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Carlo Bombrini, il più grande banchiere dell'ottocento


Io lavoro sempre con la convinzione che non esista, in fondo, nessun problema irrisolvibile.
Jung


INVENTORI E GRANDI IMPRENDITORI

In questa corposa sottosezione illustro la vita di quei capitani d'industria e/o inventori che hanno sostanzialmente contribuito al progresso industriale del mondo occidentale con particolare riguardo dell'Italia e del made in Italy. Anche con riferimento alle piccole e medie imprese che hanno contribuito al progresso del Paese.

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Carlo Bombrini (Genova, 1804 – Roma 1882)

Nato a Genova il 3 ott. 1804 da Bartolomeo, capitano dei carabinieri dell'esercito sardo, e da Maria Anna Rastrump, entrò come commesso nella ditta bancaria Bartolomeo Parodi e Figlio di Genova. Guadagnatasi la stima del titolare, fu da questo proposto nel 1843 come direttore per la Banca di Genova, allora in corso di costituzione, e della quale poi il Parodi, nel maggio 1845, fu nominato presidente.
La banca, sorta per iniziativa di un gruppo di capitalisti genovesi (tra i fondatori, accanto al Parodi, erano il marchese De Ferrari duca di Galliera, il marchese F. Pallavicino, il barone G. Cataldi), con un capitale di quattro milioni di lire, ripartito in quattromila azioni e sottoscritto prevalentemente da commercianti di Genova, Torino, Nizza e Chambéry, fu autorizzata a iniziare l'attività, sotto la denominazione di Banca di sconto, depositi e conti correnti, dalle regie patenti del 16 marzo 1844.
Voglio ricordare che lo sconto bancario è regolato in Italia dagli articoli 1858 e seguenti del codice civile: esso è il contratto con il quale un istituto di credito anticipa a un proprio cliente l'importo di un credito che egli ha verso terzi e che cede all'istituto. In pratica si realizza una cessione "credito contro corrispettivo". a ragione di questo tipo di operazione è da ricercare nel bisogno di un privato, solitamente un imprenditore, di ottenere in maniera celere e sicura la disponibilità di una somma di denaro da destinarsi alla sua attività. L'imprenditore in questione, invece di chiedere un prestito o un finanziamento, può decidere di cedere alla propria banca un credito che vanta verso un cliente, riscattandone immediatamente il valore nominale. Ovviamente l'istituto di credito del caso non agirà come uno sprovveduto, accollandosi un credito dalle incerte possibilità di recupero. Infatti la cessione che va perfezionandosi in questo caso sarà del tipo "salvo buon fine" o "pro solvendo"; ciò a dire che se alla scadenza il terzo ceduto non dovesse adempiere alla propria obbligazione verso la banca, questa potrà rivalersi sul cedente.
Le principali operazioni consentite alla società erano lo sconto, le anticipazioni, l'accettazione di depositi volontari, la raccolta di somme in conto corrente senza interesse e l'emissione di biglietti all'ordine. Essa poteva inoltre emettere biglietti al portatore e a vista; l'ammontare di questi e l'importo dei conti correnti pagabili a vista non potevano superare il triplo del numerario metallico esistente in cassa.
Era la prima istituzione del genere nel Regno sardo; ciò spiega come, da un lato, in ragione delle numerose difficoltà iniziali, limitasse di molto la sfera delle proprie operazioni, e come, dall'altro, finisse per diventare la più ragguardevole istituzione di credito pubblico nel Regno, trovandosi quindi esposta a dover finanziare lo Stato nelle circostanze eccezionali.
Su Bombrini, in quanto direttore, ricadeva il compito di amministrare gli affari della banca a nome del consiglio di reggenza. In questo periodo, egli mirò soprattutto a consolidare il nome dell'istituto, operando con estrema prudenza, sì da poterne gradualmente estendere la circolazione tra un pubblico ancora poco propenso ad accettare la carta moneta come mezzo di pagamento, e che tendeva a disfarsene al più presto, presentandola agli sportelli per il cambio in metallo.
Per coprirsi dal rischio di run improvvisi - abbastanza grave in quegli anni di continui perturbamenti economico-finanziari in Europa e in America - Bombrini procedette a una ingente e continua campagna di acquisti di numerario all'estero (dal dicembre del '46 al dicembre del '47 il numerario in cassa passò da circa lire 1.439.000 a 6.625.000), mentre la massa dei biglietti in circolazione passava contemporaneamente da lire 4.200.000 circa a 8.644.000, con un rilevantissimo scarto tra la circolazione effettiva e quella che si sarebbe potuta raggiungere a norma di statuto. Del resto il fatto che la banca potesse emettere solo biglietti di grosso taglio (da 1.000 e da 500 lire nuove del Piemonte, e da 250 soltanto in ragione della quindicesima parte dell'emissione totale) costituiva di per sé un notevole ostacolo all'allargamento della circolazione, già limitata dalla mancanza di succursali.
Fino al '48 l'istituto restò un organismo a carattere locale, e funzionò più da banca di sconto rivolto al credito commerciale sulla piazza di Genova che da istituto di emissione: tuttavia anche in fatto di sconti e anticipazioni operò con estrema prudenza, ricorrendo assai di frequente alla variazione del saggio di sconto (mutato ben 33 volte nei primi quattro anni di vita dell'istituto - caso unico per una banca italiana). Grazie a questa condotta accorta Bombrini riuscì ad assicurare il pagamento dei dividendi semestrali agli azionisti anche nell'anno critico 1847, che aveva visto una brusca inversione dei prezzi, scesi rapidamente dopo tre anni di rialzo, portando gravissime conseguenze a livello europeo.
Scoppiata la prima guerra d'indipendenza, allorché le eccezionali spese belliche obbligarono il governo piemontese a ricorrere a un prestito di venti milioni di lire, la Banca di Genova poté assumersene interamente il carico. Non fu un'operazione semplice, poiché comportava una gravissima innovazione monetaria, e cioè il corso forzoso per i biglietti della banca. L'annuncio del prestito e delle sue modalità creò lo scompiglio tra i soci: l'opposizione fu durissima e si tradusse persino in un atto notarile di protesto da parte di un detentore di biglietti, con citazione del Bombrini, nella sua qualità di direttore, al Tribunale di commercio, per il mancato cambio dei biglietti stessi.
Grazie alla mediazione svolta da Bombrini, alla fine l'assemblea degli azionisti si decise ad accettare le condizioni del mutuo, tranquillizzata in parte dalla ipoteca sui beni dell'Ordine mauriziano offerta dallo Stato, reputata sufficiente a garantire la fiducia del biglietto. Il Cavour, in una lettera al De la Rüe, di pochi giorni successiva all'approvazione del decreto per il mutuo, attribuiva al Bombrini il merito della riuscita dell'operazione, riconoscendogli altresì "des vues très larges et très étendues en finances".
Risale a quel periodo l'inizio di una proficua collaborazione tra Bombrini e Cavour, tradottasi come primo atto nella istituzione della Banca nazionale attraverso la fusione della Banca di Genova con quella di Torino, caldeggiata dal Cavour, il quale già nel 1837 si era adoperato perché il governo piemontese approvasse il progetto dei fratelli De la Rüe per la costituzione della Banca di Genova. Egli giustamente attribuiva una grande importanza all'esistenza di un unico e grande istituto di credito capace di sopperire alle ordinarie esigenze del mercato in tempo di pace, ai fini dello sviluppo economico del paese, nonché a quelle straordinarie in tempo di crisi politico-militare.
Bombrini fu tra i più energici fautori della idea cavouriana, che ebbe non pochi oppositori, e che era ugualmente osteggiata dai piccoli come dai grandi banchieri, sospettosi del privilegio in cui un unico grande istituto avrebbe finito per trovarsi in confronto agli altri. In particolare l'avversione al progetto di fusione tra le due banche era molto forte nell'ambiente finanziario genovese, il più attivo di quel tempo nell'intera penisola. (Giova ricordare che la più importante banca italiana il Banco di San Giorgio era stato fondato con provvedimento statale nel 1407 dalla riunione di tutte le "compere" già esistenti, che avevano fatto prestiti alla Repubblica genovese, per gestire in modo unitario il debito pubblico della Compagna communis e che con l'annessione della Liguria all'Impero Francese nel 1805 il Banco era stato definitivamente sciolto). Del resto la fusione era quasi imposta dalle circostanze alla Banca di Torino che, dal momento della sua costituzione (era stata autorizzata con regie lettere patenti del 16 ott. 1847, con caratteristiche simili a quelle dell'istituto genovese), non aveva praticamente potuto funzionare a causa del corso forzoso di cui si avvantaggiava la Banca di Genova.
Bombrini si prodigò nel corso delle lunghe trattative, alle quali egli partecipò come intermediario tra l'ambiente finanziario ligure e quello torinese, per risolvere i contrasti più gravi, in particolare sul prezzo da attribuire alle azioni delle due società all'atto della fusione. La sua posizione e il suo prestigio personale ne uscirono rafforzati: nominato direttore di uno dei due consigli di reggenza che, a norma delle convenzioni 26 settembre e 3 ott. 1849, autorizzate con r. d. il 14 dic. 1849 n. 969, avrebbero dovuto gestire la banca (uno con sede a Torino, l'altro con sede a Genova), egli finì praticamente per accentrare sotto il suo controllo le maggiori operazioni della banca. La preminenza di Bombrini rispecchia del resto gli effettivi rapporti di forza all'interno della nuova società: si calcola infatti che il 40% del capitale nominale fosse in mano a capitalisti liguri. A Genova inoltre si riuniva l'assemblea degli azionisti per il rendiconto dell'intera annata, a febbraio, mentre l'assemblea che si teneva a Torino ad agosto si limitava ad esaminare le operazioni del semestre scaduto.
La banca, a norma di statuto, poteva scontare lettere di cambio e altri effetti commerciali all'ordine, di scadenza non superiore a tre mesi e garantite da tre persone; esigere gratuitamente per conto di terzi effetti pagabili nelle rispettive sedi; ricevere somme in conto corrente, senza interesse e senza spese, e pagare mandati e assegni spiccati su tali somme; accettare in deposito titoli, documenti e oggetti preziosi; fare anticipazioni su verghe e monete d'oro e d'argento, su depositi di cedole dei debiti pubblici dello Stato, della Sardegna, delle città di Torino e di Genova, su sete grezze e lavorate e su cambiali pagabili in piazze estere; impiegare il fondo di riserva e fino a un quinto del capitale in fondi pubblici dello Stato, in prestiti dei comuni di Torino e di Genova, ed in cedole di Sardegna del 1844; emettere biglietti pagabili al portatore e a vista, il cui importo, cumulato a quello di conti correnti a vista, non poteva superare il triplo del numerario metallico esistente in cassa; trarre biglietti all'ordine pagabili nelle rispettive sedi. In materia di circolazione la banca godeva di un monopolio di fatto sancito dalla legge; monopolio che andò rafforzandosi negli anni seguenti quando sempre più stretti rapporti andarono stringendosi tra la banca ed il governo piemontese.
Nel 1852 fu concesso dalla banca allo Stato un prestito di 15 milioni di lire al 3%, contro deposito di fondi pubblici e buoni del tesoro. In cambio essa ottenne di poter allargare le proprie operazioni e di poter aumentare il proprio capitale sociale, per far fronte ai nuovi rilevanti impegni: esso fu portato a trentadue milioni di lire per un totale di trentaduemila azioni, ridistribuite in ragione di quattro nuove azioni per ciascuna delle vecchie. Queste trasformazioni e questi ingrandimenti della sfera di operazioni della banca, sostenuti principalmente da Cavour, non mancarono di suscitare una viva opposizione, che riuscì nel 1853 a bloccare il progetto di legge per l'affidamento del servizio di tesoreria dello Stato alla banca, presentato da Cavour al parlamento subalpino.
Bombrini in questo periodo si adoperò particolarmente nel delicato settore della collocazione dei prestiti di Stato e dei pagamenti dei relativi interessi, specie all'estero; egli aiutò Cavour a liberare le finanze statali dalla dipendenza dei Rothschild, stabilendo rapporti con la Banca Hambro di Londra.
In questi medesimi anni Bombrini si impegnava in svariate iniziative promosse dai più dinamici gruppi dell'ambiente economico-finanziario genovese. Tipica in tal senso la sua partecipazione alla società in accomandita formata dal Bona, da R. Rubattino e da G. Penco nel 1853, allo scopo di rilevare lo stabilimento metallurgico Taylor-Prandi di Sampierdarena, che poi prese il nome dall'ing. Ansaldo che ne curò l'organizzazione.
All'iniziativa non prese parte Cavour, ma è certo che il progetto di costituire a Sampierdarena un efficiente centro per la produzione di macchine e pezzi per le ferrovie e per la navigazione lo trovò consenziente, com'è desumibile dalle commesse di materiale ferroviario fatte di preferenza all'Ansaldo anziché alle più agguerrite e progredite industrie estere, com'era forzatamente avvenuto sino ad allora. Ostacolata tuttavia dalla fortissima concorrenza estera, la società Ansaldo si trovò presto in gravi difficoltà, per sanare le quali si adoperò particolarmente Bombrini, facendo ricorso a capitali della Banca nazionale, sicché il credito di quest'ultima verso l'Ansaldo arrivò alla considerevole cifra di 16 milioni di lire. Della difficile situazione di Bombrini a causa dell'impegno assunto verso l'Ansaldo, e dell'opportunità di aiutarlo in quel frangente, fa cenno in alcune sue lettere del '58 a Emile De la Rüe Cavour, al quale premeva che la posizione di Bombrini all'interno della banca non fosse scossa.n
Bombrini proprio in quegli anni doveva fronteggiare i gravi perturbamenti prodotti sul mercato internazionale dalla crisi del bimetallismo e dalla speculazione sull'argento, avvenimenti che la banca non poté inizialmente affrontare con l'arma più adatta, e cioè con adeguate e rilevanti variazioni del saggio di sconto, perché bloccata dalla legge piemontese sull'usura (modificata poi appositamente con la legge 5 giugno 1857).
A partire dal 1856 le azioni della banca vennero quotate in borsa: furono tra i titoli più frequentemente trattati e costituirono, per l'elevato valore nominale, che li sottraeva ai rischi della piccola speculazione, e per l'obbligo del domicilio in Italia fatto ai possessori, che ne sottraeva la contrattazione all'influenza diretta delle borse estere, un investimento sicuro per la sua scarsa sensibilità alle oscillazioni della borsa e per l'elevatezza dei rendimenti.
Le vicende della seconda guerra di indipendenza non crearono imbarazzi alla banca: il 1859 vide anzi un nuovo ingrandimento dell'istituto, il cui capitale fu portato a quaranta milioni mediante l'emissione di ottomila azioni destinate alla Lombardia. Due fatti salienti caratterizzano tuttavia proprio in quell'anno i rapporti tra la Banca nazionale e lo Stato. Ai primi di gennaio Cavour chiese a Bombrini di mettere a disposizione del governo l'intera riserva metallica, e Bombrini - il quale del resto difficilmente avrebbe potuto rifiutare - non esitò ad accondiscendere; un prestito di trenta milioni di lire al 2% fu concesso al governo dalla banca, che in cambio ottenne di poter sospendere il baratto dei propri biglietti in moneta metallica. Il corso forzoso cessò tuttavia il 1º nov. 1859 e non provocò reazioni nel pubblico come quello del '49.
Nel periodo delle annessioni Bombrini fu inviato dal Cavour ad organizzare nelle regioni via via integrate nel Regno nuove sedi della Banca nazionale, nonché a trattare la fusione con preesistenti istituti, secondo un fermo intendimento mirante a creare un'unica banca di circolazione "de Suse à Marsala". Scomparso il Cavour, si arenò anche il suo programma in materia di circolazione monetaria, e crebbe il peso politico degli oppositori della Banca nazionale, le critiche dei quali si appuntavano particolarmente sul B., accusato di esercitare in maniera dispotica la sua carica di amministratore. L'opposizione, che ancora una volta era riuscita a bloccare nel '65 l'applicazione della legge che affidava il servizio di tesoreria alla banca, si scatenò principalmente nel '66, dopo l'introduzione del corso forzoso decretata il 1º maggio di quell'anno.
È dimostrato oramai che il corso forzoso fu provvedimento ineluttabile, data la gravissima crisi che minacciava di travolgere le stesse finanze statali, oberate da un enorme disavanzo. Ma allora, nel provvedimento che autorizzava il corso forzoso dei biglietti della banca (la quale dal proprio canto si impegnava a sottoscrivere un mutuo allo Stato dell'importo di duecentocinquanta milioni di lire, necessari a riparare al deficit finanziario) si volle vedere esclusivamente un intervento inteso a salvare o beneficiare la banca stessa. Certo è che questa si era esposta pericolosamente per salvare alcuni tra i maggiori istituti di credito genovesi, in particolare la Cassa generale e il Credito mobiliare, che erano stati oggetto di un violentissimo run nei primi mesi del '66, ed è anche certo che questo salvataggio fu compiuto principalmente per volontà di Bombrini, che era in stretti rapporti con l'ambiente finanziario genovese, in particolare con il Balduino, da lui stesso proposto anni addietro a Cavour come direttore del Credito mobiliare.
Malgrado l'opposizione di alcuni gruppi finanziari e politici, toscani in particolare, che portò nel '72 al fallimento del progetto di fusione con la Banca nazionale toscana, la Banca nazionale attraversò un periodo straordinariamente favorevole nella fase del corso forzoso (Con corso forzoso, detto anche sistema a carta moneta inconvertibile, si intende un sistema monetario in cui vige la non convertibilità tra la moneta e l'equivalente in metallo prezioso, oro e argento, di solito, laddove esso è bilanciato sul valore dell'oro - sistema aureo). Nel 1871 le sue azioni ebbero un aumento spettacolare del 55%; il capitale nominale, aumentato già nel '65 sino a cento milioni con l'emissione di sessantamila nuove azioni, fu portato nel '72 a ben duecento milioni di lire, sempre a condizioni particolarmente vantaggiose per i vecchi azionisti, che conservavano così immutata la loro preminenza all'interno della società. I dividendi distribuiti, furono sempre rilevanti, con una punta massima nel '68, e si mantennero tali per tutta la durata della gestione Bombrini, grazie soprattutto agli utili ricavati dalla vendita a più alti prezzi della rendita che la banca aveva ricevuto dal governo.
La banca era diventata un'istituzione di vitale importanza per lo Stato italiano: basti pensare che al momento della costituzione del Consorzio bancario (legge 30 apr. 1874 n. 1920) il credito della banca nei confronti dello Stato ammontava a quasi novecento milioni di lire. Ed è chiaro che da questa posizione essa poteva condizionare le decisioni del governo, imponendo i propri desiderata: Bombrini chiese ed ottenne che la circolazione propria della banca potesse arrivare sino al triplo del capitale versato, il che la poneva in una condizione di schiacciante superiorità nei confronti degli altri cinque istituti di emissione partecipanti al Consorzio stesso. Bombrini ebbe da ultimo una parte rilevante nell'attuazione della legge del 7 apr. 1881 per l'abolizione del corso forzoso, per la quale fu necessario ricorrere al mercato finanziario internazionale, onde procurare le specie metalliche occorrenti. Anche da parte dei suoi critici più aspri (il Pantaleoni, ad es.) non mancò il riconoscimento dei meriti acquisiti da Bombrini nel corso della sua lunga gestione della Banca nazionale, pur non priva di errori dovuti alle sue decisioni (come nel caso del salvataggio del Credito mobiliare o nel caso della nomina del Tanlongo a direttore della Banca romana, che pare fosse imposta da Bombrini stesso).
Bombrini, che era stato nominato senatore alla fine del 1871, morì a Roma il 15 marzo 1882, mentre ancora ricopriva la carica di direttore della Banca nazionale nel Regno d'Italia.
Fonti e Bibl.: Alcune lettere del B. al Cavour, scritte tra il 1851 e il 1857, sono conservate tra le Carte Cavour all'Arch. di Stato di Torino. Portano la firma del B. due pubblicazioni: Memoria dell'amministrazione della Banca Nazionale nel Regno d'Italiasulle considerazioni e sui documenti presentati alla Camera nellatornata del2-V-1879 da S. E. il Ministro di agric., ind. ecommercio per il riordinamento degli istituti di emissione, Roma 1879, e Petizione al Senato del Regno del Comm. C. B. suldisegno di legge "Provvedimenti per l'abolizione del corso forzoso", Roma 1881. Sono firmate dal B. altresì le relazioni presentate annualmente alle assemblee generali degli azionisti della Banca nazionale sino al 1882.
Profili biografici
T. Sarti, Il Parlamento subalpino enazionale, Terni 1890, pp. 140 s., e in A. Rota, B., Genova 1951. Si vedano anche le commemorazioni tenute alla Camera dagli on. Biancheri, Crispi e Depretis, in Atti parlamentari,Camera,Disc., legisl. IV, 1ª sess., tornata del 16 marzo 1882, sessione 1882.
Sulla collaborazione tra il Cavour e il Bombrini numerosi riferimenti in C. Cavour, Lettere edite e inedite, a cura di C. Chiala, 2 ediz., Torino 188487, I-IV, ad Indices; in Nouvelles lettres inédites, a cura di A. Bert, Rome-Turin-Naples 1889; in Nuove lettere inedite, a cura di E. Mayor, Torino 1895 (dove sono pubblicate due lettere di Cavour al B., pp. 383 s., 442); nel Carteggio Cavour-Salmour, Bologna 1936; nel Carteggio Cavour-Nigra, IV, Bologna 1929, e nei voll. III e IV dei carteggi Liberazione delMezzogiorno, Bologna 1952 e 1954, passim. Sempre sui rapporti tra il Cavour e il Bombrini e sulla fusione tra la Banca di Genova e la Banca di Torino si vedano i doc. pubblicati in L. Marchetti, Cavour e laBanca di Torino, Milano 1952.
Sull'attività del B. a capo della Banca naz. si vedano in particolare C. Bonis, C. B. e la Banca Nazionale, Ferrara 1882; G. Boccardo, Le banche ed il corso forzoso, Roma 1879; L. Luzzatti, Memorie, I, Bologna 1931, p. 370; M. Pantaleoni, La caduta della Societàgenerale di credito mobiliare italiano(1895), ora in Studi storicidi economia, Bologna 1936, pp. 217-469. Sulla Banca naz. in generale, oltre ai vecchi libri di T. Canovai, Le banche diemissione, Roma 1912, e di C. Supino, Storia della circolazionecartacea in Italia dal 1860 al 1920, Milano 1929, si vedano le più recenti pubblicazioni di V. Pautassi, Gli istituti di credito e assicurativi e la borsa in Piemonte dal 1831 al 1861, Torino 1961; di G. Di Nardi, Le banche di emissione in Italia nel secolo XIX, Torino 1953; di M. Da Pozzo e G. Felloni, La Borsa valori diGenova nel sec. XIX, Torino 1964; sul B. e le origini dell'Ansaldo cfr. E. Gazzo, I cento anni dell'Ansaldo, Genova 1953, passim; e L. Bulferetti-C. Costantini, Industria ecommercio in Liguria nell'età del Risorgimento (1700-1861), Milano 1966, pp. 513- 15; E. Rossi-G. P. Nitti, Banche,Governo e Parlamento negli Stati sardi. Fonti docum. (1843-1861), Torino 1968.

Eugenio Caruso - 2 dicembrec 2017

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