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Vladimir Vladimirovic Majakovskij: poesia e morte

Niente cancellerà via l’amore,
né i litigi,
né i chilometri.
È meditato,
provato,
controllato.
Alzando solennemente i versi, dita di righe,
lo giuro:
amo
d’un amore immutabile e fedele.

Majakovskij


GRANDI PERSONAGGI STORICI Ritengo che ripercorrere le vite dei maggiori personaggi della storia del pianeta, analizzando le loro virtù e i loro difetti, le loro vittorie e le loro sconfitte, i loro obiettivi, il rapporto con i più stretti collaboratori, la loro autorevolezza o empatia, possa essere un buon viatico per un imprenditore come per una qualsiasi persona. In questa sottosezione figurano i più grandi poeti e letterati che ci hanno donato momenti di grande felicità ed emozioni. Io associo a questi grandi letterati una nuova stella che nasce nell'universo.

I RUSSI

Blok - Bulgàkov - Bunin - Cechov - Dostoevskij - Erofeev - Esénin - Gogol - Gor'kij - Lermontov - Majakovskij - Nabokov- Pasternak - Puškin - Šolochov - Solženicyn - Tolstoj - Turgenev - Zamjatin -

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Vladimir Vladimirovic Majakovskij (Bagdati, 19 luglio (7 luglio nel Calendario Giuliano) 1893 – Mosca, 14 aprile 1930) è stato un poeta, scrittore, drammaturgo, regista teatrale, attore, pittore, grafico e giornalista sovietico, cantore della rivoluzione d'ottobre e maggior interprete del nuovo corso intrapreso dalla cultura russa post-rivoluzionaria.

«Vogliamo che la parola esploda nel discorso come una mina e urli come il dolore di una ferita e sghignazzi come un urrà di vittoria.»

Majakovskij nacque a Bagdati, in Georgia (al tempo parte dell'Impero russo), il 7 luglio 1893, figlio di Vladimir Konstantinovic Majakovskij, un guardaboschi russo appartenente ad una nobile famiglia di origini in parte cosacco-zaporoghe, e di Aleksandra Alekseevna Pavlenko, una casalinga ucraina. Orfano del padre a soli sette anni, ebbe un'infanzia difficile e ribelle; all'età di tredici anni, si trasferì a Mosca con la madre e le sorelle. Studiò al ginnasio fino al 1908, quando si dedicò all'attività rivoluzionaria. Aderì al Partito Operaio Socialdemocratico Russo e venne per tre volte arrestato e poi rilasciato dalla polizia zarista. Il poeta racconta del terzo arresto nel saggio autobiografico Ja sam (Io da solo). In carcere cominciò anche a scrivere poesie su un quaderno che andò perduto.

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Nel 1911 si iscrisse all'Accademia di Pittura, Scultura e Architettura di Mosca dove incontrò David Burljuk, che, entusiasmatosi per i suoi versi, gli propose 50 copechi al giorno per scrivere. Nel maggio del 1913 fu pubblicata la sua prima raccolta di poesie Ja! (Io!) in trecento copie litografate. Tra il 2 e il 4 dicembre l'omonima opera teatrale, dove Majakovskij lanciava la famosa equazione "futurismo=rivoluzione", fu rappresentata in un piccolo teatro di Pietroburgo.
Aderì al cubofuturismo russo, firmando nel 1912 insieme ad altri artisti (Burljuk, Kamenskij, Kruc?nych, Chlebnikov) il manifesto Schiaffo al gusto del pubblico «dove veniva dichiarato il più completo distacco dalle formule poetiche del passato, la volontà di una rivoluzione lessicale e sintattica, l'assoluta libertà nell'uso dei caratteri tipografici, formati, carte da stampa, impaginazioni.» Nel 1915 pubblicò Oblako v stanach (La nuvola in calzoni) e l'anno successivo Flejta-pozvonocnik (Il flauto di vertebre). Ben presto mise la sua arte, così ricca di pathos, al servizio della rivoluzione bolscevica, sostenendo la necessità d'una propaganda che attraverso la poesia divenisse espressione immediata della rivoluzione in atto, in quanto capovolgimento dei valori sentimentali ed ideologici del passato.

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Lilja Brik e Majakovskij.


Fin dagli esordi della nuova avanguardia futurista, si batté contro il cosiddetto "vecchiume", ovvero l'arte e la letteratura del passato, proponendo al contrario testi letterari concepiti con un forte senso finalistico (la poesia non aveva senso per lui senza una finalità precisa ed un pubblico definito), e con rivoluzionarie scelte stilistiche esposte nel suo scritto Come far versi del 1926. Insieme ad altri fondò il giornale Iskusstvo Kommuny, organizzò discussioni e letture di versi nelle fabbriche e nelle officine, al punto che alcuni quartieri operai formarono addirittura gruppi "comunisti-futuristi". I suoi tentativi, però, trovarono opposizioni e censure da parte prima del regime zarista e poi della dittatura staliniana.
In un primo periodo egli lavorò alla ROSTA, agenzia pubblica delle comunicazioni, e quindi fondò il LEF (Levyj Front Iskusstva, "Fronte di Sinistra delle Arti") nel 1922 che secondo Majakovskij aveva il compito di «...unificare il fronte per minare il vecchiume, per andare alla conquista di una nuova cultura [...] Il Lef agiterà con la nostra arte le masse, attingendo da loro la loro forza organizzativa. Il LEF combatterà per un'arte che sia costruzione della vita.» Nel maggio del 1925 partì alla volta dell'America, che raggiungerà nel luglio dello stesso anno per trattenervisi circa tre mesi annotando versi e impressioni su un taccuino. Tornato in URSS pubblicò 22 poesie del cosiddetto Ciclo americano su alcune riviste e giornali nel periodo compreso tra il dicembre del 1925 e il gennaio 1926 e gli scritti in prosa nel 1926 con il titolo di La mia scoperta dell'America. Da questi scritti l'atteggiamento di Majakovskij nei confronti degli Stati Uniti appare contraddittorio, passa infatti da momenti di entusiasmo e attrazione ad altri di rabbia per le condizioni di semischiavitù degli operai delle fabbriche.
Con il poema 150.000.000, in cui «i versi sono le parole d'ordine, i comizi, le grida della folla... l'azione è il movimento della folla, l'urto delle classi, la lotta delle idee...», e con il dramma, Mistero buffo Majakovskij descrisse quanto di grande e di comico ci fosse nella rivoluzione. In questa luce vanno considerate le opere di Majakovskij, dai poemi di propaganda proletaria come Bene! e Lenin, alle commedie come La cimice e Il bagno, espressioni critiche del mondo piccolo-borghese e dei problemi della realtà quotidiana. L'ultima opera di Majakovskij, uno dei punti più alti della sua poesia, è il prologo di un poema incompiuto, A piena voce, del 1930, che potrebbe quasi dirsi il suo testamento spirituale.
Sovente Majakovskij è stato considerato per antonomasia il poeta della Rivoluzione: tra le tantissime voci poetiche che la Russia seppe regalare alla cultura mondiale nei primi decenni del Novecento, quella di Majakovskij è stata spesso vista come la più allineata, la più rispondente ai dettami del regime sovietico. Majakovskij decise di interrompere violentemente la sua esistenza, con un colpo di pistola al cuore, il 14 aprile 1930. I motivi che lo condussero al suicidio, che non sono stati ancora del tutto chiariti, furono «la campagna condotta contro di lui dalla critica di partito, le delusioni politiche e motivi amorosi...» quali la passione per la giovanissima attrice (22 anni) Veronica Polonskaja, sua amante, che rifiutò di divorziare dal marito per sposare il poeta poiché «Veronika capiva perfettamente che accanto a Lilja Brik non poteva esserci nessuna esistenza comune tra lei e Majakovskij».
Nella sua lettera di addio scrisse:

«A tutti. Se muoio, non incolpate nessuno. E, per favore, niente pettegolezzi. Il defunto non li poteva sopportare. Mamma, sorelle, compagni, perdonatemi. Non è una soluzione (non la consiglio a nessuno), ma io non ho altra scelta. Lilja, amami. Compagno governo, la mia famiglia è Lilja Brik, la mamma, le mie sorelle e Veronika Vitol'dovna Polonskaja. Se farai in modo che abbiano un'esistenza decorosa, ti ringrazio. [...] Come si dice, l'incidente è chiuso. La barca dell'amore si è spezzata contro il quotidiano. La vita e io siamo pari. Inutile elencare offese, dolori, torti reciproci. Voi che restate siate felici.»

Con la sua morte si chiude l'utopia civile di "una generazione che ha dissipato i suoi poeti".

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Opere

Nel 1914 uscì la sua prima grande opera, una tragedia d'avanguardia Vladimir Mayakovsky. La feroce critica della vita cittadina e del capitalismo in generale era, allo stesso tempo, un inno alla moderna potenza industriale, con il protagonista che si sacrificava per la felicità futura delle persone. Nel settembre 1915 uscì Una nuvola in pantaloni, il primo grande poema di Mayakovsky di notevole lunghezza; raffigurava i temi dell'amore, della rivoluzione, della religione e dell'arte, scritti dal punto di vista di un amante respinto.

Teatro

  • Vladimir Maiakovki (1913, titolo dato per errore dalla censura, secondo l'autore doveva essere La ferrovia o L'insurrezione delle cose)
  • Mistero buffo (1918 e 1921)
  • E che ne direste se?... (1920)
  • Operetta teatrale sui popy i quali non comprendono che cos'è una festa (1921)
  • Vari modi di trascorrere il tempo festeggiando le feste (1922)
  • Il campionato della lotta mondiale di classe (1935, ma scritto nel 1920)
  • L'impresa di ieri (1939, ma scritto nel 1921)
  • Radio-Ottobre (1926)
  • La cimice (1928)
  • Il bagno (1929)
  • Mosca arde (1930)

Cinescenari

  • Baryšnja i chuligan (Барышня и хулиган)
  • L'elefante e il fiammifero (1926)
  • Il cuore del cinema, ovvero il cuore dello schermo (1926)
  • L'amore di Sckafoloubov, ovvero due epoche, ovvero un cicisbeo da museo (1926)
  • Dekabriuchov e Oktiabriuchov (1926)
  • Come state? (1926)
  • Storia di un revolver (1928)
  • Il compagno Kopytko, ovvero via il grasso! (1936, ma scritto nel 1927)
  • Dimentica il caminetto (1936, ma scritto nel 1927)

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Poemi

  • La nuvola in calzoni (1915)
  • Il flauto di vertebre (1916)
  • Guerra e universo (1917)
  • Uomo (1918)
  • 150.000.000 (1921)
  • Amo (1922)
  • La quarta internazionale (1922)
  • La quinta internazionale (1922)
  • Di questo (1923)
  • Agli operai di Kursk che hanno estratto il primo minerale (1923)
  • Vladimir Lenin (1925)
  • Il proletario volante (1925)
  • Bene! (1927)
  • A piena voce (1930)

Ha inoltre scritto 534 poesie (dal 1912 al 1930), 79 prose, e 39 articoli e interventi

LA NUVOLA IN CALZONI

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La nuvola in calzoni (anche La nuvola con le braghe), per la ricchezza del contenuto e l'ampia varietà dei temi affrontati, viene ritenuto tra i testi poetici più rappresentativi del periodo pre-rivoluzionario di Majakovskij. Majakovskij iniziò la stesura de La nuvola in calzoni nel primo semestre del 1914 e terminò nel luglio dell'anno successivo presso Koukkala, una località balneare a nord di San Pietroburgo, dove il poeta si era recato nel mese di maggio. All'inizio del 1915 Majakovskij lesse i versi del poema a Maksim Gor'kij, il quale ricordò così l'evento:

«Mi lesse La nuvola in calzoni e frammenti de Il flauto di vertebre e molte liriche. I versi mi piacquero molto e lui li recitava in modo ottimo, si metteva addirittura a singhiozzare come una donna, cosa che mi spaventò e preoccupò molto. […] Si comportava in modo molto nervoso, era evidente il suo stato di profondo turbamento. Parlava come a due voci: ora da lirico puro, ora da graffiante satirico. Si percepiva che egli non aveva cognizione di se stesso e aveva paura di qualcosa. Ma era chiaro che si trattava di un uomo dotato di una sensibilità peculiare, pieno di talento e – infelice» L'episodio trovò spazio anche nelle pagine dell'autobiografia di Majakovskij.

La censura operò grandi tagli al poema e costrinse il poeta a cambiare anche il titolo originale dell'opera. Ciò che sopravvisse alla censura fu pubblicato dapprima sull'almanacco Il sagittario nel 1915 e poi da Osip Brik nello stesso anno.

«La nuvola è cirrosa. La censura vi ha soffiato dentro. Sei pagine di puntini di sospensione!» (Vladimir Majakovskij, Io stesso)

Dopo la caduta del regime zarista, Majakovskij poté pubblicare sulla rivista Il nuovo Satirikon (N.11, 17 marzo 1917) i 75 versi censurati. La prima versione integrale del poema fu pubblicata a Mosca nel 1918 dalla casa editrice Asis (Associazione dell'Arte Socialista) fondata dallo stesso Majakovskij.
Il titolo originale Il tredicesimo apostolo fu sostituito da La nuvola in calzoni. In una conferenza tenuta nel marzo 1930 presso la Casa del Komsomol, Majakovskij dichiarò:

«Quando mi presentai alla censura con quest’opera, mi chiesero: “E che, vi è venuta voglia di finire ai lavori forzati?” Io risposi che non me ne era venuta voglia per niente, che la prospettiva non mi allettava affatto. Allora mi cancellarono sei pagine, compreso il titolo. Ecco da dove viene il titolo. Mi chiesero come facevo a coniugare la lirica con una sì grande rozzezza. Allora io dissi:“Va bene, se volete sarò come idrofobo, se volete sarò il più tenero, non un uomo, ma una nuvola in calzoni”.» Nell'articolo Come comporre versi, Majakovskij raccontò un aneddoto sull'origine dell'espressione Nuvola in calzoni.

«Suppergiù nel 1913, di ritorno da Saratov a Mosca, per dimostrare a una compagna di scompartimento il mio carattere totalmente inoffensivo, le dissi di essere “non un uomo, ma una nuvola in calzoni”. Appena lo ebbi detto mi venne in mente che sarebbe potuto venir buono per un verso, sempre che non si fosse subito diffuso di bocca in bocca e sperperato invano. Due anni dopo, Nuvola in calzoni mi servì da titolo per un intero poema.»

L’opera si presenta in forma di tetrattico, ossia un’icona pieghevole in quattro parti. Nell'edizione integrale del 1918, Majakovskij scrisse nella premessa:

«Considero La nuvola in calzoni […] il catechismo dell'arte contemporanea; abbasso il vostro amore, abbasso la vostra arte, abbasso la vostra società, abbasso la vostra religione, sono le quattro urla delle quattro parti.»

Nei versi, il poeta sovietico mostra tutta la sua complessa e variegata gamma di stati d’animo: in un crescendo di toni, immagini e visioni, si leva stentorea e struggente la voce dell’eroe lirico; ed è nella figura di questo eroe, protagonista del poema, che Majakovskij può o vuole identificarsi. Vede, inoltre, l'amore nel mondo moderno come condannato, distrutto dall'arte, dalla religione e dalla società stessa. La smania di possesso, di esaltazione e idealizzazione che egli riversa nei confronti di un amore sconfinato e tuttavia non ricambiato, lo conducono inevitabilmente a tormentarsi d’ansia e di pena.
Le metafore religiose di cui Majakovskij riempie i suoi versi sono l’espressione più pura di una “volontà universale di assoluto, di un bisogno di amore e di una reazione di rivolta, quando ci si sente cosmicamente derelitti e infelici, non amati da Dio, e non amati da una donna".
Prologo
Il poema si apre con dei versi dedicati a un certo tipo di lettore il cui cervello viene accostato a “un lacchè rimpinguato su un unto sofà”: schiavo dei propri bisogni fisici, peraltro abbondantemente soddisfatti, se ne sta inattivo a poltrire su un divano sudicio e sporco. Majakovskij intende deridere, "schernire a sazietà" e stuzzicare i cervelli fiacchi e rammolliti di questi lettori.
I parte
Nella prima parte del poema, è l'attesa della donna amata Maria a trattenere il poeta in una stanza d'albergo. L'arrivo della ragazza, "tagliente come un «eccomi!»" e la notizia del suo imminente fidanzamento, innescano nel poeta, dal volto imperturbabile, un'esplosione interna di emozioni distruttive e metafore furiose.
II e III parte
Nella seconda e nella terza parte del tetrattico, il poeta sfoga attacchi brutali alla poesia contemporanea e alla religione, profetizzando la rivoluzione e l'emergere della nuova umanità liberata: il protagonista, un autodefinitosi "Zarathustra dalle labbra urlanti", si vede come un uomo nuovo ed entra nelle strade senza lingua per pronunciare il proprio Sermone del Monte, pronto a "strappare l’anima degli uomini, e dopo averla calpestata, restituirla indietro insanguinata come un vessillo".
IV parte
La quarta e ultima parte vede il ritorno del protagonista a essere tormentato da un amore non corrisposto, che alla fine lo porta all'atto del Deicidio; la colpa di Dio è quella di aver creato un mondo infelice, dove l'amore non corrisposto è possibile:
«perché non hai inventato una maniera
di baciare, baciare e ribaciare
senza tormenti?!»
(Vladimir Majakovskij, La nuvola in calzoni, vv. 696-698. Traduzione di Angelo Maria Ripellino)

L'amore non corrisposto per Maria
Il soggetto dell'amore non corrisposto di Majakovskij era Maria Alexandrovna Denisova, che il poeta incontrò a Odessa durante il viaggio dei futuristi del 1913. Nata nel 1894 a Kharkov da una povera famiglia di contadini, Maria all'epoca risiedeva presso la famiglia di sua sorella (il cui marito Filippov era un uomo benestante) ed era una studentessa della scuola d'arte. Il poeta Vasilij Kamenskij descrisse Denisova come «una ragazza di una rara combinazione di qualità: bell'aspetto, intelletto acuto, forte affetto per tutte le cose nuove, moderne e rivoluzionarie.»
La sorella di Maria, Ekaterina Denisova, che gestiva un salotto letterario nella sua abitazione, invitò a casa i tre ormai famosi giovani poeti futuristi, Majakovskij, Burljuk e Kamenskij. Maria e Vladimir si erano già incontrati tre settimane prima alla mostra di Mir iskusstva, sebbene questo incontro fosse stato fugace. Majakovskij se ne innamorò immediatamente e perdutamente, e le diede il soprannome di Gioconda. Nella prima parte del poema, Majakovskij ricorda beffardamente:

«vidi in voi una Gioconda
che bisognava rubare!»
(Vladimir Majakovskij, La nuvola in calzoni, vv. 131-133. Traduzione di Angelo Maria Ripellino)


L'intensità della passione di Majakovskij era fuori dal comune, e divenuta ormai insopportabile. Secondo Kamenskij, il giovane poeta soffriva immensamente e affrettava freneticamente le cose, non curandosi di quella che riteneva essere l'indecisione e la pignoleria della ragazza. Sembrava che avesse completamente frainteso la situazione: Maria, a differenza della sorella, non era affatto impressionata né dai futuristi, né da Majakovskij.
A metà degli anni '10, Maria Denisova si trasferì in Svizzera con il suo primo marito, per poi fare ritorno nella Russia sovietica quando suo marito si trasferì in Inghilterra. Combatté nella guerra civile russa e sposò il generale dell'Armata Rossa Efim Shchadenko. Maria e Majakovskij intrapresero una corrispondenza epistolare, già al ritorno di Maria in Russia.
Maria divenne un'affermata scultrice monumentale sovietica, una delle sue opere più note è Il poeta del 1927: il ritratto è tragico, il volto di Majakovskij è raffigurato con pieghe profonde che si estendono dalle labbra al mento, e la testa del poeta è immersa nel cemento, fino ad affondarvi. Nel ritratto, per così dire, è già visibile il tragico finale del suo destino. In una lettera a Majakovskij, Maria spiegò così le sue intenzioni: "L'opera Il poeta è costruita su un angolo acuto - e in effetti tu sei un angolo acuto".
Stando a una lettera del 21 dicembre 1928, Maria divorziò dal marito proprio a causa della scultura; nella lettera, Maria ringrazia Majakovskij per l'aiuto economico ricevuto da lui e fa un riferimento ad alcuni incontri precedenti tra i due.
Alla fine degli anni '30, e dopo la morte di Majakovskij, Maria cadde nell'oscurità e la sua produzione artistica si interruppe del tutto. Si suicidò poi nel 1944, buttandosi dal decimo piano di un edificio.

POESIE

Ascoltate

Ascoltate, una delle poesie di Majakovskij che fa delle stelle una questione filosofica e fatalista. Le stelle compaiono nel cielo perché servono a qualcuno: agli uomini soli, persi, che ne hanno bisogno per trovare un punto di arrivo, un approdo, un salvataggio nella notte più buia.

Ascoltate!
Se accendono le stelle –
vuol dire che qualcuno ne ha bisogno?
Vuol dire che qualcuno vuole che esse siano?
Vuol dire che qualcuno chiama perle questi piccoli sputi?
E tutto trafelato,
fra le burrasche di polvere meridiana,
si precipita verso Dio,
teme d’essere in ritardo,
piange,
gli bacia la mano nodosa,
supplica
che ci sia assolutamente una stella! –
giura
che non può sopportare questa tortura senza stelle!
E poi
cammina inquieto,
fingendosi calmo.
Dice ad un altro:
“Ora va meglio, è vero?
Non hai più paura?
Sì?!”.
Ascoltate!
Se accendono
le stelle –
vuol dire che qualcuno ne ha bisogno?
Vuol dire che è indispensabile
che ogni sera
al di sopra dei tetti
risplenda almeno una stella?

Il poeta è un operaio

Il poeta è un operaio parla del duro lavoro del poeta, spesso messo in secondo piano rispetto a lavori più “pratici”. Il lavoro del poeta è in verità come una fabbrica senza ciminiere, è come pescare uomini o limare cervelli. I discorsi dei poeti sono come acqua che fa girare le macine. Ecco perché i poeti, assieme a tutti gli altri lavoratori, manderanno avanti il mondo con lo stesso obiettivo.

Gridano al poeta:
“Davanti a un tornio ti vorremmo vedere!
Cosa sono i versi? Parole inutili!
Certo che per lavorare fai il sordo”.
A noi, forse, il lavoro
più d’ogni altra occupazione sta a cuore.
Sono anch’io una fabbrica.
E se mi mancano le ciminiere,
forse, senza di esse,
ci vuole ancor più coraggio.
Lo so: voi non amate le frasi oziose.
Quando tagliate del legno, è per farne dei ciocchi.
E noi, non siamo forse degli ebanisti?
Il legno delle teste dure noi intagliamo.
Certo, la pesca è cosa rispettabile.
Tirare le reti, e nelle reti storioni, forse!
Ma il lavoro del poeta non è da meno:
è pesca d’uomini, non di pesci.
Fatica enorme è bruciare agli altiforni,
temprare i metalli sibilanti.
Ma chi oserà chiamarci pigri?
Noi limiamo i cervelli
con la nostra lingua affilata.
Chi è superiore: il poeta o il tecnico
che porta gli uomini a vantaggi pratici?
Sono uguali. I cuori sono anche motori.
L’anima è un’abile forza motrice.
Siamo uguali. Compagni d’una massa operaia.
Proletari di corpo e di spirito.
Soltanto uniti abbelliremo l’universo,
l’avvieremo a tempo di marcia.
Contro la marea di parole innalziamo una diga.
All’opera! Al lavoro nuovo e vivo!
E gli oziosi oratori, al mulino! Ai mugnai!
Che l’acqua dei loro discorsi
faccia girare le macine.

Tu

Tu, una delle poesie che parla della felicità data dall’amore disinteressato e dolce. La donna amata dal poeta è riuscita a scorgere il fanciullo che era dentro la sua anima, nonostante nessun’altro lo scorgesse e le persone attorno a lei le dicessero di rinunciare. Lei l’ha amato infinitamente e lui ha raggiunto la massima felicità e leggerezza.

Poi sei venuta tu,
e t’è bastata un’occhiata
per vedere
dietro quel ruggito,
dietro quella corporatura,
semplicemente un fanciullo.
L’hai preso,
hai tolto via il cuore
e, così,
ti ci sei messa a giocare,
come una bambina con la palla.
E tutte,
signore e fanciulle,
sono rimaste impalate
come davanti a un miracolo.
“Amare uno così?
Ma quello ti si avventa addosso!
Sarà una domatrice,
una che viene da un serraglio”!
Ma io, io esultavo.
Niente più
giogo!
Impazzito dalla gioia,
galoppavo,
saltavo come un indiano a nozze,
tanto allegro mi sentivo,
tanto leggero.

Pena

Pena, una delle poesie più belle e tragiche, parla degli orrori della guerra, dopo la quale anche la luna diventa vedova, poiché il sole muore. Una poesia quanto tragica quanto attuale, date le numerose guerre che ancora oggi affliggono il mondo. In queste situazioni spesso si perde la speranza nella bontà e generosità del prossimo e si inizia a vedere tutto buio, proprio come il poeta in questa lacerante poesia. Anche la natura, in questo caso, si ribella agli orrori della guerra… e dopotutto l’uomo non è che un tutt’uno con essa.

In una vaga disperazione il vento
si dibatteva disumanamente.
Gocce di sangue annerendosi
si gemmavano sulle labbra d’ardesia.
E uscì, a isolarsi nella notte,
vedova la luna.

16 dicembre 2023 - Eugenio Caruso

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Tratto da

1

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