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Evgenij Ivanovic Zamjatin e il suo capolavoro NOI

La poesia ricrea l’universo dopo che esso è stato distrutto nelle nostre menti.
Essa giustifica l’audace e vera affermazione del Tasso:
Non merita nome di creatore se non Iddio e il Poeta.

Shelley


GRANDI PERSONAGGI STORICI Ritengo che ripercorrere le vite dei maggiori personaggi della storia del pianeta, analizzando le loro virtù e i loro difetti, le loro vittorie e le loro sconfitte, i loro obiettivi, il rapporto con i più stretti collaboratori, la loro autorevolezza o empatia, possa essere un buon viatico per un imprenditore come per una qualsiasi persona. In questa sottosezione figurano i più grandi poeti e letterati che ci hanno donato momenti di grande felicità ed emozioni. Io associo a questi grandi personaggi una nuova stella che nasce nell'universo. Andric - Ariosto - Balzac - Beckett - Bellow - Blake - Boccaccio - Bjørnson - Buck - Bulgàkov - Byron - Camus - Carducci - Cechov - Chaucer - Coleridge - D'Annunzio - Dante - De Cervantes - Dickens - Donne - Dostoevskij - Dryden - Eliot - Esénin - Eschilo - Faulkner - France - Gide - Gogol - Gor'kij - Hamsun - Hemingway - Hesse - Heyse - Ibsen - Joyce - Kafka - Kipling - Leopardi - Lermontov - Mann - Manzoni - Marlowe - Màrquez - Mauriac - Milton - Nabokov - Neruda - Omero - O'Neill - Pascoli - Pasternak - Petrarca - Pinter - Pirandello - Proust - Puškin - Russell - Shakespeare - Shaw - Shelley - Sienkiewicz - Šolochov - Solženicyn - Steinbeck - Tagore - Tasso - Tolstoj - Turgenev - Verga - Virgilio - Zamjatin - Wilde - Yeats -

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Evgenij Ivanovic Zamjatin (Lebedjan', 1º febbraio 1884 – Parigi, 10 marzo 1937), è stato uno scrittore e critico letterario russo. Tra gli artisti più influenti e talentuosi del primo Novecento russo, fuori della Russia era celebre soprattutto per il suo romanzo distopico Noi (scritto tra il 1919 ed il 1921 e pubblicato in Unione Sovietica solo nel 1988), che influenzò i successivi Il mondo nuovo (Aldous Huxley), Anthem (Ayn Rand) e 1984 (George Orwell). Zamjatin fu però soprattutto autore di racconti e povest', che talvolta assumevano il tono di favole satiriche nei confronti del regime comunista sovietico. Un istituto di ricerche Usa sostiene che NOI sia tra i primi dieci romanzi della letteratura russa.
Zamjatin nacque a Lebedjan', circa 300 km a sud di Mosca. Suo padre era un prelato della Chiesa ortodossa russa nonché un insegnante, mentre sua madre era una musicista. Fra il 1902 e il 1908 Zamjatin studiò ingegneria navale a San Pietroburgo, e nel frattempo si unì ai Bolscevichi.
Fu arrestato durante la Rivoluzione del 1905, in carcere passa alcuni mesi in isolamento studiando inglese, stenografia e scrivendo poesie. Rilasciato nella primavera del 1906,viene mandato in esilio nella sua città natale, ma torna illegalmente a Pietroburgo dove, nonostante non abbia il permesso di soggiorno, si laurea in ingegneria navale nel 1908.
Lavora in giro per il paese, diventa docente al Politecnico di Pietroburgo, ma nel 1911 viene nuovamente arrestato ed espulso dalla capitale. Non potendo esercitare la sua professione, riprende a scrivere e solo l'amnistia del 1913 gli permise di rientrare in patria. In quell'anno pubblicò il racconto In provincia, che dipingeva in maniera satirica la vita in un piccolo villaggio russo, e ne ottenne una buona fama. Il celebre critico sovietico Kornej Ivanovic Cukovskij, a cui poi lo scrittore si legherà in un affettuoso legame di amicizia, arrivò addirittura a decretare l'arrivo di un "nuovo Gogol'". L'anno seguente fu processato per ingiurie contro la classe militare per via del racconto A casa del diavolo e continuò a collaborare con vari quotidiani.
Dopo la laurea in ingegneria navale, Zamjatin lavorò sia in patria che all'estero; nel 1916 fu inviato in Inghilterra per supervisionare la costruzione di una rompighiaccio nelle città di Walker e Wallsend (in questo periodo egli risiedette a Newcastle upon Tyne). Nel racconto Gli isolani racchiuse una satira della vita inglese. Nato inizialmente come un episodio de Gli isolani, Zamjatin decise di sviluppare il racconto Il pescatore di uomini, autonomamente, per poi pubblicarlo in Russia nel 1917.
Dopo la Rivoluzione russa del 1917 Zamjatin tornò a scrivere per diversi giornali, tenne conferenze sulla letteratura e curò traduzioni in russo delle opere di autori quali Jack London, O. Henry, H. G. Wells. Con Viktor Šklovskij e altri grandi scrittori e teorici dell'epoca, organizzò il gruppo letterario de "I fratelli di Serapione" (M. Zošcenko, K. Fedin, M. Slonimskij, N. Tichonov, E. Polonskaja, I. Gruzdev, V. Kaverin) - il gruppo più talentuoso della letteratura sovietica degli anni Venti - per i cui membri tenne lezioni di prosa. Fu favorevole alla Rivoluzione d'Ottobre, ma si oppose al sistema di censura e alla violenza che si erano diffuse sotto il regime bolscevico.

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I fratelli di Serapione.


I suoi lavori diventarono sempre più critici nei confronti del governo. Ne è un esempio il racconto che descrive una città il cui sindaco decide che l'uguaglianza è la chiave per rendere tutti felici. Egli costringe ogni cittadino, incluso sé stesso, a vivere in una grande baracca, a radersi i capelli e a diventare mentalmente disabile per far sì che tutti condividano lo stesso livello di intelligenza. Questa trama ricorda da vicino quella de La nuova utopia (di Jerome K. Jerome, pubblicato nel 1891, ripubblicato in Russia all'interno di raccolte per ben tre volte prima del 1917)
Egli dichiarò coraggiosamente: "La vera letteratura può esistere solo quando è creata non da ufficiali diligenti e affidabili, ma da folli, eremiti, eretici, sognatori, ribelli e scettici". Questo comportamento rese sempre più difficile la sua situazione nel corso degli anni venti e gli fece guadagnare il suo celebre status di eretico, di "diavolo" della letteratura sovietica.
Alla fine le sue opere vennero proibite e gli fu impedito di pubblicarne di nuove, soprattutto in seguito alla pubblicazione, a sua insaputa, di Noi in una rivista praghese di emigrati russi nel 1927. Mentre la critica ufficiale prevedeva "un glorioso futuro per la letteratura sovietica", Zamjatin scriveva che, viste le condizioni di mancanza di libertà ed il dominio della censura, "l'unico futuro possibile per la letteratura russa sarà il suo passato".
Stalin consentì infine a Zamjatin di lasciare la Russia nel 1931, grazie all'intercessione di Maksim Gor'kij. Lo scrittore si stabilì a Parigi con la moglie, dove visse in condizioni miserevoli e morì di angina pectoris nel 1937. Fu seppellito nel Cimitero parigino di Thiais, poco a sud di Parigi, nel cimitero che si affaccia, per ironia del destino, su Rue de Stalingrad.

Opere principali

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D. Mitrochin, Copertina del romanzo In Provincia (1916)
  • Flagello di Dio, 1935.
  • L'inondazione, 1929.
  • Iks, 1926.
  • La società degli onorevoli campanari, 1925.
  • La pulce, 1925.
  • La Rus', 1923.
  • Il pescatore di uomini, 1921.
  • Noi, 1920.
  • Nord, 1918.
  • Gli isolani, 1917.
  • Gli occhi, 1917.
  • La caverna, 1920.
  • Africa, 1916.
  • Alatyr', 1914.
  • A casa del diavolo, 1913.
  • In provincia, 1912.

NOI

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Prima edizione del romanzo NOI

Noi è un romanzo scritto tra il 1919 e il 1921 e pubblicato per la prima volta nel 1924 (tradotto in lingua inglese) ed in Unione Sovietica solo nel 1988.
Romanzo a carattere satirico ambientato nel futuro, Noi è il capostipite del genere dell'utopia negativa o distopia. In esso il totalitarismo e il conformismo caratteristici dell'Unione Sovietica del primo Novecento vengono portati agli estremi, dipingendo un'organizzazione statale che individua nel libero arbitrio la causa dell'infelicità, e che pretende di controllare le vite dei cittadini attraverso un sistema di efficienza e precisione industriale di tipo tayloristico.
Fu scritto in seguito alle esperienze personali dell'autore durante la Rivoluzione russa del 1905 e quella del 1917, oltre al periodo trascorso a Jesmond, un sobborgo di Newcastle upon Tyne, e al lavoro nei cantieri navali sul fiume britannico Tyne (1916-17), dove egli osservò la razionalizzazione del lavoro tipica delle grandi imprese.
Il racconto fu il primo romanzo ad essere messo al bando dal Glavlit, l'ente sovietico preposto alla censura, nel 1921, sebbene la sua bozza iniziale risalisse al 1919. Effettivamente gran parte delle basi del romanzo erano già presenti nella novella Gli isolani, iniziata a Newcastle nel 1916. La posizione letteraria di Zamjatin andò deteriorandosi nel corso degli anni 1920, e nel 1931 gli venne infine concesso di emigrare a Parigi, grazie all'intercessione di Maksim Gor'kij presso Stalin.
Il romanzo fu pubblicato in inglese nel 1924, ma la prima edizione russa giunse solamente nel 1988, quando venne pubblicato congiuntamente con 1984 di Orwell. Orwell conosceva Noi, avendone letto e recensito l'edizione francese nel 1946, e ne fu influenzato durante la scrittura di 1984.
Trama
La storia è raccontata in prima persona dal suo protagonista, D-503, sotto forma di un diario che raccoglie sia le sue osservazioni di lavoro come ingegnere che le sue disavventure con un gruppo di resistenti noto come Mefi (dal nome Mefistofele). Il diario ha lo scopo di raccontare la felicità finalmente conseguita dai cittadini dello Stato Unico e di presentarla alle civiltà extraterrestri che la nave spaziale alla cui costruzione D-503 sovrintende, l'Integrale, incontrerà nel suo viaggio.
L'innovativa visione futuristica di Zamjatin comprende abitazioni (e qualsiasi altro oggetto) costruite esclusivamente in vetro e materiali trasparenti, così che chiunque sia visibile in ogni momento.
Giochi di parole
I nomi dei protagonisti "O-90, D-503 e I-330" derivano quasi certamente dai parametri ingegneristici della Saint Alexander Nevskij, la nave rompighiaccio preferita di Zamjatin (che fu ingegnere navale e si vantò di averne firmato personalmente i disegni preparatori). Alcuni sostengono che i numeri siano in realtà un codice biblico. I nomi sono inoltre legati al sesso dei personaggi: gli uomini hanno nomi che iniziano per consonante e sono caratterizzati da numeri dispari, mentre tutti i nomi femminili iniziano per vocale e contengono numeri pari.
Molti dei nomi e dei numeri nel romanzo sono allusioni alle esperienze personali dell'autore o alla cultura e alla letteratura. L'Auditorium 112 si riferisce al numero della cella dove per due volte Zamjatin è stato imprigionato, la prima volta dal governo zarista, la seconda dal governo bolscevico. La matricola S-4711 si riferisce all'Acqua di Colonia 4711.
Ci sono similarità tra i primi quattro capitoli della Bibbia e Noi; lo Stato Unico è considerato il Paradiso, D-503 è Adamo, I-330 Eva, S-4711 il serpente: infatti è descritto a forma di S, con un corpo bi-concavo, un Custode che fa il doppio gioco e passa dalla parte dei ribelli. La sigla dei ribelli e Mefi come Mefistofele, Satana.
Si possono notare influenze di Dostoievskji: il discorso della scelta tra la felicità e la libertà ricorda il capitolo dei Fratelli Karamazov, "Il Grande Inquisitore" e D-503 scrive che la troppa coscienza di sé è una malattia come il narratore delle Memorie del Sottosuolo.
Il romanzo usa concetti matematici simbolicamente. La nave spaziale di cui D-503 è il costruttore è chiamata l'Integrale, che si spera "integrerà la grande equazione cosmica". D-503 è turbato dalla radice quadrata di -1 che è la base dei numeri immaginari. La serie infinita dei numeri è paragonata alla serie infinita di rivoluzioni: quando D-503 dice a I-330 che la loro rivoluzione è stata l'ultima, I-330 gli chiede di dire l'ultimo numero.
Musica
Il compositore italiano Pierluigi Castellano ha preso ispirazione dal romanzo nella scrittura del suo terzo album Noi, My, Us del 1990. Il gruppo musicale italiano NiHiL si è ispirato a Noi nella stesura del brano "Root Of Negative One" (2009). Il gruppo musicale italiano Manovalanza ha dedicato al romanzo un brano musicale dal titolo La città di vetro, nell'album Anziani a vent'anni (2011). Il titolo della canzone Integral dei Pet Shop Boys è un omaggio all'autore e richiama il nome dell'astronave. Il gruppo musicale Zondini Et Les Monochrome si ispira al romanzo distopico per la scrittura di NOISE (2016).


COMMENTO

Il Novecento è stato un secolo buio: è stato il secolo delle guerre più atroci della storia dell’umanità, del potere soffocante, umiliante e disumanizzante d’una burocrazia ciclopica, e della trasformazione esplicita dello Stato in Regime dittatoriale, franco omicida della libertà dei cittadini e avvelenatore della loro coscienza. Ne siamo usciti indeboliti, spaventati e scossi, decimati e tuttavia illusi che il ritorno dei regimi ad apparentemente democratiche forme statali significasse il principio di una rigenerazione, e di un cambiamento epocale: cambiamento che sembra eccezionalmente lontano, nel 2008, destabilizzando le vite dei cittadini e deprimendo le loro speranze. L’incubo peggiore è che certa pervasiva presenza di un’istituzione come quella dello Stato abbia soltanto mutato strategie e tecniche di condizionamento, e di controllo della cittadinanza: la dissoluzione dei regimi va letta piuttosto come una trasformazione. Una trasformazione intelligente, e astuta.

È la letteratura, adesso, che deve saper scoprire i punti deboli di questa nuova macchina tritura-umanità. Negli anni Venti, un artista come Zamjatin era in grado di trasfigurare il raccapriccio, il dissenso e il disprezzo per un regime assassino e indecente come quello socialista sovietico in un’opera che rappresentava uno scenario plausibile di decadenza dell’umanità e divinizzazione dello Stato. Zamjatin pagò il suo coraggio e il suo genio con la costrizione all’esilio, e con una censura in patria che durò sino al termine della parabola liberticida del comunismo.

Tuttavia, influenzò profondamente (“Noi” è del 1920) una serie di artisti che in Europa – che qui in Italia – conosciamo bene: George Orwell, Aldous Huxley, William Bordewijk. La fortuna editoriale del gran romanzo di Zamjatin, nel nostro assurdo paese, è stata episodica e grottesca; è per merito di Bigalli e Rizzardini e della loro collana “I Rimossi” se, appena ventiquattro anni dopo l’introvabile (e misteriosamente mai ristampata) edizione Feltrinelli, l’opera può tornare a circolare nelle abitazioni dei letterati e dei cittadini appassionati di letteratura della distopia.

A cosa serve, oggi, “Noi”? Serve a non dimenticare come il regime comunista trattava gli artisti estranei alla supina adesione al suo verbo. Serve a non dimenticare come la cultura e certa editoria italiana siano state, sino a pochi decenni fa, vittime in più d’una circostanza d’una sinistra sottomissione ai diktat moscoviti. Fedeli alla linea. Rossa. Serve a interiorizzare un paradigma che appassionò e ispirò artisti occidentali. È un’esperienza estetica fascinosa, triste e decisamente godibile.

L’opera si presenta come un diario; è suddivisa in quaranta note, ciascuna introdotta da un breve sommario. Il narratore – in prima persona, intradiegetico, non onnisciente – scrive “per gli antenati” da un futuro inquietante che possiamo così sintetizzare: tutti i cittadini hanno perduto nome e cognome, sono individuati da numeri. Numeri integrati alla perfezione – per così dire – nell’unico Stato che regge e governa il mondo. Autorità unica di questa terra, il Benefattore. Niente più nazioni, niente più guerre: Tavole delle Leggi eque per tutti e da tutti condivise. L’informazione è garantita dal Giornale dello Stato.

La linea dello Stato Unico è retta. L’unica possibile per un mondo del genere. I cittadini – d’ora in avanti: numeri – non hanno più nessuna forma di vita privata; le pareti degli edifici sono trasparenti. Per i momenti dedicati al previsto diritto all’accoppiamento esistono sobrie tendine. Tutti, finalmente, sono uguali: sono previste due ore di svago al giorno, durante il pomeriggio e la sera. Durante la notte si deve, inevitabilmente, dormire. Preferibilmente senza sognare: il sogno è considerato “seria malattia psichica”. L’alimentazione dello Stato Unico è ben diversa da quella che conosciamo; la parola “pane” è un’allegoria poetica per quel cibo universale che è diventato la nafta.

In questo ameno contesto, la dottrina principe è quella della Ragione: adesso lo Stato Unico vuole estenderla a tutto l’universo, pianeta per pianeta, per portare la certezza matematica della felicità ai popoli alieni rimasti estranei al comunismo; per questo, D-503, il narratore del diario, sta costruendo un Integrale Elettrico che cambierà per sempre la storia dei popoli del cosmo. Uniformandola a quella dei numeri dello Stato Unico.

Si vive in un mondo in cui chi volesse essere “originale” andrebbe a infrangere l’uguaglianza. L’uguaglianza è fondamentale: garante totale, il nuovo Dio.

Il nuovo Dio è lo Stato, naturalmente. L’anima è una malattia. Non racconterò altro del mondo raccontato (trasfigurato) da D-503, auspicando che il lettore abbia già inteso la centralità dell’opera e dei suoi assi portanti, e la peculiarità delle critiche rivolte nei confronti della deviazione più orrida dello Stato Moderno. Mi limito a segnalare che, come chi ama il genere non dubita, sarà una figura femminile a destabilizzare l’equilibrio di D-503. Non mancherà l’incontro con il Benefattore.

Tempo fa, scrivendo dell’ultima utopia del Novecento ossia la dimessa “Island” di Huxley, pensavo che siamo tutti avvertiti e sensibilizzati a proposito delle possibili derive di questa abnorme istituzione che è lo Stato Moderno: e che forse questo è il momento storico di tornare a sognare e congetturare, come nei secoli scorsi, una società e un mondo migliori e più vivibili. La ricerca della felicità e della serenità di ogni cittadino non può e non deve coincidere con una insensata, generica e imposta uguaglianza: la menzogna comunista deve essere definitivamente accantonata. La strada del futuro va tracciata: servono idee per sentieri nuovi di ricerca e di costruzione di uno Stato diverso. È questa una delle grandi sfide dei letterati di questo secolo; tornare su certi binari. Anche per omaggiare, mettiamola così, il sacrificio di quegli artisti che pur di testimoniare il loro senso di giustizia e libertà hanno compromesso la loro esistenza, vedendo oscurate o cancellate le loro creazioni. Restituire vita a “Noi” di Zamjatin significa credere nella speranza.

La fiamma non s’è mai spenta, la fiaccola è accesa. Siamo pronti a sprofondare nel nuovo medioevo con la consapevolezza che l’umanità risorgerà solo grazie all’intelligenza, alla sensibilità e allo studio: all’amore per il prossimo, e all’odio per le oligarchie che dominano ogni nazione, decretando la possibilità di vita e circolazione delle opere d’arte. Oggi, ben lo sappiamo, la censura s’è fatta adulta e astuta. Non serve far sparire i dissidenti, basta farli circolare in poche copie. Combattiamola, allora, sostenendo quelle opere che possono ancora cambiare la storia.

Gianfranco Franchi, aprile 2008.


22 novembre 2023 - Eugenio Caruso

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Tratto da

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www.impresaoggi.com