INVENTORI E GRANDI IMPRENDITORI
In questa corposa sottosezione illustro la vita di quei capitani d'industria e/o inventori che hanno sostanzialmente contribuito al progresso industriale del mondo occidentale con particolare riguardo dell'Italia.
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Raffaele De Ferrari
Genova, 6 luglio 1803 - Genova, 23 novembre 1876
Figlio di Andrea e Livia Ignazia Pallavicino, porta il nome del nonno paterno, il quale nel biennio 1787-1789 era stato doge: l’unico a ricoprire la massima carica della Repubblica in una famiglia antica, che aveva costruito le proprie fortune sull’esercizio delle professioni giuridiche e del notariato, entrando a far parte nel XVI secolo del ceto di governo.
Il già solido patrimonio dei De Ferrari trova nel padre Andrea un amministratore spregiudicato, capace durante gli anni dell’Impero napoleonico e della Restaurazione di farlo lievitare in modo straordinario, mediante speculazioni commerciali e finanziarie in Italia, in Inghilterra, in Austria, in America e soprattutto in Francia, dove a partire dal 1817 si concentrano i suoi affari: compravendita di titoli pubblici, speculazioni edilizie, finanziamento di una dinamica banca fondata nel 1822 dal ginevrino Barthélémy Paccard. Con numerosi banchieri d’alto bordo che operano tra Parigi, Londra, Ginevra e Genova – i Busoni, i De la Rüe, gli Hagerman, gli Heath, i Laffitte – Andrea De Ferrari stringe in quegli anni importanti relazioni, che rappresenteranno per il figlio una preziosa eredità.
Nel gennaio 1813 De Ferrari è ammesso al Prytanée militaire di La Flèche, prestigioso istituto destinato da Napoleone ad accogliere i rampolli della nobiltà imperiale. Caduto l’Impero, prosegue gli studi nel Collegio Ghiglieri di Finale Ligure e nel Collegio dei Nobili di Parma, ricevendo un’educazione di alto livello, anche grazie all’impiego di precettori privati. Nel biennio 1820-1822 accompagna il padre in un lungo tour che tocca Napoli, Roma, Londra, Milano e Parigi; tra il 1823 e il 1825 si reca di nuovo con lui a Parigi, in Svizzera e a Londra. Sono viaggi di istruzione, durante i quali il giovane De Ferrari viene iniziato alla pratica finanziaria, all’uso delle lingue straniere e alla vita lussuosa. Nel 1828 sposa Maria Brignole Sale e, a distanza di poco tempo, muore il padre. Si trova così padrone di una cospicua ricchezza nel momento in cui il matrimonio lo imparenta a una delle famiglie più in vista di Genova e gli assicura stretti legami con l’aristocrazia e l’alta finanza francesi grazie al suocero, il marchese Antonio, già funzionario napoleonico e poi diplomatico sabaudo.
Nel novembre del 1828, nel sontuoso palazzo genovese di piazza S. Domenico, De Ferrari uccide con un colpo di pistola un servitore, e questo fatto solleva contro di lui un’ondata di ostilità tra la popolazione genovese. Ne segue un processo concluso con una mitissima condanna a tre mesi di arresti domiciliari; ma l’episodio accelera la sua decisione di trasferirsi in Francia, a Parigi, nell’autunno del 1829: da allora il centro della sua vita e dei suoi interessi è nella capitale francese, dove fin dagli inizi occupa un posto di rilievo nella buona società e nella tradizionale haute banque, intrecciando altresì, dopo il 1830, rapporti strettissimi con Luigi Filippo e la sua corte.
Nei primi anni del regime orleanista De Ferrari mette utilmente a frutto i propri capitali in attività che non paiono discostarsi molto da quelle paterne. Gli investimenti e le "negoziazioni" si indirizzano sui fondi pubblici, con frequenti acquisti allo scoperto e rapide vendite, e poi sulle azioni dei canali francesi e sui prestiti a breve. Per sostenere l’alto volume di compravendite e un intenso traffico di cambiali, egli si avvale di una trentina fra case bancarie e agenti di cambio sparsi in quindici città europee. Negli anni Trenta De Ferrari è socio accomandante della banca Girard e de Waru, punto d’incontro di vari capitalisti di buon livello e partecipe d’un sindacato bancario interessato all’affare delle ferrovie, che nel 1838 fonda la Compagnie de Paris a Orléans, destinata a essere il perno di tutte le combinazioni industriali e finanziarie del gruppo.
Il risultato dei buoni affari realizzati da De Ferrari si manifesta nel novembre del 1837, quando immobilizza una forte somma nell’acquisto d’un palazzo gentilizio a Bologna, e della tenuta di Galliera nella provincia bolognese, un vasto possedimento di circa 1.800 ettari costituito in ducato da Napoleone e da lui assegnato a Giuseppina, figlia di Eugenio Beauharnais e moglie di Oscar Bernadotte, futuro re di Svezia. Mediante tale acquisto, De Ferrari può richiedere il titolo di duca di Galliera, che gli viene conferito da papa Gregorio XVI nel settembre del 1838, e riconosciuto da Carlo Alberto nel luglio del 1843.
In Italia come in Francia, però, più che dagli investimenti immobiliari, De Ferrari è attratto dalle speculazioni bancarie e ferroviarie. Genova rappresenta una piazza interessante, perché fin dal 1826 è in progetto un collegamento ferroviario tra il suo porto e la pianura padana. De Ferrari sostiene il gruppo genovese che promuove la realizzazione del collegamento ferroviario Genova-Torino, ma l’impresa non ha seguito, perché nel 1845 il Governo si pronuncia per la statalizzazione; la vicenda è anche occasione di contrasto tra De Ferrari e Cavour: il futuro ministro, che a Parigi aveva frequentato il salotto Galliera e nei primi anni della “monarchia di luglio” s’era servito di De Ferrari per stabilire contatti con la finanza orleanista, nel 1844 è fortemente interessato alla formazione di una società per la costruzione della ferrovia Torino-Alessandria, trovandosi di fatto in concorrenza con De Ferrari, e non risparminado aspri giudizi sull’avversario.
Contemporanea all’iniziativa ferroviaria, e complementare a essa, è la creazione della Banca di Genova, primo istituto di emissione degli Stati sardi e strumento finanziario nuovo, in un panorama ancora dominato dalle banche private. Approvata nel marzo del 1844, la banca chiama De Ferrari a presiedere il consiglio di reggenza. L’istituto, rivelatosi presto un eccellente affare, rappresenta un’ulteriore occasione di contrasto tra De Ferrari e Cavour: sia perché prospera dopo il fallimento di un analogo progetto caldeggiato dal Conte, sia perché dal gruppo dei fondatori e maggiori beneficiari rimangono esclusi i De la Rüe e i Ricci, le due case bancarie genovesi con cui Cavour intrattiene più stretti rapporti. D’altra parte il successo genovese sollecita nel 1847, auspice ancora Cavour, la nascita della Banca di Torino, assai osteggiata dal gruppo ligure.
Gli anni delle due imprese genovesi coincidono con un periodo favorevole per le speculazioni di De Ferrari in Francia e in Belgio. Tra il 1841 e il 1847 è tra i maggiori azionisti – con Périer, Laffitte, Fould e altri – della belga Société des mines et fonderies de zinc de la Vieille-Montagne, un colosso europeo dello zinco destinato a molti decenni di eccezionale prosperità e di altissimi dividendi. Intanto in Francia rinasce la febbre delle ferrovie e dal 1845 per gli speculatori del settore cominciano i buoni affari: proprio nel luglio di quell’anno il gruppo formato da De Ferrari e dai banchieri Hottinguer e Baring firma un accordo con la casa Rothschild per concorrere unitamente all’aggiudicazione delle ferrovie del Nord della Francia. Nella Compagnie du Nord, De Ferrari è Consigliere di amministrazione con Émile Péreire, Hottinguer e James de Rothschild (Presidente).
La rivoluzione del 1848 e la caduta della monarchia, che interrompe un’ottima stagione per i grandi affaristi parigini, sono particolarmente sofferte da De Ferrari per l’amicizia personale che lo legava al sovrano: amicizia destinata a durare anche in seguito, come prova il fatto che nel gennaio 1850, dall’esilio londinese, Luigi Filippo e la moglie Maria Amelia saranno padrino e madrina, per procura, del terzogenito di De Ferrari, cui viene imposto il nome dell’ex re. L’Orléans, che aveva protetto e appoggiato De Ferrari in passato, avrebbe anche voluto crearlo pari di Francia; ma il finanziere genovese aveva rifiutato l’onore, perché questo avrebbe comportato la scelta della cittadinanza francese, mentre voleva conservare un certo distacco dalla vita politica, al di qua e al di là delle Alpi.
In seguito, le dichiarazioni di patriottismo e liberalismo, unitamente alla grande ricchezza e al prestigio internazionale, gli valgono la nomina a senatore del Regno sardo, decretata da Vittorio Emanuele nel 1849. In realtà i suoi interessi maggiori restano in Francia, dove l’attenzione degli affaristi è concentrata sulle speculazioni ferroviarie. De Ferrari partecipa da protagonista all’ebbrezza finanziaria che segue il colpo di Stato del dicembre 1851. E' associato al gruppo dei finanzieri e banchieri inglesi e francesi (comprendente anche i Rothschild, i Péreire, Bartholony, Hottinguer, de Waru, Mallet e altri), concessionari delle linee dell’asse Parigi-Marsiglia, nonché fra i fondatori, con Isaac Péreire e James de Rothschild, all’epoca ancora alleati, della Compagnie du Midi, concessionaria delle linee della regione sud-occidentale.
Al novembre del 1852 risale inoltre la creazione della Société generale de Crédit mobilier: nella creatura dei Péreire, che segna il loro distacco dai Rothschild, De Ferrari prende parte fin dall’inizio, lucrando i favolosi dividendi pagati inizialmente agli azionisti, assicurandosi la partecipazione ai migliori affari patrocinati dal Crédit.
Tra le grandi occasioni sfruttate da De Ferrari sono quelle legate alla ristrutturazione urbanistica di Parigi per opera del Barone Haussmann. Se i Péreire, con la loro Compagnie immobilière, hanno la parte del leone, trovano largo spazio anche singoli speculatori come De Ferrari, il quale finanzia per 20.000.000 di franchi uno dei più audaci beneficiari della haussmannisation, Joseph Thome, prodigiosamente arricchitosi con la sistemazione del quartiere degli Champs-Elysées, dell’avenue Montaigne, dei lungosenna e con gli sventramenti sulla Rive Gauche. Le speculazioni ferroviarie restano tuttavia la sua attività principale: nel 1853 investe nella costruzione della linea Lione-Ginevra che punta fino a Marsiglia, in concorrenza con l’ampliamento della rete sabauda da Torino a Ginevra; sul versante dei territori della monarchia asburgica chiude invece nel 1855 il contratto di concessione alla società costituita con Péreire Österreichische Staats-Eisenbahn-Gesellschaft, incaricata della costruzione e gestione di linee in Boemia, Ungheria, Austria e proprietaria di terreni, fabbriche e miniere in varie località dell’impero. Nelle miniere di carbone tedesche, in quello stesso anno 1855, De Ferrari investe circa mezzo milione di talleri; nel 1856 è a Vienna, su incarico del Crédit mobilier, per trattare l’acquisto delle ferrovie lombardo-venete. La missione si risolve in un rovesciamento delle alleanze finanziarie: De Ferrari, resosi conto che il Crédit aveva poche possibilità di battere nell’affare i rivali Rothschild, preferisce accordarsi con questi ultimi per dar vita a una società che prende in concessione la grande linea Trieste-Milano-Pavia e la Milano-Como, incaricandosi anche di realizzare o completare i collegamenti Verona-Mantova, Milano-Piacenza, Milano-frontiera piemontese.
In Italia, intanto, si aprono per De Ferrari nuove prospettive grazie alla sua fresca alleanza con i Rothschild, i quali a partire dal 1855, riprendono in misura massiccia gli investimenti ferroviari. Dopo il Lombardo-Veneto i loro interessi si volgono alla ferrovia dell’Italia centrale da Pistoia a Bologna, Modena e Parma. In concorrenza con il livornese Pietro Bastogi, la Compagnia lombardo-veneta rappresentata da De Ferrari si aggiudica la linea e nel 1858, ottenuta la Pistoia-Firenze, tenta di estendere la propria egemonia sul resto della penisola con un progetto di riunione in una sola rete di tutte le ferrovie italiane.
Sul finire del 1858 gli appetiti dei Rothschild e di De Ferrari si volgono alle ferrovie statali del Piemonte, le più sviluppate della penisola: le trattative per l’acquisto trovano un clima politico poco favorevole alla cordata “francese”, già proprietaria di tutte le linee dell’Italia asburgica. Il gruppo cerca di approfittare dell’unificazione italiana per conseguire il semimonopolio ferroviario e nell’agosto 1860 la cordata ottiene dall’agonizzante Governo borbonico la concessione delle strade ferrate meridionali. Due anni dopo Bastogi riesce a sottrarre «patriotticamente» al capitale francese le Meridionali e le Romane, ma la Società lombarda acquista le ferrovie piemontesi e si trasforma in Società delle strade ferrate dell’Alta Italia, assorbendo nel 1866 anche le linee venete. Nell’Alta Italia De Ferrari continua a rivestire un ruolo di primaria importanza, effettuandovi massicci investimenti all’inizio degli anni Settanta.
Nel gran germogliare di affari provocato dal nuovo regno, De Ferrari si trova in una eccellente posizione di equilibrio tra casa Rothschild e Crédit mobilier – i due gruppi stranieri che si contendono la supremazia negli investimenti italiani – e ben legato a quel capitalismo genovese che funge da tramite con il capitale europeo.
Proprio da un intreccio fra questi poli di interessi, con la determinante partecipazione di De Ferrari, viene fondata nel 1863 la Società generale di credito mobiliare italiano, prima moderna banca di affari del nostro Paese.
Del Credito mobiliare italiano De Ferrari diventa presidente e gestisce i primi anni di alterne fortune. Il progressivo distacco dei Péreire e, nel 1867, il crollo del Crédit mobilier emancipano in certa misura il Credito mobiliare dal capitale francese, offrendo a De Ferrari l’occasione per intavolare trattative con gli interessi che fanno capo alla Destra toscana, contraria alle ingerenze finanziarie straniere. Così nel 1868, quando va in porto l’operazione relativa alla concessione della privativa tabacchi, che promette utili favolosi, tocca al Credito mobiliare e ai suoi uomini italiani la partecipazione più ampia nella società per la regìa cointeressata: De Ferrari, ormai aureolato di italianità, partecipa all’operazione con 20.000.000 ben ripagati dagli eccellenti dividendi che la regia seguiterà per vari anni a distribuire.
A partire dal 1871 De Ferrari, pur seguitando in varie direzioni le proprie attività finanziarie, inizia quella metamorfosi da grande speculatore a grande benefattore che l’avrebbe reso famoso e acclamato nella sua antica patria. Alla trasformazione non sono estranee le vicende familiari: il fervore filantropico della moglie e il comportamento del figlio Filippo il quale, coltivando idee democratiche, matura il distacco dal padre (fino alla rinuncia ai titoli, al nome e all’eredità paterni). Il gran patrimonio di De Ferrari resta così senza eredi: viene quindi destinato, prima e dopo la morte del Duca, a una serie imponente di donazioni e lasciti che ancor oggi segnano la geografia urbana di Genova e testimoniano la volontà di promuovere i più diversi aspetti del progresso civile della città: dallo sviluppo economico all’assistenza sociale, dalla sanità alla cultura. Nel 1874 De Ferrari dona al Comune di Genova lo splendido Palazzo Rosso con i suoi tesori d’arte. Nel 1875 fonda un’Opera pia per la costruzione di case operaie, con un’ampia dotazione di capitale e alla fine di quell’anno destina l’ingentissimo contributo di 20.000.000 per l’ampliamento e il miglioramento del porto di Genova. La donazione De Ferrari – tradotta in una convenzione firmata nel 1876 con il Ministero Depretis e nella legge 9 luglio 1876 per l’avvio dei lavori – è decisiva per sbloccare la situazione di stallo cui erano giunti tutti i tentativi di adeguare il porto alle nuove esigenze della navigazione.
De Ferrari è insignito da Vittorio Emanuele II nel 1875 del titolo di Principe di Lucedio (località del Vercellese dove in precedenza ha acquistato una grande tenuta) e di quello di Cavaliere dell’Annunziata come «benefattore della nazione»; a Genova il Consiglio comunale decide, tra altri atti di omaggio, di chiamare piazza De Ferrari la piazza S. Domenico sulla quale si affaccia la casa del Duca.
Nel 1876, dopo l’avvento della Sinistra al potere, De Ferrari appare in perfetta sintonia con il nuovo Governo: a maggio, su istanza di Depretis, tenta di convincere Rothschild a contenere le tariffe sulle linee dell’Alta Italia; successivamente offre al Presidente del Consiglio il proprio appoggio finanziario per l’esercizio privato delle ferrovie riscattate dallo Stato con il trattato di Basilea del 1875.
Nell’autunno del 1876 De Ferrari è a Genova, dove Depretis lo incontra pochi giorni prima del discorso di Stradella; muore di polmonite in novembre.
Fonti archivistiche e bibliografiche
L’Archivio storico civico conserva un fondo privato comprendente documenti delle famiglie Brignole Sale e De Ferrari, ceduto al Comune nel 1927 dagli eredi di Filippo De Ferrari, figlio della Duchessa di Galliera, munifica donatrice in vita e in morte di Palazzo Rosso, con la preziosa quadreria e la ricca biblioteca (1874), e di Palazzo Bianco (1888).
AA.VV., I Duchi di Galliera. Alta finanza, arte e filantropia tra Genova e l’Europa nell’Ottocento. Atti del Convegno di Studi, a cura di G. Assereto, G. Doria, P. Massa Piergiovanni, L. Saginati, L. Tagliaferro, Genova, Marietti, 1991: in particolare sono fondamentali i saggi di L. Saginati (I duchi di Galliera tra Genova e Parigi: vita di due nobili cosmopoliti da un epistolario inedito, pp. 11-279) per quanto riguarda le vicende familiari e la vita privata, di P. Massa Piergiovanni (Eredità, acquisti e rendite: genesi e gestione del patrimonio dei duchi di Galliera, pp. 391-448) e di G. Doria (La strategia degli investimenti finanziari di Raffaele De Ferrari dal 1828 al 1876, pp. 449-510) per ciò che attiene all’attività economica.
Eugenio Caruso
- 13 luglio 2017