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Alberto Riva, quando l'Italia esportava le grandi turbine

INVENTORI E GRANDI IMPRENDITORI

In questa corposa sottosezione illustro la vita di quei capitani d'industria e/o inventori che hanno sostanzialmente contribuito al progresso industriale del mondo occidentale con particolare riguardo dell'Italia.

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S - Isaac Merrit Singer - Alfred Sloan - Luisa Spagnoli - Otto Sundbäck
T - Franco Tosi
V - Vittorio Valletta - Giuseppe Volpi
Z - Lino Zanussi

Alberto Riva
Casnate(CO), 17 maggio 1848 - Milano, 10 maggio 1924
Le discrete condizioni economiche della famiglia, maturate, come molte nella Lombardia del tempo, all'“ombra del gelso” (nella lavorazione della seta), permettono al giovane Riva di seguire un regolare corso di studi. Nel 1865 si iscrive alla facoltà di Scienze fisiche e matematiche dell’Università di Pavia e accede poi ai corsi dell’Istituto tecnico superiore di Milano (Politecnico). L’anno seguente, con altri compagni di corso, tra i quali Giovanni Battista Pirelli e il loro professore Giuseppe Colombo, abbandona momentaneamente gli studi per partecipare alla guerra contro l’Austria come volontario al seguito di Garibaldi, che segue anche nella successiva sfortunata campagna conclusasi a Mentana.
Rientrato a Milano, decide di completare gli studi iscrivendosi al corso di Ingegneria industriale del Politecnico, dove ha modo di stringere amicizia con alcuni dei futuri protagonisti dell'imprenditoria milanese.
Nel 1870, dopo la laurea, parte per un viaggio all’estero alla ricerca di esperienze e contatti, prima di decidere quale attività intraprendere. I mesi trascorsi all’estero (dei quali resta testimonianza in un fascio di lettere scambiate con l’amico Pirelli, a sua volta impegnato in un’analoga esperienza), gli danno modo di fare una breve esperienza di lavoro presso la Honegger di Rüti, nel cantone svizzero di Glarus, un’importante fabbrica di macchine per la tessitura. Partito con l’idea di fare un breve tirocinio propedeutico all’avvio di un’attività di tessitura meccanica di articoli di seta nella natia Como, Riva protrae di mese in mese il suo inquieto vagabondare per i distretti industriali del centro Europa, sedotto dal fascino dalla vita bohémien non meno che desideroso di ampliare le proprie competenze tecniche.
Reduce da questo viaggio di “esplorazione commerciale”, nel 1872 apre a Milano uno studio di ingegneria e di “commercio di commissione in macchine”. Punto di forza della ditta è la rappresentanza, in esclusiva per l’Italia, di alcune importanti case estere come Marshall e Sons di Gainsborough, che produce macchine per la trebbiatura a vapore, e Socin e Wick di Basilea, rinomata soprattutto per le turbine e altri congegni meccanici. Attraverso una serie di successivi riassetti societari, nel giro di una decina di anni Riva riesce a rendersi autonomo dai soci e ad affermarsi come uno dei più intraprendenti operatori del settore.
Nel 1883 entra infine in contatto con i fratelli Carlo ed Edoardo Amman, industriali cotonieri e banchieri privati di primissimo rango, che gli assicurano appoggio finanziario ed entrature nel mondo industriale. Sei anni più tardi, Riva, nel frattempo associatosi con l’ingegnere Ugo Monneret du Villard, a cui viene delegata la conduzione tecnica delle rappresentanze industriali, ha l’occasione di dare una svolta ai propri affari integrando la sua precedente attività di importatore di macchine e progettista di impianti industriali con quella di costruttore. Nel 1889 rileva così un modesto opificio meccanico in liquidazione, la Galimberti e C., che aveva da poco avviato la produzione di turbine idrauliche.
Grazie ai capitali accumulati soprattutto con il commercio di macchine agrarie e al sostegno degli Amman, crea una nuova realtà industriale e ne affida la Direzione tecnica a Monneret, che lo affiancherà nella gerenza. Nel giro di pochi anni, anche a causa della grave crisi attraversata nell’ultimo scorcio del secolo dall’agricoltura italiana, la Riva comincia a mutare pelle. Alla flessione del volume di affari della sezione agricolo-commerciale fa da contrappunto lo sviluppo della produzione di turbine idrauliche, una specialità che consente all’impresa di realizzare «degli utili che nell’industria meccanica sono forse senza esempio».
Frutto della felice combinazione fra le doti imprenditoriali e organizzative di Riva e il dischiudersi di inattese prospettive di mercato per l’impiego di turbine nel campo delle costruzioni di centrali idroelettriche, a partire dai primi anni Novanta la crescita della società è intensa, scandita da successivi aumenti di capitale per tenere dietro agli sviluppi degli impianti e degli affari.
Nel 1895 la Riva viene scelta dalla Siemens e Halske di Berlino per la fornitura delle turbine per l’impianto delle centrali elettriche di Castellamonte e Bussoleno. Si tratta di una sfida tecnica ardua per un’impresa di dimensioni ancora modeste come la Riva: occorre infatti mettere in produzione dieci turbine simultaneamente, sei delle quali della potenza di 750 HP ciascuna. La Riva supera a fatica lo scotto dell’inesperienza e l’insufficiente dotazione tecnica e manageriale, tuttavia la scommessa è vinta e la scelta di puntare sulla produzione di turbine per grandi impianti si rivela determinante per l’affermazione dell’impresa. Sulla scia della fornitura alla Siemens, e grazie all’appoggio di Giuseppe Colombo e alle buone relazioni coltivate da Riva nell’ambiente, un anno più tardi l’impresa riesce ad aggiudicarsi la fornitura di quattro turbine di 2.160 hp ciascuna per la centrale della Edison di Paderno sull’Adda, la più grande in Europa. Nessuno in Italia ha mai costruito turbine di quelle dimensioni. Come avrebbe ricordato l’imprenditore nel 1922, in occasione delle celebrazioni dei suoi cinquant’anni di lavoro, quello «fu l’inizio della nostra fortuna». Da quel momento, infatti, tutti i maggiori impianti idroelettrici del Paese utilizzano macchinario prodotto nelle officine Riva. Un successo confermato anche dalle prime ordinazioni dall’estero, come la commessa di due turbine Francis di 3.000 hp per l’impianto sulle cascate del Niagara della Cataract Power di Hamilton. Un’affermazione di grande rilevanza anche in termini di immagine, perché mostra che l’Italia è in grado di esportare, oltre a migliaia di emigranti, macchinari in un settore allora alla frontiera tecnologica come quello delle costruzioni elettriche.
Nel 1914, al culmine di un decennio di ininterrotta crescita, e dopo il ritiro a vita privata del co-gerente Monneret, Riva decide di dare alla sua impresa un più stabile assetto. Senza snaturare l’originario carattere di impresa famigliare, la Riva si trasforma così in Società anonima costruzioni meccaniche Riva, a cui però partecipano esclusivamente i 42 soci della vecchia accomandita, lasciando al momento irrisolto il nodo della sottocapitalizzazione dell’impresa. Di lì a poco Riva, ormai vicino ai settant’anni e senza eredi maschi, comincia a pensare alla successione, trovando un degno continuatore nell’ingegner Guido Ucelli, entrato alla Riva dopo la laurea, nel 1909, e assurto nel giro di qualche anno alla guida dell’impresa, acquisendone nel 1915 un’importante partecipazione. Riva può così ridurre progressivamente il suo impegno diretto, pur continuando a sovrintendere all’amministrazione della sua impresa.
Universalmente stimato per la sua competenza amministrativa e finanziaria, nel corso della sua vita ha fatto parte del Consiglio di amministrazione di numerose società e istituti bancari, dalla Miani e Silvestri al Credito italiano, dalla Società del linoleum alla Banca d’Italia, del cui Consiglio di reggenza era ascoltato membro. In parallelo all’affermazione economica troviamo il suo nome in molte associazioni e sodalizi cittadini. Esponente del Circolo degli interessi industriali, un’associazione elettorale fondata nel 1886, che vedeva la presenza di una nutrita e qualificata rappresentanza del ceto imprenditoriale milanese, Consigliere della locale Camera di commercio dal 1887 al 1890, Consigliere comunale dal 1905 al 1907, Cavaliere del lavoro (1909) e Commendatore della corona (1914), Riva era stato anche tra i fondatori della sezione milanese del Club alpino italiano e successivamente del Touring Club (Vicepresidente dal 1895 al 1906). Muore a Milano nella primavera del 1924.

Dalle pompe alla moda e all'arte.
Le cascate del Niagara sono passate anche da via Solari, nelle officine meccaniche Riva e Calzoni, che dal 2005 ospitano la Fondazione Pomodoro, ma che un tempo sfornavano enormi turbine e pompe idrauliche per l’industria idroelettrica, e che fin dal 1889 hanno visto negli immensi spazi di 40 mila metri quadrati gli operai macinare ore di lavoro. Per poi attraversare la strada e tornare alle famiglie, nelle case di edilizia popolare di fronte alla fabbrica, costruite per loro agli inizi del ‘900. Il primo quartiere modello realizzato dalla Società Umanitaria nel 1906, in soli due anni. Le case sono ancora sono lì, rivoluzionario esempio di abitazione popolare: dodici palazzi attorniati da verde e giardinetti, ogni appartamento dotato di gabinetto, che invece nelle case di ringhiera era in comune a ogni piano. Oggi sono un po’ scalcinate, come spesso le case gestite dal Comune, in una zona diventata stellare da quando si è trasformata, una decina di anni fa, da area industriale vicino alla stazione di porta Genova in punto di riferimento per le location durante il Salone del Mobile e crocevia di stilisti, arrivati con i loro show room. Siamo lontani anni luce dai tempi della nascita della Riva e Calzoni, fondata dall’ingegnere Alberto Riva nel 1889, a partire da un nucleo di officine del 1861. Ben presto diventò il primo produttore italiano di turbine idrauliche, a cui si affiancarono, nel 1911, le pompe per iniziativa di Guido Ucelli di Nemi e successivamente la fusione con la società Alessandro Calzoni di Bologna. Estesa tra le vie Solari, Savona e Stendhal, l’officina ha prodotto turbine e pompe di grandi dimensioni per le centrali idroelettriche di tutto il mondo, compresi gli impianti per le cascate del Niagara. Fino alla fine degli anni Cinquanta, quando la produzione dei getti di ghisa fu concentrata a Bologna e negli anni Ottanta gli impianti milanesi furono dismessi. Nel 1992 la Riva Finanziaria della famiglia Ucelli vendette l’intero il complesso alla Voith tedesca che pochi anni dopo, nel 1998, eliminò tutto. Disperdendo anche disegni e progetti che avrebbero fatto la felicità degli storici. In che modo poi l’ex acciaieria si sia tramutata in Fondazione lo racconta Arnaldo Pomodoro, artefice dell’operazione. «Ho aperto quella porta e sono impazzito, mi sono detto 'Che meraviglia!' Non mi pareva vero di aver trovato a Milano uno spazio che di solito trovi a New York — esordisce lo scultore — Da noi le fabbriche le demoliscono per ricostruire, ma in via Solari c’era un vincolo, la Riva e Calzoni doveva rimanere come monumento esemplare di architettura industriale». Il maestro era alla ricerca di uno spazio nuovo per la sua Fondazione, che aveva già una sede a Rozzano, in una ex fabbrica di viti. «Avevo avuto l’incarico dall’allora sindaco Rutelli di realizzare per Roma «Novecento», una grande scultura per l’inizio del nuovo millennio, una colonna conica a spirale di 21 metri che nel mio studio non ci stava — ricorda Pomodoro — . Qualcuno mi indicò la Riva e Calzoni, in disuso da oltre 20 anni, un’immobiliare l’aveva messa in vendita. Era così a buon mercato che ne comprai una porzione, 3.000 metri quadrati. Non ebbi dubbi, anzi, mi pento di non averne presi di più. Ci ho trasferito la mia Fondazione e l’ho resa sede museale con un restauro di Pierluigi Cerri che ha rispettato l’identità di questa struttura bellissima». Sono rimaste le altezze di quindici metri e le stesse vetrate sul tetto e fronte strada, a prendere la luce finché non diventa notte, lo stesso spazio aperto con l’aggiunta di tre livelli di passerelle serviti da scale che permettono di raggiungere altrettante terrazze espositive, per avere una visione delle opere esposte anche dall’alto. Un intervento che ricevette nel 2006 il premio nazionale di architettura IN/ARCHANCE come «migliore opera di ristrutturazione edilizia realizzata». Prima dell’inaugurazione della Fondazione in via Solari, nel 2005, la vecchia fabbrica fu usata dall’artista per assemblare la monumentale scultura romana, collocata all’Eur nell’anno del Giubileo. Poi come spazio per mostre dedicate prevalentemente alla scultura. Da qui sono passati Jannis Kounellis (nel 2006), le antologiche sulla scultura italiana del XX secolo (nel 2005) e del XXI secolo (l’anno scorso). A settembre l’appuntamento sarà con Giuseppe Penone, uno degli esponenti dell’Arte Povera, e con una mostra di disegni e grafiche di Mirò. A meno di un chilometro da piazza Duomo, in quella che un tempo era considerata prima periferia, sorgevano presso la Riva e Calzoni anche altre fabbriche di analoghe dimensioni e importanza. Come il vicinissimo complesso dell’Ansaldo in via Bergognone, e l’ex Nestlè nella stessa strada, trasformata in quartier generale di Armani dall’archistar giapponese Tadao Ando. Molte di queste fabbriche, una volta dismesse, hanno trovato una nuova vocazione commerciale e culturale. Per la Riva e Calzoni dal 1999 è iniziato un progetto globale di recupero, e oggi altri pezzi di fabbrica sono in via di ristrutturazione, come i novemila metri quadrati di proprietà di Diego della Valle. Mentre l’Ansaldo sta diventando Città delle Culture, secondo il progetto commissionato dal Comune a un altro importante architetto, l’inglese David Chipperfield.
Risorse bibliografiche
Le lettere di Riva relative al viaggio di formazione sono pubblicate da B. Bezza, Il viaggio di istruzione all’estero di Giovan Battista Pirelli, in«Annali di storia dell’impresa», Milano, Franco Angeli, 1985, 1; G. Ucelli, La Riva in cento anni di lavoro. 1861-1961, Milano, 1961; G. Bigatti, Dal commercio all’industria. Le origini della Società Costruzioni meccaniche Riva, in G. Bigatti, La città operosa. Milano nell’Ottocento, Milano, Franco Angeli, 2000, pp. 110-142.

Eugenio Caruso - 3 luglio 2017

 

Tratto da

1

www.impresaoggi.com