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Michail Jur'evic Lermontov, uno dei massimi artisti del XIX secolo

Datemi una notte e per amante
La Venere della piccola fattoria di Milo!
O se per un’ora una statua antica
Si ridestasse alla passione e io potessi
Scuotere l’Aurora fiorentina
Dalla sua muta disperazione,
Mischiarmi a quelle membra, ritrovare
In quel petto il mio rifugio.

WILDE


GRANDI PERSONAGGI STORICI Ritengo che ripercorrere le vite dei maggiori personaggi della storia del pianeta, analizzando le loro virtù e i loro difetti, le loro vittorie e le loro sconfitte, i loro obiettivi, il rapporto con i più stretti collaboratori, la loro autorevolezza o empatia, possa essere un buon viatico per un imprenditore come per una qualsiasi persona. In questa sottosezione figurano i più grandi poeti e letterati che ci hanno donato momenti di grande felicità ed emozioni. Io associo a questi grandi personaggi una nuova stella che nasce nell'universo.

Andric - Ariosto - Balzac - Beckett - Bellow - Boccaccio - Bjørnson - Buck - Bulgàkov - Byron - Camus - Carducci - Cechov - Chaucer - Coleridge - D'Annunzio - Dante - De Cervantes - Dickens - Donne - Dostoevskij - Eliot - Esénin - Eschilo - Faulkner - France - Gide - Gogol - Gor'kij - Hamsun - Hemingway - Hesse - Heyse - Ibsen - Joyce - Kafka - Kipling - Leopardi - Lermontov - Mann - Manzoni - Marlowe - Màrquez - Mauriac - Milton - Neruda - Omero - O'Neill - Pascoli - Pasternak - Petrarca - Pinter - Pirandello - Proust - Puškin - Russell - Shakespeare - Shaw - Sienkiewicz - Solženicyn - Steinbeck - Tagore - Tasso - Tolstoj - Turgenev - Verga - Virgilio - Wilde - Yeats -

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Michail Jur'evic Lermontov (1814 - 1841) è stato un poeta, drammaturgo e pittore russo. Figura di spicco del romanticismo, è considerato uno tra i maggiori scrittori del XIX secolo. Militare di carriera, durante la sua breve vita pubblica scrisse soltanto un volume di poesie, Versi, e il capolavoro in prosa, il romanzo Un eroe del nostro tempo (1840), mentre la sua opera poetica che più di ogni altra sarà esaltata nell'Ottocento, Il Demone, fu pubblicata postuma. Un eroe del nostro tempo è stato uno dei primi romanzi ad aver letto dei grandi russi.

«... la più tormentata anima di poeta di tutto il tormentato romanticismo russo.»
(Teatro russo, a cura di Ettore Lo Gatto, Milano, Bompiani, 1955, p. 454)


Nato da una famiglia di origini scozzesi (Learmonth), rimane orfano della madre (Marija Michajlovna nata Arsen'eva) a tre anni, nel 1817, e viene allevato dalla nonna materna Elizaveta Alekseevna Arsen'eva, nella tenuta di Tarchany, Oblast' di Penza; l'allora villaggio di Tarchany, oggi Lermontov. Nel 1818 viaggia nel Caucaso, a Pjatigorsk, dove tornò ripetutamente, negli anni 1820 e 1825. Adolescente si appassiona di letteratura: legge avidamente Byron, ma anche Shakespeare, Chateaubriand, Goethe, Schiller e Walter Scott e comincia a scrivere appena quindicenne. Nel 1828 entra nella scuola privata "Pensione Nobile" (Blagorodnyj pansion pri moskovskom universitete) e scrive I circassi, Il prigioniero del Caucaso, Il corsaro. Nel 1830 si iscrive all'Università di Mosca, che lascia nel 1832 per vari motivi: la morte del padre, i rapporti sempre più tesi con i professori e i sospetti nati in seguito alla sua partecipazione al famigerato scandalo Malov (quando una folla di studenti caccia dall'auditorium, a suon di sbeffeggiamenti, l'omonimo docente).

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Autoritratto di Michail Lermontov con la divisa del reggimento dei Dragoni di Nižnyj Novgorod e sullo sfondo le montagne del Caucaso, acquerello su carta, 1837-1838


Passa quindi alla Scuola di Cavalleria della Guardia di Pietroburgo dove può arricchire la sua vena letteraria, prima limitata a pagine introspettive: in questo periodo si dedica anche a temi folcloristici ed erotici (i poemetti Saska e Festa a Peterhof). Scrive un romanzo dedicato a un personaggio del seguito di Pugacëv, Vadim, e una poesia simbolica: La vela. Nel 1834 ottiene il grado di ufficiale degli Ussari della Guardia, a Carskoe Selo. Nel frattempo, pubblica numerose poesie ed il poema Hadži Abrek. Nel 1835, oltre a frequentare i salotti di Pietroburgo, conclude il dramma (rifiutato dalla censura) Un ballo in maschera, mentre l'anno seguente scrive Il boiaro Orša, Il gladiatore morente e Melodia ebraica.

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Emilia, 1831. Con Emilia, Lermontov ritrae molto probabilmente l'amata Varvara Lopuchina.


Avvicinatosi al circolo di Aleksandr Puškin, Lermontov non fa però in tempo a conoscerlo: il poeta muore in duello nei primi mesi del 1837. L'avvenimento gli ispira la celebre poesia La morte del poeta, in cui denuncia oscuri intrighi tramati contro Puškin dagli ambienti di corte. La poesia gli fa ottenere grande notorietà, ma viene giudicata sovversiva dallo zar Nicola I, che lo arresta per poi trasferirlo in un reggimento in linea sul Caucaso. Grazie alle pressioni della nonna, potrà però tornare dopo poco tempo a Pietroburgo, con la fama di poeta e di dissidente perseguitato.
Sarà un'occasione per completare alcune sue opere, tra cui Il demone e Il novizio (racconto ambientato in Georgia). Nel 1840, esce Un eroe del nostro tempo, il suo capolavoro in prosa, che desta subito grande interesse. Lermontov però cade ancora in disgrazia presso le autorità a causa di un duello con il figlio dell'ambasciatore francese, Ernest de Barante.
Inviato ancora nel Caucaso, si segnala per atti di valore (combattendo contro i ribelli nei pressi del fiume Valerik), ma non riesce a farsi richiamare a Pietroburgo. A Pjatigorsk nell'aprile 1841 ritrova un vecchio compagno d'armi, Nikolaj Martynov. Qualche mese più tardi sarà proprio quest'ultimo, per un'offesa ricevuta, a sfidarlo a duello e ucciderlo, negli stessi luoghi dove era ambientato il duello descritto nell'Eroe del nostro tempo.

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Il circasso, olio su cartone, 27,2 × 22, marzo-aprile 1838


Così scrive R. Michilli in conclusione della sua lunga biografia su Lermontov:

«Non sopportava i palloni gonfiati, i presuntuosi, i vanesi, i fasulli e gli ipocriti, e quando li aveva a tiro non resisteva alla tentazione di sfruculiarli [...]. Era un buon pittore, suonava da virtuoso diversi strumenti, cantava benissimo, componeva musica, sapeva il latino e anche un po' di greco, parlava e scriveva correntemente in francese, tedesco e inglese, giocava da campione a scacchi ed era un fine studioso di matematica. Fu conversatore brillante, cultore dell'amicizia e della bellezza, spadaccino di classe, cavaliere di razza, soldato valoroso [...]. E poi sul terreno dell'onore si comportò sempre magnificamente: era un tiratore eccezionale, ma non sparò mai sul suo avversario.»
(R. Michilli, Il prigioniero, Giulianova (Te), Galaad, 2015, p. 678)

Opere (selezione)

Prosa

  • Vadim, 1832, incompiuto; pubblicato postumo nel 1873
  • La principessa Ligovskaja, 1836, romanzo incompiuto; pubblicato postumo nel 1882
  • Ašik-Kerib, 1837, favola azera; pubblicata postuma nel 1846
  • Un eroe del nostro tempo, 1839, romanzo

Teatro

  • Menschen und Leidenschaften: Ein Trauerspiel (Uomini e passioni: una tragedia), 1830; pubblicato postumo nel 1880
  • Un uomo strano: dramma romantico, 1831; pubblicato postumo nel 1860
  • Un ballo in maschera, 1830; pubblicato postumo nel 1880
  • Due fratelli, 1836; pubblicato postumo nel 1880

Poemi

  • I circassi, 1828; pubblicato postumo nel 1860
  • L'ultimo figlio della libertà, 1831-1832; pubblicato postumo nel 1860
  • Azrail, 1831; pubblicato postumo nel 1876
  • L'angelo della morte, 1831; pubblicato postumo nel 1857
  • Ismail-bej, 1832; pubblicato postumo nel 1842
  • Il boiaro Orša, 1836, pubblicato postumo nel 1842
  • Il novizio, 1839; pubblicato nel 1840
  • Il Demone, 1829-1839, pubblicato postumo nel 1856

UN EROE DEL NOSTRO TEMPO

Struttura
L'opera è divisa in cinque capitoli (Bela, Maksim Maksimyc, Taman', La principessina Mary, Un fatalista) che possono essere considerati come racconti. I primi due sono narrati in prima persona da un viaggiatore, mentre gli ultimi tre riportano direttamente il diario personale di Pecorin. La loro autonomia narrativa è sottolineata dal fatto che, prima della pubblicazione integrale dell'opera, due capitoli uscirono a distanza di qualche mese l'uno dall'altro su rivista. In ogni caso, il carattere romanzesco è dato dall'organicità complessiva dell'opera e dalla continuità narrativa che lega le diverse parti.
La disposizione dei capitoli non segue l'ordine cronologico, ma presenta la figura del protagonista sotto diversi aspetti, concentrando progressivamente l'attenzione su Pecorin e passando dalla descrizione dall'esterno a opera di altri personaggi all'interno del protagonista, che emerge dalle pagine del suo diario. Ordinando cronologicamente l'intreccio si ottiene la seguente disposizione: durante il suo viaggio attraverso il Caucaso Pecorin si ferma a Taman' (Taman'); il soggiorno termale a Pjatigorsk e, in seguito, a Kislovodsk (La principessina Mary); il periodo di stanza alla fortezza comandata da Maksim Maksimyc (Bela); l'episodio della scommessa in un villaggio cosacco (Un fatalista); l'incontro a cinque anni di distanza dagli eventi precedenti tra Pecorin e Maksim Maksimyc (Maksim Maksimyc) e, in conclusione, la morte di Pecorin riportata nella Prefazione al diario di Pecorin.
Trama
L'autore traccia il ritratto di Grigorij Aleksandrovic Pecorin, ufficiale russo, attraverso le testimonianze di alcuni personaggi che lo hanno conosciuto. Pecorin è un ufficiale ben nato che ha conosciuto il bel mondo, l'amore e le passioni di cui si nutrono i vagheggini di un certo ceto; ora però ogni cosa gli è venuta a noia. Maksim Maksimyc lo conobbe in Cecenia, nella fortezza di Groznaja (l'attuale Groznyj). Qui Pecorin si innamora di Bela, una principessa del luogo ottenuta dal fratello barattandola col destriero di Kazbic, un bandito-guerrigliero. Bela in un primo momento si mostra fredda e ostile poi impara ad amare il giovane ufficiale russo. Ma Pecorin si stanca della ragazza e inizia a trascurarla, si assenta, scompare per intere settimane. Un giorno di ritorno dalla caccia si accorge che la ragazza è stata rapita da Kazbic. Lo insegue ma il furfante la ferisce riuscendo a farla franca. Bela muore dopo due giorni di agonia. Pecorin accoglie la dipartita con indifferenza sprezzante, almeno agli occhi di Maksimyc (Bela).
I due commilitoni si ritrovano ma per poco tempo: Pecorin è in procinto di partire per la Persia. Il narratore ottiene da Maksimyc i documenti di Pecorin stipati in un baule dimenticato trovandovi alcuni quaderni di memorie (Maksim Maksimyc). Il primo racconta del soggiorno nello squallido villaggio costiero di Taman. Qui Pecorin partecipa alla fuga d'amore di una misteriosa ragazza con Janko, un contrabbandiere, aiutati da un ragazzino cieco. Alla fine del singolare episodio Pecorin riflette e giunge alla conclusione che dopotutto lui, ufficiale sballottolato di provincia in provincia, abbia poco da spartire coi fatti riportati. E si rimette in cammino.
Arriva a Pjatigorsk per beneficiare delle sorgenti curative; qui incontra il vecchio amico Grušnickij, allievo ufficiale, e da lui apprende del recente arrivo della principessa Ligovskàja e della figlia Mary nella località. Grušnickij comincia presto a frequentare la loro casa, invaghendosi di Mary, che ama trascorrere il tempo con lui, mentre Pecorin rimane volontariamente in disparte, con l'intenzione di far innamorare di sé la sensibile fanciulla. Si inserisce gradatamente nel suo salotto, cercando con allusioni e furtivi gesti di entrare nel cuore della principessina. Nel frattempo scopre che a Pjatigorsk, presso la Ligovskàja, si trova anche la sua vecchia fiamma Vera, unica donna almeno parzialmente amata da Pecorin, sposata con un lontano parente della principessa. Presto, Mary arriva a prediligere la compagnia di Pecorin, innamorandosi in breve tempo, benché l'uomo le confidi di non amarla. Vinto nell'amor proprio, Grušnickij accetta di tendere una trappola all'amico, ideata dal capitano dei dragoni, a sua volta umiliato in pubblico da Pecorin. Con un pretesto qualsiasi organizzeranno un duello tra Grigorij e l'allievo ufficiale, caricando a salve la pistola del comune rivale.
L'azione narrata si è intanto spostata a Kislovodsk. Una sera, Pecorin si allontana da uno spettacolo per entrare di nascosto in casa di Vera, approfittando dell'assenza del marito. Viene atteso da Grušnickij e dal capitano dei dragoni, i quali, dopo una colluttazione con l'uomo uscito dal palazzo, accusano Grigorij di essere stato dalla principessina. Pecorin, irritato per la menzogna gratuita e già a conoscenza del piano dell'amico, concorda con questi un duello durante il quale non viene ferito a morte mentre egli, fingendo di accorgersi della pistola caricata a salve, chiede al dottor Werner suo padrino di introdurre il proiettile con cui Grušnickij viene freddato.
Poco dopo Pecorin riceve una disperata lettera di Vera in cui la donna annuncia la sua repentina e coatta partenza e in cui confida di aver amato solo lui, sicché non le resta ormai più nulla al mondo. Pecorin lancia il suo cavallo a tutta velocità nel vano tentativo di raggiungerla. Tornato a Kislovodsk, viene a sapere che si sospetta il motivo reale della morte di Grušnickij (che era stata fatta passare per una disgrazia), ragion per cui viene trasferito a N.. Prima di partire, la principessa vuole convincerlo ad accettare la mano della figlia assai provata, ma Pecorin chiede di parlare con Mary, di fronte alla quale tenta invano di provare un sentimento d'amore, e a cui chiede di essere disprezzato, dal momento che l'ha presa in giro e che non l'ama. Mary afferma di odiarlo, l'uomo si congeda e si avvia verso la nuova destinazione (La principessina Mary).
In un villaggio cosacco, una sera, Pecorin è intento a conversare con i commilitoni sulla predestinazione, credenza assai diffusa tra i musulmani. Pecorin scommette sulla non esistenza della predestinazione, e uno degli ufficiali, il valoroso tenente di origine serba Vulic, accetta, tentando di dimostrare l'assunto contrario; Pecorin predice a Vulic una morte imminente. Il tenente prende una pistola, se la punta alla tempia e preme il grilletto, uscendone illeso. Subito dopo mira a un berretto per provare che la pistola era carica, e la pallottola esplode. Vulic vince così la scommessa, ma Grigorij, che nel tragitto verso casa si imbatte in un maiale appena ammazzato da un cosacco ubriaco, apprende alle prime luci dell'alba che il tenente è stato ucciso con una sciabolata dallo stesso cosacco. L'assassino si asserraglia in una casa disabitata, dove Pecorin si introduce a rischio della vita, riuscendo a farlo arrestare (Un fatalista).

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Concludo questo articolo affermando che dal punto di vista letterario ho due grandi passioni: la letteratura russa, per amore giovanile e per la sua maestosità che reacchiude tutto il bello che è stato scritto sulla Terra, e la letteratura britannica, inizialmente per la necessità di migliorare il mio inglese e, successivamente, per affetto.

Poesie di Michail Lermontov tradotte da Paolo Statuti

Preghiera

Non incolparmi, Onnipotente,
E non punirmi, t’imploro,
Se il buio funebre della terra
Con le sue passioni io adoro;
Se di rado nell’anima entra
Il torrente della tua parola viva;
Se nell’errore la mia mente
Vaga lontano dalla tua riva;
Se trabocca dal mio petto
La lava dell’ispirazione;
Se i selvaggi fermenti
Offuscano la mia visione;
Se questa terra mi è angusta,
Di penetrare in te ho paura, ed io
Spesso i canti del peccato
Prego, non te, mio Dio.

Ma estingui questa magica fiamma,
Il fuoco che tutto distrugge,
Trasforma il mio cuore in pietra,
Ferma lo sguardo che si strugge,
Dalla tremenda sete di versi
Fa’ ch’io sia libero, o creatore,
E allora sulla via della salvezza
A te di nuovo mi volgerò, o Signore.
(1829)

La mia casa

La mia casa è sotto la volta celeste,
Dove risuonano i canti soltanto,
Dove ogni scintilla di vita risplende,
Ma per il poeta lo spazio è tanto.

Dal tetto egli arriva alle stelle,
E il lungo sentiero tra le mura,
Chi ci abita, non con lo sguardo,
Ma con la sua anima misura.

La verità è nel cuore dell’uomo,
Il sacro seme dell’eternità:
Spazio senza fine, secoli interi,
In un baleno esso abbraccerà.

E la mia bella casa onnipotente
Per questo sentimento è costruita,
Dovrò soffrire a lungo in essa,
E solo in essa avrà quiete la mia vita.
(1830)

Il mendicante

Sulla porta di un santo convento
Un poveretto chiedeva la carità,
Magro, sofferente ed oppresso
Dalla fame, dalla sete, dalla povertà.

Chiedeva solo un pezzo di pane,
E lo sguardo mostrava la sua pena,
E qualcuno un sasso posò
Sulla sua mano distesa.

Così io imploravo il tuo amore
Con pianto amaro e ardente;
Così i miei sentimenti migliori
Eran delusi da te per sempre!
(1830)

Sole d’autunno

Io amo il sole d’autunno, quando
Tra nuvole e nebbie si fa largo,
E getta un pallido morto raggio
Sull’albero cullato dal vento,
E sull’umida steppa. Io amo il sole,
C’è qualcosa nello sguardo d’addio
Del grande astro simile all’occulta pena
Dell’amore tradito; non più freddo
Esso è in sé, ma la natura
E tutto ciò che può sentire e vedere,
Non provano il suo calore; così è
Il cuore: in esso è ancora vivo il fuoco,
Ma la gente un giorno non lo capì,
E da allora negli occhi brillare non deve,
E le guance non sfiorerà in eterno.
Perché di nuovo il cuore sottoporre
A parole di dubbio e allo scherno?
(1830 o 1831)

Il mio demone

La somma dei mali è il suo elemento;
Volando tra nembi scuri e foschi,
Egli ama le fatali tempeste,
La spuma dei fiumi e il fruscio dei boschi;
Egli ama le notti cupe,
Le nebbie, la pallida luna,
I sorrisi amari e gli occhi
Che non sanno il sonno né lacrima alcuna.

Le ciarle futili del mondo
Egli è avvezzo ad ascoltare,
Egli deride le parole di saluto
E ogni credente ama beffeggiare;
Estraneo all’amore e alla pietà,
Dal cibo terreno è sfamato,
Ingoia ingordo il fumo dello scontro
E il vapore del sangue versato.

Se nasce un nuovo sofferente,
Lo spirito del padre egli affligge,
Egli è qui col severo sarcasmo
E la rozza gravità dell’effige;
E quando qualcuno già discende
Con l’animo tremante nel sepolcro,
Trascorre con lui l’ultima ora,
Senza dare al malato alcun conforto.

L’altero demone non mi lascerà,
Finché in vita io sarò,
E la mia mente prenderà a illuminare
Come un magnifico falò;
Mostrerà un’immagine di perfezione
E poi per sempre la toglierà
E, datomi un presagio di letizia,
Da lui non avrò mai felicità.

(1831)

No, non sono Byron…

No, non sono Byron, sono un altro
Eletto ancora sconosciuto,
Come lui, dal mondo vessato,
Ma con l’anima russa io sono nato.
Cominciai presto, finirò prima,
Non molto compierà la mia mente;
Nella mia anima, come nell’oceano,
Giacciono le mie speranze infrante.
Chi può, o tenebroso oceano,
Conoscere i tuoi segreti? Qualcuno
Narrerà alle folle i miei pensieri?
Io sono Dio – o non sono nessuno!
(1832)

La vela

Biancheggia una vela solitaria
Nella nebbia azzurra del mare!..
Cosa cerca nel paese lontano?
Cos’ha lasciato nel paese natale?..

Giocano le onde – il vento sibila,
E l’albero si piega e geme…
Ahimé, – la fortuna non cerca
E dalla fortuna non viene!

Sotto ha la corrente azzurra,
Sopra – del sole l’effige dorata…
Ma essa, inquieta, cerca la tempesta,
Come se in questa la quiete fosse data!
(1832)

3 novembre 2023 - Eugenio Caruso

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Tratto da

1

www.impresaoggi.com