affrontare subito la rivolta, e appena accennò a uscire, si sparse la voce che Otone fosse stato ucciso nell'accampamento e la voce menzognera si diffuse rapidamente. Galba, volendo sapere la verità sull'accaduto, fu portato fuori su una portantina, mentre gli si presentava il presunto assassino. Intanto nell'accampamento i soldati erano entusiasti e portarono sulle spalle Otone sulla tribuna dove poco prima c'era la statua dorata di Galba e tutta la legio I Adiutrix si unì prestando giuramento. Mentre si avvicinava al foro, Galba veniva portato qua e là dalla folla impaurita.
A Otone giunse notizia che il popolo si stesse armando contro di lui, quindi ordinò agli uomini di precipitarsi a prevenire ciò, e questi irruppero armati su cavalli nel foro, calpestando popolo e senatori. Quando si vide i soldati addosso, il portainsegna della coorte che accompagnava Galba strappò dall'asta l'immagine di quello e la gettò a terra ed a quel segnale tutti i soldati si inchinarono a Otone, mentre la moltitudine fuggì ed il foro rimase vuoto come scrisse Tacito:
« Vistasi addosso la schiera degli armati, il porta-insegne della coorte che accompagnava Galba strappò l'immagine di Galba e la gettò per terra. Fu, allora, chiaro che tutti i soldati parteggiavano per Otone: la folla lasciò vuoto il Foro e coloro che ancor esitavano furono minacciati. Vicino al Lacus Curtius il tremore dei portatori sbalzò Galba dalla lettiga e lo fece rotolare a terra. Le sue ultime parole sono state variamente tramandate da chi lo odiava e da chi, invece, provava ammirazione per lui. Qualcuno dice che, con voce supplichevole, chiedesse che male avesse mai fatto. E implorava anche un po' di tempo per pagare il donativo. Molti però affermano che offrisse volontariamente il collo ai suoi boia: facessero pure, lo colpissero se pensassero di fare cosa utile allo stato. Ma per gli uccisori, cosa abbia effettivamente detto, non ha importanza. » (Tacito, Historiae I,)
Insieme a Galba, furono uccisi Tito Vinio e Pisone. Le teste di Pisone, Galba e Vinio furono portate in processione su lunghe aste fra le insegne delle coorti accanto all'aquila della legio I Adiutrix, mentre gli uccisori mostravano le mani insanguinate e chi aveva assistito alla strage la esaltava. La sera dello stesso giorno Otone concesse ai famigliari di Pisone, cioè la moglie Verania ed il fratello Scriboniano, e a Crispina, figlia di Vinio, il diritto di cremare e seppellire i corpi, ma prima fu necessario riscattare le teste.
Il corpo di Galba rimase, invece, per molte ore abbandonato e fu straziato orribilmente finché, Argio, suo liberto e amministratore del patrimonio, riuscì a dargli un'umile sepoltura nei giardini privati; la testa, che alcuni inservienti avevano innalzato sulle aste e sfregiato davanti al tumulo di Patrobio, liberto di Nerone, condannato a morte da Galba, fu ritrovata il giorno dopo e ricongiunta al corpo già cremato. In seguito Vitellio trovò 120 richieste di compenso per atti notevoli nel massacro e ordinò che coloro che le avevano redatte fossero trovati e uccisi, non per onorare Galba, ma per difesa personale.
Ora il popolo malediceva Galba e acclamava Otone. Il prefetto Lacone, che era su un'isola apparentemente esiliato, fu ucciso da un inviato di Otone. Icelo fu giustiziato in pubblico come liberto ed Otone permise che i cadaveri fossero sepolti. Allo stesso modo, Svetonio ricorda che:
« Morì a settantatré anni, dopo sei mesi di principato. Il Senato, appena possibile, gli decretò una statua da erigersi nel foro, su una colonna rostrata, nel luogo dove era stato ucciso. Ma Vespasiano annullò tale delibera, convinto che Galba l'avesse segretamente inseguito con i suoi sicari dalla Spagna fino in Giudea. » (Svetonio, De vita Caesarum, Galba,)
Con la salita al trono di Otone, Galba fu colpito dalla Damnatio Memoriae in seguito annullata da parte di Vespasiano; lo storico Publio Cornelio Tacito, riportata la notizia del suo funerale, lo descrisse con queste parole:
« Così abbandonò la vita Servio Galba: aveva 73 anni, era vissuto in buona sorte sotto cinque principi ed era stato più fortunato durante il principato altrui che durante il proprio. La sua era una famiglia di antica nobiltà, grande il suo patrimonio. Quanto a capacità, era un mediocre che non possedeva grandi virtù ma anche privo di vizi. Il successo gli faceva gola ma non era un fanfarone; non attentava ai patrimoni altrui e, se era parsimonioso con il proprio denaro, sembrava perfino avaro quando si trattava del denaro pubblico. Trattava amici e liberti, se erano brave persone, con un'indulgenza niente affatto biasimevole; se erano malvagi, fingeva colpevolmente di non accorgersene. In ogni modo gli illustri natali e la paura che contrassegnava quei tempi lo giustificarono e mascherarono come saggezza quella che era apatia. Nel fiore degli anni si conquistò buona gloria in Germania. Resse, da proconsole, con grande avvedutezza l'Africa e con ugual senso di giustizia la Spagna citeriore, quando era già anziano: finché rimase privato cittadino, sembrava che avrebbe meritato qualcosa di più e per consenso di tutti era considerato degno del principato, se non fosse divenuto imperatore. » (Tacito, Historiae, I)
Plutarco di Cheronea, contemporaneo di Tacito, concluse così la propria biografia su questo imperatore:
« Sebbene disprezzato in cagione della vecchiaia, eppure fu tra le truppe e le legioni un vero comandante pari agli antichi ma, essendosi per il resto interamente concesso a Vinio, Lacone e ai liberti che in ogni affare cercano il loro guadagno, benché anche Nerone si era dato a uomini avidissimi, dopo di lui non lasciò nessuno che si augurasse di vivere sotto il di lui impero, anche se molti ebbero compassione per la sua morte. » (Plutarco, Vita di Galba)
Il giudizio di Tacito influenzò non poco la storiografia seguente la quale tendenzialmente conservò l'opinione assai poco lusinghiera del grande storico latino che attribuì a Galba diversi errori. In primo luogo viene rimproverato come miope e sconsiderato l'atteggiamento di Galba nei confronti dell'esercito della Germania (di cui per altro era stato comandante sotto Caligola): infatti, la sostituzione di un generale abile, esperto e popolare come Virginio Rufo e l'eliminazione dell'altro comandante Fonteio Capitone, sebbene corrotto ed infido, non fecero altro che istillare nelle truppe un profondo risentimento nei confronti dell'imperatore e del partito anti-neroniano fino a spingerle alla rivolta quando apparve chiaro che i generali Ordeonio Flacco e Aulo Vitellio non erano in grado di mantenere l'ordine.
In secondo luogo, Galba ripeté lo stesso errore compiuto in Germania con le truppe di stanza a Roma: infatti, il rifiuto di ottemperare alle promesse di donativo compiute in suo nome da Ninfidio Sabino, la spietata repressione dei disordini dei disordini della legione marittima reclutata da Nerone, il congedo delle milizie germaniche e della legione da lui portata dalla Spagna, lo resero assai impopolare e gli tolsero ogni difesa. In conseguenza di ciò divenne facile per Otone acquistarsi il favore dei soldati e deporre Galba.
Poi, lo strapotere dei suoi cortigiani, del suo liberto personale Marciano Icelo, del prefetto del pretorio Cornelio Lacone e del console Tito Vinio, persone avide e incapaci, screditarono il governo e l'immagine di Galba e contribuirono non poco a rendere inutili ed impopolari i tentativi di Galba di rimettere ordine nelle finanze e di bonificare la corte dai vizi neroniani. Infine, fallì il tentativo di Galba di consolidare il proprio potere con l'adozione di Pisone Liciniano per il semplice motivo che Pisone, sebbene fosse giovane mancava di qualunque esperienza amministrativa o militare ed era sconosciuto ai soldati. La sua nomina, in sintesi, non solo non giovò alla popolarità di Galba anzi, indusse Otone, antico sostenitore di Galba, alla rivolta che depose l'imperatore e la sua corte.

Eugenio Caruso - 22 aprile 2018

LOGO


www.impresaoggi.com