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Varlam Salamov:I racconti di Kolyma è considerata una delle più importanti raccolte di racconti el XX secolo.

«Hanno dimenticato il tuo nome
non solo per noncuranza,
ti hanno mischiato qui con altre
pietre rubandoti all’eternità».

Šalamov

GRANDI PERSONAGGI STORICI Ritengo che ripercorrere le vite dei maggiori personaggi della storia del pianeta, analizzando le loro virtù e i loro difetti, le loro vittorie e le loro sconfitte, i loro obiettivi, il rapporto con i più stretti collaboratori, la loro autorevolezza o empatia, possa essere un buon viatico per un imprenditore come per una qualsiasi persona. In questa sottosezione figurano i più grandi poeti e letterati che ci hanno donato momenti di grande felicità ed emozioni. Io associo a questi grandi letterati una nuova stella che nasce nell'universo.

I RUSSI

Blok - Brodskij - Bulgàkov - Bunin - Cechov - Dostoevskij - Erofeev - Esénin - Gogol - Gor'kij - Lermontov - Majakovskij - Nabokov- Pasternak - Puškin - Šalamov - Saltykov Šcedrin - Šolochov - Solženicyn - Tolstoj - Turgenev - Zamjatin -

Varlam Tichonovic Šalamov (Vologda, 1907 – Mosca, 1982) è stato uno scrittore, poeta e giornalista sovietico. Prigioniero politico per lunghi anni, sopravvisse all'esperienza del gulag.


sdalamov

«Nati in anni sordi
la nostra vita non ricordiamo»
(V. Šalamov, da Ricordi di Irina P. Sirotinskaj)


Figlio di un prete ortodosso e di un'insegnante, si diploma al ginnasio nel 1923. Dopo due anni di lavoro, viene ammesso nel 1926 all'Università Statale di Mosca, nel dipartimento di diritto sovietico, dove, durante gli studi, si unisce ad un gruppo trockista. Viene arrestato il 19 febbraio 1929 e condannato a tre anni di lavori forzati nella città di Višera, sugli Urali settentrionali; l'accusa è quella di aver distribuito le Lettere al Congresso del Partito, note anche come Testamento di Lenin, in cui vengono sollevate critiche all'operato di Stalin, nonché di aver partecipato a un picchetto dimostrativo per il decimo anniversario della Rivoluzione d'ottobre con lo slogan "Abbasso Stalin!".

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Immagine dal Museo Šalamov di Vologda


Rilasciato nel 1931, lavora nella città di Berezniki fino all'anno seguente, quando rientra a Mosca e riprende a dedicarsi alla scrittura. Nel 1936 vede la luce il suo primo racconto Le tre morti del Dottor Austino. Il 12 gennaio 1937, durante le grandi purghe, è nuovamente arrestato per "attività trockiste contro-rivoluzionarie" e mandato ai lavori forzati per cinque anni nella Kolyma, tristemente nota come "la terra della morte bianca". Nel 1943 gli viene inflitta una seconda pena, stavolta per dieci anni, per "agitazione antisovietica". Tra le accuse, l'aver definito Ivan Bunin "un classico scrittore russo".
Nel lungo periodo di prigionia lavora dapprima nelle miniere d'oro, quindi in quelle di carbone. Le condizioni di vita dei forzati sono rese ancora più penose dal clima della regione; Šalamov si ammala di tifo e più volte è posto in regime punitivo, sia per reati d'opinione sia per tentativi di fuga.

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Šalamov al tempo del suo primo arresto


Nel 1946 è ridotto allo stremo. La sua vita viene salvata dal medico-prigioniero Andrej Maksimovic Pantjuchov che, correndo qualche rischio, riesce a prenderlo come proprio assistente presso l'ospedale del campo. Dopo un corso inizierà a lavorare stabilmente come infermiere negli ospedali e cantieri forestali del Dal'stroj, Direzione centrale dei cantieri dell'Estremo Nord. Questa nuova sistemazione gli consente di sopravvivere e, successivamente, di riprendere a scrivere. Rilasciato nel 1951, continua a lavorare e a scrivere nello stesso ospedale. Nel 1952 spedisce alcune sue poesie a Boris Pasternak, che le apprezza pubblicamente. Al termine della prigionia la sua famiglia non esiste più: la figlia, ormai adulta, rifiuta di riconoscerlo.
Nel novembre 1953 - otto mesi dopo la morte di Stalin - Šalamov ottiene il permesso di lasciare Magadan e si trasferisce nel villaggio di Turkmen, nell'oblast' di Kalinin (oggi oblast' di Tver), non lontano da Mosca. Inizia a lavorare alla raccolta di racconti ispirati alla vita di forzato, I racconti di Kolyma, che completa nel 1973.
Dopo la morte di Stalin, numerosi zek vengono rilasciati e riabilitati, altri avranno giustizia solo post mortem. Nel 1956 anche Šalamov consegue la riabilitazione ufficiale e, nel 1957, può tornare nella capitale sovietica, dove trova un impiego come corrispondente della rivista letteraria "Moskva". Le sue condizioni di salute, nel frattempo, dopo la lunga e dura prigionia, sono peggiorate tanto che, ormai invalido, gli viene assegnata una pensione.
In questo periodo conosce importanti scrittori quali Aleksandr Solženicyn, Boris Pasternak e Nadežda Mandel'štam, scrive saggi, poesie e, nello stesso tempo, lavora a quella che sarà la sua opera maggiore I racconti di Kolyma. Numerosi suoi scritti riescono ad espatriare in modo clandestino e si diffondono con il samizdat.
Nel 1978 viene stampata a Londra la prima edizione integrale in russo dei racconti. Nel 1987, dopo la morte dello scrittore, quando ormai era vicino il crollo dell'Unione Sovietica, l'opera vede la luce anche nella sua patria. Nel 1981 Šalamov viene anche insignito del Premio della Libertà dalla sezione francese del Pen Club.
I racconti di Kolyma è considerata una delle più importanti raccolte di racconti della letteratura russa del XX secolo. In Occidente le novelle di Šalamov sono state pubblicate senza la conoscenza o il consenso dell'autore che mostrò, per questo, particolare risentimento, come si deduce dall'introduzione dell'integrale italiana dell'opera. Per un peggioramento delle condizioni di salute, Šalamov visse gli ultimi tre anni della sua esistenza in una casa di riposo per scrittori anziani e disabili a Tušino in precarie condizioni economiche, dato che dalla pubblicazione estera della sua più importante opera non aveva guadagnato un solo rublo; tornato a Mosca, muore nel 1982 ed è sepolto nel cimitero di Kuncevo.

«Congiungersi all'immortalità non è cosa da poco,
un ruolo che non risulta facile.
Trema la mano, ed è incerto il passo,
trema la mano.»
(V. Šalamov, da Ricordi di Irina P. Sirotinskaja)

Opere tradotte in italiano

  • Kolyma. Racconti dai lager staliniani, trad. e cura di Piero Sinatti, collana "Il labirinto" n. 3, Savelli, Roma, 1976; con il titolo Racconti della Kolyma. Storie dai lager staliniani, Newton Compton, Roma, 2012
  • Nel lager non ci sono colpevoli. Gli ultimi racconti della Kolyma, collana "Confini" n. 34, Theoria, Roma, 1992,
  • I racconti di Kolyma, introduzione di Victor Zaslavsky, trad. Anita Guido, collana "Il castello" n. 44, Sellerio, Palermo 1992
  • Varlam Salamov e Boris Pasternak, Parole salvate dalle fiamme. Ricordi e lettere, a cura di Luciana Montagnani, collana "Lettere", Archinto, Milano, 1993
  • I libri della mia vita. Tavola di moltiplicazione per giovani poeti, a cura di Anastasia Pasquinelli, collana "Minimalia", Ibis, Como, 1994nuova edizione ampliata
  • I racconti della Kolyma, trad. Marco Binni, collana "Biblioteca" n. 298, Adelphi, Milano, 1995; collana "gli Adelphi" n. 153, 1999
  • I racconti di Kolyma, edizione integrale a cura di Irina P. Sirotinskaja, traduzione di Sergio Rapetti e Piero Sinatti, collana "I millenni", Einaudi, 1999; collana "ET" n. 641, 2005
  • La quarta Vologda, a cura di Anna Raffetto, Collana "Biblioteca" n. 412, Adelphi, Milano, 2001
  • Il destino di poeta, testo russo a fronte, a cura di Angela Dioletta Siclari, La casa di Matriona, Milano, 2006
  • Alcune mie vite. Documenti segreti e racconti inediti, a cura di Francesco Bigazzi, Sergio Rapetti e Irina Sirotinskaja, collana "Le scie", Mondadori, Milano, 2009; I racconti di Kolyma, prefazione di Leonardo Coen, trad. Leone Metz, collana "ST" n. 39, B. C. Dalai, Milano 2010; collana "Tascabili", Baldini & Castoldi, 2013
  • Višera. Antiromanzo, trad. Claudia Zonghetti, collana "Biblioteca" n. 560, Adelphi, Milano, 2010.

I RACCONTI DI KOLYMA

Šalamov

La miniera d'oro di Kolyma

Prefazione

«Ricordo il viso di Varlam Tichonovic, solcato da rughe profonde, la fronte alta, i capelli gettati all'indietro, gli occhi azzurro-chiari e uno sguardo intenso, penetrante... eterno cavaliere, Don Chisciotte che voleva salvare gli uomini, le loro anime deboli e i loro deboli corpi.» (Irina P. Sirotinskaja, nella Prefazione ai Racconti di Kolyma)

Nella prefazione del libro, Irina P. Sirotinskaja racconta la storia della parola di orrore e verità di Varlam Šalamov attraverso l'oscuro sentiero dei gulag staliniani della Kolyma. Šalamov rivela la tremenda

"... facilità con cui l'uomo si dimentica di essere uomo" , anche se, perfino nel buio più impenetrabile, continua a desiderare e sognare ancora uno spiraglio di luce. L'unica maniera di non tradire se stesso dopo questa esperienza, era quello di dire agli altri quest'orrore, senza però farlo diventare "oggetto d'arte", o come se potesse essere paragonato ad altre esperienze umane.

Ma, nonostante egli rifiuti qualunque tipo di "letterarietà" per queste ragioni, Irina non può fare a meno di rilevare la profondità del complesso "flusso lirico-emozionale" dell'opera, che S. compone nello spazio di vent'anni, subito dopo la scarcerazione definitiva del 1953.

Ricordi
«Chiama, chiama la sorda tenebra
e la tenebra verrà»
(V. Šalamov, in Ricordi di I. Sirotinskaja)


In Ricordi, la vera introduzione all'opera, Irina descrive Šalamov nei lunghi anni di incontri e conversazioni tra loro: un uomo eccezionale, che del mondo percepiva "i legami segreti fra cose e fenomeni", e che al tempo stesso provava tenerezza per ogni minimo gesto degli altri; si era legato anche ai figli ancora piccoli di Irina (che ella spesso portava agli incontri con lui), conservando i disegni che gli avevano donato durante le visite, o componendo brevi liriche su di loro.
Già al primo incontro, Šalamov rivela a Irina il suo "undicesimo comandamento": non insegnare.

"Non insegnare a vivere agli altri". Ognuno ha il suo modo di vivere la verità: "... la tua verità può essere inadatta a un altro, proprio perché è la tua, non la sua verità" (p. XVII). Ma già era per lei un insegnamento anche il suo semplice narrare dell'amatissima gatta Mucha, che poi era scomparsa e che Varlam aveva incominciato a cercare per la città come una figlia, e di quando poi l'aveva fatta dissotterrare dal cimitero dei randagi solo per darle l'ultimo addio, perché si erano tanto amati (p. XVIII).

I suoi racconti sono gridati fino in fondo, e nonostante la pena del ricordo egli li rivede ogni volta davanti agli occhi, mentre li narra verbalmente a Irina. Ma anche quando le recita versi legati al suo presente precario, si sente sempre il richiamo al passato, come in Le onde dello Stige:

"... un giorno morirò.
Qualcuno mi stringerà il cuore in una morsa
lo immergerà nel fuoco, nella brace".



Non ama l'inverno, lo hanno sempre arrestato in inverno. E non lo ama soprattutto negli ultimi anni, all'istituto per invalidi, quando ormai riconosce Irina in visita solo toccandole la mano, e a cui detta la sua ultima poesia a lei dedicata,

"... purché non mi dimentichi,
purché conservi il comune segreto,
nei nostri giorni, come sopra un ceppo
non per caso è cifrato".


I racconti

«... il suo debole ma persistente profumo era la voce dei morti» (Varlam Šalamov, La resurrezione del larice, in Racconti di Kolyma)

L'opera è stata disposta in sei parti, che scorrono, in modo non strettamente cronologico, attraverso le varie fasi della detenzione e liberazione del protagonista, narrando talvolta vicende di altri personaggi in modo del tutto indipendente: I racconti di Kolyma, La riva sinistra, Il virtuoso del badile, Scene di vita criminale, La resurrezione del larice, Il guanto ovvero KR-2.
Nella neve, il primo dei racconti, descrive come viene faticosamente aperta una strada sulla neve vergine. Bisogna scegliere un punto di riferimento, e ognuno degli uomini assegnati che deve tracciare la via, anche se debole e incerto, lascia comunque un segno con il piede su un lembo di neve vergine.
Già in I carpentieri Šalamov inquadra le condizioni climatiche nella nebbia bianca invernale della Kolyma, le cui temperature sono riconosciute dai vecchi detenuti senza termometro:

"... se c'è una nebbia gelata, fuori fa meno quaranta; se l'aria esce con rumore del naso, ma non si fa ancora fatica a respirare, vuol dire che siamo a meno quarantacinque; se la respirazione è rumorosa e si avverte affanno, allora meno cinquanta. Sotto i meno cinquantacinque, lo sputo gela in volo"..

Il pericolo e il tormento non è dato solo dalle condizioni detentive imposte dal sistema, ma soprattutto dall'azione violenta e criminosa all'interno del campo dei blatnye, i criminali comuni, tollerata dalle autorità; essi la esercitano sui detenuti politici, che hanno soprannominato fraery, "fessi", per la loro inevitabile passività di fronte alle loro umilianti prepotenze (che potevano anche arrivare a ferimenti gravi, a torture e all'omicidio di chi non accettava la loro zakon, legge non scritta).
In Sulla parola un compagno del protagonista viene ucciso perché rifiuta di consegnare ai delinquenti un maglione a cui è particolarmente affezionato (inviatogli in dono dalla moglie); in Il pacco da casa il protagonista (Krist, dal nome non casuale, che parla spesso in prima persona) descrive la cinica e divertita indifferenza dei detenuti della sua camerata quando viene colpito alla testa dai blatnye, per impossessarsi del pane e burro che ha ricavato dalla vendita del pacco dono inviatogli dalla moglie.
È stata giustamente rilevata la particolare attenzione di Šalamov per il dolore degli animali, in linea con l'identica sensibilità dostoevskiana de Delitto e castigo e I fratelli Karamazov. In Lo scoiattolo viene descritta l'atroce fuga di questa piccola e fragile creatura, che non riesce a riguadagnare la foresta e finisce scannata a bastonate dalla folla senza un motivo; l'animaletto è una evidente metafora del destino dell'uomo.

«Guardai il corpicino giallo dello scoiattolo, il sangue rappreso sulle labbra, il musetto e gli occhi che contemplavano sereni il cielo blu della nostra tranquilla città.» (Varlam Šalamov, Lo scoiattolo, in Racconti di Kolyma)

In Occhi coraggiosi la spietata malvagità di un geologo si scatena contro una donnola sul punto di partorire; la creatura mostra di non temere l'uomo, e lo guarda come se lo rimproverasse dell'atto di volerle togliere la vita proprio nel momento in cui lei cerca di darla ai suoi piccoli:

"Una zampa posteriore della donnola gravida era stata strappata via dallo sparo ed essa si trascinava dietro la poltiglia sanguinolenta dei suoi piccoli non ancora nati, che avrebbero potuto nascere da lì a un'ora...".

In Lida, Krist, ormai detenuto-infermiere (dunque "privilegiato" nelle sue possibilità di sopravvivenza alla Kolyma, un po' come il protagonista di Solženicyn ne Il primo cerchio), vive un raro momento di generosa solidarietà nei suoi confronti. L'impiegata Lida, che egli in precedenza aveva aiutato a salvarsi dalle attenzioni di un carceriere, senza neppure poterglielo dire se non con uno sguardo, cancella illegalmente la T che indica nei documenti l'antica attività controrivoluzionaria trockista di Krist, consentendogli di non avere rinnovata "a vita" la condanna e di poter sperare a breve nella liberazione:

"Krist non disse a Lida neppure una parola di ringraziamento. Né lei ci contava. Per una cosa del genere non si dice grazie, non è la parola adatta".

Il tema viene ripreso in Il domino in cui viene invitato a una partita da un dottore; accetta senza entusiasmo per poi scoprire con sollievo che per entrambi si trattava di un piccolo pretesto per entrare in contatto e per Šalamov di beneficiare della benevolenza del medico.
In alcuni rari casi narra per esteso facendo lunghe descrizioni, talvolta non seguendo una cronologia rigorosa, specifiche condizioni tipiche e/o ricorrenti - La quarantena dei malati di tifo, Il procuratore verde (come venivano definite le fughe) - o vicende prolungate: I corsi, in cui narra del suo inquadramento tra gli infermieri.

Fortuna dell'opera
Oltre a Irina Sirotinskaja, la più importante amica e studiosa dei racconti di Šalamov, notevole è l'intervento critico di Primo Levi, tra i primi a commentare il capolavoro, che però non riesce ad andare oltre una "commozione e simpatia" per le pagine dello scrittore. Piero Sinatti, uno dei più importanti traduttori e scopritori italiani dello scrittore russo, va oltre il semplice confronto tra campo concentrazionario nazista e sovietico di commentatori precedenti e storicizza approfonditamente gli eventi romanzeschi dei racconti, rileggendoli sul solco dell'eredità dostoevskiana di Memorie dalla casa dei morti.


Soprattutto, gli occhi. Intimidivano. Come di uno alla centesima rinascita, che non centellina i dettagli del dolore. Era forte, il viso simile a una tagliola, nobilitato dalle rughe, lo chiamavano “il vichingo”, rimarcando: “è uno molto brusco”. A chi andava da lui “come da un nuovo profeta” diceva: “si deve vivere così com’è scritto nei dieci comandamenti, non occorre altro”. Alla grande legge aggiungeva un codice: “non insegnare a vivere agli altri, ognuno ha la sua verità”.

Varlam Šalamov viene arrestato la prima volta nel 1929, poco più che ventenne. Gli danno tre anni perché ha divulgato la lettera in cui Lenin critica l’avidità dei lacchè sovietici, l’operato di Stalin in particolare. Libero nel ’32, Šalamov è ormai nella lista letale dei nemici di Stato: nel 1937 è arrestato “per attività controrivoluzionaria” e inviato nei lager della Kolyma; nel 1943 gli prolungano la pena. Torna a Mosca nel 1953: è un uomo lacerato, disossato fin nell’intimo della memoria. Pochi anni dopo, lascerà la moglie, Galina; nella capitale, appena uscito di prigione, va a trovare Boris Pasternak, il maestro: “Io ero andato da lui per imparare a vivere, non per imparare a scrivere… Io avevo quarantasei anni. Venti dei quali trascorsi in prigione e al confino”. Con ostinazione amanuense, su alcuni quaderni scolastici, Varlam Šalamov scrive I racconti della Kolyma, opera granitica e tentacolare, un dardo di cristallo nel cuore nero del secolo, di stordente perfezione. Quell’uomo, che scrive intagliando il sangue, fino al punto insopportabile – “Proprio la sofferenza dell’uomo è l’oggetto fondamentale dell’arte, è l’essenza dell’arte, il suo tema ineluttabile”, scrive a Pasternak, nel 1954 – è il Čechov dei Gulag. Perfino Aleksandr Solzenicyn si fece di lato di fronte a lui:

L’esperienza di Šalamov nei lager è stata più amara e più lunga della mia… a lui e non a me è stato dato in sorte di toccare il fondo di abbrutimento e disperazione verso cui ci spingeva tutta l’esistenza quotidiana nei lager”.

Eppure, mentre Solzenicyn era l’eroe dell’esilio, gratificato col Nobel, il guru anticomunista, Šalamov, pronto a un destino più cupo, a incorporare tutte le contraddizioni di quel tempo atroce, restò in Russia, come un monaco nero, un emblema. Naturalmente, i racconti gli furono rifiutati; passarono nelle riviste dell’emigrazione russa. Nel 1972 i servi di regime impongono allo scrittore di abiurare quanto ha scritto. “La problematica dei Racconti della Kolyma è staccata dalla vita”, scrive lui, in una lettera alla “Literaturnaja Gazeta”; e la vita lo relega nel ghiaccio, prima in una casa di cura, dal 1979, poi in un manicomio, dove muore, nel 1982.

ghiaccio

Per un racconto ho bisogno di silenzio assoluto, di una solitudine assoluta… Ogni singola frase è stata preventivamente urlata in una stanza vuota: quando scrivo, parlo sempre da solo. Grido, minaccio, piango. E le mie lacrime scorrono ininterrotte. Solo alla fine, terminando il racconto o parte di esso, asciugo le lacrime”:

scrivere lo tenne in vita, togliendogli la vita. Eppure, Šalamov fu, ininterrottamente, poeta. “Mi preparavo a diventare Shakespeare. Il lager ha spezzato tutto”, dice alla confidente, Irene P. Sirotinskaja (nel regesto di Ricordi incorporato all’edizione Einaudi dei Racconti di Kolyma).

Leggo Shakespeare in una casa di vecchi credenti.… Leggo i versi a cantilena, come preghiere”, salmeggia Šalamov nei Quaderni della Kolyma, le poesie scritte tra il 1937 e il 1956, sul crinale dell’orrore, con nitore d’acciaio, pubblicate da Giometti & Antonello. Dello Shakespeare russo ci resta lo scapolare, lo spazientito calco, l’eco bianca. “Di classica semplicità: nulla di superfluo, nulla d’inutile. E profondità di pensiero”: così Gario Zappi – già stupefacente traduttore di Osip Mandel’stam e di Arsenij Tarkovskij – descrive la poesia di Šalamov nei “frammenti per una prefazione”.

In un testo pubblicato da Theoria nel 1992, Nel lager non ci sono colpevoli, appare la poetica a brandelli di Šalamov: “La poesia è incomparabilmente più complessa della sociologia, più complessa del ‘sì’ o del ‘no’ dell’umanità progressista… In poesia non esiste il progresso… La poesia è intraducibile… La poesia è inafferrabile…”. Per Šalamov è la poesia – verbo che disfa l’utile, disonora i poteri, disarma la merce – l’antidoto che capovolge la storia, la fuga nell’Est dell’estasi. Un carisma preistorico regge il suo canto (“Sono come quei fossili pietrificati/ che riaffiorano per caso/ per svelare intatti al mondo/ un mistero geologico”), sopra il superfluo, il catrame dell’era: “Dalle oscure foreste, dai paludosi pantani/ si levano carcasse di paradiso”.

Il più intenso tra i Racconti della KolymaCherry-Brandy, in cui, nell’aura dell’incipit (“Il poeta stava morendo”), è adombrata la storia, tragica, di Mandel’stam, contiene una rivelazione in vitro. “Il meglio è ciò che non viene annotato, che è stato creato e scompare, che si scioglie senza lasciare traccia”. Che sortilegio micidiale, inaccettabile; che bava d’ambra. Della poesia conta la lebbra improvvisa, la slabbratura, la scia d’argento, che svanisce. Il poeta, architetto di vuoti, esiste per effrazione di luce, per sparire. “Tutto viene a nudo”, scrive Šalamov a Pasternak, dicendo dei gulag. “E l’ultimo denudamento è tremendo”.

 

La serenità naturale e severa di Šalamov è evidente anche dalle poesie scritte nel gulag:

«Mi sono lamentato con l’albero
con la parete di tronchi,
e la fiducia dell’albero
mi era nota.

Abbiamo pianto molto insieme,
parlato di tutto,
ci è dato spiegarci
a segni.

In una casa di mattoni, di pietra
non avrei detto nemmeno una parola,
per anni, per secoli
avrei sopportato e taciuto»..


Il traduttore, Gario Zappi, nel suo breve scritto Personale e confidenziale (frammenti per una prefazione) parla dei versi di Šalamov, da lui già tradotti con lo stesso titolo per la rivista genovese “Arca”, come di una poesia non greve e non difficile, classica e profonda, senza nulla di superfluo e di inutile. Šalamov scrive su ricettari o su carta d’imballaggio, annota versi per sopravvivere ai margini di un lager siberiano, si identifica con animali, pietre, oggetti inanimati:

«Hanno dimenticato il tuo nome
non solo per noncuranza,
ti hanno mischiato qui con altre
pietre rubandoti all’eternità».


Memorabile, in questo senso, è la poesia

La conchiglia:

«Sono come quei fossili pietrificati
che riaffiorano per caso
per svelare intatti al mondo
un mistero geologico.

Io stesso sono come le fragili conchiglie
dell’antico mare prosciugato
ricoperte di segni intarsiati,
come trascrizioni di un discorso.

Voglio sussurrare a chiunque all’orecchio
le parole dell’antichissima risacca,
non voglio cucirmi la bocca come Ermete
trascurando ogni possibile destino.

Che non venga mai scoperta
dai secoli seguenti
la madreperla impietrita
con versi pietrificati».


Resta la sensazione che l’autore, immerso nella precarietà di un’esistenza coatta, minacciata dai morsi del freddo e dalla violenza dei carnefici, voglia proprio rannicchiarsi nella pietra come in una casa che lo protegga da ogni emozione fisica e mentale, e gli consenta, sempre però, in ogni modo e in ogni situazione, di scrivere. In La prigione di Butyrki annota:

«Ho avuto l’occasione di incontrare alcuni rivoluzionari del tempo dello zar. E mi è rimasta impressa una loro osservazione: “Con l’arresto” mi dicevano molti professionisti del carcere “sopraggiunge una sorta di sollievo morale; invece dell’inquietudine, dell’ansia, della tensione, si avverte una gioia segreta, in un certo senso tutto si è definito, sta facendo il suo corso… E, sebbene ti si prospettino l’interrogatorio, la condanna e la deportazione, in carcere l’anima finalmente si riposa, si fa coraggio e fa coraggio agli altri, se ne hanno bisogno”».


AUDIO 1

AUDIO 2


COMMENTO: Come Saltykov, Dostoevskij, Tolstoj e Hamsun, hanno saputo esprimere l'idea del disfacimento fisico e mentale dell'uomo, coinvolgendo il lettore nell'abisso della miseria morale, così Šalamov ha mostrato l'abisso della violenza dell'uomo sull'uomo; e anche quando descrive l'abbrutimento e la disperazioone mostra ancora la sua incredulità.

11 gennaio 2024 - Eugenio Caruso

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Tratto da

1

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