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Tullio Campagnolo, verso il ciclismo di massa

INVENTORI E GRANDI IMPRENDITORI

In questa corposa sottosezione illustro la vita di quei capitani d'industria e/o inventori che hanno sostanzialmente contribuito al progresso industriale del mondo occidentale con particolare riguardo dell'Italia.

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R - Louis Renault - Angelo Rizzoli - John Davison Rochefeller - Nicola Romeo
S - Isaac Merrit Singer - Alfred Sloan - Luisa Spagnoli - Otto Sundbäck
T - Franco Tosi
V - Vittorio Valletta - Giuseppe Volpi
Z - Lino Zanussi

campagnolo 1

Tullio Campagnolo

Vicenza, 26 agosto 1901 - Vicenza, 1° febbraio 1983
Dopo la scuola elementare frequenta i corsi di apprendista meccanico alla Scuola d’arti e mestieri di Vicenza e vince, a 17 anni, un concorso per allievo macchinista nelle ferrovie. Dopo un breve periodo di lavoro, svolge il servizio militare a Modena in artiglieria e, tornato a Vicenza, assume la gestione della bottega di famiglia, un esercizio di ferramenta. Nel tempo libero Campagnolo coltiva la passione per il ciclismo: partecipa con discreto successo a competizioni dilettantistiche, si iscrive al Veloce club di Vicenza, già attivo dal 1901, e vince, nel 1928, una gara preolimpica.
La necessità di seguire l’attività del negozio di ferramenta lo costringe a rinunciare alla carriera sportiva, ma decide di mettere a frutto l’esperienza maturata durante le corse, in particolare quelle sui percorsi di montagna, durissime anche a causa delle difficoltà tecniche di manutenzione della bicicletta, in caso di foratura o provocate dal freddo e dal fango al sistema totalmente manuale del cambio.
All’epoca, i corridori impiegano alcuni minuti per smontare la ruota fissata con i “galletti” e sostituire il tubolare danneggiato; per cambiare rapporto, invece, devono trovare un tratto di strada in cui sia agevole allentare la catena, invertire la pedalata, deviare la catena da un pignone all’altro, ritenderla e finalmente riprendere la corsa.
La prima innovazione messa a punto da Campagnolo - e ancor oggi in uso - è il bloccaggio rapido per permettere al corridore un veloce e sicuro montaggio-smontaggio della ruota. Dopo molteplici tentativi, deposita nel 1930 il suo primo brevetto di «ruotismi di precisione e accessori per il ciclo». Nel 1933 presenta alla corsa Tre Valli Varesine il primo cambio, poi ulteriormente perfezionato, che grazie all’utilizzo di un mozzo con perno dentato, spostabile in parallelo sul forcellino a cremagliera, elimina al corridore la fatica di allentare e tendere la catena.
Nonostante l’iniziale opposizione della famiglia, la quale vede nei tentativi di Campagnolo uno spreco di tempo e di risorse, il corridore-artigiano costituisce nel 1933 l’impresa a suo nome e continua a perfezionare i meccanismi brevettati, finché tra il 1937 e il 1938, grazie anche al sostegno finanziario di alcuni amici, il nuovo “cambio a bacchetta” viene prodotto con regolarità.
Campagnolo riversa sul prodotto tutta la sua esperienza di sportivo dilettante, non trascurando di ricorrere all’esperienza e ai consigli dei più famosi corridori dell’epoca – tra cui Costante Girardengo, più volte invitato a esaminare le creazioni dell’artigiano vicentino –, e mantiene uno stretto rapporto con il mondo delle competizioni. È soprattutto tra i piccoli produttori, negozianti e assemblatori attenti e aperti all’evoluzione tecnica del mezzo ciclistico, che Campagnolo trova maggiore interesse e possibilità di sperimentare e diffondere le sue innovazioni.
In quegli anni l’attività imprenditoriale di Campagnolo si svolge nella prima officina, in cui collaborano altri meccanici vicentini, ancora ospitata nel retrobottega del negozio di ferramenta. I mezzi, tuttavia, rimangono del tutto sproporzionati rispetto ai progetti e alle esigenze produttive dell’imprenditore; stringe quindi accordi con un’importante impresa del settore, le officine meccaniche di precisione Fratelli Brivio di Brescia, produttrice di mozzi per ruote di bicicletta utilizzati da tutti i corridori. Il grande complesso bresciano, che occupa, alla metà degli anni Trenta, circa 800 dipendenti, fornisce così i mozzi a Campagnolo, che li monta sulle prime biciclette di sua produzione. La Fratelli Brivio, oltre a fornire componenti di alta qualità, apre a Campagnolo le porte della già affermata Bianchi di Milano, la quale, dopo le prime adozioni, arriverà a montare il cambio Campagnolo su tutte le biciclette da corsa.
Gli anni Trenta rappresentano quindi la prima fase si assestamento dell’impresa artigiana e in quel periodo Campagnolo focalizza ogni sforzo nel tentativo di mettere a disposizione del corridore professionista un prodotto di alta qualità. A partire dal 1940 comincia a sviluppare anche l’aspetto commerciale della sua impresa, facendo leva sui contatti personali e tentando di fare adottare il nuovo cambio ai ciclisti più famosi. Il prodotto è così progressivamente associato ai nomi di noti ciclisti.
La piccola officina vicentina di Campagnolo si consolida facendo leva su innovazione tecnica, buona qualità del prodotto, autofinanziamento e puntando a emergere nell’ambiente d’élite delle corse, una formula imprenditoriale che consente una rapida ripresa dopo la pausa imposta dal conflitto. Nell’immediato dopoguerra, grazie all’investimento in un nuovo impianto, in moderni macchinari e nella crescita del numero degli addetti, Campagnolo registra un vistoso aumento della produzione e allarga la rete commerciale, mentre coltiva i rapporti con i ciclisti che adottano il suo cambio: Magni, Bartali, Coppi, Bevilacqua e Koblet.
Nel 1946 Campagnolo presenta i prototipi di una nuova generazione di cambi che permettono al corridore di mutare rapporto sotto sforzo su qualsiasi percorso tramite una leva posta sul manubrio o sul telaio della bicicletta. È il “cambio a parallelogramma” che sancisce la definitiva affermazione della Campagnolo e fissa uno standard tecnologico al quale si uniforma presto tutto il settore: la sua efficacia è attestata dai successi riportati nelle maggiori competizioni internazionali dai campioni che lo montano sui propri mezzi. Grazie alle vittorie ciclistiche e alla fama ormai acquisita dai suoi prodotti, l’impresa cresce, passando dai 36 dipendenti del dopoguerra ai 123 del 1950. Nonostante la veloce espansione, Campagnolo rimane fedele ai suoi originari metodi di lavoro, mantenendo la cura artigianale del prodotto e l’attenzione al lavoro di precisione.
L’affermazione del marchio Campagnolo è attestata dalla crescita del numero degli operai occupati (140 alla vigilia del “boom” economico), ma soprattutto dalla cura che l’imprenditore pone nel continuo sviluppo di nuovi progetti, tecnologie e prodotti, tra cui pedivelle, sterzi, freni, reggisella, mozzi, ruote: Campagnolo studia l’ampliamento della gamma dei componenti e la loro migliore interazione, affermando il concetto di “gruppo” (componentistica integrata di un unico produttore).
Nel periodo del “miracolo economico” Campagnolo mantiene le posizioni conquistate nel comparto della bicicletta, ma comincia l’espansione dell’impresa in altri settori, come quello dei mozzi per motocicletta e quello delle ruote in lega per automobili da competizione. Simili risultati sono conseguiti anche grazie allo staff tecnico che Campagnolo assume per colmare la distanza tra i più recenti sviluppi tecnologici e le proprie personali competenze. Nel corso dei primi anni Sessanta l’impresa vicentina acquisisce uno stabilimento a Bologna e inizia la produzione di ruote in lega leggera al magnesio, che vengono montate da Lamborghini, Maserati e altri produttori automobilistici nazionali e internazionali.
Con tale operazione Campagnolo inaugura una traiettoria tecnologico-produttiva che sarebbe approdata alle apparecchiature e alle strumentazioni per l’industria aeronautica e aerospaziale negli anni Settanta.
Lo sviluppo della Campagnolo viene interrotto da una profonda crisi finanziaria verso la metà degli anni Sessanta – dovuta a inefficienze gestionali e organizzative – che crea gravi difficoltà alla direzione e comporta il licenziamento di numerosi operai; la conseguenza della necessaria ristrutturazione porta all’adozione di più moderne tecniche amministrative, di controllo della produzione e delle scorte, nonché all’impostazione di una struttura organizzativa adeguata a un’impresa avviata a operare su scala internazionale, e che in precedenza aveva fatto perno sulla figura imprenditoriale accentratrice del fondatore.
In effetti la Campagnolo ritrova presto il sentiero della crescita, approfittando, tra l’altro, di una mutata concezione del ciclismo e quindi dell’espansione della domanda di biciclette. Questo sport, infatti, diventa progressivamente una pratica di massa e la bicicletta, pensata per l’agonismo, può essere adattata alle esigenze del più vasto pubblico di appassionati, ampliando così sensibilmente un mercato altrimenti ristretto a pochi professionisti. Nel 1971 i dipendenti della Campagnolo sono oltre 450, destinati a salire a 550 qualche anno dopo, in occasione dell’apertura di un nuovo stabilimento per la fabbricazione di ruote in lega per motociclette. Campagnolo dedica gli ultimi anni di vita a iniziative sociali, in favore dei giovani della Scuola d’arti e mestieri della città natale e degli anziani, e alla costruzione del nuovo complesso produttivo nella zona industriale di Vicenza. Muore a Vicenza nel febbraio del 1983.

Il mercato della bicicletta negli ultimi anni è completamente mutato. Si è ampliato, con volumi di vendita aumentati in modo esponenziale in tutto il mondo – anche in Italia vengono ormai vendute più bici che auto. Ed è diventato, appunto, globale. Il centro della produzione si è spostato dall'Italia all'Asia. Molti produttori storici di biciclette e componenti made in Italy hanno dovuto reinventarsi o rifocalizzare i loro prodotti. Qualcuno ha venduto il marchio. Altri, come Campagnolo, continuano a crescere puntando però su una nicchia di prodotto, la componentistica solo per bici da corsa e di alta qualità, in questo caso, contro la produzione di massa: gli altri due grandi produttori di componentistica per bici, la giapponese Shimano e l’americana Sram, continuano a erodere fette di mercato con prodotti destinati però a tutti i segmenti, dalle mountain bike alle bici da bambino, dalle bici da passeggio alle bici da corsa. Fino agli anni 70/80 il mercato mondiale delle due ruote era dominato dai marchi italiani. A partire dagli anni Ottanta, con le prime mountain bike americane il mercato si è trasformato. Si sono fatti avanti nuovi paesi produttori e nuovi mercati di riferimento per la vendita. Con la crescente diffusione delle due ruote, soprattutto le mtb, le bici da corsa sono diventate un segmento, neanche il principale. Anche i canali di vendita sono cambiati. Se prima si andava dal negoziante per comprare un telaio, che spesso era fatto a mano da un artigiano, e poi si sceglieva il resto, il gruppo da montare, le ruote e così via…, oggi si è passati al modello della bici “ready to use”. Si è passati insomma, come è successo per la moda, da una bici che era fatta su misura, tailored, come un abito fatto a mano, alla bici - diciamo così - pret-à-porter, la bici di massa, prodotta industrialmente in grande quantità. Cosa che ha spiazzato molti produttori di telai italiani, artigiani o poco più, in difficoltà con i volumi elevati, le quantità e tradizionalmente più a loro agio sulla qualità nella manifattura. Bravi a inventare e a costruire. Meno a vendere. Per le aziende produttrici di componentistica per bicicletta, ruote, selle, manubri e così via, è diventato fondamentale entrare nel mercato del “ready to use”, come fornitori di prodotto per i cosiddetti Oem (Original equipment manufacturer), grandi gruppi industriali che hanno creato questo fenomeno di produzione di massa delle due ruote, rispondendo a una richiesta del mercato, con volumi inimmaginabili fino a pochi anni fa. Sono cambiati i modi di produzione, ma è anche cambiato il timing con cui vengono sviluppati i nuovi prodotti: bisogna programmare le uscite delle novità non tanto pensando ai consumatori finali ma in ragione delle necessità degli Oem. I due più grandi Oem che fabbricano telai da bici di tutti i tipi e per tutti i brand, europei e americani, sono Merida e Giant, entrambi di Taiwan. L’asse così si è spostato in Asia, a Taiwan c'è la testa, con stabilimenti produttivi in Cina e i centri progettazione in Europa (Merida ne ha uno in Germania). I produttori italiani di di componentistica per resistere, oltre alla forza del marchio spesso conosciuto in tutto il mondo hanno dovuto fare un salto di qualità in termini di innovazione di prodotto e sono diventati subfornitori di uno dei grandi Oem. I produttori di telai invece sono diventati clienti degli Oem, fanno fare lì i loro telai che sono sempre più omologati di massa e fanno fatica, come negli anni Settanta, a distinguersi dagli altri. Con la penalizzazione ulteriore data dal fatto che i grossi brand americani di bici, Specialized, Trek, Scott etc etc, hanno dalla loro una potenza di fuoco maggiore, in termini di marketing, comunicazione, sponsorizzazione. Quelli che resistono e riescono ad andare avanti e a crescere nel made in Italy delle due ruote, sono i marchi che hanno una spinta innovativa maggiore e puntano ai prodotti di fascia alta di mercato. Sono prodotti riconoscibili, di nicchia, se vogliamo. Prodotti che restano oggetti del desiderio per gli appassionati, per molti inarrivabili. Per questo continuano ad andare bene, ad esempio, brand storici made in Italy come Colnago, Pinarello e Campagnolo. Stentano invece i più piccoli. Giova ricordare che Campagnolo, negli anni sessanta era il leader indiscusso mondiale della componentistica delle bici da corsa. Al Tour de France del 1963 su 130 corridori, 110 montano pezzi Campagnolo. Sono gli anni di Jacques Anquetil e poi di Felice Gimondi ed Eddy Merckx, tutti campioni che vincono con i gruppi Campagnolo. Nel 1973 esce il cambio Super Record, in ergal e titanio, il più avanzato e leggero dell'epoca che segna una pietra miliare nelle corse (e nel mercato delle bici) con un enorme successo in tutti gli anni Settanta, negli anni di Francesco Moser e Giuseppe Saronni e resta in produzione fino al 1987. Tra il 1984 e il 1990 Campagnolo firma 6 mondiali, 6 Tour de France e 5 Giri d'Italia. Tutti quelli che vincono, Bernard Hinault, Stephen Roche, Greg Lemond, Pedro Delgado e poi Miguel Indurain lo fanno con Campagnolo, fino agli anni Novanta, alle vittorie di Marco Pantani che corre con gruppo e ruote Campagnolo. Negli anni Duemila Campagnolo introduce il primo cambio a 11 velocità e poi il cambio elettronico. Ma il mercato è cambiato. L’azienda vicentina continua a resistere con i suoi prodotti top end, puntando tutto sull'alta qualità, il design e le prestazione dei suoi prodotti. Resiste ma in una nicchia di mercato. E ha aperto ad altri prodotti, le ruote tra tutti. Oggi il gruppo Campagnolo dà lavoro a 1.030 persone, 400 sono nell’headquarter di Vicenza e le altre sono nei due stabilimenti produttivi in Romania e nelle filiali commerciali in 6 paesi: Stati Uniti, Francia, Germania, Spagna, Giappone e Taiwan dove oltre alla rete di distribuzione commerciale c’è una base logistica per servire i due grandi Oem. L’80% della produzione finisce sui mercati esteri, il 20% in Italia. Il principale mercato per le due ruote è la Gran Bretagna, dove il ciclismo dopo le vittorie di Bradley Wiggins e con il Team Sky è diventato uno sport davvero popolare, il nuovo golf. Con tantissimi praticanti che hanno scoperto le due ruote. E dove hanno sede i due principali siti di e-commerce per le 2 ruote. Il gruppo Campagnolo comprende anche il marchio delle ruote Fulcrum, nato una decina di anni fa per permettere di utilizzare la tecnologia delle ruote Campagnolo anche con i componenti Shimano e Sram. Come è noto, Shimano e Sram hanno un “sistema”, Campagnolo ne ha un altro e i due sistemi purtroppo non si parlano, come succede ad esempio con gli obiettivi Canon e Nikon. Il totale del fatturato del gruppo vicentino è di circa 120 milioni annui, così suddivisi: 80 mln Campagnolo (ruote e gruppi) e 40 mln Fulcrum. Nel complesso i due marchi di ruote Campagnolo fanno il 65% del fatturato, il 35% è fatto dai gruppi. L’azienda è in attivo, non è indebitata con le banche ed opera - ci tengono a precisare alla Casa vicentini - con mezzi propri, alla vecchia maniera insomma. Il mercato è molto competitivo. Ma l’arma vincente è ancora quella della qualità e dell'innovazione. Il settore Ricerca e sviluppo dell’azienda è a Vicenza. E alla RandD viene destinato ogni anno il 7-8% del totale del fatturato. Una percentuale enorme rispetto alla media italiana (2-3%) che è il miglior modo per preparare il futuro. Oggi Campagnolo è un’impresa di nicchia di alta qualità. Nnon può competere con il colosso del mercato Shimano in quanto a volumi, ma lo fa appunto con l’eccellenza e la ricerca nella nicchia di prodotto delle bici da corsa. Come scrivono in Campagnolo, a proposito di questa filosofia aziendale: «Il filo conduttore che accomuna questa lunga storia industriale di successo è sempre stato lo stesso: guardare oltre per offrire sempre qualcosa di più evoluto, performante e sempre di altissima qualità. Con il passare degli anni e delle generazioni, tale modo di pensare e di creare è diventato una sorta di imprinting naturale del marchio, dell'impresa e di chi vi lavora». Per rilanciare il comparto dei gruppi, rimasto indietro rispetto alle ruote, Campagnolo ora punta a rafforzarsi nella fascia media del mercato: ha appena presentato il nuovo gruppo “Potenza”, un gruppo meccanico di fascia media, che contiene molti dei contenuti tecnologici e di design del Super Record, ma con materiali diversi. Potenza ha un prezzo contenuto (poco più di 800 euro), pesa poco (2kg e poco più) ma ha il massimo della qualità. Le sensazioni in prova del nuovo gruppo sono di una estrema precisione e velocità di cambiata, anche tra le buche dell'asfalto e in salita. Soprattutto nella cambiata con il deragliatore, dove è sufficiente un piccolo colpo per far scendere o far salire la corona, senza problemi, contro le ampie escursioni e le frequenti cadute di catena a cui si è abituati con i gruppi concorrenti. Un gruppo perfetto, in definitiva, per chi non vuole aprire un mutuo per acquistare una bici da corsa, ma che cerca la performance senza compromessi sulla meccanica e la leggerezza: sulla meccanica Campagnolo ha qualche titolo in più dei concorrenti. Campagnolo inoltre ha appena svelato anche come saranno i suoi freni a disco per le bici di corsa a un gruppo ristretto di giornalisti in un press camp alle Canarie. Com’è noto da quest’anno l’Uci ha aperto alle squadre dei professionisti la possibilità di utilizzare nelle gare le bici con i freni a disco. Il primo a lanciare un prototipo di freno a disco quattro anni fa è stato Ernesto Colnago, che ha sviluppato il primo freno a disco per bici da corsa e il primo telaio dedicato grazie alla collaborazione con un’azienda bergamasca che realizzava freni per moto da cross. La scommessa di Colnago è stata subito raccolta da Shimano che ha sviluppato un suo prodotto e che finora è stato praticamente monopolista nella produzione di freni a disco. Tanto che gli analisti finanziari della City mesi fa hanno messo il bollino “buy” sul titolo Shimano, in vista di questa apertura dell’Uci ai freni a disco. La domanda ricorrente in questi mesi nell’ambiente era: e Campagnolo che fa? Il progetto della casa vicentina è rimasto top secret fino all’ultimo. Al termine del press camp alle Canarie, ci è stato presentato in anteprima il freno a disco che equipaggia già le bici da corsa di Astana, Movistar e Lotto Soudal. Nibali, Valverde e co., volendo, alle prossime Classiche del Nord potranno decidere di utilizzare una specialissima con i freni a disco Campagnolo. Per poter acquistare il prodotto bisognerà aspettare ancora un po’ di tempo. Fa parte della filosofia di Campagnolo. Il cliente viene prima. «Quando usciamo con un prodotto sul mercato - spiega Lorenzo Taxis, responsabile marketing e comunicazione del gruppo vicentino - noi di Campagnolo siamo sicuri che il prodotto che esce è esattamente quello che rappresenta la filosofia Campagnolo, un prodotto che funziona bene, che è performante e dura nel tempo». Ogni nuovo prodotto viene prima testato a lungo dal Campytechlab e poi dai professionisti e dagli amatori. Un processo che dura mesi. Il progetto disc brake di Campagnolo è ora nella fase di test da parte degli atleti professionisti. Prima di avere il bollino di “Campagnolo corretto”, cioè di un prodotto pronto per il mercato dovranno passare altri mesi. «Un processo molto lento, molto più lento dei concorrenti spesso - racconta ancora Taxis - però tutti i nostri prodotti quando escono sul mercato sono prodotti sicuri». «Siamo una società differente, noi lavoriamo in modo differente», dice Joshua Riddle, press manager Campagnolo, giovane, americano, appassionato ciclista, innamorato del made in Italy. «Noi di Campagnolo - conclude Taxis - siamo una piccola impresa, rispetto ai colossi generalisti, con una lunga e gloriosa storia che sopravvive da 83 anni proprio perché i clienti ci riconoscono per la qualità dei nostri prodotti. Questa è la nostra filosofia ed è la nostra arma vincente».

Risorse archivistiche e bibliografiche
Presso la sede centrale di Vicenza sono conservati materiali d’archivio e fonti iconografiche relativi alla storia dell’impresa. Per una prima ricostruzione della vicenda imprenditoriale di Campagnolo si rimanda a G. L. Fontana, Tullio Campagnolo “self made man” del ciclo, in G. L. Fontana, Mercanti, pionieri e capitani d’industria. Imprenditori e imprese nel Vicentino tra ’700 e ’900, Vicenza, Neri Pozza, 1993, pp. 477-487. Si veda anche: P. Facchinetti e G. P. Rubino, Campagnolo: la storia che ha cambiato la bicicletta, Azzano San Paolo (Bg), Bolis, 2008.

Eugenio Caruso - 7 giugno 2017

 

Tratto da

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www.impresaoggi.com