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Aleksandr Isaevic Solženicyn: Arcipelago Gulag


«Bambini affamati, vittime torturate dai loro oppressori, anziani indifesi considerati un odioso fardello dai loro figli; e tutta la solitudine, la povertà, e il dolore, si facevano beffa di ciò che la vita umana avrebbe dovuto essere. Desidero fortemente alleviare i mali del mondo, ma non posso farlo, e ne soffro.» (Autobiografia di Bertrand Russell)

Versi tratti dalla poesia "Orologio da rote" di Neruda

GRANDI PERSONAGGI STORICI Ritengo che ripercorrere le vite dei maggiori personaggi della storia del pianeta, analizzando le loro virtù e i loro difetti, le loro vittorie e le loro sconfitte, i loro obiettivi, il rapporto con i più stretti collaboratori, la loro autorevolezza o empatia, possa essere un buon viatico per un imprenditore come per una qualsiasi persona. In questa sottosezione figurano i più grandi poeti e letterati che ci hanno donato momenti di grande felicità ed emozioni. Io associo a questi grandi personaggi una nuova stella che nasce nell'universo.

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Aleksandr Isaevic Solženicyn (Kislovodsk, 11 dicembre 1918 – Mosca, 3 agosto 2008) è stato uno scrittore, filosofo, storico e drammaturgo russo. Conservatore, anticomunista e soprattutto antimodernista, con i suoi scritti (in particolare l'iconico Arcipelago Gulag) fece conoscere al mondo la realtà dei gulag, campi di rieducazione per dissidenti del regime, in uno dei quali fu detenuto per molti anni. Nel 1970 è stato insignito del premio Nobel per la letteratura, con motivazione “per la forza etica con la quale ha proseguito l'indispensabile tradizione della letteratura russa”. Espulso dall'URSS quattro anni dopo, tornerà al suo paese nel 1994, dopo la dissoluzione dell'Unione Sovietica nel 1991. Nello stesso anno sarà nominato membro del dipartimento di lingua e letteratura dell'Accademia serba delle scienze e delle arti.
Aleksandr Solženicyn nacque a Kislovodsk l'11 dicembre 1918 in una famiglia di origine cosacco-ucraina, figlio di una giovane vedova, Taisia Solženicyna (nata Šcerbak), il cui padre, un uomo di umili origini che si era fatto da solo, possedeva grandi proprietà nel Kuban, terreni e capi di bestiame a nord delle colline del Caucaso. Durante la prima guerra mondiale Taisia andò a studiare a Mosca, dove incontrò Isaakij Solženicyn, un giovane ufficiale dell'esercito, anche lui originario del Caucaso (la sua famiglia è restituita in maniera vivida nei capitoli d'apertura di Agosto 1914, primo titolo del ciclo di racconti La ruota rossa). Nel 1918 Taisia rimase incinta, tre mesi dopo Isaakij fu ucciso in un incidente di caccia. Aleksandr crebbe in povertà con la madre e una zia a Rostov; i suoi primi anni di vita coincidono con la guerra civile russa e a causa del regime le proprietà di famiglia furono espropriate, e trasformate in un kolchoz nel 1930. Il nonno materno fu arrestato dalla GPU (polizia politica) nello stesso anno e scomparve per sempre (si presume morisse nel 1932 durante la detenzione). Per la famiglia di Solženicyn furono anni particolarmente difficili. La madre lavorava come macchinista e vivevano nella periferia di Rostov in un locale di 9 m². In seguito, lo scrittore russo ha affermato che sua madre combatteva per sopravvivere e non disse a nessuno del passato di suo marito nell'esercito imperiale, né dell'origine socialmente sospetta della famiglia (in quanto proprietari terrieri rientravano nella categoria dei nemici del popolo come kulaki). Taisia lo incoraggiò sempre nei suoi studi scientifici e letterari; morì a causa dell'aggravarsi delle sue condizioni fisiche, prostrata dall'eccessiva mole di lavoro e dagli stenti della guerra nel 1944.

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Aleksandr Solženicyn nel 1974


Solženicyn sarebbe voluto andare all'Università di Mosca, ma la salute precaria della madre e le condizioni economiche in cui versava la famiglia non gli permisero di trasferirsi nella capitale, e quindi si iscrisse alla facoltà di matematica dell'università di stato di Rostov (si laureerà nel 1941), frequentando contemporaneamente per corrispondenza i corsi dell'Istituto universale per gli studi di Filosofia, Letteratura e Storia di Mosca. Nonostante le tragedie familiari, a causa dell'indottrinamento martellante e pervasivo del totalitarismo bolscevico nella società russa, Solženicyn crebbe come il tipico uomo sovietico, corazzato ideologicamente, fedele discepolo dell'ideologia "bolscevica" (seppur segretamente critico nei confronti di quella che considerava la tirannide morale di Stalin ed il pervertimento di questi degli ideali comunisti).
Costretto ad abbandonare gli studi dopo l'invasione tedesca, partì volontario per la seconda guerra mondiale. Inizialmente, a causa della sua salute cagionevole, fu assegnato in un posto lontano dal fronte come conducente di carriaggi, ma poi venne trasferito su sua richiesta alla scuola per ufficiali, dove divenne tenente d'artiglieria. Combatté successivamente con valore nella battaglia del saliente di Kursk, sul Dnepr ed in Prussia Orientale, guadagnandosi sul campo il grado di capitano. Grazie alle conoscenze acquisite nella regione prussiana, pubblicò poi una delle sue opere più rilevanti: Agosto 1914. Fu decorato due volte e proposto per l'Ordine della Bandiera Rossa, per avere salvato i suoi uomini in una situazione disperata durante una controffensiva tedesca il 27 gennaio 1945. Il 9 febbraio 1945 fu arrestato per aver criticato Stalin in una lettera privata ad un amico. Fu condannato a otto anni di campo di lavoro nei gulag e, scontata la pena, all'espulsione dall'Unione sovietica.
Solženicyn scontò la prima parte della condanna in campi di lavoro correzionale di tipo misto (descritti nel dramma Il cervo e la ragazza). La «fase intermedia», come la chiamò lui stesso, la passò in una šaraška, uno speciale centro per le ricerche scientifiche avviato dal Ministero per la sicurezza di stato; quest'esperienza riemerge in Il primo cerchio, pubblicato nel 1968. Col passare del tempo scomparve totalmente ogni ombra di adesione all'ideologia "staliniana". Nel 1950, ormai totalmente disilluso sulla natura del regime sovietico, fu trasferito in un campo speciale per i prigionieri politici, a seguito della sua rinuncia a collaborare ai progetti del NKVD. Durante la sua permanenza nel campo speciale della città di Ekibastuz, in Kazakistan, lavorò come minatore, muratore e operaio in una fonderia; da quest'esperienza trarrà Una giornata di Ivan Denisovic. Parteciperà allo sciopero ed ai disordini scoppiati nello stesso campo alla fine del 1951. Negli anni di gulag, non potendo scrivere, compose centinaia di versi imparandoli a memoria e recitandoli con l'aiuto di un rosario fatto da alcuni prigionieri lituani con cento piccoli grani di pane ammollato e strizzato.

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Aleksandr Solženicyn nel 1995


Dal marzo 1953 Solženicyn inizia il suo esilio nello sperduto villaggio di Kok Terek, nella steppa del Kazakistan. Durante la lunga detenzione sua moglie aveva chiesto e ottenuto il divorzio. Solo e abbandonato da tutti i suoi amici di un tempo, si ammalò di tumore ma non gli fu diagnosticato e, alla fine dell'anno, fu per morire. Nel 1954 gli fu permesso di essere curato nell'ospedale di Tashkent. Da quest'esperienza scrisse il romanzo Padiglione cancro e qualche eco c'è anche nel racconto La mano destra. Fu durante questa decade di prigionia ed esilio che Solženicyn abbandonò il marxismo per posizioni filosofiche diverse e per fede religiosa, diventando un convinto cristiano ortodosso; questo cambiamento trova un interessante parallelo in Dostoevskij e nella sua ricerca della fede durante il periodo di carcere trascorso in Siberia. Tale cambiamento è descritto nell'ultima parte di Arcipelago Gulag.
Durante questi anni di esilio e (a seguito della morte di Stalin) dopo il ritorno nella Russia europea, Solženicyn, mentre di giorno lavorava (ha insegnato anche nella scuola secondaria), passava le notti scrivendo.


«Fino al 1961 non solo ero convinto che non avrei mai dovuto vedere una sola mia linea stampata nella mia vita, ma, anche, a stento osai permettere ad alcune delle mie più vicine conoscenze di leggere quello che scrissi perché temevo che si venisse a sapere.»

A quarantadue anni, Solženicyn avvicinò il poeta e caporedattore del Novyj Mir Aleksandr Tvardovskij col manoscritto di Una giornata di Ivan Denisovic. Il romanzo venne pubblicato nel 1962 con l'esplicita approvazione di Nikita Chrušc?v – Tvardovskij capì che era necessario per un romanzo di quel genere – e rimase l'unico lavoro di Solženicyn pubblicato in Russia fino al 1990.
Una giornata di Ivan Denisovic ebbe molto successo (venne anche paragonato alla Casa dei morti di Dostoevskij) e portò i gulag all'attenzione dell'occidente. Provocò molte reazioni anche in Unione Sovietica non solo per il crudo realismo e la franchezza, ma anche perché era il maggior romanzo di argomento politico nella letteratura sovietica dagli anni venti, scritto da un membro esterno al partito, addirittura da un uomo che era stato in Siberia per "discorsi diffamatori" (la lettera su Stalin) su leader politici, senza per questo subire censura. In questo senso la pubblicazione del romanzo fu un esempio quasi senza precedenti di libertà, affrontando apertamente la politica attraverso il mezzo letterario. Molti lettori sovietici lo capirono, ma dopo che Chrušc?v perse il potere nel 1964, il tempo per tali romanzi si avviò lentamente verso la fine. Solženicyn non si arrese e tentò, con l'aiuto di Tvardovskij, di pubblicare Padiglione cancro in Unione Sovietica. Questo doveva però essere approvato dall'Unione degli Scrittori Sovietici e, sebbene molti lo avessero apprezzato, gli fu negata la pubblicazione in quanto non corretto e sospettato di insinuazioni e affermazioni antisovietiche (questo momento decisivo è documentato in La quercia e il vitello: saggi di vita letteraria).
La stampa di questo lavoro fu rapidamente fermata; dato che era uno scrittore, fu soggetto a vessazioni e, nel 1965, il KGB sequestrò molti dei suoi manoscritti, compreso quello de Il primo cerchio. Nel frattempo, Solženicyn continuava segretamente il febbrile lavoro ad uno dei suoi libri più sovversivi, il monumentale saggio di inchiesta narrativa (come definito nella prima pagina) Arcipelago Gulag. Il sequestro di una delle due sole copie del manoscritto da parte del KGB (seguito dal suicidio della sua assistente che aveva confessato, sotto interrogatorio, il luogo dove era nascosto) lo fece inizialmente disperare, ma gradualmente si liberò dalla pretesa di essere uno scrittore «ufficialmente acclamato», avvicinandosi alla sua seconda natura, sempre più rilevante, di scrittore e testimone della resistenza russa al totalitarismo comunista.
Sfuggito ad un tentativo di avvelenamento da parte degli organi di sicurezza nel 1968, nel 1970 Solženicyn fu insignito del Premio Nobel per la letteratura. A quel tempo non poté ricevere personalmente il premio a Stoccolma, perché temeva di non poter più ritornare dalla sua famiglia in Unione Sovietica una volta andato in Svezia. Propose di ricevere il premio in una speciale cerimonia all'ambasciata svedese a Mosca. Il governo svedese rifiutò l'offerta poiché tale cerimonia e la conseguente copertura mediatica potevano turbare il governo sovietico e, quindi, le relazioni diplomatiche con la Svezia. Alla fine Solženicyn ricevette il Premio Nobel nel 1974, dopo essere stato espulso dall'Unione Sovietica.
Arcipelago Gulag è un saggio narrativo, fra le più lucide e complete denunce dell'universo concentrazionario. Oltre alla propria esperienza personale, Solženicyn raccolse le testimonianze di altri 227 ex prigionieri e condusse alcune ricerche sulla storia del sistema penale sovietico. Il saggio tratta delle origini dei gulag all'epoca di Lenin e la vera creazione del regime comunista, descrivendo nei dettagli la vita nei campi di lavoro, gli interrogatori, il trasporto dei prigionieri, le coltivazioni nei campi, le rivolte dei prigionieri e la pratica dell'esilio interno. La pubblicazione del libro in Occidente portò la parola gulag nel vocabolario della politica occidentale e gli garantì una rapida punizione da parte delle autorità sovietiche.
Solženicyn, a causa della sua popolarità in Occidente, si guadagnò l'inimicizia del regime sovietico. Avrebbe potuto emigrare anche prima dell'espulsione, ma aveva sempre espresso il desiderio di restare nella sua madrepatria e lavorare dal suo interno per cambiarla. In questo periodo fu difeso dal violoncellista Mstislav Rostropovic, che a causa del suo supporto a Solženicyn fu costretto all'esilio. Il 13 febbraio 1974 Solženicyn fu deportato dall'Unione Sovietica in Germania Ovest e privato della cittadinanza sovietica. Il KGB trovò il manoscritto della prima parte di Arcipelago Gulag. Proprio qualche ora prima che venisse arrestato e mandato in esilio, il 12 febbraio 1974, Solženicyn scrisse forse la sua opera più significativa, l'appello "Vivere senza menzogna". Meno di una settimana dopo le autorità sovietiche agirono contro Evgenij Evtušenko per il suo appoggio a Solženicyn. All'esilio di Solženicyn venne dato ampio risalto dalla stampa internazionale. Giorgio Napolitano, allora alto dirigente del Partito Comunista Italiano, su «l'Unità» del 20 febbraio 1974, e poi su «Rinascita», definì la vicenda "indubbiamente significativa e preoccupante", ma avallò sostanzialmente le accuse del regime di Mosca e considerò in modo tendenzialmente «positivo» pur se con qualche distinguo, la scelta di esiliare lo scrittore.
In Occidente
Dopo qualche tempo passato in Svizzera si trasferì negli Stati Uniti invitato dall'Università di Stanford per «facilitare il suo lavoro e ospitare la sua famiglia». Andò ad abitare all'undicesimo piano della Hoover Tower, parte dell'Hoover Institute. Solženicyn si trasferì a Cavendish, nel Vermont, nel 1976. L'8 giugno 1978 gli venne conferita una laurea honoris causa in letteratura dall'Università di Harvard, al conferimento della quale tenne un famoso discorso di condanna alla cultura occidentale. Nei successivi diciassette anni Solženicyn lavorò alacremente al suo ciclo di quattro romanzi storici La ruota rossa completati nel 1992, all'infuori di questo portò a termine altri lavori più brevi. Nonostante l'entusiasmo con cui fu accolto negli Stati Uniti, seguito dal rispetto per la sua vita privata, Solženicyn non si sentì mai a casa fuori dalla sua madrepatria. Il suo inglese non divenne mai scorrevole nonostante i vent'anni passati in America, anche se aveva letto opere di letteratura in lingua inglese fin dalla giovinezza, incoraggiato dalla madre. Più importante, lui sdegnò l'idea di diventare una star mediatica e di addolcire le sue idee e il suo modo di parlare per adeguarsi al linguaggio televisivo. Gli avvertimenti di Solženicyn sul pericolo di aggressioni comuniste e l'indebolimento della tempra morale dell'Occidente furono generalmente ben accolte dagli ambienti conservatori occidentali, e ben si adattarono alla durezza della politica estera di Reagan, ma i liberali e i laicisti furono sempre più critici, considerandolo un reazionario per il suo patriottismo e per essere ortodosso. Venne anche criticato per la sua disapprovazione per quella che gli sembrava la bruttezza e insipidità spirituale della dominante cultura pop, incluse la televisione e la musica rock.

«L'anima umana desidera cose più elevate, più calde e più pure di quelle offerte oggi alla massa... dallo stupore televisivo alla musica insopportabile.»

Ritorno in Russia
Nel 1990 gli fu ripristinata la cittadinanza sovietica e, nel 1994, ritornò in Russia con sua moglie Natalia, che era diventata cittadina statunitense. I loro figli restarono negli Stati Uniti (più tardi il maggiore, Ermolay, ritornò in Russia per lavorare per un ufficio con sede a Mosca di una delle principali aziende di consulenza gestionale). Da quel momento Solženicyn ha vissuto con la moglie in una dacia a Troice-Lykovo ad ovest di Mosca, tra le dacie di Michail Suslov e Konstantin Cernenko.
Dal suo ritorno in Russia nel 1994 Solženicyn ha pubblicato otto racconti brevi, una serie di "miniature" o poesie in prosa, le memorie dei suoi anni in Occidente e la storia in due volumi delle relazioni tra russi ed ebrei (Due secoli insieme). In quest'ultimo lavoro Solženicyn rifiuta l'idea che le rivoluzioni russe del 1905 e del 1917 furono il risultato di una cospirazione ebrea. Nello stesso tempo però analizza con lucidità e con dati obiettivi il legame popolare, culturale e politico che a lungo intercorse tra la rivoluzione bolscevica e un'ampia fascia della comunità ebraica, un aspetto poco noto della storia russa e sovietica.
L'accoglienza di questo lavoro conferma la figura polarizzante di Solženicyn sia in patria che all'estero. Secondo alcuni critici il libro conferma le idee antisemite di Solženicyn e della superiorità della Russia sulle altre nazioni. Il professor Robert Service dell'Università di Oxford ha difeso Solženicyn definendolo «assolutamente corretto», notando che Lev Trockij stesso rivendicò la sproporzione rappresentata nella burocrazia sovietica dall'elemento ebraico.
Un altro famoso dissidente russo, Vladimir Vojnovic, scrisse un polemico studio dal titolo Ritratto in posa da mito dal quale emerge un Solženicyn egoista, antisemita e poco abile nello scrivere. Voinovic canzonò Solženicyn anche nel suo romanzo Moskva 2042, ritraendolo con l'egocentrico Sim Simic Karnalov, un estremo, brutale e dittatoriale scrittore che cerca di distruggere l'Unione Sovietica e, alla fine, diventa il re della Russia. Usando una sottile argomentazione, Iosif Brodskij, nel suo saggio Catastrophes in the Air (in Less than One) asserisce che Solženicyn, mentre era un eroe nel palesare le brutalità del comunismo sovietico, non riuscì a vedere la probabilità che i crimini storici che lui ha portato alla luce siano la conseguenza del carattere autoritario ereditato dalla vecchia Russia e dello "spirito severo dell'Ortodossia" (idolatrato da Solženicyn), e non imputabili quindi solo all'ideologia politica.
Nei suoi scritti politici più recenti, quali Come ricostruire la Russia? (1990) e Russia in collapse (1998) Solženicyn critica gli eccessi oligarchici della nuova democrazia russa, opponendosi comunque a qualsiasi nostalgia per il comunismo. Difende inoltre il moderato e autocritico patriottismo (come opposizione ad un estremo nazionalismo), indispensabile per l'autonomia locale in una Russia libera; manifesta inoltre preoccupazione per il destino dei venticinque milioni di russi negli Stati dell'ex Unione Sovietica. Chiede inoltre che venga protetto il carattere nazionale della Chiesa ortodossa russa e lotta contro l'ammissione di preti cattolici e pastori protestanti in Russia da altri paesi. Per un breve periodo condusse un programma televisivo dove espresse brevemente le sue opinioni. Tale programma fu sospeso a causa dei duri giudizi che Solženicyn esprimeva, ma Solženicyn continuò a mantenere un profilo relativamente alto nei media.
Solženicyn morì di infarto il 3 agosto 2008, a 89 anni. Il servizio funebre fu tenuto nel Monastero Donskoj di Mosca il 6 agosto 2008. Egli fu sepolto lo stesso giorno nel luogo che si era scelto nel cimitero del Monastero, con solenni funerali di Stato. Dopo la sua morte leader russi e di varie parti del mondo lo hanno ricordato nei loro discorsi.
Visioni storico-politiche Solženicyn afferma:

«La linea di quei pochi che sanno scegliere sacrificando se stessi è la luce che illumina il nostro futuro. Impressiona sempre questa peculiarità psicologica dell'essere umano: nel benessere e nella spensieratezza, ha paura anche delle più piccole contrarietà che toccano la periferia della propria esistenza, fa di tutto per non conoscere le sofferenze altrui e le proprie future, rinnega molte cose, perfino ciò che è importante, spirituale, essenziale pur di conservare il proprio essere. Giunto invece alle ultime rive della miseria dove l'uomo è nudo e privo di tutto quello che sembra rendere bella la vita, ecco che trova improvvisamente in se stesso la risolutezza per fermarsi all'ultimo passo e sacrificare la vita purché siano salvi i principi. Per la prima peculiarità l'umanità non ha saputo mantenere nessuna vetta conquistata, per la seconda si è sollevata da tutti gli abissi.»

Durante gli anni passati in occidente Solženicyn diede vita ad un intenso dibattito sulla storia della Russia, l'Unione Sovietica e il comunismo, cercando di correggere quelli che considerava essere i malintesi da parte dell'Occidente.
La storiografia tradizionale giustifica la rivoluzione d'ottobre del 1917 sfociata dopo la morte di Lenin in un regime autoritario come strettamente connessa alla storia della Russia zarista, specialmente nelle figure di Ivan il Terribile e Pietro il Grande. Solženicyn afferma che questo è fondamentalmente sbagliato ed ha liquidato il lavoro di Richard Pipes come "visione polacca della storia russa". Solženicyn nota come la Russia zarista non avesse le stesse tendenze violente dell'Unione Sovietica sottolineando che la Russia zarista non praticava la censura se non in rari casi; i prigionieri politici obbligati al lavoro forzato nella Russia zarista erano un decimillesimo rispetto a quelli dell'Unione Sovietica; il servizio segreto dello zar era presente in sole tre grandi città, e non in tutta la nazione. La violenza del regime sovietico non era in nessun modo comparabile con quella minore degli zar.
Sarebbe, insomma, una forzatura biasimare le catastrofi russe del XX secolo con zar del XVI e XVIII secolo quando ci sono molti altri esempi di violenza che hanno ispirato, invece, i bolscevichi, e specialmente quello dei giacobini nel Periodo del terrore in Francia.
Critica anche l'idea che l'Unione Sovietica fosse russa in ogni suo aspetto, sostenendo che il comunismo era internazionale ed era scopo del nazionalismo usarlo come uno strumento per ingannare il popolo. Una volta al potere il comunismo tenta di cancellare ogni nazione, distruggendo la sua cultura e opprimendo il popolo. Secondo Solženicyn infatti la cultura e il popolo russo non erano dominanti della cultura nazionale dell'Unione Sovietica, dove non c'era una vera e propria cultura predominante perché oppressa in favore di una cultura ateistica sovietica; quando il regime sconfisse la paura di ribellioni da parte delle minoranze etniche ne oppresse anche la loro cultura. Quindi, il nazionalismo russo e la Chiesa ortodossa non dovevano essere considerate una minaccia per l'occidente, ma piuttosto come alleati che dovevano essere incoraggiati.
Seconda guerra mondiale
Solženicyn criticò gli alleati per il ritardo con cui aprirono un nuovo fronte in occidente contro la Germania nazista, un ritardo che fu determinante per la dominazione e l'oppressione sovietica nelle nazioni dell'Europa orientale. Solženicyn sostiene che le democrazie occidentali abbiano trascurato i morti e i sacrifici tedeschi e russi pur di concludere la guerra nel modo più indolore per le nazioni occidentali. Assegnato in Prussia Orientale come ufficiale d'artiglieria, Solženicyn assistette a diversi crimini verso i civili tedeschi da parte dei "liberatori" sovietici, tra cui il saccheggio indiscriminato, gli stupri di massa e gli omicidi impuniti. Il suo poema Notti Prussiane narra di questi incidenti: il narratore racconta con toni di approvazione dei crimini sui civili tedeschi, esprimendo il desiderio di prendervi parte. Il poema descrive anche lo stupro di una donna polacca, scambiata per tedesca dai soldati dell'Armata Rossa.

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Solženicyn con Vladimir Putin.

Guerra del Vietnam
Nel suo discorso all'Università di Harvard nel 1978 Solženicyn dichiara che molti negli Stati Uniti d'America non capiscono la guerra del Vietnam. Anche se ci sono molti pacifisti che sostengono la necessità di fermare la guerra il più presto possibile, loro diventano complici «del genocidio e la sofferenza oggi imposta a trenta milioni di persone». Retoricamente domanda se i pacifisti statunitensi capiscano le conseguenze che le loro azioni hanno in Vietnam chiedendo «Questi pacifisti convinti ora sentono i gemiti del loro Vietnam?».
Durante il soggiorno in occidente Solženicyn fece poche ma severe dichiarazioni pubbliche attirandosi anche alcune critiche, in particolare da Daniel Ellsberg che lo considerava un traditore.
Solženicyn ha duramente condannato i bombardamenti della NATO in Jugoslavia nel 1999 dicendo che «non ci sono differenze tra la NATO e Hitler».

Il mondo moderno
«Finché non sono venuto io stesso in occidente e ho passato due anni guardandomi intorno, non avevo mai immaginato come un estremo degrado in occidente abbia fatto un mondo senza volontà, un mondo gradualmente pietrificato di fronte al pericolo che deve affrontare... Tutti noi stiamo sull'orlo di un grande cataclisma storico, un'inondazione che ingoierà le civiltà e cambierà le epoche.»

Solženicyn descrisse i problemi sia dell'oriente che dell'occidente come «un disastro» radicato nell'agnosticismo e nell'ateismo, riferendosi alla calamità di un'autonoma irreligiosa coscienza umanistica. Queste posizioni lo hanno fatto tacciare di essere reazionario, anche dagli occidentali che lo avevano sostenuto come dissidente anticomunista.

«Ha fatto un uomo su misura di tutte le cose sulla terra - uomo imperfetto, che non è mai libero da orgoglio, interesse personale, invidia, vanità e da dozzine di altri difetti. Ora stiamo pagando gli errori che non si sono valutati correttamente all'inizio del viaggio. Sulla direzione dalla rinascita ai nostri giorni abbiamo arricchito la nostra esperienza, ma abbiamo perso il concetto di un'entità completa suprema che ha trattenuto le nostre passioni e la nostra irresponsabilità.»

Solženicyn, nei suoi ultimi anni di vita, prese posizione a favore della reintroduzione della pena di morte in Russia, per il reato di terrorismo, opinione respinta dal Presidente Vladimir Putin,

Edizioni italiane delle opere di Solženicyn

Una giornata di Ivan Denisovic, Milano, Garzanti, 1963.
Una giornata di Ivan Denisovic; La casa di Matrjona; Alla stazione, Torino, Einaudi, 1963.
Divisione cancro, come anonimo sovietico, Milano, Il Saggiatore, 1968
Il primo cerchio, Milano, A. Mondadori, 1968
Nel primo cerchio, Roma, Voland Edizioni, 2018 (prima traduzione della versione integrale).
Tra autoritarismo e sfruttamento, Milano, Jaca Book, 1968; 1979.
Reparto C, Torino, Einaudi, 1969.
Il cervo e la bella del campo; Una candela al vento, Torino, Einaudi, 1970.
Nell'interesse della cosa e altri racconti, Milano, Longanesi, 1970.
Per il bene della causa, Roma, Tindalo, 1970; Milano, A. Mondadori, 1971.
Agosto 1914. Nodo primo, Milano, A. Mondadori, 1972.
Lettera al patriarca di tutta la Russia, Reggio Emilia, Age, 1972.
Nell'interesse della causa; La mano destra; Accadde alla stazione di Krecetovka, Milano, Massimo, 1972.
Documenti, con Andrej Dmitrievic Saharov, Roma, Armando, 1973.
Il mio grido. Discorso del premio Nobel testo integrale, Noto, Sicula, 1973.
Solzenicyn il credente. Lettere, discorsi, testimonianze, Bari, Edizioni Paoline, 1974.
Romanzi brevi e racconti, Roma, Newton Compton, 1974.
Arcipelago Gulag. 1918-1956. Saggio di inchiesta narrativa, 3 voll., Milano, A. Mondadori, 1974-1978.
Vivere senza menzogna, Milano, A. Mondadori, 1974. [contiene la Lettera ai dirigenti dell'Unione Sovietica]
La quercia e il vitello. Saggi di vita letteraria, Milano, A. Mondadori, 1975.
Discorsi americani, Milano, A. Mondadori, 1976.
Lenin a Zurigo. Capitoli, Milano, A. Mondadori, 1976.
Tutto il teatro, Roma, Newton Compton, 1976.
Il cervo e la puttana
Una candela al vento Dialogo con il futuro. Discorsi e interviste, Milano, La casa di Matriona, 1977.
Un mondo in frantumi. Discorso di Harvard. Testo integrale, Milano, La casa di Matriona, 1978.
L'errore dell'occidente. Gli ultimi interventi su comunismo Russia e occidente con in appendice il discorso di Harvard, Milano, La casa di Matriona, 1980.
Ricostruire l'uomo. Scritti e interviste su Polonia, Russia e Occidente, Milano, La casa di Matriona, 1984.
Novembre 1916 (1984)
Marzo 1917 (1986)
Aprile 1917
Come ricostruire la nostra Russia?, Milano, Rizzoli, 1990. .
La questione russa alla fine del secolo XX, Torino, Einaudi, 1995.
La verità è amara. Scritti, discorsi e interviste (1974-1995), Milano, M. Minchella, 1995.
Ego, Torino, Einaudi, 1996.
Miniature, Firenze, Passigli, 2006.
Due secoli insieme
I, Ebrei e russi prima della rivoluzione, Napoli, Controcorrente, 2007.
II, Ebrei e russi durante il periodo sovietico, Napoli, Controcorrente, 2007.
Ama la Rivoluzione!, Milano, Jaca Book, 2012.
L'uomo nuovo. Tre racconti, Milano, Jaca Book, 2013.
L'arresto: Vivere e morire ai tempi dei gulag, Milano, Osimo, 2022.
L’istruttoria. Torture, false confessioni, gulag, Milano, Osimo, 2022.
Storia delle fogne russe. Ondate di deportazione in gulag, Milano, Osimo, 2022.
La donna in lager: Vita quotidiana nei gulag, Milano, Osimo, 2022.

ARCIPELAGO GULAG

Arcipelago Gulag è un saggio di inchiesta narrativa edito in tre volumi nel quale si ripercorre, con lucidità e precisione, il periodo di dittatura comunista in URSS e il terrificante utilizzo della giustizia politica e dei campi di concentramento amministrati dal Gulag disseminati in tutta l’Unione Sovietica. L’opera di Solženicyn unisce i tratti caratteristici dell’autobiografia, della ricerca storiografica e della critica incessante verso il potere sovietico, descrivendo minuziosamente, attraverso anche numerose testimonianze dei superstiti, il percorso carcerario dall’istruttoria ai lager speciali, dall’arresto causato da una delazione fino al termine della pena. Arcipelago Gulag ha avuto una risonanza molto rilevante per quel che riguarda l’opinione pubblica internazionale in quanto ha fornito il più seminale e dettagliato contributo sull’altra faccia dell’URSS post-rivoluzionaria. Concepito già nel 1958, Solzenicyn dovette far trafugare il testo in Occidente poiché il KGB era riuscito ad entrare in possesso di una copia ed a sequestrarla. L’autore riuscì a microfilmare il testo e a consegnarlo ad alcuni amici francesi. Arcipelago Gulag fu pubblicato in prima edizione a Parigi nel 1973, dando origine ad un vero e proprio sommovimento culturale. L’opera uscì in Italia il 25 maggio 1974 per i tipi della Mondadori, ma non suscitò un analogo interesse da parte dei nostri intellettuali. Scarse furono le recensioni sui giornali. Solzenicyn non piaceva ovviamente alla sinistra. La stessa Mondadori non preparò l’uscita del libro con un adeguato battage pubblicitario, anzi fece precedere l’uscita dell’Arcipelago da un libro di Oriana Fallaci, che oscurò quasi completamente l’opera del molto meno noto scrittore russo. L’unica recensione di rilievo sui quotidiani fu quella di Pietro Citati sul Corriere della Sera del 16 giugno, che però lo considerò solamente un memoriale di un prigioniero scampato a una più dura sorte. Nessuno, nel mondo intellettuale italiano, che subiva l’egemonia culturale della sinistra lo ignorò. Quando uscì Arcipelago Gulag mi sobbarcai, in una libreria di Milano, una lunga coda per acqistare il libro; mi era capitato solo uma volta, con Il Gattopardo di Tomasi di Lampedusa.

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UNA GIORNATA DI IVAN DENISOVIC

Una giornata di Ivan Denisovic è un romanzo pubblicato il 18 novembre 1962 sulla rivista letteraria sovietica Novyj Mir. Racconta la brutale esistenza quotidiana in un gulag sovietico di un prigioniero, detenuto politico, negli anni Cinquanta. L'idea dell'Autore, che fa da sfondo a tutto il racconto, è quella di mostrare come sia possibile per l'uomo conservare intatta la propria dignità umana pur essendo immerso in un "inferno".
La pubblicazione dell'opera - un resoconto della repressione e oppressione stalinista - costituì un evento straordinario per la storia letteraria dell'URSS, rompendo la tradizione consolidata delle manipolazioni grossolane del presente, tipiche del realismo socialista. Fu Nikita Chrušcëv in persona a dare il proprio assenso alla sua diffusione, difendendolo davanti al presidium del Politburo, per dare forza alla sua campagna di destalinizzazione seguita al XX Congresso del 1956.
Ciò che aveva colpito Chrušcëv era la forza accusatoria dell'opera di Solženicyn contro i campi staliniani in un momento politico nel quale l'equilibrio di potere all'interno del Presidium tra lui e i suoi avversari s'era fatto precario: l'anno prima egli aveva clamorosamente deciso l'espulsione della salma di Stalin dal Mausoleo di Lenin sulla Piazza Rossa a Mosca.
Il titolo originale, Sc-854 (numero di matricola nel Gulag del protagonista, Ivan Denisovic Šuchov), venne modificato prima della pubblicazione perché ritenuto troppo brutale dai censori sovietici. Il manoscritto fu sottoposto dall'autore già nel 1960 al direttore della rivista, Aleksandr Tvardovskij: comparve con un editing concordato col direttore, in diversi punti modificato e attenuato, per gli stessi problemi di censura. La pubblicazione del primo romanzo sui lager staliniani ebbe un effetto dirompente, svelando al popolo russo la verità fino allora occultata dei campi di lavoro coatto dell'Asia centrale, della Siberia Orientale, dell'estremo nord, dove milioni di esseri umani erano morti. La tiratura iniziale di centomila copie della rivista andò esaurita in poche ore. Nel 2006 uscì l'edizione definitiva approvata da Solženicyn, che ristabiliva la lezione originale del testo.[
Solženicyn fu condannato a otto anni di lavoro forzato nei gulag, dal 1945 al 1953; la pena fu allora trasformata in esilio interno, e lui spedito in campo di lavoro rurale del Kazakistan. Nel 1956, dopo il discorso segreto di Chrušcëv, fu liberato dall'esilio ed esonerato, diventando professore di matematica in una scuola secondaria di Rjazan', a sudest di Mosca. Una giornata di Ivan Denisovic pose l'autore all'attenzione dell'Occidente, che scoprì le terribili condizioni dei reclusi nei campi di lavoro. Negli anni Sessanta, egli andò componendo contemporaneamente Divisione cancro e Arcipelago Gulag, il suo capolavoro. Ma la maggiore repressione instaurata dopo la rimozione dal potere di Chrušcëv gli impedì di pubblicarli. Nel 1969, Solženicyn fu espulso dall'Unione degli scrittori, e l'anno successivo vinse il Premio Nobel per la letteratura, che non poté ritirare a Stoccolma. Nel febbraio 1974, fu espulso dall'URSS, finendo a vivere in esilio negli USA. Fece ritorno in Russia solo nel 1994.
Trama
In un giorno qualsiasi del 1951, in un gulag siberiano, con una temperatura di 27° sotto zero (le regole del campo prescrivono che solo con una temperatura di almeno 40° sotto zero non si esce per lavorare), il prigioniero Ivan Denisovic Šuchov si sveglia come ogni mattina alle 5; il breve arco di tempo tra il risveglio e la magra colazione è uno dei pochi momenti "liberi" della giornata. Ma in quel giorno Šuchov si rende conto di avere la febbre, circostanza che ha sempre temuto. Intenzionato a marcare visita in infermeria, viene invece minacciato di punizione da una guardia, detta il Tartaro. L'uomo è disposto a non denunciarlo se Šuchov laverà i pavimenti delle baracche dei capisquadra, lui accetta volentieri perché dopo sarà libero di tornare a mangiare la brodaglia della colazione. Šuchov si reca a marcare visita, l'infermiere non può esentarlo dal lavoro perché al mattino gli sono permesse solo due eccezioni: di regola le dispense dal lavoro devono essere approvate la sera precedente. Gli misura la febbre, Šuchov ha solo due linee sopra i 37°. Deve recarsi comunque al lavoro con gli altri condannati.
Passato il controllo delle guardie all'uscita dal campo, è vietato indossare più capi di vestiario di quelli ammessi dal regolamento. Sul luogo di lavoro la loro unica preoccupazione è l'attesa del pranzo, una scodella di sbobba che mangiano con avidità; con uno stratagemma, Šuchov riesce a procurare alla sua squadra di lavoro due scodelle più di quelle che spetterebbero, così il vice capo gli permette di tenerne una per sé. Šuchov è stato condannato a 10 anni di campo di lavoro, che rappresenta la sentenza standard. Nel suo caso, è stato giudicato per tradimento perché è rimasto prigioniero per due giorni dei nazisti nel corso di una battaglia; quando è riuscito a fuggire e tornare al reparto lo hanno accusato di essersi arreso per disfattismo. Al campo ci sono altri condannati per i motivi più vari; uno ad esempio è figlio di un kulak, un contadino piccolo proprietario, appartenente a una classe giudicata controrivoluzionaria durante gli anni più bui dello stalinismo. Gli mancano ancora meno di due anni per giungere a fine pena.
La giornata di lavoro trascorre come sempre, la squadra costruisce un edificio, embrione di un nuovo centro abitato. Šuchov è fra i muratori più esperti, è lui che posa i mattoni mentre i compagni trasportano a spalla il materiale, dal momento che la gru si è guastata. Il freddo è terribile, ma anche questa giornata ha termine, i prigionieri si mettono in fila per tornare al campo. Le guardie li mettono in fila per cinque in modo da contarli, poi una seconda conta ha luogo all'ingresso dell'area cintata, dove c'è anche la perquisizione. I prigionieri infatti nascondono sempre nei vestiti frammenti di legna per le stufe.
La magra cena è un altro dei rari momenti di soddisfazione nella vita del prigioniero, ma è comunque una lotta per conquistare un posto prima degli altri. Prima di essere liberi di dormire c'è ancora l'ultima conta per assicurarsi che nessun prigioniero sia riuscito a fuggire, malgrado il campo si trovi nel mezzo del nulla e nella stagione più terribile dell'anno, l'inverno. Šuchov si addormenta pensando che quella è stata comunque una giornata positiva perché non era ancora morto.

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La copertina di un'edizione statunitense del romanzo.

21 settembre 2023 - Eugenio Caruso

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Tratto da

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www.impresaoggi.com